Soluzioni alla crisi

Cosa possono fare i moderati per salvare Obama e l’America


di David Brooks


10 Marzo 2009


Non l’avremmo mai detto un giorno, ma in questo paese ci sono dei moderati – conservatori moderati, liberali moderati e semplici moderati. Siamo d’accordo con molte delle cose che il Presidente Obama sta cercando di fare. Ci piacciono i suoi investimenti nell’istruzione e nell’innovazione energetica. Appoggiamo la riforma dell’assistenza che estende la copertura sanitaria e, contemporaneamente, ne riduce i costi.

Ma il budget di Obama è molto di più che la somma delle sue parti. Racchiuso in esso, c’è una confusa riluttanza a definire le priorità e ad accettare i compromessi. Nel suo fervore rivoluzionario c’è un’evidente forzatura di partito, legata alla lusinghiera convinzione del presidente che la storia lo abbia chiamato a risolvere tutti i problemi in una volta sola.

Così i programmi si accumulano uno sull’altro e finiamo per avere un impressionante budget di 3,6mila miliardi di dollari. Finiamo per avere dei deficit che, considerati realisticamente, sono pari a 1.000 miliardi di dollari l’anno e che si espandono a vista d’occhio. E ci ritroviamo con un’agenda di spesa che è ordinaria se la prendiamo nelle sue diverse parti ma che, considerata nella sua interezza, rappresenta un esperimento di ingegneria sociale completamente nuovo.

Gli Stati Uniti non hanno mai avuto una società divisa dal risentimento di classe. Tuttavia il budget di Obama si basa su una divisione di classe. Il presidente ha fatto una promessa del tipo “leggi le mie labbra” ('Read my lips: no new taxes' è una celebre frase pronunciata dal presidente Bush Padre, Ndt) dicendo che non graveranno nuovi oneri sul 95 per cento degli americani. Tutti i costi verranno sostenuti dai ricchi e tutti i benefici saranno redistribuiti verso il basso.

Gli Stati Uniti sono sempre stati una nazione decentrata, scettica sulla pianificazione dall’alto verso il basso. Ma l’attuale amministrazione vuole concentrare un potere enorme a Washington, mentre i singoli progetti sono varati da un piccolo gruppo di esperti a corto di personale. Gli Stati Uniti hanno sempre avuto delle Neighborhood associations molto attive (“associazioni di vicinato”, si riferisce al mondo del nonprofit comunitario, Ndt). Ma nel suo primo budget, l’amministrazione Obama ha aumentato i costi delle donazioni benefiche e filantropiche, punendo l’attivismo civico e aumentando l’intervento statale.

Gli Stati Uniti hanno tradizionalmente avuto un governo centrale relativamente limitato. Ma la spesa federale come parte del Pil sta sfrecciando dall’attuale norma del 20 per cento verso un livello sconosciuto che sarà molto superiore. Quelli tra noi che si considerano moderati – o come nel mio caso, conservatori moderati – sono obbligati a dover affrontare la realtà che Obama non è quello che credevamo che fosse. Le sue parole sono responsabili; il suo carattere spinge a entusiasmarsi. Ma le sue azioni tradiscono un ‘liberalismo di trasformazione’ che dovrebbe mettere in allarme tutti coloro che si considerano di centro.

Come ha scritto Clive Crook (un ammiratore di Obama) sulle pagine del Financial Times, nel budget di del presidente “non c’è traccia di compromesso. Non fa alcun cenno – neppure minimo o gratuito rispetto al suo programma più ampio – ad un approccio bipartisan verso le grandi questioni che deve affrontare. E’ il sogno liberal di un nuovo New Deal”.

I moderati ora si sentono in una via di mezzo. A sinistra c’è un presidente che sembra essere “un politico convinto e un audace progressista liberal”, come dice Crook. A destra invece ci sono le “brigate” di Rush Limbaugh. L’unica cosa che spaventa di più dell’esperimento di Obama è il pensiero che potrebbe fallire e che il potere politico potrebbe passare a un partito repubblicano che attualmente non è adatto a esercitarlo.

Quelli tra noi che vengono dalla tradizione moderata – quella Hamiltoniana che crede in un governo limitato ma energico – si trovano quindi ad affrontare un vuoto. Noi moderati dovremo farci valere. Dovremo prendere quella tendenza centrista che è stata politicamente incapace e intellettualmente insipida e trasformarla in una forza influente.

Il primo compito sarà quello di bloccare gli eccessi del liberalismo incontrollato. Nelle scorse settimane, i Democrats hanno varato dei provvedimenti per diluire la riforma del sistema sanitario, limitare l’afflusso di immigranti qualificati e svuotare il programma di voucher destinato agli studenti poveri. Dipenderà dai moderati se scatterà l’allarme contro questi oltraggi ideologici.

Al di là di tutto, i moderati dovranno delineare una visione alternativa. L’idea di una nazione in cui siamo tutti nella stessa barca, in cui gli oneri vengono condivisi apertamente, invece di essere facilmente inflitti a una piccola minoranza. L’idea di una nazione che non cerca di costruire la prosperità basandosi sul debito. Una visione che mette al primo posto la competitività e la crescita, non la redistribuzione.

I moderati dovranno cercare di contenere la guerra polarizzante che verrà sicuramente scatenata dal budget uber-partisan di Obama. Dovranno affrontare le realtà fiscali con onestà e non basare le proiezioni delle entrate finanziarie sugli scenari rosei di una recessione superficiale e di una crescita consistente per il prossimo anno. Dovranno prendere sul serio la crisi economica e non utilizzarla come un segnale per concentrarsi su qualsiasi altro problema che si presenta alla luce del sole. Dovranno anche offrire un’agenda che ispiri fiducia per la sua fermezza invece di far tremare questa fiducia con l’iperattivismo di questi giorni.

Se i moderati possono farlo, forse sono anche in grado di spingere la Casa Bianca a dare il meglio di sé, e un giorno potranno offrire una tregua a questa infinita guerra di estremismi politici.


Tratto The New York Times

Traduzione di Fabrizia B. Maggi



http://www.loccidentale.it/articolo/...merica.0067629