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ROMA (31 luglio) - Sotto sotto, qualcuno ancora ci sperava nel «grosso equivoco». Sotto sotto, amici e compagni di circolo, si auguravano che l’altro Luca, quello che loro hanno conosciuto, l’unico che hanno ancora negli occhi e nei ricordi, avesse la meglio. Invece no, anche l’esito del secondo esame del Dna, ha accertato che lo stupratore seriale, l’uomo che ha violentato o aggredito almeno quindici donne a Roma dal ’96 a oggi, è proprio Luca, quantomeno l’altro Luca, quell’insospettabile maniaco che la notte calzava il passamontagna e aspettava nel buio, negli angoli dei garage le sue vittime.
«Speravamo nel grosso equivoco, è chiaro - dice un’amica cara - anche se è chiaro che piano piano ognuno di noi cominciava a maturare un’idea diversa, vedendo quanti riscontri c’erano a disposizione degli investigatori. La speranza però c’era sempre». La notizia così ha un effetto dirompente, forse più dell’altra volta. «Sotto sotto ci speravamo che l’altro Luca, quello che abbiamo conosciuto, non fosse un estraneo, un bluff».
E’ amareggiato, molto, anche
Augusto Culasso, capogruppo Pd al XII Municipio. «Mi sarebbe piaciuto andarlo a trovare - dice - ma con quell’imputazione mi dicono che non è cosa facile. Un conto sono i deputati, un conto gli amici, i consiglieri municipali...».
«La notizia mi addolora - riprende - ho sperato fino alla fine che fosse innocente. E che questa prova lo scagionasse. E’ un colpo durissimo: pensare che un ragazzo migliore degli altri, almeno quello che conoscevamo noi, tanto da affidargli un circolo, seppure pro tempore, si riveli per quello che sta venendo fuori...». Intanto la sezione Pd del Torrino è commissariata, un gruppo di dirigenti sta traghettando il circolo fino al congresso. «Il tesseramento è in corso, non abbiamo avuto nessun calo degli iscritti. Grandi ripercussioni non ci sono state».
Si dicono tutti «colpiti», «addolorati». Per loro Luca Bianchini era il ragazzo «sempre disponibile, affidabile, uno su cui contare». Quello da riaccompagnare a casa, perché spesso non aveva la macchina, quello con cui parlare di politica a cena, davanti a una pizza. «Quello che faceva la notte... non lo immaginava nessuno. Nessuno». Ci speravano. Si erano attaccati a indizi minimi, come il fatto che le vittime raccontassero tutte di quella parlata romanesca. «Luca parla un corretto italiano, ha la r moscia, non è mai emerso?». No, l’altro, di Luca, la teneva nascosta.
Gli amici di Bianchini: «Allibiti, abbiamo sperato in un equivoco»*-*Il Messaggero