Stati Uniti, il caso dell' ospedale che si difende negando i diritti del feto
Mentre si tiene l' annuale Marcia per la Vita, scoppia il caso dell' istituto cattolico di Cañon City.
Alessandro Speciale - Roma -
Mentre negli Stati Uniti gli attivisti anti-aborto celebrano l' annuale Marcia per la Vita a Washington, la Chiesa cattolica americana si trova in imbarazzo: uno dei suoi ospedali, per difendersi in un caso di malasanità, ha sostenuto che un feto non è un essere umano con pieni diritti.
Si tratta di una posizione diametralmente opposta a quella sostenuta dalla Chiesa, che si è battuta per anni per vedere riconosciuti dalla legge i diritti dei 'bambini non nati', e dello stesso ospedale – che, nel suo statuto, afferma di voler “rendere testimonianza alla santità della vita dal concepimento alla morte naturale”.
In tribunale, gli avvocati della Catholic Health Initiatives – la catena di ospedali di cui fa parte il St. Thomas More di Cañon City,
dove una donna incinta di due gemelli è morta la notte di Capodanno nel 2006 anche perché, secondo il marito, il suo ostetrico non si è presentato in sala operatoria pur essendo reperibile – hanno invece sostenuto il contrario.
E lo hanno fatto con successo. Secondo i giudici di primo grado e d' appello, i medici dell' ospedale non possono essere ritenuti responsabili della morte dei due gemelli perché non sono persone. Il caso potrebbe finire adesso davanti alla Corte Suprema.
Quando la vicenda è venuta alla luce, i vescovi del Colorado, teatro della vicenda, sono intervenuti annunciando una revisione del caso specifico e delle “politiche e pratiche della Catholic Health Initiatives, per accertarne la fedeltà e la testimonianza agli insegnamenti della Chiesa”.
Il caso del St. Thomas More hospital è venuto a turbare un anniversario che per la Chiesa è particolarmente importante: 40 anni fa, la Corte Suprema con la famosa sentenza sul caso “Roe vs. Wade”, rendeva di fatto legale l' aborto in tutti gli Stati Uniti.
Con il passare dei decenni, se il sostegno degli americani all' aborto legale è rimasto praticamente immutato – il 52% era a favore l' anno scorso contro il 54% del 1975, il 63% non vuole che la sentenza venga cambiata, contro il 60% di vent'anni fa –, l' interruzione volontaria di gravidanza è diventata una linea di faglia sempre più profonda nel cuore della cultura statunitense. Soprattutto, le battaglie degli attivisti anti-aborto (che negli Usa preferiscono farsi chiamare pro-life, pro-vita) sono diventati uno degli elementi determinanti dell'identità delle Chiese cristiane – prima di quelle evangeliche e poi, negli ultimi decenni, anche di quella di cattolica.
Ad oggi l' aborto rimane legale negli Usa ma in molti Stati gli attivisti hanno ottenuto l' approvazione di larghe limitazioni alla pratica dell' interruzione di gravidanza; in alcuni Stati, strettoie legali e obiezioni di coscienza rendono di fatto impossibile abortire anche se la pratica rimane accessibile sulla carta. Soprattutto – ma il dato spesso passa inosservato nella foga della 'guerra culturali' scatenate dal tema – grazie al calo delle gravidanze indesiderate, soprattutto tra le minorenni, il numero delle interruzioni negli Stati Uniti si è ridotto notevolmente.
Alla Marcia per la Vita di quest'anno, a cui hanno preso parte centinaia di migliaia di persone, ha voluto mandare il suo incoraggiamento anche papa Benedetto XVI. E, per la prima volta, lo ha fatto via Twitter: “Mi unisco da lontano a tutti coloro che marciano per la vita, e prego perché i leader politici proteggano la vita non nata e promuovano una cultura della vita”, ha cinguettato @Pontifex in inglese e spagnolo.
Da quando è sbarcato sul social network, è la prima volta che il pontefice twitta per un evento particolare non legato al calendario della Chiesa, e che lo fa per un 'pubblico' particolare come quello americano. Non a caso, il tweet del papa è uscito solo in inglese e spagnolo, le due lingue dei cattolici d'Oltreoceano.
Stati Uniti, il caso dell'ospedale che si difende negando i diritti del feto - Vatican Insider