"Chi non fa inchieste, non ha diritto di parola" Mao

Antonio Gramsci oggi

Memoria Storica
REPUBBLICA POPOLARE CINESE: 60 ANNI.
di Antonio Costa

La Rivoluzione Cinese è stato un fenomeno lungo
e complesso che ha investito tutti gli aspetti della
vita in Cina trasformando gradualmente il paese
attraverso un processo durato un secolo.
Solo la Rivoluzione Francese e quella Russa possono
essere paragonate alla Rivoluzione Cinese per la profondità
del mutamento che le contraddistinguono.
Ma sopratutto in Cina il processo rivoluzionario è stato
così lento e complesso, così multiforme e articolato da
rendere impossibile una risposta alla domanda “quando
avvenne la Rivoluzione”?
Perché se si prende una data significativa quale il 1°
Ottobre 1949, data di fondazione della Repubblica Popolare,
risulta subito evidente che non da quel giorno cominciò
per la Cina una “nuova storia”.
In quel giorno fu soltanto sancita in forma istituzionale
una serie di trasformazioni che nella realtà erano avvenute
gradualmente nel modo di vivere e lavorare già da
tempo in buona parte da mesi, da anni, talvolta da decenni.
Nella Rivoluzione Cinese non vi fu infatti alcuna Bastiglia,
non vi fu alcun Palazzo d’Inverno, che presi d’assalto
da un Popolo deciso a diventare padrone del proprio
destino, potessero diventare il simbolo di un rovesciamento
del mondo.
La Bastiglia della Cina furono le migliaia di ville dei proprietari
terrieri, difese da milizie feudali che, una dopo
l’altra, con alterne vicende - furono espugnate dai contadini,
armati e organizzati modernamente per la prima
volta nella storia della Cina – nel corso di una lotta durata
nella sua fase finale oltre venti anni.
Una lotta nella quale sorse nel 1931 la Repubblica Sovietica
Cinese che resistette alla campagna di annientamento
di Chiang Kai Shek sino al 1934.
Una resistenza che culminò con la rottura dell’accerchiamento
che diede il LÀ alla celeberrima Lunga Marcia
verso lo Shensi, zona irraggiungibile dalle truppe nazionaliste
(18.000 km. in un anno) e nella quale fù approvata
la strategia Maoista della lotta rivoluzionaria rurale
che culminò nella offensiva finale sino all’avvento della
Repubblica Popolare di Cina.
Impossibile ripercorre adeguatamente, anche per sommi
capi – in una nota come questa – i 60 straordinari anni di
vita della R.P.C. È possibile qualche cenno.
Emblematicamente, i primi provvedimenti, del nuovo
Governo: sopratutto la riforma agraria per il valore che
assumeva verso la grande maggioranza di popolo. Ma,
anche la riforma matrimoniale che introduceva la parità
tra i coniugi.
Il ruolo propulsivo svolto nel 1955 alla conferenza di
Bandung (isola di Giava), conferenza che vedeva la nascita
di un movimento che scompaginava le alleanze
consolidate dopo la guerra mondiale e dava luogo all’espressione
Terzo Mondo, in seguito banalizzato come
sinonimo di sottosviluppo economico, ma che assunse
allora il fascino di un diverso confronto mondiale: Nord-
Sud invece che Est-Ovest.
Temi di fondo anche oggi, basti pensare a questo tipo di
confronto nei grandi negoziati commerciali (WTO).
Temi che hanno spinto a un multilateralismo cinese che
punta all’azzeramento dell’influenza americana in una
vasta zona geostrategica (es. Africa).
Si parla dell’unica organizzazione internazionale nata in
Asia che esclude gli Stati Uniti, cioè la Shangai Cooperation
Organisation (SCO) fondata nel 2001 tra Cina,
Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan;
poi allargata nel 2004 con l’invito a India, Pakistan, Iran,
e Mongolia a partecipare come osservatori.
Una S.C.O. che per la sua data di nascita e successivo
allargamento, si configura sempre più come una forza di
contenimento delle cosidette “Rivoluzioni Arancioni”.
Tornando ora indietro, ricordiamo il lancio nel 1958 della
campagna per “il grande balzo in avanti”. Critiche e ironie
si sono sprecati per i risultati di tale campagna.
Certo essa non riuscì nell’obbiettivo di una accelerazione
globale dello sviluppo del paese, ma in agricoltura si
affermò il movimento delle comuni popolari che riunivano
compiti produttivi e funzioni amministrative, educative
e di difesa nazionale.
D’altra parte la campagna del “Grande Balzo” va valutata
nel contesto di un’altra campagna, quella dei “Cento
Fiori” nella quale il Partito tentò un avvio di liberalizzazione
culturale cercando di coinvolgere gli intellettuali nel
processo di costruzione della società socialista.
Forse i fiori che nacquero erano troppi, da qui un richiamo
alla concretezza dei problemi reali. Si entrava in una
fase cruciale e decisiva della Rivoluzione con sviluppi
altalenanti (1966-67).
Le divergenze erano su temi vivi, reali, decisivi per le
prospettive: rapporto tra lavoro manuale e intellettuale,
divisione città-campagna, il rapporto burocrazie-masse,
diversità dei livelli salariali.
Si possono indicare schematicamente le due linee che si
fronteggiavano: incremento produttivo – coscienza socialista.
È lo scontro che darà vita alla “Grande Rivoluzione Culturale
Proletaria”, dall’Università alle campagne.
La prima fase storica dello scontro vide la vittoria di soluzioni
ispirate a un forte egualitarismo e quindi alla coscienza
socialista (Mao) culminata al IX° Congresso del
Partito con l’espulsione di Liu-Sciao.
Gli anni ’70 si chiusero con relativo equilibrio nel gruppo
dirigente tra maoisti moderati e destra produttivistica di
Deng Xiao, ma nel decennio successivo quest’ultima
prese il sopravvento.
Il consolidamento del ruolo dominante di Deng avvenne
senza rinnegare formalmente la rivoluzione maoista ma
rinnovandone i contenuti sino al rischio dello stravolgimento.
Venne avviato un processo di liberalizzazione e modernizzazione
qualificato come “socialismo di mercato”.
Venne introdotto nelle attività produttive lo stimolo del
profitto (in agricoltura con il passaggio dall’organizzazione
collettiva della comune allo sfruttamento delle terre
da parte delle famiglie); nell’industria favorendo il nascere
di una pluralità di imprese.
Si è aperta progressivamente l’economia al mondo esterno
creando “zone economiche speciali” in grado di
attirare investimenti grazie alle forti facilitazioni.
Dagli anni ’80 si assiste a un eccezionale ritmo di crescita
dell’apparato produttivo, sino alla realtà dei giorni nostri
che vede la Cina come unico grande paese che ha saputo neutralizzare
al proprio interno la crisi di natura
mondiale e mantenere una crescita importante.
È in questo quadro complessivo che il Partito Comunista
ha saputo confrontarsi e superare un disagio sociale
scaturito da diseguaglianze reali tra classi sociali e aree
geoeconomiche (zone costiere – zone speciali) e la sperequazione
perdurante tra mondo agricolo e resto del
paese.
E anche nella direzione del Partito, Li Peng e Jang Zemin,
oggi Hu Injao e W. Jiabao sembrano garantire una
stabilizzazione e una linea di progresso, capace di affrontare
vecchi e nuovi squilibri sociali.■