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Discussione: L'esobiologia

  1. #51
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    Predefinito Re: L'esobiologia

    oddio, potrebbe anche essere questione di sfiga...nel senso che le zone esplorate (ovviamente una percentuale infinitesima di un pianeta poco più piccolo della terra) sono tutte senza vita...ma almeno i batteri dovresti trovarli.
    al 99.99% marte è sterile e non ha mai conosciuto la vita...come la luna, d'altra parte.
    non mi disturba l'omosessualità, quanto la sua ostentazione.
    Ridatemi Ratzingher!!
    La democrazia è la forma più subdola di dittatura.
    L'unico influencer buono è l'influencer morto
    אֶהְיֶה אֲשֶׁר אֶהְיֶה

  2. #52
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    Predefinito Re: L'esobiologia

    Un sosia della Terra vicino Proxima Centauri

    A circa quattro anni luce di distanza, è il pianeta extrasolare più vicino a noi. E' roccioso, poco più massiccio del nostro, e potrebbe avere acqua sulla sua superficie. Sarà quindi uno degli obbiettivi principali per le ricerche di vita extraterrestre e per i futuri viaggi interstellari.


    Massimiliano Razzano

    Da stanotte guarderemo il cielo con occhi diversi. Perché lassù, a poco più di quattro anni luce da noi, si trova un pianeta molto simile al nostro. In termini astronomici quattro anni luce sono pochissimi, praticamente dietro l'angolo. Ed è proprio lì, intorno a Proxima Centauri, la stella più vicina a noi, che si trova un mondo roccioso poco più massiccio della nostra Terra. Le osservazioni mostrano poi che la sua temperatura superficiale potrebbe consentire la presenza di acqua allo stato liquido. Il nuovo pianeta, battezzato Proxima b, è stato scoperto da un team di astronomi nell'ambito della campagna osservativa Pale Red Dot condotta nei primi mesi di quest'anno. La scoperta, in pubblicazione su Nature, è stata annunciata oggi nel corso di una conferenza stampa a Garching presso Monaco di Baviera, nel quartier generale dell'Osservatorio Australe Europeo (ESO). L'annuncio conferma le indiscrezioni circolate nelle scorse settimane, mai confermate né smentite dall'ESO e che quindi avevano generato moltissima attesa fra gli astronomi e non solo. Si tratta di un passo molto importante nello studio dei pianeti extrasolari. Proxima b, è infatti l'esopianeta più vicino a noi, e vista la sua somiglianza alla Terra sarà fra i primi dove cercheremo tracce di vita extraterrestre. E magari, in un futuro non troppo lontano, diventerà la meta dei primi tentativi di viaggio interstellare.

    Un piccolo punto rosso. Proxima Centauri si trova nei pressi di Alfa Centauri, una stella gialla ben visibile ad occhio nudo nella costellazione australe del Centauro. Proxima è però una nana rossa molto debole e invisibile ad occhio nudo, e per poterla scorgere serve un buon binocolo oppure un piccolo telescopio. Ma data la sua vicinanza, Proxima è sempre stata una "sorvegliata speciale" dagli astronomi che cercano pianeti extrasolari. In particolare, a questa stella è stato dedicata una speciale campagna osservativa chiamato Pale Red Dot. Il nome del progetto, coordinato dall'astronomo Guillem Anglada-Escudé della Queen Mary University di Londra, fa riferimento a Pale Blue Dot ("piccolo punto azzurro"), un nome affettuoso con cui l'astronomo americano Carl Sagan aveva chiamato la nostra Terra. Vista dallo spazio, soprattutto dalle sonde più lontane, il nostro pianeta appare proprio come un piccolo puntino azzurro.

    Con Pale Red Dot, Anglada-Escudé e colleghi hanno osservato continuamente Proxima Centauri in modo da mettere in evidenza ogni piccola perturbazione del suo moto nello spazio. La presenza di uno o più pianeti infatti causa delle perturbazioni gravitazionali che alterano in modo periodico il moto della stella. Queste "oscillazioni" nel moto stellare provocano dei piccoli cambiamenti nella luce della stella a causa in seguito al celebre effetto Doppler. Utilizzando con il telescopio ESO da 3,6 metri all'Osservatorio di La Silla, in Cile, gli astronomi hanno evidenziato così le piccolissime "oscillazioni" nel moto di Proxima Centauri. Poiché le nane rosse come Proxima variano spesso di luminosità in un modo che potrebbe mimare la presenza di un pianeta, la stella è stata monitorata anche da altri telescopi, così da escludere dalle analisi periodi di intensa variabilità.


    Giorno dopo giorno, le oscillazioni della stella diventavano sempre più significative, come ricorda lo stesso Anglada-Escudé, "Continuavo a verificare la coerenza del segnale ogni singolo giorno durante le 60 notti di osservazione della campagna. I primi 10 erano molto promettenti, i primi 20 erano consistenti con le previsioni e arrivati a 30 giorni il risultato era quasi definitivo, così abbiamo iniziato a scrivere l'articolo!"

    Un mondo simile al nostro? Le osservazioni mostrano che il pianeta, la cui massa è 30% maggiore di quella della Terra, si trova a una distanza di circa 7 milioni di chilometri da Proxima. E' quindi vicinissimo alla stella, molto più vicino di quanto non sia Mercurio rispetto al Sole, e impiega solo 11 giorni a compiere un'orbita completa. Ma siccome Proxima è molto più debole del Sole, la superficie del pianeta non è rovente come quella di Mercurio: secondo gli astronomi, la luce che arriva dalla stella sarebbe così fioca da consentire temperature superficiali decisamente più miti, tali persino da consentire la presenza di acqua allo stato liquido nelle regioni più calde. Le condizioni climatiche, studiate in altri due articoli, sarebbero quindi tali da collocare quindi il pianeta nella cosiddetta fascia di abitabilità. Date le condizioni di formazione del pianeta, e le peculiari condizioni di illuminazione del pianeta, sembra però che il clima sia ben diverso da quello terrestre, e che su Proxima b non ci siano delle vere e proprie stagioni.

    Ma basta quel che sappiamo su questo pianeta per attirare l'attenzione degli scienziati. Proxima b sarà sicuramente studiato in maggior dettaglio anche con gli strumenti futuri, come il super-telescopio E-ELT. E naturalmente potrebbe diventare la meta dei primi visionari tentativi di viaggio interstellare, come il progetto Star Shot. Scenari da fantascienza, ma che da oggi ci sembrano più vicini.

    Un sosia della Terra vicino Proxima Centauri - Repubblica.it
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  3. #53
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    Predefinito Re: L'esobiologia

    Ricercatori russi captano misterioso segnale da una stella a 95 anni luce dalla Terra


    Il grafico del segnale ricevuto dal radiotelescopio Ratan 600 il 15 maggio del 2015

    Enzo Vitale

    Negli anni '70 A Come Andromeda, lo sceneggiato televisivo tratto da un racconto di Fred Hoyle, riuscì ad incollare allo schermo televisivo 17 milioni di telespettatori. Ma se la notizia di un misterioso segnale proveniente da una stella a 95 anni luce da noi fosse vera, allora i “telespettatori”di questo inconsueto remake potrebbero essere miliardi. Ma andiamo con ordine.


    La scoperta fatta in Russia

    La scoperta del segnale è di circa un anno fa, precisamente il 15 maggio, e la “trasmissione” sembra indicare come provernienza la stella HD 164595, un astro che dista quasi 100 anni luce nella costellazione di Ercole dalle caratteristiche simili al nostro Sole. A dirla tutta, va detto che non si tratta di un astro misterioso in quanto Kepler, il telescopio spaziale a caccia di esopianeti, ha già rivelato nelle sue vicinanze un pianeta delle dimensioni di Urano. ma c'è di più. Gli scienziati ritengono che il pianeta faccia parte di un sistema più articolato e ritengono probabile l'esistenza di altri pianeti di tipo roccioso, simili alla nostra Terra, nella cosiddetta fascia di abitabilità. A captare il segnale sono stati ricercatori russi che lavorano al grande radiotelescopio Ratan-600 sulle montagne del Caucaso.


    Gli americani verificano

    Il Seti (Search for Extraterrestrial Intelligence) è molto interessato alla notizia visto lo scopo per cui è stato creato, ma ci va con i piedi di piombo. Alcuni anni fa un altro segnale aveva dato speranze che lassù ci potesse essere qualcuno, ma poi il messaggio analizzato ad Arecibo nel 2004 si era rivelato un falso allarme. «Il segnale rilevato dai russi -entra nella spiegazione tecnica dal suo profilo Fb Massimo Teodorani, astronomo dell'Inaf che ha partecipato al progetto Seti presso l'osservatorio di Medicina a Bologna-, è distribuito su una banda di frequenza estremamente larga, un miliardo di volte più estesa della banda usata tipicamente dal Progetto SETI del mondo occidentale, quindi il segnale, con tutte le sue armoniche, sarebbe diluito e apparirebbe molto debole. Dopo l’annuncio tecnico proprio questi giorni gli astronomi americani dello Allen Array Telescope (ATA) si sono subito messi al lavoro per tentare di confermare il segnale trovato dai russi. E quindi, dato che lavorano a banda molto stretta, dovranno scansionare un intervallo di frequenze molto largo per sperare di trovare il segnale su una banda radio ben precisa: per questa ragione il segnale potrebbe essere meno debole di quanto è apparso al RATAN-600. Per ora gli astronomi americani non possono confermare nulla, e ci vorrà ancora molto lavoro per coprire 1 GHz di banda».


    Le due possibilità

    «Se il segnale fosse confermato -continua Teodorani- ciò non significa che questo debba essere per forza un segnale di tipo SETI. Secondo Seth Shostak, portavoce del SETI americano, il segnale potrebbe essere anche dovuto al fenomeno del "gravitational microlensing" che occasionalmente amplifica di molto un segnale (radio in questo caso) per via della distorsione relativistica della luce ad opera di un campo gravitazionale, oppure potrebbe essere dovuto a mera interferenza elettromagnetica causata da noi. Quindi sono molti i problemi da risolvere prima di dire l’ultima parola vanno stabilite due cose: confermare il segnale; stabilire che cosa esattamente lo causa».


    E se fosse davvero ET?

    Il professor Teodorani analizza anche l'eventualità più stupefacente, ovvero che si possa trattare davvero di un segnale proveniente da una civiltà extraterrestre. «Se davvero si trattasse di un segnale intelligente -sintetizza ancora il prof-, allora ci sarebbero altre due possibilità. Se il segnale è intenzionale e miratamente inviato al nostro sistema solare allora proverrebbe da una civiltà di Tipo I (di poco più avanzata della nostra). Mentre se il segnale è non-intenzionale, cioè facente parte di un “broadcasting” che invia segnali in tutte le direzioni, allora proverrebbe da una civiltà di Tipo II (in grado di imbrigliare l’energia della loro stella). Infatti la quantità di energia di cui una ipotetica civiltà extraterrestre disporrebbe si identifica in tipologie di energia crescente andando al Tipo I al Tipo III. Infine per avere una conferma definitiva di un segnale extraterrestre intelligente è indispensabile che più radiotelescopi dislocati in differenti parti del mondo ne diano conferma e non uno solo, e che il segnale sia più o meno persistente nel tempo. Un segnale ricevuto solamente per breve tempo va scartato».


    Il radiotelescopio russo RATAN-600 sulle montagne del Caucaso


    Il summit di astronautica in Messico

    Di questo e di altre questioni aperte se ne parlerà il 27 settembre al Congresso internazionale di astronautica che si svolgerà in Messico, nella città di Guadalajara. Il cartellone dell'incontro scientifico è davvero colmo di iniziative. Tra le tante anche quella inerente il patron di Tesla e Space X, Elon Musk. L'imprenditore di origini sudafricane parlerà anche del suo progetto più ambizioso: la colonizzazione di Marte che partirà dopo il 2025.


    Stelio Montebugnoli, membro del Seti Italia

    Il professor Stelio Montebugnoli è un veterano del Seti. Da qualche tempo è in pensione, ma la sua passione alla ricerca di segnali “interessanti”, come lui stesso li definisce, continua più di prima. «Intanto diciamo che il segnale deve essere riconfermato -spiega il radiastronomo-, considerando il fatto che i colleghi russi non l'ho hanno mai più captato, bisogna andarci con i piedi di piombo. Per ora ci sono varie ipotesi, ripeto ipotesi, come quella dei segnali provenienti da satelliti in orbita o in viaggi verso i diversi pianeti del Sistema Solare. Ripeto, siamo ancora nelle fase dello studio e non si deve assolutamente incorrere in errori come in passato. Oltretutto non è neppure detto che il segnale arrivi da quella stella, potrebbe arrivare da un astro che si trova nella stessa direzione ma dietro HD 164595, oppure nelle sue immediate vicinanze. Insomma -conclude Montebugnoli- attendiamo eventuali conferme».


    Attesa e suspense

    A questo punto non resta altro da fare che attendere, se il segnale proviente dalla stella nella costellazione di Ercole ha davvero un origine intelligente, va verificato in maniera capillare e precisa. Del resto la cosiddetta stella di Tabby, quella sul cui sistema qualcuno ha ipoptizzato l'esistenza di una civiltà, è ancora sotto esame. Ma gli orizzonti si ampliano e sono in molti a credere che prima o poi la conferma dell'esistenza di un'intelligenza aliena sia vicina.


    Il planetologo Marchis: occhio che non sia il segnale di un forno a microonde

    Ma sul caso c'è anche chi getta acqua sul fuoco come nel caso di Franck Marchis, planetologo e membro del Seti Institute . Ecco cosa dice: «Il segnale è stato rilevato maggio 2015 e non si è ripetuto da allora. Purtroppo, anche se i protocolli internazionali richiedono di allertare la comunità astronomica per il rilevamento di un segnale misterioso, i russii hanno scelto di non farlo. Il segnale è stato rilevato da un'antenna dedicata ma potrebbe trattarsi di un errore -continua Marchis-, la qualità di puntamento è incerta e quindi si potrebbe aver catturato quello che chiamiamo un falso segnale "parassita. HD 164595, la stella ospite, è molto simile al sole (stesso colore, dimensione ed età). E 'novantuno anni luce dalla Terra e ha un pianeta conosciuto, HD164595 B, che è probabilmente simile al nostro Nettuno. Orbita molto vicino alla sua stella ogni quaranta giorni. Per ora, però, non abbiamo ancora individuato un pianeta simile alla Terra intorno a questa stella, e non credo che ce ne sia uno. Questo è ciò che le attuali teorie sulla formazione dei sistemi planetari ci dicono. Ma non vi è alcun motivo per cui la vita non potrebbe esistere sui satelliti del pianeta gigante presente nel sistema stellare, ma per ora queste sono pure speculazioni. Infine -conclude ironicamente Marchis-, prima di essere troppo entusiasti, andrebbe ricordato il caso accaduto nel 2015 al Parkes Observatory in Australia. In quel caso il segnale non proveniva da 95 anni luce, bensìda un vicino forno a microonde la cui porta era stata aperta dagli astronomi».

    Ricercatori russi captano misterioso segnale da una stella a 95 anni luce dalla Terra - http://www.ilmessaggero.it/
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  4. #54
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    Predefinito Re: L'esobiologia

    Ora è giallo sul segnale "alieno" captato dai russi

    Dietrofront degli astrofisici dell'Accademia delle Scienze: potrebbe trattarsi di una interferenza terrestre. Irritazione degli scienziati Usa che guidano il proramma Seti.


    Luca Fraioli

    Roma - Aveva fatto letteralmente drizzare le antenne a tutti i cacciatori di extraterrestri. E in effetti pare davvero che il segnale anomalo captato dal radiotelescopio
    russo Ratan-600 fosse da attribuire a una civiltà intelligente, peccato che pare si trattasse della nostra. L'onda radio di grande intensità che sembrava provenire da una stella a 95 anni luce dal nostro pianeta, sarebbe in realtà frutto di una interferenza terrestre, forse attribuibile a un satellite militare.

    La notizia aveva fatto il giro del mondo e, pur manifestando molta cautela ("prima di poterlo attribuire agli alieni dobbiamo escludere le altre possibili cause, da quelle astrofisiche alle trasmissioni terrestri"), tutti gli scienziati impegnati nella ricerca di intelligenze extraterrestri consideravano "interessante" il risultato ottenuto dai colleghi russi. Ma l'illusione è durata pochi giorni.

    Travolti dal clamore per la presunta scoperta, i ricercatori dell'osservatorio di Zelenchukskaya, nel nord del Caucaso, sono corsi ai ripari.Yulia Sotnikova ha dichiarato alla agenzia Tass: "Abbiamo ricevuto un segnale insolito, ma la sua analisi ha dimostrato che molto probabilmente si tratta di una interferenza terrestre", senza però aggiungere altri dettagli. Subito dopo l'Osservatorio astrofisico dell'Accademia delle Scienze russa ha emesso un comunicato, altrettanto ambiguo: "Nell'ambito del programma Seti, il Ratan-600 ha rivelato un interessante segnale radio della lunghezza d'onda di 2,7 cm in direzione della stella HD164595, nella costellazione di Erocle. Successive analisi del segnale hanno rivelato la sua probabile origine terrestre. Ma come per gli altri oggetti osservati dal Ratan-600 è troppo presto per giungere a conclusioni scientifiche affidabili. Possiamo solo dire che non abbiamo ancora trovato il segnale che stavamo cercando".

    Resta il giallo sul perché gli scienziati russi abbiano tenuto nascosto il presunto segnale alieno per più di un anno (era stato captato il 15 maggio 2015) per poi sminuirne la rilevanza poche ore dopo la diffusione della notizia tra la comunità scientifica internazionale. Provocando l'irritazione del Search for Extra-Terrestrial Intelligence Institute (Seti) che ha sede a Mountain View, in California. "In casi del genere" spiegano i ricercatori americani "si comunica immediatamente la presenza di un segnale anomalo in modo che tutti gli strumenti disponibili possano essere puntati in quella zona di cielo. Invece lo abbiamo saputo più di un anno dopo". Nonostante il ritardo, il Seti ha messo ha orientato l'Allen Telescope Array verso HD164595, ma senza osservare alcunché di anomalo. Poi la doccia fredda del dietrofront russo, che però, secondo gli statunitensi, presenta non poche contraddizioni.

    Per ora la speranza di comunicare con E.T. va rimandata. Nel frattempo si spera migliorino le comunicazioni tra scienziati russi e americani.

    Ora è giallo sul segnale "alieno" captato dai russi - Repubblica.it
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  5. #55
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    Predefinito Re: L'esobiologia

    Vita su Marte a portata di spettro

    Sviluppata al MIT una nuova tecnica analitica grazie alla quale è possibile, a partire dallo spettro Raman di un campione, misurarne con precisione il rapporto tra idrogeno e carbonio. Il risultato potrà fornire uno strumento efficace per individuare le rocce marziane più promettenti per la ricerca di tracce di vita.


    Micrografie ottiche del fossile di un protista. La mappatura Raman è stata effettuata a basso ingrandimento su tutto il fossile (pannello a destra) e ad alto ingrandimento (a sinistra). Indicate da frecce: la parete cellulare (rosso), il contenuto della cellula collassato (blu) e la sedimentazione di quarzo (verde). Crediti: Ferralis et al. 2016.

    Elisa Nichelli

    Nel 2020 la NASA ha previsto il lancio di un nuovo rover marziano, che si chiamerà Mars 2020. Il rover avrà il compito di sondare la superficie del Pianeta rosso alla ricerca di segnali di vita microbica. Per fare questo raccoglierà campioni di rocce e terreno e li immagazzinerà sulla superficie di Marte. I campioni potranno poi essere portati a Terra, nel corso di un’eventuale missione successiva, in modo che gli scienziati possano analizzarli e cercare segnali di vita presente e passata.

    In uno studio pubblicato di recente sulla rivista Carbon, un team di scienziati del Massachusetts Institute for Technology (MIT) ha sviluppato una tecnica che aiuterà il rover a identificare i campioni rimasti il più possibile inalterati in maniera rapida e non invasiva. Questi campioni, selezionati tra quelli che hanno mantenuto maggiormente la loro composizione originale, permetteranno ai ricercatori di indagare la presenza di segni di vita passata, se ce n’è stata, sul suolo marziano.

    La tecnica si sviluppa attorno a un nuovo modo di interpretare i risultati della spettroscopia Raman, un processo utilizzato dai geologi per identificare la composizione chimica delle rocce. Tra gli strumenti scientifici di cui disporrà Mars 2020 c’è anche SHERLOC (Scanning Habitable Environments with Raman and Luminescence for Organics and Chemicals), che si occuperà dell’acquisizione di spettri Raman di campioni lungo la superficie di Marte o nei primi strati di terreno. SHERLOC sarà fondamentale per determinare se la vita sia mai esistita sul Pianeta rosso.

    La spettroscopia Raman è una tecnica che misura le vibrazioni degli atomi all’interno delle molecole di un certo materiale su cui è stato focalizzato un raggio laser. Dal momento che atomi e molecole vibrano a frequenze diverse a seconda del tipo di legame che li tiene insieme, la spettroscopia Raman fornisce informazioni chiave per identificare la composizione chimica di un campione.

    Eppure, spiega Roger Summons, professore presso il MIT e co-autore dell’articolo, il quadro globale che si sono fatti fino ad ora gli scienziati circa la possibile presenza di vita nei campioni analizzati è poco chiaro. Ad esempio, uno spettro Raman acquisito da un pezzo di carbone estratto sulla Terra è molto simile a quello di una particella organica trovata su un meteorite proveniente dallo spazio. «Non abbiamo modo di distinguere con certezza tra materia organica di origine biologica e quella prodotta da un altro processo chimico», dice Summons.

    Tuttavia, Nicola Ferralis – primo autore dello studio, laureato a Padova e oggi ricercatore presso il MIT – ha scoperto alcune sottostrutture negli spettri Raman che possono aiutare a formulare un quadro più completo circa la composizione chimica del campione. In particolare, il team di ricercatori guidato da Ferralis è riuscito a stimare il rapporto tra idrogeno e carbonio a partire da alcune sottostrutture negli spettri Raman del materiale esaminato. Questo risultato è molto importante, perché più una roccia è stata riscaldata, più la materia organica ha subito alterazioni, in particolare attraverso la perdita di idrogeno sotto forma di metano.

    Questa nuova tecnica consente agli scienziati di interpretare con maggiore precisione gli spettri Raman già raccolti e valutare rapidamente il rapporto tra idrogeno e carbonio, individuando così in modo semplice e veloce i campioni più incontaminati, da sottoporre poi ad ulteriori studi. Summons aggiunge che questo può anche aiutare il team che sta lavorando allo strumento SHERLOC a migliorare la sua capacità di identificazione dei campioni ideali.

    «Questo studio può fornire uno strumento estremamente efficace per decidere quali campioni raccolti dal rover sia meglio conservare», spiega Summons. «Mars 2020 andrà alla ricerca di sostanze organiche conservate nei sedimenti, e la nuova tecnica permetterà una selezione più consapevole dei campioni per un potenziale trasporto fino a Terra».

    Ferralis, lavorando sugli spettri Raman di campioni di sedimenti raccolti in passato dal team di Summons, ha trovato delle sottostrutture che mostravano una forte correlazione con la quantità di idrogeno nel campione analizzato. Per testare la nuova interpretazione, il team ha effettuato test su sedimenti la cui composizione chimica era già nota. Le analisi hanno dato risultati compatibili con i valori precedentemente misurati. «Questo significa che il nostro metodo è affidabile, e che non abbiamo bisogno di pianificare purificazioni chimiche estremamente lunghe e complesse per ottenere risposte precise», dice Summons.

    Facendo un ulteriore passo avanti, i ricercatori si sono chiesti se la nuova tecnica potesse essere utilizzata per mappare la composizione chimica di un fossile microscopico, che normalmente conterrebbe troppo poco carbonio, e non sarebbe dunque rilevabile con tecniche tradizionali. Per rispondere a questa domanda, il team ha ottenuto il fossile microscopico di un protista, un organismo unicellulare. In passato gli scienziati deducevano l’origine biologica di questi fossili semplicemente dal loro aspetto e dalla somiglianza con altri modelli nella documentazione fossile.

    Il team ha utilizzato la spettroscopia Raman per misurare le vibrazioni atomiche del fossile e ha analizzato lo spettro risultante sfruttando la nuova tecnica, ottenendo una mappa chimica dettagliata del campione. «Il fossile ha sperimentato la stessa storia termica, eppure abbiamo scoperto che il contenuto di idrogeno della parete cellulare è superiore rispetto a quello della matrice e di ciò che la circonda», dice Summons. «Questa prova del fatto che il nostro test fornisce indicazioni biologiche sui campioni potrebbe non convincere tutti, ma è indubbiamente un miglioramento significativo rispetto alle analisi di cui disponevamo in passato».

    Vita su Marte a portata di spettro « MEDIA INAF
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    Predefinito Re: L'esobiologia

    Tracce di microbi nelle rocce marziane?

    Alcune strutture geologiche osservate su Marte dai rover della NASA potrebbero essere simili a rocce sedimentarie terrestri costruite da microorganismi. Questi i risultati dello studio di alcuni ricercatori del CNR. Con il commento di Filippo Giacomo Carrozzo (INAF).


    Perché inviamo sonde verso pianeti lontani e lune ghiacciate? Perché costruiamo telescopi sempre più potenti? Trovare vita intelligente è il sogno di ogni astrofisico. Per adesso gli alieni in carne e ossa ce li possiamo dimenticare, ma gli astrobiologi potrebbero aver invividuato indizi di attività microbiologica passata su Marte, dove un giorno arriverà anche l’uomo. Di recente un gruppo di ricercatori dell’Isafom-Cnr ha pubblicato su International Journal of Astrobiology uno studio in cui vengono evidenziate affinità strutturali tra le microbialiti terrestri – rocce di origine batterica – e i sedimenti marziani non solo sul piano microscopico, ma anche macroscopico.

    I due ricercatori italiani Nicola Cantasano e Vincenzo Rizzo dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche di Cosenza (Isafom-Cnr) si sono concentrati su delle fotografie delle rocce marziane provenienti dai rover Opportunity, Spirit e Curiosity (della NASA) e hanno rilevato analogie anche nelle tracce attribuibili alla produzione batterica di gas e di gelatine adesive altamente plastiche.

    «Attestato già nel 2009 che le lamine sub-millimetriche dei sedimenti marziani e le cosiddette Blueberry (sferule ematitiche di dimensioni millimetriche) non erano omogenee, ma costituite da aggregazioni strutturali di grumi e microsferule più piccole (da 1 a 3 decimi di millimetro), i primi studi si erano concentrati sulla morfologia delle singole microstrutture, individuando altre interessanti aggregazioni, quali polisferule, filamenti e filamenti intrecciati di microsferule», spiega Cantasano. «L’attenzione si è poi spostata sulla dislocazione di tali microstrutture sul piano di osservazione: la tessitura delle immagini è infatti una sorta di marker genetico che dipende dall’ambiente di sedimentazione e dalla attività batterica. Tale analisi, eseguita su un gruppo di circa 40 coppie di immagini, sia dei rover che di microbialiti museali, ha evidenziato l’esistenza di interessanti trame a filamenti intrecciati, con forti parallelismi morfologici alla stessa scala».

    Questi parallelismi microtessiturali sono stati rilevati anche da altre ricerche sviluppate negli ultimi anni. «L’Università di Siena ha avviato un’analisi matematica frattale multiparametrica delle coppie di immagini, i cui risultati confermarono che esse sono identiche», aggiunge Rizzo. «Un ulteriore studio morfologico del Laboratorio de Investigaciones Microbiológicas de Lagunas Andinas-LIMLA su campioni di microbialiti viventi provenienti dal deserto di Atacama (Cile) ha permesso di evidenziare grazie alla pigmentazione organica che tali microstrutture e microtessiture esistono e sono un prodotto dell’attività batterica. Tuttavia, poiché le strutture a scala meso e macroscopica sono considerate discriminanti per il riconoscimento di tali rocce, nello studio attuale l’analisi microscopica è stata integrata da osservazioni sistematiche a scala maggiore. La quantità, la varietà e la specificità dei dati raccolti accreditano per la prima volta, in modo consistente, che le analogie non possono essere considerate semplici coincidenze».

    La tecnologia va avanti a passi di gigante e gli strumenti sono sempre più avanzati. I ricercatori hanno inventato telescopi giganti e rover per la ricerca di vita nello spazio, ma finora la vita che conosciamo qui sulla Terra non esiste altrove. Abbiamo chiesto un parere a Filippo Giacomo Carrozzo, ricercatore dell’INAF-IAPS di Roma.

    «La probabilità di trovare attività biologica in corso su Marte sono basse perché oggi il pianeta è una Terra piuttosto inospitale. Il problema maggiore sta nella mancanza di uno scudo capace di fermare le radiazioni dannose per la vita. Sui pianeti questo scudo è il campo magnetico che, avvolgendoli, non permette ai raggi cosmici e alle particelle cariche del vento solare di passare. Su Marte questo scudo naturale oggi è praticamente assente, riducendo la superficie ad una Terra sterilizzata», spiega Carrozzo.

    Uno dei problemi alla base della mancanza di vita è il freddo, ovviamente dovuto anche alla lontananza dal Sole: «La temperatura media, di gran lunga sotto lo zero, non rappresenta un problema serio; sulla Terra, nelle regioni artiche, alcuni organismi riescono a sopravvivere fino anche a -100°C. Per azionare i processi biologici gli esseri viventi hanno bisogno di energia, sulla Terra la fonte principale è fornita dal Sole. Su Marte, la luce solare arriva con una intensità minore del 56%. Una quantità sufficiente, paragonabile a quella che si ha a poche ore prima del tramonto. Se poi aggiungiamo che esseri viventi possono sopravvivere sfruttando altri tipi di energia come quella chimica, è evidente che questa sul pianeta potrebbe non rappresentare un grosso ostacolo».

    Carrozzo sottolinea, inoltre, l’importanza dell’acqua per la vita: «È l’elemento principale, tutti gli organismi viventi ne se sono composti in grandissima parte, il nostro corpo per esempio ne è costituito per il 60% circa. Il detto “dove c’è acqua c’è vita” vale anche per Marte. Sul Pianeta rosso questa molecola, essenziale alla vita, è presente in grande quantità; l’unico ostacolo è rappresentato dal fatto che si presenta sotto forma di ghiaccio o vapore. Tuttavia, la vita dipende in modo decisivo dalla disponibilità di acqua in forma liquida e le condizioni marziane ne permettono l’esistenza in solo per brevissimi istanti. Alla luce di ciò, personalmente credo che, se dobbiamo ricercare la vita su Marte, dobbiamo farlo scavando. È sotto la superficie che potrebbero essersi create delle nicchie di sopravvivenza dove la vita può ancora resistere, lontano dalle estreme condizioni a cui è sottoposta la sua superficie. Le ricerche condotte negli ultimi 30 anni in ambienti estremi sulla Terra hanno mostrato che la vita è in grado di colonizzare praticamente ogni ambiente, basta che sia disponibile energia, acqua liquida e i giusti elementi».

    Tornando allo studio del CNR, Carrozzo chiarisce: «Ogni essere vivente è costituito da una moltitudine di biomolecole, ma la maggior parte è composta da pochi elementi: il carbonio, l’idrogeno, l’ossigeno, l’azoto, il fosforo e lo zolfo sono gli elementi base per la creazione delle molecole funzionali alla vita. Sulla Terra sono presenti in abbondanza, su Marte molto meno. Tuttavia, non deve essere stato sempre così. La vita, se è nata quasi contemporaneamente sui due pianeti, circa 4 miliardi di anni fa, può aver avuto la stessa occasione di proliferare. L’ambiente marziano, per una serie di motivi, è purtroppo cambiato nel tempo rendendolo ostile e producendo una landa deserta. Quelle tracce potrebbero però essere sopravvissute. La mancanza di una tettonica a placche, che sulla Terra gioca un ruolo importante nel rimodellare la superficie, potrebbe aver conservato meglio i fossili all’interno delle rocce che aspettano solo di essere raccolte. Nel frattempo quello che possiamo fare è studiare il centinaio di meteoriti che sono stati riconosciuti come campioni di suolo marziano. Al loro interno gli scienziati cercano batteri sotto forma di fossili, biomolecole, o strutture riconducili a prodotti di attività biologica come nel caso del lavoro svolto dai ricercatori italiani Rizzo e Cantasano del CNR».

    «I due ricercatori dell’Isafom-Cnr di Cosenza sono solo un esempio dei molti colleghi che si occupano di astrobiologia e di esogeologia in Italia, tra cui quelli in forza all’Istituto Nazionale di Astrofisica», continua Carrozzo. «Da decenni l’Italia gioca un ruolo di primissimo piano nella ricerca di vita al di fuori della Terra. I ricercatori italiani sono impegnati nelle più importanti missioni per l’esplorazione del Sistema Solare e nel futuro il contributo del nostro Paese resta una preziosa risorsa per lo studio dei corpi planetari di interesse astrobiologico come Marte, Europa e Titano. Una nuova frontiera che sta destando sempre più interesse nella comunità scientifica è l’analisi dei pianeti extrasolari. L’impiego dei telescopi di nuova generazione sta riducendo la distanza che ci separa nella comprensione di questi sistemi planetari e nei prossimi anni potrebbe fornire delle importanti risposte sulla vita al di fuori del nostro Sistema solare».

    Tracce di microbi nelle rocce marziane? | MEDIA INAF
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  7. #57
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    Predefinito Re: L'esobiologia

    A come Auriga: un segnale (alieno?) da 3 miliardi di anni luce


    Flavio Vanetti

    A come Andromeda? No. Perlomeno, così pare: non siamo alla concretizzazione di quanto teorizzato dalla splendida serie televisiva degli anni 70, quando la Rai proponeva programmi di altissima qualità, coinvolgendo attori teatrali al massimo livello (nella fattispecie, Tino Carraro, Paola Pitagora e il compianto Luigi Vannucchi); il segnale non è giunto da quella costellazione e non siamo all’inizio di un qualcosa di clamoroso come narrato nella fiction, ovvero la materializzazione di un essere vivente (una bellissima ragazza). Ma in compenso potremmo parlare di A come Auriga, augurandoci che finisca proprio come in Tv. Qualcosa, infatti, è giunto da lì, dalla “ragionevole” distanza di tre miliardi di anni luce fa. E dopo una decina di anni dal primo “fast radio burst” (Frb) una squadra internazionale di ricercatori ha appunto stabilito che la traccia (in realtà si è trattato di sei onde) proviene da una galassia nana nella costellazione a forma di pentagono di Auriga.

    Originariamente gli scienziati ritenevano che il segnale, sotto forma di sporadici “scoppiettii” delle onde radio, potesse giungere dalla Via Lattea. Ora c’è la correzione, affidata alle pagine di Nature, e c’è anche una lettura del fenomeno: “Dal momento che questi flash radio giungono da così lontano, devono avere un’enorme quantità di energia”, così spiega Shami Chatterjee della Cornell University. C’è profumo alieno? Per sfortuna di chi, come noi, aspetta dalla scienza un incoraggiamento sul tema della vita oltre la Terra (il che non significa sposare un “endorsement” automatico e scontato, sia chiaro), la risposta è no. Oppure, alla meglio, è un “ni”. L’esistenza di un’intelligenza extraterrestre che può aver inviato il messaggio non è infatti in cima alla lista delle spiegazioni. Si pensa piuttosto a una neonata stella a neutroni dotata di un enorme campo magnetico, oppure a una supernova o a una pulsar. Ma c’è anche il controcanto, nella comunità di chi deve lavorare per trovare comunque una spiegazione. E’ il caso, ad esempio, di Bryan Butler del National Radio Astronomy Observatory, risoluto a sostenere una tesi: “Questo segnale potrebbe essere differente dagli altri”. Adesso si cercano repliche, nella speranza di trovarle.

    A come Auriga: un segnale (alieno?) da 3 miliardi di anni luce | Mistero bUFO
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  8. #58
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    Predefinito Re: Rif: L'esobiologia

    Citazione Originariamente Scritto da Cabala Candelaia Circea Visualizza Messaggio
    C'è solo da risolvere questa facile formuletta...


    Forza e coraggio.
    La formula è semplice, anche da comprendere. Il problema sono i parametri della formula: non ci sono abbastanza dati per risolverla, neppure uno straccio di statistica, a parte i primi tre termini e l'ultimo, su cui si può fare qualche ipotesi.
    Tu ne cede malis, sed contra audentior ito, quam tua te Fortuna sinet.


  9. #59
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    Predefinito Re: L'esobiologia

    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

  10. #60
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    Predefinito Re: Rif: L'esobiologia

    La Nasa scopre 7 pianeti simili alla Terra. Consolmagno (Specola Vaticana): “Interessante ma non ha portata rivoluzionaria”

    Da Tucson, dove nel 1981 la Specola ha fondato un secondo centro di ricerca tra i più grandi e moderni di astronomia osservativa, il direttore della Specola Vaticana commenta l’annuncio dei sette nuovi esopianeti, con dimensioni paragonabili a quelle della Terra, che si trovano in un unico sistema solare distante 40 anni luce da noi: "Solo quando avremo conoscenza di una grande varietà di forme di vita saremo in grado di comprendere come la vita possa essere stata originata, e cosa intendiamo con il termine 'vita'".


    Riccardo Benotti

    “Estremamente interessante” ma “non è una scoperta di portata rivoluzionaria”. Il gesuita Guy Consolmagno, direttore della Specola Vaticana, non si dichiara particolarmente sorpreso della notizia diffusa ieri dalla Nasa: “La squadra di esperti aveva già annunciato la scoperta di diversi pianeti in questo sistema solare e siamo a conoscenza dell’esistenza di varie migliaia di sistemi planetari”. Da Tucson, dove nel 1981 la Specola ha fondato un secondo centro di ricerca tra i più grandi e moderni di astronomia osservativa, Consolmagno commenta l’annuncio dei sette nuovi esopianeti, con dimensioni paragonabili a quelle della Terra, che si trovano in un unico sistema solare distante 40 anni luce da noi. Almeno tre di essi, sulla superficie dei quali è probabile la presenza di acqua liquida, si trovano in una zona cosiddetta “abitabile” che potrebbe consentire la formazione della vita. I risultati dello studio, condotto da un gruppo di astronomi coordinati da Michaël Gillon dello STAR Institute dell’Università di Liegi in Belgio, sono stati pubblicati sulla rivista scientifica “Nature”.

    Cosa rappresenta la scoperta a livello scientifico?
    L’attenzione si è concentrata maggiormente sulla possibilità che esistano forme di vita su alcuni dei nuovi pianeti. Ciò che a mio avviso è di speciale interesse, però, è il numero e dimensione in rapporto alla loro stella.
    Conoscere l’esistenza di diversi sistemi planetari è il primo passo verso lo sviluppo di teorie scientifiche sulla formazione dei pianeti.

    È davvero possibile che possa esserci vita?
    Naturalmente questo è il motivo per cui è così importante trovare altre forme di vita oltre a quelle conosciute sulla Terra.
    Solo quando avremo conoscenza di una grande varietà di forme di vita saremo in grado di comprendere come la vita possa essere stata originata, e cosa intendiamo con il termine “vita”.

    Dobbiamo aspettarci novità sorprendenti dallo studio dell’universo?
    Per quanto riguarda le sorprese dell’universo… l’unica cosa che non mi aspetto è non essere sorpreso! Dio ci parla attraverso ciò che Egli ha creato, per parafrasare la Lettera ai Romani di San Paolo. Attraverso la mia vita so che siamo stati creati da un Dio di amore, gioia e sorprese.

    Dunque, la Specola indaga le stelle per comprendere l’uomo?
    Dio ha reso questo universo possibile. Sta a noi scienziati e credenti imparare di più su ciò che Egli ha creato e come lo ha creato. Questo ci consentirà di conoscerLo più da vicino. Ogni nuova sorpresa è una piccola esplosione di gioia dinnanzi alla Sua grandezza creativa.

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