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  1. #11
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    Predefinito Rif: 4 agosto: San Domenico di Guzman, confessore e fondatore dell'Ordine Domenicano

    Grazie Augustinus...

  2. #12
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    Predefinito Rif: 5 agosto: Dedicazione della Madonna della Neve

    5 Agosto 2009. None.

    Bianco. Mercoledì. Dedicazione della Madonna della Neve, doppio maggiore.

    MESSA Salve, Gloria, Credo, Prefazio della Beata Vergine Maria (In festivitate), Ite, Missa est, ultimo Vangelo di san Giovanni.

    Fonte: Una Voce Venetia

  3. #13
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    Predefinito Rif: 5 agosto: Dedicazione della Madonna della Neve

    6 AGOSTO

    TRASFIGURAZIONE DI NOSTRO SIGNORE



    "O Dio, che nella gloriosa Trasfigurazione del tuo Unigenito confermasti con la testimonianza dei patriarchi i misteri della fede, e con la voce uscita dalla nube luminosa proclamasti mirabilmente la perfetta adozione dei figli, concedici, nella tua bontà, di divenire coeredi della gloria e partecipi della medesima" (Colletta del giorno). Nobile formula, che riassume la preghiera della Chiesa e ci presenta il suo pensiero in questa festa di testimonianza e di speranza.



    Senso del mistero.

    Ma è bene osservare subito che la memoria della gloriosa Trasfigurazione è già stata fatta due volte nel Calendario liturgico: la seconda Domenica di Quaresima e il Sabato precedente. Che cosa significa ciò, se non che la solennità odierna ha come oggetto, più che il fatto storico già noto, il mistero permanente che vi si ricollega, e più che il favore personale che onorò Simon Pietro e i figli di Zebedeo, il compimento dell'augusto messaggio di cui essi furono allora incaricati per la Chiesa? Non parlate ad alcuno di questa visione, fino a quando il Figlio dell'uomo non sia risuscitato dai morti (Mt 17,9). La Chiesa, nata dal costato squarciato dell'Uomo-Dio sulla croce, non doveva incontrarsi con lui faccia a faccia quaggiù; e quando, risuscitato dai morti, avrebbe sigillato la sua alleanza con lei nello Spirito Santo, solo della fede doveva alimentarsi il suo amore. Ma, per la testimonianza che supplisce la visione, nulla doveva mancare alle sue legittime aspirazioni di conoscere.



    La scena evangelica.

    A motivo di ciò, appunto per lei, in un giorno della sua vita mortale, ponendo tregua alla comune legge di sofferenza e di oscurità che si era imposta per salvare il mondo, egli lasciò risplendere la gloria che colmava la sua anima beata. Il Re dei Giudei e dei Gentili (Inno dei Vespri) si rivelava sul monte dove il suo pacifico splendore eclissava per sempre i bagliori del Sinai; il Testamento dell'eterna alleanza si manifestava, non più con la promulgazione d'una legge di servitù incisa sulla pietra, ma con la manifestazione del Legislatore stesso, che veniva sotto le sembianze dello Sposo a regnare con la grazia e lo splendore sui cuori (Sal 44,5). La profezia e la legge, che prepararono le sue vie nei secoli dell'attesa, Elia e Mosè, partiti da punti diversi, si incontravano accanto a lui come fedeli corrieri al punto di arrivo; facendo omaggio della loro missione al comune Signore, scomparivano dinanzi a lui alla voce del Padre che diceva: Questi è il mio Figlio diletto! Tre testimoni, autorizzati più di tutti gli altri, assistevano a quella scena solenne: il discepolo della fede, quello dell'amore, e l'altro figlio di Zebedeo che doveva per primo sigillare con il sangue la fede e l'amore apostolico. Conforme all'ordine dato e alla convenienza, essi custodirono gelosamente il segreto, fino al giorno in cui colei che ne era interessata potesse per prima riceverne comunicazione dalle loro bocche predestinate.



    Data della festa.

    Fu proprio quel giorno eternamente prezioso per la Chiesa ? Parecchi lo affermano. Certo, era giusto che il suo ricordo fosse celebrato di preferenza nel mese dell'eterna Sapienza: Splendore della luce increata, specchio immacolato dell'infinita bontà (Verso alleluiatico; cfr. Sap 7,26).

    Oggi, i sette mesi trascorsi dall'Epifania manifestano pienamente il mistero il cui primo annuncio illuminò di così dolci raggi il Ciclo ai suoi inizi; per la virtù del settenario qui nuovamente rivelata, gli inizi della beata speranza [1] sono cresciuti al pari dell'Uomo-Dio e della Chiesa; e quest'ultima, stabilita nella pace del pieno sviluppo che l'offre allo Sposo (Ct 8,10), chiama tutti i suoi figli a crescere come lei mediante la contemplazione del Figlio di Dio fino alla misura dell'età perfetta di Cristo (Ef 4,13). Comprendiamo dunque perché vengano riprese in questo giorno, nella sacra Liturgia, formule e cantici della gloriosa Teofania. Sorgi, o Gerusalemme; sii illuminata; poiché è venuta la tua luce, e la gloria del Signore s'è levata su di te (I Responsorio di Mattutino; cfr. Is 60,1). Sul monte, infatti, insieme con il Signore viene glorificata la sua Sposa, che risplende anch'essa della luce di Dio (Capitolo di nona; cfr. Ap 21,11).



    Le vesti di Gesù.

    Mentre infatti "il suo volto risplendeva come il sole - dice di Gesù il Vangelo - le sue vesti divennero bianche come la neve" (Mt 17,2). Ora quelle vesti, d'un tale splendore di neve - osserva san Marco - che nessun tintore potrebbe farne di così bianche sulla terra (Mc 9,2), che altro sono se non i giusti, inseparabili dall'Uomo-Dio e suo regale ornamento, se non la tunica inconsutile, che è la Chiesa, e che Maria continua a tessere al suo Figliuolo con la più pura lana e con il più prezioso lino? Sicché, per quanto il Signore, attraversato il torrente della sofferenza, sia personalmente già entrato nella sua gloria, il mistero della Trasfigurazione non sarà completo se non allorché l'ultimo degli eletti, passato anch'egli attraverso la laboriosa preparazione della prova e gustata la morte, avrà raggiunto il capo nella sua resurrezione. O volto del Salvatore, estasi dei cieli, allora risplenderanno in te tutta la gloria, tutta la bellezza e tutto l'amore. Manifestando Dio nella diretta rassomiglianza del suo Figliuolo per natura, tu estenderai le compiacenze del Padre al riflesso del suo Verbo che costituisce i figli di adozione, e che vagheggia nello Spirito Santo fino alle estremità del manto che riempie il tempio (Is 6,1).



    Il mistero dell'adozione divina.

    Secondo la dottrina di san Tommaso, infatti (III, qu. 45, art. 4), l'adozione dei figli di Dio, che consiste in una conformità di immagine con il Figlio di Dio per natura (Rm 8,29-30), si opera in duplice modo: innanzitutto per la grazia di questa vita, ed è la conformità imperfetta; quindi per la gloria della patria, ed è la conformità perfetta, secondo le parole di san Giovanni: "Ora noi siamo figli di Dio; ma non si è manifestato ancora quel che saremo. Sappiamo che quando si manifesterà saremo simili a lui, perché lo vedremo quale egli è" (1Gv 3,2).

    Le parole eterne: Tu sei il mio Figliuolo, OGGI io ti ho generato (Sal 2,7) hanno due echi nel tempo, nel Giordano e sul Tabor; e Dio, che non si ripete mai (Gb 33,14) non ha in ciò fatto eccezione alla regola di dire una sola volta quello che dice. Poiché, per quanto i termini usati nelle due circostanze siano identici, non tendono però allo stesso fine - dice sempre san Tommaso - ma a mostrare quel modo diverso in cui l'uomo partecipa alla rassomiglianza con la filiazione eterna. Nel battesimo del Signore, in cui fu dichiarato il mistero della prima rigenerazione, come nella sua Trasfigurazione che ci manifesta la seconda, apparve tutta la Trinità: il Padre nella voce intesa, il Figlio nella sua umanità, lo Spirito Santo prima sotto forma di colomba e quindi nella nube risplendente; poiché se, nel battesimo, egli conferisce l'innocenza indicata dalla semplicità della colomba, nella resurrezione concederà agli eletti lo splendore della gloria e il ristoro di ogni male, che sono significati dalla nube luminosa (III, qu. 45, ad 1 et 2).



    Insegnamento dei padri.

    "Saliamo il monte - esclama sant'Ambrogio; - supplichiamo il Verbo di Dio di mostrarsi a noi nel suo splendore e nella sua magnificenza; che fortifichi se stesso e progredisca felicemente, e regni nelle anime nostre (Sal 44). Alla tua stregua infatti, o mistero profondo, il Verbo diminuisce o cresce in te. Se tu non raggiungi quella vetta più elevata dell'umano pensiero, non ti appare la Sapienza; il Verbo si mostra a te come in un corpo senza splendore e senza gloria" (Comm. su san Luca, l. vii, 12).

    Se la vocazione che si rivela per te in questo giorno è così santa e sublime (VII Responsorio di Mattutino; cfr. Tm 1,9-10), "adora la chiamata di Dio - riprende a sua volta Andrea da Creta (Discorso sulla Trasfigurazione): - non ignorare te stesso, non disdegnare un dono così sublime, non ti mostrare indegno della grazia, non essere tanto pusillanime nella tua vita da perdere questo celeste tesoro. Lascia la terra alla terra, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Mt 8,22); disprezzando tutto ciò che passa, tutto ciò che muore con il secolo e con la carne, segui fino al cielo senza mai separartene Cristo che per te compie il suo cammino in questo mondo. Aiutati con il timore e con il desiderio, per sfuggire alla caduta e conservare l'amore. Donati interamente; sii docile al Verbo nello Spirito Santo, per raggiungere quel fine beato e puro che è la tua deificazione, con il gaudio di indescrivibili beni. Con lo zelo delle virtù, con la contemplazione della verità, con la sapienza, arriva alla Sapienza principio di tutto e in cui sussistono tutte le cose" (Col 1,16-17).



    Storia della festa.

    Gli Orientali celebrano questa festa da lunghi secoli. La vediamo fin dagli inizi del secolo IV in Armenia, sotto il nome di "splendore della rosa", rosae coruscatio, sostituire una festa floreale in onore di Diana, e figura tra le cinque feste principali della Chiesa armena. I Greci la celebrano nella settima Domenica dopo Pentecoste, benché il loro Martirologio ne faccia menzione il 6 di agosto.

    In Occidente, viene celebrata soprattutto dal 1457, data in cui il Papa Callisto III promulgò un nuovo Ufficio e la rese obbligatoria in ringraziamento della vittoria riportata l'anno precedente dai cristiani sui Turchi, sotto le mura di Belgrado. Ma questa festa era già celebrata in parecchie chiese particolari. Pietro il Venerabile, abate di Cluny, ne aveva prescritto la celebrazione in tutte le chiese del suo Ordine quando Cluny ebbe preso possesso, nel secolo XII, del monte Thabor.



    La benedizione delle uve.

    Vige l'usanza, presso i Greci come presso i Latini, di benedire in questo giorno le uve nuove. Questa benedizione si compie durante il santo Sacrificio della Messa, al termine del Nobis quoque peccatoribus. I Liturgisti, insieme con Sicardo di Cremona, ci hanno spiegato la ragione di tale benedizione in un simile giorno: "Siccome la Trasfigurazione si riferisce allo stato che dev'essere quello dei fedeli dopo la resurrezione, si consacra il sangue del Signore con vino nuovo, se è possibile averne, onde significare quanto è detto nel Vangelo: Non berrò più di questo frutto della vite, fino a quando non ne beva del nuovo insieme con voi nel regno del Padre mio" (Mt 26,29).

    Terminiamo con la recita dell'Inno di Prudenzio, che la Chiesa canta nei Vespri ed al Mattutino di questo giorno:



    INNO

    O tu che cerchi Cristo, leva gli occhi in alto; ivi scorgerai il segno della sua eterna gloria.

    La luce che risplende manifesta Colui che non conosce termine, il Dio sublime, immenso, senza limiti, la cui durata precede quella del cielo e del caos.

    Egli è il Re delle genti, il Re del popolo giudaico, e fu promesso al patriarca Abramo e alla sua stirpe per tutti i secoli.

    I Profeti sono i suoi testimoni, e sotto la loro garanzia, testimone egli stesso, il Padre ci ordina di ascoltarlo e di credere in lui.

    Gesù, sia gloria a te che ti riveli agli umili, a te insieme con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.



    [1] San Leone: II Discorso sull'Epifania.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 941-946

  4. #14
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    Predefinito Rif: 6 agosto: Trasfigurazione di Nostro Signore - S. Sisto II papa, Feliciano e Agap

    Agapito diacono subì il martirio a Roma insieme al compagno Felicissimo, ai subdiaconi Gennaro, Magno, Vincenzo e Stefano, al Pontefice Sisto e al beato Quarto. Tutti furono decapitati e sepolti nel cimitero di Prestato.

    Agapito, diacono, santo, martire di Roma, fu sepolto unitamente a Felicissimo nel cimitero di Pretestato. Nel IV secolo si rese necessario un ampliamento del luogo della loro sepoltura, per il gran numero di pellegrini che lo visitavano. I suddiaconi che patirono il martirio con Gennaro, Magno, Vincenzo e Stefano furono inumati nella cripta dei papi. Nel 1049 le ossa d'Agapito vennero traslate in S. Maria in Via Lata da S. Leone IX. Le sue reliquie si rinvennero il 24 agosto 1491 e con esse molte altre tra le quali quelle dei martiri Ippolito e Dario; tutte furono temporaneamente portate nella chiesa di S. Ciriaco. In S. Maria in Via Lata, l'8 maggio 1639, furono ritrovate nell'altare maggiore, in una cassetta di piombo, alcune sue ossa con la dicitura: Corpus S. Agapiti Martyris. La reliquia della testa risulta in questa chiesa da un inventario del 1454. Una parte di questa fu adoperata nel XVII secolo per la consacrazione dell'altare maggiore di Santo Spirito in Sassia e qui riposta da Monsignor Francesco Febei. Alcune reliquie dei martiri Agapito, Felicissimo e Vincenzo sono nell'altare della cappella maggiore di S. Maria della Consolazione.

    [ Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ]

  5. #15
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    Predefinito Rif: 6 agosto: Trasfigurazione di Nostro Signore - S. Sisto II papa, Feliciano e Agap

    6 Agosto 2009. Ottavo delle Idi.

    Bianco. Giovedì. Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo, doppio di 2ª classe.


    MESSA propria, Gloria, 2ª orazione (nelle Messe private) dei santi Sisto II Papa, Felicissimo e Agapito Martiri, Credo, Prefazio della Natività, Ite, Missa est, ultimo Vangelo di san Giovanni.

    Fonte: Una Voce Venetia

  6. #16
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    Predefinito Rif: 7 agosto: San Gaetano di Thiene - San Donato

    San Gaetano nacque nel 1480 a Vicenza, da famiglia illustre e pia. Ad esempio di Gesù adolescente, Gaetano mentre cresceva nello spirito, faceva pure gran profitto nello studio. Studiò prima diritto a Padova, poi, da chierico, fu chiamato a Roma da Papa Giulio II che lo volle al suo servizio come segretario particolare prima e pronotario apostolico poi. A contatto con la Curia Romana concepì propositi di riforma del costume e, con Pietro Carafa (poi Papa Paolo IV), introdusse in Roma la Compagnia del Divino Amore.
    Nel 1524, sempre con la collaborazione del Carafa, fondò una Congregazione di chierici regolari, la prima del genere, che si disse dei Teatini, dal nome latino di Chieti, Teate, di cui il Carafa era Vescovo: il suo Istituto tendeva alla carità spirituale e corporale e fu principio della grandiosa riforma cattolica del XVI secolo.
    San Gaetano creò numerose case a Napoli e Venezia, incrementando ogni possibile opera di beneficenza, avvicinandosi alle piaghe materiali e morali dei sofferenti, dedicandosi assiduamente all’apostolato tra i poveri e i diseredati; per sollevarne la miseria, istituì i Monti di pietà, aprì ospizi per i vecchi e fondò ospedali. San Gaetano morì a Napoli nel 1547 e fu canonizzato da Clemente X nel 1671.

  7. #17
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    Predefinito Rif: 7 agosto: San Gaetano di Thiene - San Donato

    7 agosto

    San Donato d'Arezzo, vescovo e martire


    Nato a Nicomedia, studia da chierico a Roma. Suo compagno di formazione è Giuliano, ma mentre questi diventa suddiacono della Chiesa di Roma, Donato rimane semplice lettore. Tuttavia divenuto imperatore, Giuliano (l'Apostata) promulga una violenta persecuzione contro la Chiesa. Donato fugge ad Arezzo accolto dal monaco Ilariano a cui si affianca nell'apostolato, penitenza e preghiera; con lui opera tra il popolo prodigi e conversioni. La sua «passio» racconta di miracoli eclatanti: fra i tanti, durante la celebrazione di una Messa, al momento della Comunione, entra nel tempio un gruppo di pagani che mandano in frantumi il calice. Donato, dopo intensa preghiera, raccoglie i frammenti e li riunisce, ma manca un pezzo del fondo del calice. Il vescovo continua a servire il vino senza che esso cada dal fondo mancante; fra lo stupore generale ben 79 pagani si convertono. Un mese dopo Donato è arrestato e, sotto la persecuzione di Giuliano l'Apostata, viene decapitato ad Arezzo il 7 agosto. (Avvenire

  8. #18
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    Predefinito Rif: 7 agosto: San Gaetano di Thiene - San Donato

    7 Agosto 2009.
    Settimo delle Idi.


    Bianco. Venerdì. S. Gaetano da Tiene Confessore, doppio.
    MESSA propria, Gloria, 2ª orazione di san Donato Vescovo e Martire, Prefazio comune, Ite, Missa est, ultimo Vangelo di san Giovanni.

    Oggi è permessa un'unica messa votiva del Sacro Cuore di Gesù, Bianco Gloria, orazione unica, Credo, Prefazio proprio, Ite, Missa est, ultimo Vangelo dei Santi Apostoli.

    Fonte: Una Voce Venetia

  9. #19
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    Predefinito Rif: 8 agosto: Santi Ciriaco, Largo e Smaragdo martiri

    San Ciriaco

    Diacono, ordinato da papa Marcello, operò numerose guarigioni e esorcismi, probabilmente guarì anche la figlia dell'imperatore Diocleziano. L'imperatore Massimiano lo fece decapitare sulla via Salaria insieme ai compagni Crescenziano, Memmai, Largo, Smaragdo e Giuliana, con i quali viene ricordato.

  10. #20
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    Predefinito Rif: 8 agosto: Santi Ciriaco, Largo e Smaragdo martiri

    DOMENICA DECIMA
    DOPO LA PENTECOSTE

    Fine dell'antico culto.

    La rovina di Gerusalemme ha chiuso il ciclo profetico nella sua parte consacrata alle istituzioni e alla storia del tempo delle figure. L'altare del vero Dio, fissato da Salomone sul monte Moriah, era per il mondo antico il segno autentico della vera religione. Anche dopo la promulgazione del nuovo Testamento, la persistenza di quell'altare, riconosciuto una volta dall'Altissimo come il solo legittimo (Dt 12,13-14), poteva fino a un certo punto proteggere ancora i sostenitori dell'antico ordine di cose. Dopo la sua definitiva distruzione, non esiste più alcuna scusa; anche i ciechi sono costretti a riconoscere la completa abrogazione d'una religione ridotta dal Signore all'impossibilità di offrire ormai quei sacrifici che costituivano la sua essenza.

    Le premure che la delicatezza della Chiesa conservava fin qui per la sinagoga morente non hanno più motivo di essere. E ormai continuerà ad andare alle genti con tutta libertà, per domare con la potenza dello Spirito i loro istinti feroci, unificarle in Gesù Cristo e stabilirle mediante la fede nel possesso sostanziale, benché non ancora visibile (Ebr 11,1), delle eterne realtà che la legge delle figure annunciava.

    Il culto nuovo.

    Il nuovo Sacrificio, che non è altro se non quello della croce e dell'eternità, appariva sempre più come l'unico centro in cui la sua vita è fissata in Dio con Cristo suo Sposo (Col 3,3) e da cui deriva l'attività che essa dispiega per convertire e santificare gli uomini delle successive generazioni. La Chiesa, sempre più feconda, rimane più che mai stabilita nella vita d'unione che le vale quella meravigliosa fecondità.

    L'insegnamento della liturgia.

    Non si deve dunque stupire se la Liturgia, che è l'espressione della vita intima della Chiesa, rifletta ora meglio che mai quella stabilità dell'unione divina. Ogni gradazione scompare, quanto alle formule preparatorie del Sacrificio, nella serie delle settimane che seguiranno. Nelle stesse lezioni dell'Ufficio della notte, a partire dal mese d'agosto, i libri storici hanno fatto o faranno subito posto agli insegnamenti della divina Sapienza, che saranno presto seguiti dai libri di Giobbe, Giuditta, Ester, senza altro legame fra loro che quello della santità in precetto o in atto. Gli accostamenti che si notavano ancora fin qui fra quelle letture e la composizione delle Messe del Tempo dopo la Pentecoste, non si incontrano più.

    Dovremo dunque d'ora in poi racchiuderci, per ciascuna Domenica, nel commento dell'Epistola e del Vangelo, lasciando come la Chiesa allo Spirito divino la cura di far sorgere e svilupparsi, secondo che vorrà in ciascuno (1Cor 12,11), la dottrina che essa seminerà in unione con lui in modo così vario. È il consiglio che si ricava anche dall'Epistola del giorno.

    Il grande evento che doveva segnare la consumazione delle profezie rovesciando le barriere giudaiche, ha affermato in maniera evidente l'universalità del regno dello Spirito santificatore. Dalla gloriosa Pentecoste in poi, esso ha infatti conquistato la terra (Sap 1,17); e la Chiesa, preoccupandosi poco ormai di seguire un ordine logico negli insegnamenti della sua Liturgia, professa di affidarsi, per la riforma delle anime, meno a un metodo qualunque che alla virtù del Sacrificio e della parola sacra, messa divinamente in opera dalla spontaneità di quello Spirito d'amore (Gv 3,8).

    Questa Domenica può essere già la seconda della serie che una volta aveva il punto di partenza dalla festa di san Lorenzo, e traeva il nome (post sancti Laurentii) dalla solennità del grande diacono martire. Viene anche chiamata Domenica dell'umiltà o del Fariseo e del Pubblicano, a motivo del Vangelo del giorno. I Greci la computano come la decima di san Matteo e vi leggono l'episodio del Lunatico, riportato al capitolo XVII di quell'Evangelista.

    MESSA

    EPISTOLA (1Cor 12,2-11). - Fratelli: Sapete che quando eravate Gentili vi lasciavate trascinare dietro agl'idoli muti a talento di chi vi conduceva. Per questo vi fo' sapere che nessuno, il quale parli per lo Spirito di Dio, dice anatema a Gesù e che nessuno può dire "Signor Gesù" se non per lo Spirito Santo. Or c'è varietà nei doni, ma è il medesimo Spirito e vi sono diversi ministeri, ma il Signore è lo stesso; e vi è diversità nelle operazioni, ma è lo stesso Dio che opera tutto in tutti. A ciascuno poi è data la manifestazione dello Spirito ad utilità (comune). Infatti ad uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della sapienza; all'altro il linguaggio della scienza, secondo il medesimo Spirito; ad un altro la fede, pel medesimo Spirito; ad un altro il dono delle guarigioni, per l'unico e medesimo Spirito; a chi la potenza d'operar miracoli, a chi la profezia, a chi il discernimento degli spiriti, a chi ogni genere di lingue, a chi il dono d'interpretarle. Ma tutte queste cose le opera l'unico e medesimo Spirito, che distribuisce a ciascuno come vuole.

    Virtù e carismi.

    "I capitoli XII, XIII e XIV della prima Epistola ai Corinti sono relativi all'uso dei doni dello Spirito Santo. La Chiesa e le anime che la compongono sono animate dallo Spirito di Dio; ma l'influsso dello Spirito si esercita insieme nell'ordine della nostra santificazione e in vista dell'edificazione del prossimo. È così che esistono doni dello Spirito Santo che sono il complemento delle virtù. Essi costituiscono nell'anima un tesoro di disposizioni e di docilità interiori alla mozione dello Spirito di Dio riguardo alla preghiera, al pensiero e all'azione, quando preghiera, pensiero e azione si elevano al disopra delle capacità umane. Ma esistono inoltre doni spirituali, che sono in noi il frutto d'una attività superiore alla nostra, e che sono ordinati direttamente all'edificazione del prossimo. L'effusione di questi ultimi, i doni carismatici, fu abbondante alle origini della Chiesa, poiché la Chiesa non aveva storia; lo è meno oggi, poiché la storia e l'azione della Chiesa vi suppliscono con profitto. Quei doni spirituali formavano così la dote esteriore della Chiesa fino al giorno in cui non ne avrebbe avuto più bisogno; indicavano ai più superficiali che lo Spirito di Dio era in essa, e dirigeva i suoi membri.

    "Nella IIa-IIae, q. 171, il Dottore Angelico ha parlato di queste grazie gratis datae e ha distinto quelle che illuminano l'intelletto, e alle quali da il nome generico di profezia; quelle che hanno per oggetto la parola e la comunicazione della verità, come il dono delle lingue; infine quelle che sono relative all'azione, e che designa anche con un termine comune: il dono dei miracoli. Questi carismi sono diversi, ma non vi è tuttavia che una stessa sorgente e uno stesso Spirito; i ministeri sono diversi, ma non esiste tuttavia che un solo Signore; differenti sono le funzioni, ma non vi è che un solo Dio il quale fa tutto in ciascuno di noi; e ognuno riceve da una stessa scaturigine il suo particolare vigore spirituale per la comune edificazione.

    Viene quindi l'enumerazione dei doni spirituali: a uno lo Spirito di Dio da, nell'interesse interiore ed esteriore della Chiesa, il potere di manifestare la sapienza e di esporre i misteri più nascosti di Dio e delle sue opere; a un altro il potere o il discorso della scienza e dell'insegnamento della dottrina, ma secondo lo stesso Spirito. Un terzo riceverà, ma sempre dallo stesso Spirito, quel vigore di fede che produce i miracoli e trasporta le montagne; per un altro vi saranno, ma sempre nello stesso Spirito, le guarigioni miracolose, i prodigi, la profezia, il discernimento degli spiriti, il dono delle lingue, la loro interpretazione, in una parola tutta la gamma dei doni carismatici. Qualunque ne sia il numero, essi derivano da un solo e medesimo Spirito che, secondo la sua volontà, definisce il compito di ciascuno" [1].

    Quale pratica conclusione trarremo noi, se non quelle stesse parole che riassumono la dottrina dell'Apostolo: In voi stessi stimate tutti questi doni come l'opera dello Spirito Santo che in diverso modo arricchisce mediante essi il corpo sociale (1Cor 12,11-30); non ne disprezzate alcuno (ivi 14,39); ma quando li scoprirete, preferite come migliori (ivi 12,31) quelli che tornano a maggior profitto della Chiesa e delle anime (ivi 14,12).

    Infine, e soprattutto, ascoltiamo san Paolo che ci dice ancora: "Vi insegno una via più sublime! (ivi 12,31). Quand'io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli, e quando avessi la profezia e conoscessi tutti i misteri ed ogni scienza, e quando avessi la fede che trasporta i monti, se non ho la carità, sono un niente. Le profezie passeranno, cesseranno le lingue, avrà fine la scienza: la carità non finirà, essa vince tutto" (ivi 13,1-13).

    VANGELO (Lc 18,9-14). - In quel tempo: Gesù disse pure questa parabola, per certuni i quali confidavano in se stessi, come giusti e disprezzavano gli altri: Due uomini ascesero al tempio a pregare; uno era Fariseo, l'altro pubblicano. Il Fariseo, stando in piedi, così dentro di sé pregava: O Dio, ti ringrazio di non essere io come gli altri: rapaci, ingiusti, adulteri, come anche questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana, pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, stando da lungi, non ardiva nemmeno alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Vi assicuro che questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro; perché chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.

    Giudei e Gentili.

    Il Venerabile Beda, commentando questo passo di san Luca, ne spiega così il significato recondito: "il fariseo, è il popolo giudaico il quale, valendosi delle giustizie della legge, vanta i propri meriti; il pubblicano è il gentile il quale, rimasto lontano da Dio, confessa i suoi peccati. L'orgoglio dell'uno fa sì ch'egli si allontani umiliato; l'altro, sollevato dai suoi gemiti, merita di avvicinarsi nella lode. È dei due popoli, come di ogni umile e di ogni superbo, che è scritto anche altrove: L'innalzamento del cuore precede la rovina, e l'umiliazione dell'uomo la sua elevazione in gloria" (Pr 18,12).

    Non si poteva dunque scegliere, nel santo Vangelo, un insegnamento che convenisse meglio dopo il racconto della caduta di Gerusalemme. I fedeli che videro la Chiesa, nei suoi primi giorni, umiliata in Sion sotto l'arroganza della sinagoga, comprendono ora quelle parole del Savio: È meglio essere umiliati con i pii che dividere le spoglie con i superbi! (Pr 16,19). Secondo un'altra massima dei Proverbi, la lingua del Giudeo, quella lingua che rimproverava il pubblicano e accusava il gentile, è diventata nella sua bocca come una verga d'orgoglio (ivi 14,3) che l'ha colpito a sua volta attirando su di lui la rovina. Tuttavia la gentilità, mentre adora le giuste vendette del Signore che celebra i benefici, deve evitare di prendere essa stessa la via nella quale si è perduto il popolo disgraziato di cui occupa il posto. La colpa d'Israele ha posto il principio della salvezza delle genti, dice san Paolo (Rm 11,11), ma l'orgoglio di lui sarà anche la loro rovina; e mentre Israele è assicurato dalle profezie circa un ritorno alla grazia alla fine dei tempi (ivi 25-27), nulla garantisce una seconda chiamata della misericordia alle genti ridiventate colpevoli dopo il battesimo. Se oggi la bontà dell'eterna Sapienza fa portare ai gentili frutti di gloria e d'onore (Eccli 24,23), non dimentichino mai la loro primitiva sterilità; allora l'umiltà che sola può custodirli - come è stata la sola ad attirare poco fa su di essi gli sguardi dell'Altissimo - resterà facile, e nello stesso tempo comprenderanno la considerazione di cui deve sempre, malgrado le sue colpe, essere circondato l'antico popolo.

    L'umiltà.

    L'umiltà, che produce in noi il timore salutare, è la virtù che pone l'uomo al suo vero posto, nella propria stima, riguardo a Dio come riguardo ai suoi simili. Essa risiede nella coscienza intima, che la grazia ci mette in cuore, del tutto di Dio nell'uomo e del vuoto della nostra natura, umiliata per di più dal peccato, al disotto del nulla. La sola ragione basta per dare a chi riflette un poco la convinzione del nulla di ogni creatura; ma allo stato di conclusione puramente teorica, questa convinzione non è ancora l'umiltà: essa s'impone al demonio nell'inferno, e il dispetto che gli ispira è il più attivo alimento della rabbia del principe degli orgogliosi. Al pari dunque della fede, la quale ci rivela ciò che è Dio nell'ordine del fine soprannaturale, l'umiltà, la quale ci insegna ciò che siamo noi di fronte a Dio, non procede dalla pura ragione e non risiede nel solo intelletto; per essere vera virtù, deve ricavare dall'alto la sua luce, e muovere nello Spirito le nostre volontà. Nello stesso tempo in cui lo Spirito divino fa penetrare nelle anime nostre la nozione della loro piccolezza, le inclina dolcemente all'accettazione e all'amore di quella virtù che la ragione da sola sarebbe tentata di trovare importuna.

    Meditiamo questi pensieri; comprenderemo meglio come i più grandi santi sono stati i più umili degli uomini quaggiù, poiché è ancora così perfino nel cielo, dove la luce aumenta per gli eletti in proporzione della loro gloria. Presso il trono del suo divin Figliolo come a Nazareth, la Madonna è sempre la più umile delle creature, poiché è la più illuminata, poiché comprende meglio dei cherubini e dei serafini la grandezza di Dio e il nulla della creatura.

    PREGHIAMO

    O Dio, che mostri la tua onnipotenza soprattutto nel perdonarci e nel compatirci, moltiplica su di noi la tua grazia, affinché ci faccia raggiungere la patria celeste alla quale aneliamo dietro le tue promesse.

    [1] Dom Delatte, Epitres de saint Paul, I, p. 352-354.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 463-469

 

 
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