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    Predefinito re: 31 marzo 2013: Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo

    13 marzo 2013: MERCOLEDÌ DELLA QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMA



    Il grande Scrutinio.

    Questo giorno si chiama Feria del Grande Scrutinio, perché nella Chiesa Romana, dopo aver avute le debite informazioni e fatti gli esami si procedeva all'ammissione al Battesimo della maggior parte dei Catecumeni. La Basilica stazionale era a S. Paolo fuori le Mura, sia per la vastità di questo edificio, e sia per rendere omaggio all'Apostolo della Gentilità con le nuove reclute che la Chiesa si disponeva a fare in seno al paganesimo. Il lettore assisterà con interesse ed edificazione alle forme e cerimonie che si osservavano in tale circostanza.



    Il Catecumenato.

    Riuniti i fedeli e gli aspiranti al Battesimo nella Basilica, all'ora di mezzogiorno, si raccoglievano innanzi tutto i nomi di questi ultimi; poi un accolito li disponeva davanti al popolo, gli uomini a destra e le donne a sinistra. Un sacerdote recitava quindi su ciascuno di loro l'Orazione che li faceva Catecumeni; difatti noi fino adesso li abbiamo chiamati impropriamente e per antecipazione con questo nome. Egli prima li segnava in fronte col segno della croce imponendo loro la mano sul capo; quindi benediceva il sale, simbolo della Sapienza, e lo faceva gustare a ciascuno di loro.



    Prima di Messa.

    Dopo queste cerimonie preliminari, si facevano uscire dalla chiesa e sostavano sotto il portico esterno finché venivano richiamati. Usciti loro e rimasta l'assemblea dei fedeli in chiesa, si cominciava l'Introito, composto dalle parole del Profeta Ezechiele, là dove il Signore predice che sceglierà i suoi eletti fra tutte le nazioni e spanderà sopra di essi un'acqua purificatrice che laverà tutte le loro sozzure. Quindi l'accolito chiamava per nome tutti i Catecumeni e l'ostiario li faceva entrare. Si ordinavano di nuovo distinti per sessi, e i padrini e le madrine si mettevano vicini a loro. Il Pontefice allora cantava la Colletta; quindi, i padrini e le madrine, dietro invito del diacono, tracciavano il segno della croce sulla fronte di ciascun candidato del quale dovevano rispondere davanti alla chiesa. Venivano poi gli accoliti a pronunciare gli esorcismi su ciascuno degli eletti, cominciando dagli uomini e passando poi alle donne.

    Quindi un lettore leggeva un passo del Profeta Ezechiele, come appresso si vedrà; e seguiva il primo Graduale, composto dalle parole di David: "Venite, o figli, ascoltatemi: io v'insegnerò il timore del Signore. Accostatevi a lui e sarete illuminati, e i vostri volti non arrossiranno".

    Nella Colletta che si recitava dopo questa lettura, s'invocavano per i fedeli i frutti del digiuno quaresimale: fatta questa preghiera, seguiva la lettura del Profeta Isaia, annunciante la remissione dei peccati per coloro che avrebbero ricevuto il bagno misterioso.

    Un secondo Graduale, pure estratto dai Salmi, suonava così: "Felice la nazione che ha il Signore per suo Dio, il popolo che Egli s'è scelto come suo retaggio".

    Durante la lettura dei due Profeti e il canto dei Graduali, si svolgeva la cerimonia dell'apertura delle orecchie, nella quale i sacerdoti venivano successivamente a toccare le orecchie dei Catecumeni, imitando il gesto di Gesù Cristo sul sordo muto del Vangelo e dicendo come lui la parola: Ephpheta, cioè Apritevi. Il rito aveva lo scopo di predisporre i Catecumeni a ricevere la rivelazione dei misteri che fino allora erano stati manifestati loro soltanto sotto il velo dell'allegoria. Così, la prima loro iniziazione si conformava ai santi Vangeli.

    Dopo il secondo Graduale, uscivano dal Secretarium, preceduti dai chierici e dal turiferario, quattro diaconi recanti ciascuno un Vangelo, i quali si dirigevano al presbiterio e depositavano i sacri libri sui quattro angoli dell'altare. Quindi il Pontefice, o un sacerdote da lui incaricato, rivolgeva ai Catecumeni la seguente allocuzione come ancora si legge nel Sacramentario Gelasiano:



    Giunto il momento d'aprire davanti a voi i Vangeli, cioè la storia delle opere di Dio, dobbiamo anzitutto, figli carissimi, farvi conoscere che cosa sono, che origine hanno, di chi sono le parole che vi si leggono, perché sono quattro, chi li ha scritti; e finalmente, chi sono questi quattro uomini preannunciati dallo Spirito Santo e descritti dal Profeta. Se non vi spiegassimo tutti questi dettagli, le vostre anime rimarrebbero sorprese; ma siccome oggi siete qui venuti perché si aprano le vostre orecchie, non vogliamo trattenere i vostri spiriti nell'impossibilità di capire. Vangelo propriamente significa buona novella, perché è il messaggio di Nostro Signor Gesù Cristo; e proviene da lui, per annunciare e dimostrare che colui che parlava nei Profeti è apparso nella carne, come sta scritto: Io che parlavo, sono a voi. Dovendovi dire in breve che cos'è il Vangelo e chi sono i quattro personaggi preannunciati dai Profeti, ne riferiremo i nomi dopo che vi avremo indicate le figure che li contraddistinguono. Il profeta Ezechiele dice: Il loro aspet*to è quello d'un uomo e di un leone alla sua destra, di un bue e di un'aquila alla sua sinistra. Sappiamo che queste quattro figure rappresentano gli Evangelisti; ed ecco i loro nomi: Matteo, Marco, Luca e Giovanni.



    Dopo questo discorso, un diacono, salito sull'ambone e sempre rivolto ai Catecumeni, diceva:



    Fate silenzio e ascoltate attentamente.



    Ed aprendo il Vangelo di san Matteo che aveva preso sull'altare, ne leggeva l'inizio fino al ventunesimo versetto.

    Terminata questa lettura, un sacerdote rivolgeva la parola in questi termini:



    Figli carissimi, non intendiamo tenervi oltre sospesi; vi spiegheremo perciò la figura di ciascun Evangelista. Matteo ha la figura di un Uomo, perché all'inizio del suo libro si dilunga a riportare la genealogia del Salvatore. Comincia infatti così: Libro della generazione di Gesù Cristo, figlio di David, figlio di Abramo. Vedete dunque che ben a ragione Matteo fu contrassegnato dalla figura dell'Uomo, perché comincia dalla nascita umana del Salvatore.



    Il diacono, rimasto sull'ambone, ripeteva:



    Fate silenzio e ascoltate attentamente.



    Quindi leggeva l'inizio del Vangelo di san Marco fino all'ottavo versetto; dopo di ciò, il sacerdote continuava:



    L'Evangelista Marco porta la figura del Leone, perché comincia dal deserto con le parole: Voce di colui che grida nel deserto: preparate la via del Signore; e anche perché il Salvatore regna invincibile. L'immagine del Leone torna frequente nella Scrittura, per non rimanere senza applicazione il detto: Giuda, mio figlio, tu sei un leoncello: tu sei uscito dalla mia razza. Egli si è accovacciato come un Leone, e come il piccolo della leonessa, chi ardirà destarlo?



    Il diacono, ripetuto l'avvertimento, leggeva l'esordio del Vangelo di san Luca fino al versetto decimosettimo; e il sacerdote, riprendendo la parola, diceva:



    L'Evangelista Luca è raffigurato da un Bue, per ricordare l'immolazione del nostro Salvatore. Egli comincia a parlare di Zaccaria e di Elisabetta, dai quali in età avanzata, nacque Giovanni Battista.



    Letto dal diacono con la stessa solennità l'inizio del Vangelo di San Giovanni, e cioè i primi quattordici versetti, il sacerdote continuava:



    Giovanni ha la figura dell'Aquila, perché si libra a volare in alto. Infatti sono sue le parole: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio. Anche David, parlando della persona del Cristo, si esprime cosi: La tua giovinezza si rinnoverà come quella dell'aquila: perché risuscitando dai morti Nostro Signore Gesù Cristo salì al cielo. Così, carissimi figlioli, la Chiesa, che vi ha concepiti e vi porta ancora nel suo seno, si rallegra pensando al nuovo incremento che si recherà alla legge cristiana, quando voi, nel venerando giorno della Pasqua, rinascerete nell'acqua battesimale e riceverete da Nostro Signor Gesù Cristo, come tutti i santi, il dono d'una infanzia fedele.



    Dopo la spiegazione dei quattro Evangelisti seguiva la cerimonia chiamata della Tradizione del Simbolo, durante la quale si consegnava ai Catecumeni il Simbolo degli Apostoli, e nei secoli seguenti quello di Nicea. Ma prima un sacerdote faceva questa allocuzione:



    Ammessi a ricevere il Sacramento del Battesimo, prima di divenire una nuova creatura nello Spirito Santo, dovete in questo momento, figli carissimi, concepire nel vostro cuore la fede che vi dovrà giustificare: bisogna che, mutati ormai i vostri spiriti con l'abitudine della verità, vi accostiate a Dio luce delle vostre anime. Ricevete dunque il segreto del Simbolo evangelico ispirato dal Signore e composto dagli Apostoli. Sono poche parole, ma i misteri che contengono sono grandi; perché lo Spirito Santo che dettò queste formule ai primi maestri della Chiesa ha espresso in esse con la massima precisione di termini, la fede che ci salva, affinché le verità che dovrete sempre credere e meditare siano apprese dalla vostra intelligenza e facilmente ritenute dalla vostra memoria. Procurate dunque di imparare bene questo Simbolo, e ciò che a voi tramandiamo così come lo ricevemmo, scrivetelo, non sopra una materia corruttibile, ma sulle pagine del vostro cuore. Orbene, la confessione della fede che avete ricevuto comincia così.



    Allora veniva avanti un Catecumeno, ed all'accolito che lo accompagnava il sacerdote rivolgeva la domanda:

    - In che lingua costoro confessano Nostro Signor Gesù Cristo?

    - In greco - rispondeva l'accolito. È noto che a Roma, al tempo degl'imperatori, l'uso del greco era per così dire diffuso come il latino.

    - Annuncia loro la fede che professano - soggiungeva il sacerdote.

    E, stesa la mano sul capo del Catecumeno, in tono solenne, l'accolito recitava il Simbolo in greco. Poi veniva avanti una Catecumena di lingua greca; e l'accolito ripeteva il Simbolo come prima. Quindi il sacerdote continuava:



    Avete inteso, figli carissimi, il Simbolo in greco; ora sentitelo in latino.





    A questo punto si facevano venire avanti successivamente due Catecumeni di lingua latina, un uomo e una donna, ai quali l'accolito recitava il Simbolo in latino due volte dinanzi all'assemblea, ad alta voce, in modo che lo potessero intendere tutti gli altri.

    Terminata così la Tradizione del Simbolo, il sacerdote rivolgeva la seguente allocuzione:



    Questo è il compendio della nostra fede, figlioli carissimi, e queste sono le parole del Simbolo, disposte non secondo il pensiero della sapienza umana, ma secondo un criterio divino. Non c'è nessuno che non le possa comprendere e ritenere. Vi si esprime la stessa uguale potenza di Dio Padre e di Dio Figlio; ci si mostra il Figliolo unico di Dio, che nasce secondo la carne dalla Vergine Maria per opera, dello Spirito Santo; ci è narrata la sua crocifissione, la sepoltura e la risurrezione dopo il terzo giorno; si confessa che è asceso al cielo, che siede alla destra della maestà del Padre e che un giorno verrà a giudicare i vivi e i morti; ci si annuncia lo Spirito Santo, che ha la stessa divinità del Padre e del Figliolo; per mezzo di esso siamo finalmente istruiti sulla vocazione della Chiesa, sulla remissione dei peccati e sulla risurrezione della carne. Spogliatevi dunque dell'uomo vecchio, miei carissimi figli, per essere riformati secondo il nuovo; da carnali, cominciate a divenire spirituali; da terrestri, celesti. Credete con una fede ferma e costante, che la risurrezione compiutasi nel Cristo si compirà anche in voi, e che il prodigio che si operò nel nostro Capo si riprodurrà in ognuno delle membra del suo corpo. Il sacramento del Battesimo che state per ricevere ci offre una espressione visibile di questa speranza. Esso si manifesta a noi come una morte ed una risurrezione; si lascia l'uomo vecchio e si prende quello nuovo; il peccatore entra nell'acqua e ne esce giustificato. È cacciato via chi ci aveva condotto alla morte, e si riceve colui che ci ha guidato alla vita, e che, per la grazia che vi darà, vi farà figli di Dio, non per la carne, ma per la virtù dello Spirito Santo. Dovete dunque conservare nei vostri cuori questa breve formula, in modo che possiate fare uso in ogni occorrenza della Con*fessione ch'essa contiene, come di un rimedio. La potenza di quest'arma è invincibile contro tutte le insidie del nemico; perciò dev'essere familiare ai veri soldati di Cristo. Che il demonio, il quale non cessa mai di tentare l'uomo, vi trovi sempre armati di questo Simbolo. Trionfate dell'avversario al quale avete rinunciato; conservate, con l'aiuto del Signore, fino alla fine, incorruttibile ed immacolata la grazia che sta per farvi: affinché colui nel quale state per ricevere la remissione dei peccati vi procuri la gloria della risurrezione. Così dunque, carissimi figlioli, voi conoscete ora il Simbolo della fede cattolica; imparatelo accuratamente, senza cambiare una sola parola. La misericordia di Dio è potente; ch'essa vi conduca alla fede del Battesimo alla quale aspirate; e faccia sì che anche noi, che oggi vi scopriamo i misteri, possiamo giungere con voi nel regno dei cieli, per il medesimo Gesù Cristo Nostro Signore, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.



    Dopo la Tradizione del Simbolo, si spiegava ai Catecumeni la Orazione Domenicale. Il diacono cominciava a parlare di questo nuovo favore : quindi, imposto il silenzio e l'attenzione, un sacerdote indirizzava ai candidati questa allocuzione:



    Il Signor Nostro e Salvatore Gesù Cristo, il giorno in cui i suoi discepoli gli domandarono come dovevano pregare, fra altri salutari precetti, insegnò loro quella forma di preghiera che state per apprendere e di cui vi sarà rivelato il senso in tutta la sua pienezza. Or dunque, ascolti la Vostra Carità in quale maniera il Salvatore insegnò ai suoi discepoli che bisogna pregare Dio Padre onnipotente: Or quando tu vuoi pregare, entra nella camera, e, chiuso l'uscio, prega il tuo Padre in segreto. Per la camera dovete intendere, non un luogo materiale, ma l'intimo del vostro cuore ch'è conosciuto solo da Dio. Dicendo che si deve adorare Dio dopo aver chiuso l'uscio. ci ammonisce a chiudere il nostro cuore ai cattivi pensieri con una mistica chiave e, chiuse le labbra, parlare a Dio nella purezza della nostra anima. Dio non ascolta il mormorio delle parole, ma la nostra fede. Che il nostro cuore sia dunque chiuso alle insidie del nemico con la chiave della fede e sia solo aperto a Dio, di cui sappiamo essere il tempio; e il Signore abitando così nei nostri cuori, sarà propizio alle nostre preghiere. Il Verbo, la Sapienza di Dio, il Cristo del Signore, ci ha dunque insegnato a pregare in questo modo:

    PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI

    Notate questa parola che spira libertà e confidenza, e vivete in modo da essere i figli di Dio ed i fratelli di Gesù Cristo. Quale sarebbe la temerità di chi osasse chiamare Dio Padre suo e si mostrasse degenere verso di lui opponendosi alla sua volontà? Carissimi figlioli, mostratevi degni dell'adozione divina, perché sta scritto: Ai credenti nel suo nome diede il diritto di diventare figli di Dio.

    SIA SANTIFICATO IL NOME TUO

    Non perché Dio, eternamente santo, abbia bisogno d'essere santificato da noi; domandiamo che il suo Nome sia santificato in noi; così che, dopo essere diventati santi col Battesimo, abbiamo a perseverare nel nuovo essere ch'egli ci ha dato.

    VENGA IL TUO REGNO

    Il nostro Dio, il cui regno è immortale, non regna sempre? Certamente; ma quando diciamo: Venga il tuo regno, noi domandiamo l'avvento del regno che Dio ci ha promesso, e che ci è stato meritato col sangue e coi patimenti di Cristo.

    SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ COME IN CIELO COSÌ IN TERRA

    Cioè: si compia la tua volontà, in modo che ciò che tu vuoi in cielo, noi, che siamo sulla terra, fedelmente lo facciamo.

    DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO

    Dobbiamo qui intendere il cibo spirituale: infatti Gesù Cristo è il nostro pane, perché ha detto: Io sono il Pane vivo disceso dal ciclo. E lo chiamiamo quotidiano, perché dobbiamo chiedere costantemente l'esenzione dal peccato, per essere degni dell'alimento celeste.

    E RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI

    Queste parole significano che noi non possiamo aspettarci il perdono dei peccati se prima non perdoniamo agli altri ciò ch'essi hanno fatto a noi. Così infatti dice il Signore nel Vangelo: Se non rimetterete agli uomini le ingiurie fatte a voi, neppure il Padre vostro vi perdonerà i peccati.

    E NON C'INDURRE IN TENTAZIONE

    Cioè: non permettete che vi siamo indotti da colui che ci tenta, dall'autore del male. Ci dice infatti la Scrittura: Non è Dio che ci tenta al male. È il diavolo che ci tenta; e per vincerlo, il Signore ci dice: Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione.

    MA LIBERACI DAL MALE

    Queste parole si riferiscono a ciò che dice l'Apostolo: Voi non sapete quel che vi conviene domandare. Dio uno e onnipotente dev'essere da noi supplicato, affinché i mali che non possiamo evitare per l'umana fragilità, siano ugualmente vinti da noi in virtù dell'aiuto che si degnerà accordarci Nostro Signor Gesù Cristo, il quale, essendo Dio, vive e regna nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

    Dopo questa allocuzione, il diacono diceva:

    State in ordine e in silenzio, e prestate grande attenzione.

    E il sacerdote proseguiva:

    Avete compreso, carissimi figlioli, i misteri dell'Orazione Domenicale; ora imprimeteli nei vostri cuori, considerandoli, affinché giungiate ad essere perfetti nel chiedere e ricevere la misericordia di Dio. Dio Nostro Signore è potente; e voi che siete in cammino verso la fede; sarete da lui guidati nel bagno dell'acqua rigeneratrice. Ed egli ci faccia arrivare con voi al regno celeste, dopo che vi abbiamo svelato i misteri della fede cattolica; il quale vive e regna con Dio Padre, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.



    MESSA

    Dopo la lettura del Vangelo che narrava la guarigione del cieco nato, il diacono soleva fare uscire dalla chiesa tutti i Catecumeni; i padrini e le madrine li accompagnavano fuori, e rientravano subito in chiesa per assistere al Sacrificio insieme agli altri fedeli. All'Offertorio essi venivano a presentare all'altare i nomi della loro clientela spirituale, che il Pontefice recitava nelle preghiere del Canone insieme a quelli dei padrini e delle madrine. Verso la fine della Messa si facevano rientrare i Catecumeni e si dichiarava loro il giorno che dovevano ripresentarsi in chiesa a rendere conto del Simbolo e delle altre istruzioni ricevute.

    L'imponente cerimonia che abbiamo esposta per sommi capi non aveva luogo solo oggi; ma veniva ripetuta più volte, secondo il numero dei Catecumeni ed il tempo più o meno necessario a raccogliere informazioni richieste dalla Chiesa, sulla condotta di ciascuno di loro, per giudicare della loro preparazione al Battesimo. Nella Chiesa Romana si tenevano, come abbiamo già detto, fino a sette scrutini; ma il più affollato e il più solenne era oggi; e tutti si concludevano con la cerimonia che abbiamo descritta.



    PRIMA LEZIONE (Ez 36,23-28). - Queste cose dice il Signore: Io glorificherò il mio gran nome che è disonorato tra le nazioni in mezzo alle quali voi l'avete disonorato, e le nazioni sapranno che io sono il Signore, quando in voi avrò fatto conoscere la mia santità davanti ad essi. Io vi toglierò di mezzo alle genti, vi radunerò da tutte le regioni, vi condurrò alla vostra terra. Io verserò sopra di voi acqua pura e voi sarete purificati da tutte le vostre immondezze, da tutti i vostri idoli. Io vi purificherò; e io vi darò un nuovo cuore, io porrò dentro di voi uno spirito nuovo, e toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne, io metterò dentro di voi il mio spirito, vi farò seguire i miei precetti, osservare e praticare le mie leggi. Voi abiterete nella terra che io ho dato ai padri vostri, voi sarete il mio popolo ed io sarò il vostro Dio: dice il Signore onnipotente.



    I Catecumeni.

    Queste magnifiche promesse che si compiranno un giorno nella nazione giudaica, quando sarà appagata la giustizia del Signore, cominciano a realizzarsi nei nostri Catecumeni. Essi sono coloro che la divina grazia ha radunati da tutti i paesi della gentilità, per essere guidati alla vera patria, la Chiesa. Fra pochi giorni scenderà su di loro quell'acqua pura che cancellerà le immondezze dell'idolatria; riceveranno uno spirito nuovo, un cuore nuovo, e saranno per sempre il vero popolo del Signore.



    SECONDA LEZIONE (Is 1,16-19). - Queste cose dice il Signore: Lavatevi, purificatevi, togliete la malvagità dei vostri pensieri lungi dai miei occhi; cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l'oppresso, proteggete l'orfano, difendete la vedova. Orsù venite, accusatemi, dice il Signore. Se i vostri peccati fossero come scarlatto, imbiancheranno come la neve; e se fossero vermigli come la cocciniglia, saran bianchi come la lana. Se di buona volontà m'ascolterete, avrete i beni della terra: dice il Signore onnipotente.



    I Penitenti.

    È il momento che la Chiesa indirizza ai Penitenti questo bei passo d'Isaia. Anche per loro è preparato un bagno: un bagno affaticante, ma efficace a lavare tutte le macchie delle loro anime, se vengono con sincera contrizione e disposti a riparare il male commesso. Qual cosa più potente della promessa del Signore? I più marcati e smaglianti colori, tramutati in un istante nel puro candore della neve; ecco l'immagine della trasformazione che Dio sta per operare nell'anima del peccatore pentito. Chi non è giusto diventa giusto, le tenebre si trasformano in luce, lo schiavo di Satana diventa figlio di Dio. Rallegriamoci con la santa Madre Chiesa e raddoppiando il il fervore della preghiera e della penitenza, otteniamo che la schiera dei riconciliati, nel gran giorno della Pasqua, riesca a superare tutte e sue speranze.



    VANGELO (Gv 9,1-38). - In quel tempo: Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita. Ed i suoi discepoli gli domandarono: Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori per nascere cieco? Rispose Gesù: né lui ne i suoi genitori han peccato, ma è così, perché in lui si manifestino le opere di Dio. Bisogna che io compia l'opera di chi mi ha mandato, finché è giorno poi vien la notte, quando nessuno può operare. Finché son nel mondo, sono la luce del mondo. Ciò detto, sputò in terra, fece con la saliva del fango, ne spalmò gli occhi del cieco, dicendogli: Va', lavati nella vasca di Siloe (che significa inviato). Andò colui a lavarsi e tornò che ci vedeva. I vicini e quelli che l'avevano veduto prima a mendicare, dicevano: Non è quello che sedeva a chiedere l'elemosina? Altri dicevano: È lui. Altri: No, ma uno che gli somiglia. Ma egli diceva: Sono io: proprio quello. Gli dicevano: Come mai ti sono aperti gli occhi? Rispose: Quell'uomo che si chiama Gesù fece del fango, me ne spalmò gli occhi e mi disse: Va' alla vasca di Siloe e lavati. Ci sono andato, mi sono lavato e ci vedo. Gli domandarono: Dov'è costui? Rispose: Non lo so. Condussero colui ch'era nato cieco dai Farisei. Ed era di sabato, quando Gesù fece quel fango e gli aprì gli occhi. Allora i Farisei lo interrogarono di nuovo in qual modo avesse ottenuta la vista. Ed egli rispose loro: Mi ha posto del fango sugli occhi, mi son lavato e ci vedo. Però alcuni dei Farisei dicevano: Non è da Dio quest'uomo che non osserva il Sabato. Altri dicevano: Come può un uomo peccatore fare tali prodigi? E tra loro v'era disaccordo. Dicono pertanto un'altra volta al cieco: E tu che ne dici di colui che t'ha aperto gli occhi? E rispose: È un profeta. E i Giudei però non credettero che prima fosse stato cieco e che avesse riacquistato la vista, fino a quando non ebbero chiamati i genitori di quello che ora ci vedeva, e li interrogarono dicendo: È questo il vostro figlio che voi dite nato cieco? Come mai ora ci vede? Risposero i genitori di lui: Sap*piamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco: come poi ora ci veda non lo sappiamo; neppure sappiamo chi gli abbia aperto gli occhi; domandatene a lui; ha i suoi anni: parli lui di quello che lo riguarda. Così dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei, i quali avevano stabilito che se uno riconoscesse Gesù Cristo, fosse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: Ha i suoi anni: domandatene a lui. Chiamarono quindi di bel nuovo l'uomo ch'era stato cieco e gli dissero: Da gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è peccatore. Egli disse loro: Se sia peccatore non lo so; ma so questo solo: che ero cieco e ora ci vedo. Gli dissero ancora: E che ti fece? Come t'aprì gli occhi? Ve l'ho pur detto, rispose loro, e l'avete sentito: che volete sapere di più? Volete forse anche voi farvi suoi discepoli ? Ma essi lo ingiuriarono e gli dissero: Sii tu suo discepolo; quanto a noi siamo discepoli di Mosè. Noi sappiamo che a Mosè parlò Dio; ma costui non sappiamo di dove sia. Quell'uomo rispose loro: Qui appunto sta la meraviglia, che voi non sapete di dove sia e intanto mi ha aperto gli occhi. Or sappiamo che Dio non ascolta i peccatori; ma se uno ha il timor di Dio e fa la sua volontà egli lo esaudisce. Da che mondo è mondo non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. E se questo non fosse da Dio non avrebbe potuto far nulla. Gli risposero dicendo: Sei nato nel peccato da capo a piedi e ci vuoi fare da maestro? E lo cacciarono fuori. Sentì Gesù che l'avevano cacciato fuori, e, incontratelo, gli disse: Credi tu nel Figlio di Dio? Quello rispose: E chi è, Signore, affinché creda in lui? Gli disse Gesù: L'hai veduto, e chi parla con te è quello. Allora egli esclamò: Signore, credo. E, prostratosi, l'adorò.



    Il Battesimo.

    La Chiesa dei primi secoli dava al Battesimo il nome di Illuminazione; infatti questo Sacramento conferisce all'uomo la fede soprannaturale, che lo illumina della luce divina. Per questa ragione oggi si leggeva il racconto della guarigione del cieco nato, simbolo dell'uomo che viene illuminato da Gesù Cristo. Questo motivo è spesso riprodotto sui dipinti murali delle Catacombe e sui bassorilievi degli antichi sarcofaghi cristiani.

    Tutti noi nasciamo ciechi: Gesù Cristo, per il mistero della sua incarnazione, significata nel fango che rappresenta la nostra carne, ci ha meritato il dono della vista; ma per usufruirne, dobbiamo recarci alla piscina dell'Inviato divino e lavarci nell'acqua battesimale. Allora saremo illuminati dalla stessa luce di Dio, e saranno dissipate le tenebre della nostra ragione. La docilità e la semplicità con la quale il cieco nato eseguì gli ordini del Salvatore, sono lo specchio della condotta dei Catecumeni, i quali ascoltano docilmente gl'insegnamenti della Chiesa perché anch'essi vogliono ricuperare la vista. Il cieco del Vangelo, guarito, ci mostra che cosa operi in noi, per il Battesimo, la grazia di Gesù Cristo.



    La Fede.

    Ma perché la lezione sia completa, egli ricompare alla fine del racconto per offrirci un modello della guarigione spirituale dell'anima liberata dalla cecità del peccato. Il Salvatore l'interroga, come anche noi fummo interrogati dalla Chiesa presso la sacra piscina battesimale. "Credi tu nel Figlio di Dio?" gli domanda. Ed il cieco, tutto ardore per credere, risponde prontamente: "E chi è, Signore, affinché creda in lui?" Così è la fede, che conforma la debole ragione umana alla sovrana sapienza di Dio e ci mette in possesso della sua eterna verità. Non appena Gesù afferma la sua divinità riceve l'ossequio dell'adorazione da quell'uomo; ora è cristiano. Che perfetto e lucido insegnamento per i Catecumeni! Ma nello stesso tempo quel racconto manifestava loro, e ce la ricorda anche a noi, la perversità dei nemici di Gesù. Egli, il giusto per eccellenza, sta per essere condotto alla morte; l'effusione del suo sangue meriterà la guarigione a noi, che siamo ciechi dalla nascita e più ancora per i nostri peccati personali. Sia dunque gloria, amore e riconoscenza al nostro medico divino, che, con l'unirsi alla natura umana, ci ha procurato il collirio che risana i nostri occhi dalla loro infermità e ci ha fatti capaci di contemplare in eterno gli stessi splendori divini!



    PREGHIAMO
    Siano aperte, o Signore, le orecchie della tua misericordia alle preghiere di chi ti supplica; e, affinché consegua ciò che desidera, fa' che domandi quello che ti è gradito.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 597-608

  2. #22
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    Predefinito re: 31 marzo 2013: Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo

    14 marzo 2013: GIOVEDÌ DELLA QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMA



    Stazione ai SS. Silvestro e Martino ai Monti. L'antico "titulus Equitii" attribuito al Papa san Silvestro data dalla prima metà del ni secolo. Nel VI secolo Papa Simmaco (498-511) costruì a lato una basilica in onore di san Martino di Tours, primo santo non martire festeggiato in Occidente; successivamente la devozione dei Romani soppiantò questo col Papa san Martino I (+ 653). Tale chiesa fu la prima ad avere il titolo cardinalizio di san Carlo Borromeo, e nel XVIII secolo, quello del Beato Cardinale Giuseppe Maria Tommasi, dotto liturgista, il cui corpo là si venera.



    LEZIONE (4Re 4, 25-38). - In quei giorni: Una donna Sunamite andò da Eliseo sul monte Carmelo. L'uomo di Dio, avendola vista da lontano, disse a Giezi suo servo: Ecco quella Sunamite: va' ad incontrarla e dille: state bene tu, il tuo marito ed il tuo figlio? Essa rispose: Bene. Ma giunta che fu dall'uomo di Dio, sul monte, gli abbracciò i piedi. Giezi si accostò per allontanarla; ma l'uomo di Dio gli disse: Lasciala fare, perché l'anima sua è nell'amarezza, e il Signore me l'ha nascosto, non me lo ha fatto conoscere. Essa disse: Forse lo domandai io un figlio al mio Signore? e non ti dissi: Non m'ingannare? Eliseo disse a Giezi : Cingiti i lombi, prendi il mio bastone nella tua mano e parti. Se trovi qualcuno, non lo salutare; se uno ti saluta, non gli rispondere, emetti il mio bastone sulla faccia del fanciullo. Ma la madre del'fanciullo disse: Viva il Signore e viva l'anima tua! Io non ti lascerò. Eliseo allora si mosse e le tenne dietro. Giezi, ch'era andato loro avanti, aveva messo il bastone sulla faccia del fanciullo; ma non v'era né voce, né senso. Allora egli ritornò incontro ad Eliseo e gli diede la notizia, dicendo: Il fanciullo non è risuscitato. Eliseo, entrato che fu in casa, vide il fanciullo morto steso sul suo letto. Entrò, chiuse l'uscio dietro a sé e al fanciullo, e pregò il Signore. Poi salì (sul letto), si distese sopra il fanciullo, gli pose sulla bocca la sua bocca, sugli occhi i suoi occhi, sulle mani le sue mani; stette curvo sopra di lui, e la carne del fanciullo divenne calda. Sceso e andato un po' in qua e là per la casa, risalì, e si distese sopra il fanciullo, il quale sbadigliò sette volte e aperse gli occhi. Eliseo allora chiamò Giezi e gli disse: Chiama questa Sunamite. Essa, appena chiamata, entrò dal profeta, il quale disse alla madre: Prendi il tuo figlio. Essa andò a gettarsi ai piedi d'Eliseo e si inginocchiò per terra, poi prese il suo figlio e uscì. Ed Eliseo se ne tornò a Galgala.



    La Legge antica.

    Tutte le meraviglie del piano divino in ordine alla salvezza del genere umano sono compendiate in questo racconto. Il fanciullo morto è l'umanità, privata della vita a causa del peccato; ma Dio ha deciso di risuscitarlo. Prima, è mandato un servo presso il cadavere; questo servo è Mosè. La sua missione è divina; ma la legge di cui è latore, non da per sé la vita. Questa legge è figurata nel bastone di Giezi, del quale invano esperimenta il contatto sul corpo del fanciullo. La legge è rigida, e stabilisce un regime di timore, per la durezza del cuore d'Israele; ciò nonostante, trionfa fino a un certo punto; i giusti, per essere veramente tali, devono aspirare a qualche cosa di più perfetto e di più filiale. Il Mediatore renderà tutto più dolce, recando con sé l'elemento celeste della carità. È promesso, è figurato: ma ancora non s'è fatto carne e non è venuto ad abitare in mezzo a noi. Il morto potrà risuscitare solo quando verrà a lui il Figlio di Dio in persona.



    Il Redentore.

    Eliseo è la figura del divin Redentore. Si rimpicciolisce come il corpo di un fanciullo, e, nel silenzio d'una camera tutta chiusa, si unisce strettamente a tutte le sue membra. Così il Verbo del Padre, nascondendo i suoi splendori nel seno d'una Vergine, s'è congiunto alla nostra natura, e "prendendo la forma di servo, annichilò se stesso per divenire simile agli uomini" (Fil 2,7), "per dare loro la vita e darla in sovrabbondanza" (Gv 10,10), in misura maggiore di prima. Notiamo anche ciò che avviene nel fanciullo e quali sono i segni della risurrezione che si opera in lui: sette volte dilata il petto, soffiando; moto che indica la penetrazione nell'anima umana, tempio di Dio, dello Spirito Santo dai sette doni. Apre gli occhi, a significare la fine della sua cecità mortale; i morti infatti non godono più della luce, perché fatti partecipi delle tenebre d'una tomba. Infine consideriamo questa donna e questa madre, figura della Chiesa; la Chiesa che implora la Risurrezione dei suoi diletti Catecumeni, e di tutti gl'infedeli, che ancora giacciono nelle tenebre di morte (Is 9, z). Uniamoci alla sua preghiera e facciamo sì che la luce del Vangelo si estenda sempre più, e che gli ostacoli alla sua propagazione, suscitati dalla perfidia di Satana, complice l'umana malizia, si dissipino per sempre.



    VANGELO (Lc 7,11-16). - In quel tempo: Gesù andava ad una città chiamata Naim: ed i suoi discepoli ed una gran folla andava con lui. E quando fu vicino alla porta della città, ecco era portato al sepolcro uno ch'era figlio unico di sua madre, e questa era vedova; e con lei era molto popolo della città. E il Signore, vedutala, ne ebbe compassione e le disse: Non piangere! E accostatosi, toccò la bara. (I portatori si fermarono). Ed egli disse: Giovanotto, te lo dico io, levati! E il morto si alzò a sedere e cominciò a parlare. E lo rese alla madre. E tutti, invasi da sbigottimento, glorificarono Dio esclamando: Un gran profeta è sorto in mezzo a noi, e Dio ha visitato il suo popolo.



    Il miracolo di Naim.

    Oggi e domani la santa Chiesa continuerà ad offrirci esempi tipici della risurrezione: è come l'annuncio della Pasqua ormai vicina e nel contempo, un incoraggiamento a sperare per tutti coloro che vogliono tornare dalla morte spirituale alla vita. Prima d'entrare nelle due settimane consacrate ai dolori di Cristo, la Chiesa vuole offrire ai suoi figli la sicurezza del perdono che attendono col consolante spettacolo delle misericordie di colui che col suo sangue fu la nostra riconciliazione. Scevri da ogni timore, saremo più in grado di contemplare il sacrificio dell'augusta vittima e di compatire i suoi dolori. Apriamo dunque gli occhi dell'anima e consideriamo il meraviglioso spettacolo che ci presenta il Vangelo. Una madre in lacrime accompagna il feretro dell'unico suo figlio; il suo dolore è inconsolabile. Gesù si muove a compassione; ferma il convoglio, tocca con la sua mano divina la bara e, con la voce, richiama alla vita il giovinetto, causa, per la sua morte, di tanto pianto. Il sacro scrittore fa rilevare che Gesù lo rese alla madre. Chi è mai questa madre desolata, se non la santa Chiesa costretta da tanti suoi figli a stare sempre in lutto? Ma Gesù la consolerà: fra poco, tramite il ministero dei suoi sacerdoti, stenderà la mano su tutti questi morti e pronuncerà la parola della risurrezione; e la Chiesa, che piangeva la perdita dei suoi figli, li riceverà fra le sue materne braccia piena di giubilo e di contentezza.



    Le tre risurrezioni.

    Consideriamo il mistero delle tre risurrezioni operate dal Salvatore: quella della figlia del capo della sinagoga, quella di questo giovinetto e quella di Lazzaro, alla quale assisteremo domani. La giovane morta e non ancora sepolta è l'immagine del peccatore che non ha ancora contratto l'abitudine e l'insensibilità del male. Il giovanetto rappresenta il peccatore che non ha voluto fare nessuno sforzo per risollevarsi; la sua volontà ha perduta ogni energia. Viene perciò portato al sepolcro, e se non avesse incontrato il Salvatore, sarebbe andato a finire fra tutti gli altri cadaveri. Lazzaro è il simbolo ben più spaventoso: è già in preda alla corruzione; una grande pietra pesa sulla sua tomba e ne condanna il cadavere ad una lenta ed inevitabile dissoluzione. Potrà rivivere? Sì, se Gesù interverrà col suo divino potere. Ora, nei giorni in cui ci troviamo, la Chiesa prega e digiuna; preghiamo e digiuniamo anche noi con lei, affinché questi tre tipi di morti ascoltino la voce del Figlio di Dio e risuscitino. Il mistero della Risurrezione di Gesù Cristo produrrà i suoi meravigliosi effetti per ognuna di queste tre mortalità. Associamoci ai disegni della divina misericordia, supplicando giorno e notte il Redentore e speriamo che fra qualche giorno, alla vista di tanti morti risuscitati, possiamo esclamare anche noi come i cittadini di Naim: "Un grande Profeta è sorto in mezzo a noi, e Dio ha visitato il suo popolo!".



    PREGHIAMO

    O Dio, che hai creato e guidi il tuo popolo, allontana i peccati da cui è assalito; affinché ti sia sempre gradito e viva sicuro sotto la tua protezione.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 608-611

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    Predefinito re: 31 marzo 2013: Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo

    15 marzo 2013: VENERDÌ DELLA QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMA



    La Stazione è a S. Eusebio, presbitero romano. Egli visse nel IV secolo e soffrì per la fede durante la persecuzione degli Ariani, sotto l'imperatore Costanzo.



    LEZIONE (3Re 17,17-24). - In quei giorni: Il figlio di una madre di famiglia si ammalò d'una malattia gravissima, che lo fece restare senza respiro. Essa allora disse ad Elia: Che relazione ho io con te, o uomo di Dio? Sei venuto da me per rinnovare la memoria delle mie iniquità e per fare morire il mio figlio? Elia le disse: Dammi il tuo figlio. Presolo dal seno di lei, lo portò nella camera dov'egli stava, e lo pose sul suo letto. Poi gridò al Signore, dicendo: Signore Dio mio, avresti dunque afflitto anche questa vedova, presso la quale io sono nutrito, fino a farle morire il suo figlio? Si distese tutto per tre volte sopra il fanciullo, e gridò al Signore, dicendo: Signore Dio mio, ti scongiuro a far tornare nelle sue viscere l'anima di questo fanciullo. Il Signore ascoltò la voce di Elia; essendo ritornato dentro il fanciullo l'anima di lui, egli tornò alla vita. Elia, preso il fanciullo, dalla sua camera lo portò al piano inferiore della casa, e lo consegnò alla madre dicendole: Ecco, il tuo figlio vive. La donna disse ad Elia: Ora sì che riconosco in te l'uomo di Dio, e che la parola di Dio nella tua bocca è verità.



    La Risurrezione spirituale.

    Un'altra madre oggi viene piangendo a sollecitare la risurrezione del figlio. Questa madre è la vedova di Sarepta, che già conosciamo come la figura della Chiesa dei Gentili. Un tempo aveva peccato come idolatra, ed il ricordo del suo passato la inquieta; ma il Signore, dopo averla purificata ed averla chiamata all'onore d'essere sua Sposa, la consola risuscitandone il figlio. La carità di Elia è l'immagine della bontà del Figlio di Dio. Guardate come questo grande Profeta si distende sul corpo del fanciullo, facendosi piccolo come lui, come vedemmo fare Eliseo. Ravvisiamo qui ancora una volta il mistero dell'Incarnazione. Per tre volte il profeta tocca il cadavere; e per tre volte i Catecumeni saranno immersi nella piscina battesimale con l'invocazione delle tre persone dell'adorabile Trinità. Nella solenne notte di Pasqua anche Gesù dirà alla Chiesa sua sposa: "Ecco, i tuoi figli ora vivono"; e la Chiesa, in un trasporto di gioia, sentirà sempre più la verità delle promesse del Signore. Anche i pagani lo compresero alla loro maniera. Vedendo i costumi di questo nuovo popolo rigenerato con le acque del Battesimo, riconobbero che solo la divinità poteva essere principio d'una sì alta virtù negli uomini. Nel seno dell'impero romano, preda d'ogni dissolutezza, apparve una progenie tutta pura e celeste, e i figli di questa progenie così santa ai suoi albori si trovavano in mezzo a tutte le depravazioni pagane. Dove avevano attinta una tale virtù? Nella dottrina di Gesù, e nei rimedi soprannaturali ch'egli applica alla depravazione degli uomini. Si videro allora gl'infedeli accorrere in folla ad affrontare la prova del martirio, e la Chiesa dilatarsi ed aprire le braccia ad accogliere le generazioni che le dicevano con amore: "Riconosciamo che sei di Dio, e la parola del Signore è nella tua bocca".



    VANGELO (Gv 11,1-45). - In quel tempo: Era malato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria, e di Marta sua sorella. Maria era quella che unse d'unguento il Signore e gli asciugò i piedi coi suoi capelli, ed era infermo il di lei fratello, Lazzaro. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: Signore, ecco, colui che tu ami è ammalato. Ciò udito, Gesù disse loro: Questa non è infermità da morirne, ma è a gloria di Dio, affinché per essa il Figlio di Dio sia glorificato. Or Gesù voleva bene a Marta e a Maria sua sorella e a Lazzaro. E, come ebbe sentito che era infermo, si trattenne ancora due giorni nel luogo dov'era. Dopo di che disse ai discepoli: Torniamo in Giudea. Maestro, gli fecero osservare i discepoli, or ora i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci torni? E Gesù rispose: Non è forse di dodici ore la giornata? Se uno cammina di giorno non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se uno cammina di notte inciampa, perché non ha lume. Così parlò, e dopo soggiunse: Lazzaro, il nostro amico, dorme, ma vado a svegliarlo dal sonno. Dissero perciò i discepoli: Signore, se dorme sarà salvo. Or Gesù aveva parlato della morte di lui, ed essi credevano che avesse parlato del sonno ordinario. Allora Gesù disse loro apertamente: Lazzaro è morto. E di non essere stato là ho piacere per voi, affinché crediate; ma ora andiamo da lui. Disse allora Tommaso, chiamato Didimo, agli altri discepoli: Andiamo anche noi a morire con lui. Gesù dunque andò e trovò Lazzaro nella tomba, già da quattro giorni. Distava Betania circa quindici stadi da Gerusalemme. E molti Giudei eran venuti da Marta e da Maria a consolarle del loro fratello. Or Marta, sentendo che Gesù veniva, gli andò incontro e Maria stava seduta in casa. E Marta disse a Gesù: Signore, se tu eri qui, mio fratello non sarebbe morto. Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, Dio te la darà. Gesù le disse: Tuo fratello risorgerà. Gli rispose Marta: Lo so che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno. E Gesù: Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se morto, vivrà; e chi vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo? Sì, o Signore, essa rispose, io credo che tu se il Cristo, il Figlio di Dio vivo, che sei venuto in questo mondo. E, detto questo, andò a chiamare la sua sorella Maria, dicendole sottovoce: Il Maestro è qui e ti chiama. Essa, ciò udito, si alzò in fretta e andò da lui. Or Gesù non era ancora entrato nel villaggio, ma stava sempre nel luogo dove Marta lo aveva incontrato. Ed i Giudei che stavano con Maria in casa a consolarla, avendola veduta alzarsi in fretta ed. uscire, le tennero dietro, dicendo: Va certo al sepolcro a piangere. Maria, invece, arrivata dov'era Gesù, come lo ebbe veduto, si gettò ai suoi piedi e disse: Signore, se tu eri qui, non sarebbe morto mio fratello; Gesù allora, vedendola piangere, e piangere anche i Giudei che le eran venuti dietro, fremé nello spirito, e, turbatosi in se stesso, disse: Dove l'avete posto? Gli risposero: Signore, vieni e vedi. E Gesù pianse. Onde i Giudei dicevansi: Guarda come l'amava! Ma taluni di essi dissero: E non poteva lui, che aprì gli occhi al cieco nato, fare che questi non morisse? Allora Gesù, di nuovo fremendo in se stesso, giunse al sepolcro: era questo una grotta sopra la quale era posta una pietra. Gesù disse: Togliete la pietra. Gli disse Marta, la sorella, del morto: Signore, già puzza; perché è di quattro giorni. E Gesù a lei: Non t'ho detto che, se credi, vedrai le glorie di Dio? Levarono dunque la pietra. Gesù, allora, alzati gli occhi al cielo, disse: Padre, ti ringrazio di avermi esaudito. Sapevo bene che mi esaudisci sempre; ma l'ho detto per il popolo che mi circondava; affinché credano che tu mi hai mandato. E, detto questo, con gran voce gridò: Lazzaro, vieni fuori. E il morto uscì subito legato piedi e mani con fasce e col viso coperto da un sudario. E Gesù disse loro: Scioglietelo e lasciatelo andare. Molti Giudei, che erano venuti da Maria e da Marta, allorché mirarono quel che aveva fatto Gesù, credettero in lui.



    Lazzaro immagine del peccatore.

    Rileggiamo pieni di speranza questo fatto meraviglioso che descrive ciò che Gesù opera nelle anime. Ricordiamo quello che fece per la nostra anima, e scongiuriamolo che abbia finalmente compassione dei Penitenti, che, così numerosi su tutta la terra, si preparano a ricevere il perdono che li restituirà alla vita. Oggi non è più una madre che invoca la risurrezione del figlio; ma sono due sorelle che implorano questa grazia per il loro amato fratello: con questo esempio la Chiesa ci spinge a pregare per i nostri fratelli. Ma seguiamo la narrazione evangelica.

    Lazzaro prima è malato e languente; poi muore. Il peccatore comincia a lasciarsi andare alla tiepidezza, all'indifferenza, e presto finisce con l'essere ferito mortalmente. Gesù non guarisce l'infermità di Lazzaro: per rendere inescusabili i suoi nemici, vuole operare un sorprendente prodigio proprio alle porte di Gerusalemme; a quegli stessi che fra pochi giorni rimarranno scandalizzati della sua morte vuol mostrare ch'egli è il padrone della vita. In senso morale, Dio qualche volta crede bene, nella sua sapienza, abbandonare a se stessa l'anima ingrata, anche prevedendo la sua caduta nel peccato. La rialzerà più tardi; e la sua confusione servirà a mantenerla nell'umiltà che l'avrebbe preservata.

    Le due sorelle Marta e Maria ci appaiono nei loro spiccati caratteri: piangono l'una e l'altra, e tutte e due sono unanimi nella confidenza. A Marta Gesù proclama ch'egli è la Risurrezione e la Vita; chi crede in lui non morrà della morte eterna, la sola da temere. La morte, castigo del peccato e causa di tante lacrime per l'uomo, intenerisce il suo cuore divino. Giunto presso la tomba che racchiude il corpo di Lazzaro suo amico, piange di dolore, e così santifica le lacrime che a noi cristiani strappa l'affetto sulla tomba dei nostri cari. Ma è giunto il momento di sollevare la pietra e di mostrare alla luce del sole il trionfo della morte. Lazzaro giace lì da quattro giorni: è il peccatore inveterato nel suo peccato. Non importa: Gesù non allontana un tale spettacolo. Con quella voce che comanda ad ogni creatura e fa tremare l'inferno, grida: Lazzaro, vieni fuori! e il cadavere balza fuori dal sepolcro. Il morto ha sentito la voce di Gesù; ma le sue membra sono ancora legate, e la sua faccia bendata; non può agire; i suoi occhi ancora non vedono la luce. Gesù comanda che sia sciolto, e, dietro quell'ordine, mani umane rendono alle membra di Lazzaro la libertà ed ai suoi occhi la vista del sole. È letteralmente la storia del peccatore riconciliato. Soltanto la voce di Gesù può chiamarlo alla conversione, commuovere il suo cuore e indurlo a confessare i suoi peccati; ma poi Gesù lascia alla mano dei suoi ministri di slegarlo, d'illuminarlo e restituirgli i movimenti. Grazie al Salvatore, con un simile prodigio operato proprio in questi giorni, fa giungere al colmo il furore dei suoi nemici. L'ultimo suo beneficio lo consegnò in preda alla loro rabbia. Ora non si allontanerà più da Gerusalemme; Betania, dove ha compiuto il miracolo, non è lungi di qui. Fra nove giorni l'infedele città assisterà al pacifico trionfo del Messia; quindi egli ritornerà a Betania, presso i suoi amici; ma presto rientrerà in città, dove consumerà il sacrificio, i cui meriti infiniti saranno il principio della risurrezione dei peccatori.



    Reminiscenze storiche.

    Tale consolante attesa portò i primi cristiani a moltiplicare sui dipinti delle Catacombe l'immagine di Lazzaro risuscitato; e questo esempio di riconciliazione dell'anima peccatrice, pure scolpito sui marmi dei sarcofaghi del IV e V secolo, venne anche riprodotto sulle vetrate delle nostre cattedrali. L'antica Francia onorava questo simbolo di risurrezione spirituale con un pio costume, mantenuto nell'insigne abbazia della Trinità di Venderne fino al capovolgimento delle cattoliche istituzioni. Ogni anno, in questo giorno, veniva condotto alla Chiesa Abbaziale un criminale condannato dalla giustizia umana. Egli portava una corda al collo e teneva in mano una torcia del peso di trentatre libbre, in memoria degli anni del divino Liberatore. I monaci uscivano in processione, e il criminale vi assisteva, come anche al sermone che seguiva. Quindi veniva condotto ai piedi dell'altare dove l'Abate, fatta un'esortazione, gl'ingiungeva per penitenza di fare un pellegrinaggio a S. Martino di Tours. Poi gli toglieva la corda dal collo e lo dichiarava libero. Questa liturgica usanza, così cristiana e commovente, risaliva a Luigi di Borbone, conte di Venderne, il quale durante la prigionia in Inghilterra, nel 1426, aveva fatto voto a Dio, se gli restituiva la libertà, di fondare nella chiesa della Trinità, a monumento della sua riconoscenza, un tale annuale omaggio a Cristo che liberò Lazzaro dalla tomba. Il cielo gradì la pietà del principe, che non tardò a ricevere la grazia implorata con tanta fede.



    PREGHIAMO

    A noi che consapevoli della nostra infermità, confidiamo nella tua virtù, concedi, o Dio onnipotente, di rallegrarci sempre della tua bontà.


    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 611-615

  4. #24
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    Predefinito re: 31 marzo 2013: Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo

    16 marzo 2013: SABATO DELLA QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMA



    Questo giorno è famoso fin dall'antichità sotto il nome di Sabato Sitientes, per la prima parola dell'Introito della Messa. La Chiesa, facendo sue le parole d'Isaia, invita gli aspiranti al Battesimo di venire a dissetarsi alla fonte della salute. La Stazione, a Roma, prima fu alla Basilica di S. Lorenzo fuori le Mura; ma la lontananza di questa chiesa rendeva talmente incomoda la riunione dei fedeli, che ben presto fu scelta a sostituirla la chiesa di S. Nicola in Carcere, più al centro della città.



    LEZIONE (Is 49,8-15). - Così parla il Signore: Nel tempo della grazia ti ho esaudito, nel giorno della salvezza io ti ho dato soccorso; ti ho custodito e stabilito alleanza del popolo, per ristorare la terra, per entrare in possesso delle eredità dissipate; per dire a quelli che sono in catene: Andate liberi! e a quelli che sono nelle tenebre: Venite alla luce. Pascoleranno lungo la via e avranno pascoli in tutte le pianure. Non patiranno la fame, né la sete; non li offenderà né il caldo né il sole, perché chi ne ha pietà li guiderà e li farà dissetare alle fontane di acqua. Ecco venire questi da lontano, ecco venire altri dal settentrione e dal mare, ed altri dalla parte del mezzogiorno. Cantate, o cieli; esulta, o terra; monti, erompete in gridi di gioia, perché il Signore ha consolato il suo popolo, e avrà pietà dei suoi poveri. Sion aveva detto: Il Signore mi ha abbandonato, il Signore si è dimenticato di me. Può forse una donna dimenticare il suo bambino, da non aver compassione del frutto del suo seno? quand'anche essa potesse dimenticarsene, io non potrò mai dimenticarmi, dice il Signore onnipotente.



    Tenerezza del Padre celeste.

    Come doveva suonare dolce questo linguaggio al cuore dei Catecumeni! Mai la tenerezza del Padre celeste si espresse in una maniera più commovente come in queste parole del Profeta. Egli da al Figliuolo suo incarnato, al suo Cristo, tutta quanta la terra, non per giudicarla e condannarla come merita, ma per salvarla (Gv 3,17). L'inviato divino chiama a sé tutti coloro che gemono nelle catene e languiscono fra le tenebre: li chiama alla libertà, alla luce. Sarà appagata la loro fame, ristorata la loro sete; fino a poco fa ansimanti sotto i raggi di un sole cocente, essi troveranno il più delizioso refrigerio ai margini delle acque dove li condurrà il pastore. Vengono da lontano, da tutti i punti cardinali; e questa fonte inesauribile è il punto di convergenza di tutto il genere umano. Ormai la Gentilità si chiama Sion e il Signore "ama le porte di Sion più che tutti i tabernacoli di Giacobbe" (Sal 86,2). No, non l'aveva dimenticata durante i secoli che serviva agli idoli ; la tenerezza del Signore è come quella d'una madre; che se anche le viscere d'una madre si chiudessero al proprio figliolo, il Signore assicura che le sue resteranno sempre aperte per Sion.



    Confidenza.

    Abbandonatevi dunque ad una confidenza senza limiti, voi cristiani che foste incorporati alla Chiesa per il Battesimo fino dalla vostra nascita e poi aveste la disgrazia d'offendere Dio. Se in questo momento che siete prevenuti dalla divina grazia e siete sostenuti dalle sante pratiche della Quaresima e dai suffragi della Chiesa che prega incessantemente per voi, mentre vi preparate a ritornare al Signore, s'insinua nella vostra anima qualche inquietudine, rileggete attentamente queste divine parole. Non vedete che Dio vi ha affidati al suo proprio Figliolo e lo ha incaricato di salvarvi, di guarirvi, di consolarvi? Se siete presi nei lacci del peccato, Gesù è abbastanza forte per spezzarli; se brancolate nelle tenebre di questo mondo, egli è la luce; se avete fame, egli è il Pane di Vita; se avete sete, egli è la sorgente delle acque vive. Siete bruciati e deformati dagli ardori della concupiscenza? Immergetevi nella fonte purificatrice: non è certamente quella che vi diede la prima vita da voi malauguratamente perduta; ma quell'altra fonte zampillante ch'è il divin Sacramento della riconciliazione, dalla quale le anime vostre usciranno rinnovate.



    VANGELO (Gv 8,12-20). - In quel tempo: Gesù parla alle turbe dei Giudei, dicendo: Io sono la luce del mondo: chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita. Gli dissero allora i Farisei: Se tu rendi testimonianza alla tua persona da te stesso, la tua testimonianza non è verace. Gesù replicò loro: Sebbene io renda testimonianza di me stesso, val sempre la mia testimonianza, perché so donde son venuto e dove vado; ma voi non sapete donde io venga e dove io vada. Voi giudicate secondo la carne: io non giudico nessuno; e se giudico io, il mio giudizio è vero, perché non sono solo; ma con me è il Padre che mi ha inviato. Ed anche nella vostra legge sta scritto che è valida la testimonianza di due persone. Or a rendere testimonianza di me stesso ci sono io ed il Padre che mi ha mandato. Gli dissero allora: Dov'è tuo Padre? Rispose Gesù: Non conoscete né me, né il mio Padre; se conoscereste me conoscereste anche il Padre mio. Tali parole disse Gesù nel gazofilacio, insegnando nel tempio, e nessuno lo prese, perché non era ancora giunta l'ora sua.



    Fuggire l'orgoglio.

    Quale contrasto tra il linguaggio di Dio che invita gli uomini ad accogliere il Figlio suo come un liberatore, e la durezza di cuore dei Giudei nel trattare questo inviato celeste! Gesù s'è dichiarato Figlio di Dio, ed in prova della sua divina origine, per tre anni, non ha mai cessato di compiere i più strepitosi prodigi. Molti Giudei han creduto in lui, pensando che Dio non poteva confermare l'errore coi miracoli; e la dottrina di Gesù fu da essi accolta come venuta dal cielo. Ma i Farisei hanno in odio la luce ed amano le tenebre; il loro orgoglio non si sarebbe abbassato di fronte all'evidenza dei fatti. Talvolta negavano la verità dei prodigi compiuti da Gesù, altre volte pretendevano spiegarli con un intervento diabolico; altre volte, con le loro capziose domande tentarono di creare un pretesto per tradurre il Giusto davanti ai giudici e farlo condannare come un bestemmiatore ed un violatore della legge. Oggi hanno l'audacia d'obiettare a Gesù che, dichiarandosi inviato da Dio, testimonia di se stesso. Il Salvatore, pur vedendo la perversità del loro cuore, si degna di rispondere all'empio sarcasmo; ma non da loro la soddisfazione d'una esauriente risposta. Ci si accorge che la luce a poco a poco s'allontana da Gerusalemme e sta per visitare altre regioni. Terribile abbandono dell'anima! avendo abusato della verità, per un istinto di odio l'ha respinta! È il peccato contro lo Spirito Santo, che "non sarà perdonato né in questo mondo né nell'altro", dice Gesù Cristo (Mt 12,31).



    Amare la verità.

    Beato colui che ama la verità anche se urta contro le sue inclinazioni e sconvolge le proprie idee! perché così rende onore alla sapienza di Dio; e se la verità non lo governa più in tutto, almeno non l'ha abbandonato. Ma più beato colui che, dandosi completamente alla verità, s'è messo a seguire Gesù Cristo come un suo umile discepolo! Costui, ci dice il Salvatore, "non cammina nelle tenebre, ma ha la luce della vita".

    Procuriamo dunque d'incamminarci per il fortunato sentiero che ci ha tracciato colui ch'è nostra luce e vita. Dietro i suoi passi, siamo arrampicati sull'aspra montagna della Quarantena e siamo stati testimoni del rigore del suo digiuno; ora, nei giorni che consacreremo alla sua Passione, egli c'invita a seguirlo sopra un altro monte, il Calvario, dove contempleremo i suoi dolori e la sua morte. Siamo fedeli all'appuntamento, ed otterremo "il lume di vita".



    PREGHIAMO
    O Dio, che preferisci essere misericordioso piuttosto che sdegnato con quelli che sperano in te; concedici di piangere come si deve i peccati commessi, onde meritare la grazia della tua consolazione.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 616-619

  5. #25
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    Predefinito re: 31 marzo 2013: Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo

    17 MARZO 2013

    SAN PATRIZIO, VESCOVO E CONFESSORE



    L'Apostolo dell'Irlanda.

    Oggi la Chiesa vuole che onoriamo l'Apostolo d'un intero popolo: Patrizio, il luminare dell'Irlanda, il padre di quella fedele generazione che perseverò per tanto tempo nel Martirio. In lui rifulse il dono dell'apostolato, che Cristo ha depositato nella sua Chiesa e dovrà perpetuarsi sino alla consumazione dei tempi.

    Gl'inviati del Signore si dividono in due classi: gl'incaricati a dissodare una sola mediocre porzione della gentilità, gettandovi la semente che germoglierà in diversa misura, secondo la malizia o la docilità degli uomini; quegli altri la cui missione è come una rapida conquista che aggrega al Vangelo nazioni intere. Patrizio appartiene a questa categoria di Apostoli; e noi dobbiamo venerare in lui uno dei più insigni monumenti della divina misericordia verso gli uomini.

    Ammiriamo anche la saldezza dell'opera sua. Nel v secolo la Gran Bretagna era quasi interamente immersa nelle tenebre del pa*ganesimo; l'immensa Germania ignorava la venuta di Cristo sulla terra; tutti i paesi del Nord dormivano nelle ombre dell'infedeltà. Prima che tanti popoli andassero risvegliandosi, l'Irlanda riceveva la buona Novella. La parola divina portata dall'Apostolo prospera in quell'isola, più fertile secondo la grazia che nella natura. Vi abbondano i Santi e si propagano su tutta l'Europa; e gl'Irlandesi fanno partecipi altre contrade di ciò che la loro patria ricevette dal suo fondatore. E quando s'abbatte l'epoca della grande apostasia del XVI secolo, quando la defezione germanica si propaga dall'Inghilterra alla Scozia e a tutte le regioni settentrionali, l'Irlanda rimane fedele; e non esiste genere di persecuzione, abile ed atroce che sia, che riesca a distaccarla dalla fede appresa da Patrizio.



    VITA. - San Patrizio, chiamato l'Apostolo dell'Irlanda, nacque in Gran Bretagna. Liberato dalla schiavitù in cui era caduto nella sua infanzia, di*venne sacerdote e viaggiò molto; si formò alla vita monastica a Lerino e a Tours, quindi si dedicò all'evangelizzazione dell'Irlanda. Per tale opera il Papa san Celestino lo consacrò vescovo nel 431. Le sue fatiche e le sue pene furono ricompensate dalla conversione di tutta l'isola, che fu perciò chiamata l'isola dei Santi. Ebbe un'austerità ed una pietà meravigliosa, incessante la sua preghiera, fu favorito dal dono del profezia e dei miracoli. Morì verso l'anno 461 e fu seppellito a Downe.



    La fede.

    La tua vita, o Patrizio, trascorse nelle penose fatiche dell'Apostolato; ma quanto fu bella la messe seminata dalle tue mani e bagnata dai tuoi sudori! Tu non risparmiasti nessuna fatica, perché si trattava di procurare il dono della fede a molti uomini; ed il popolo al quale l'affidasti la conservò con una fedeltà che sarà sempre la tua gloria! Deh! prega per noi, affinché quella fede, "senza la quale è impossibile piacere a Dio" (Ebr 11,6), domini per sempre i nostri spiriti e i nostri cuori. Il giusto vive di fede (Ab 2,4), dice il Profeta; durante questi giorni essa ci rivela le giustizie e le misericordie del Signore, affinché si convertano i nostri cuori ed offrano al Dio della maestà l'omaggio del pentimento. La Chiesa ci impone dei doveri, e la nostra debolezza ci spaventa: l'unica causa è la fede che languisce in noi. Se essa dominerà i nostri pensieri, non ci costerà la penitenza. Al contrario la tua vita così pura e così piena di opere buone, fu molto mortificata; aiutaci a seguire di lontano le tue orme.



    Preghiera.

    Prega, o Patrizio, per l'Isola santa di cui fosti padre e che ti onora con fervida devozione. Intercedi anche, o santo Pontefice, per quell'altra Isola che fu la tua culla, perdonandole tutti gli errori verso i tuoi figli; affretta con le tue preghiere il giorno, in cui essa potrà rientrare nella grande unità dei cattolici. Ricordati finalmente di tutti i paesi cristiani, e fa' che la tua preghiera di Apostolo li renda accetti al cospetto di colui che ti ha inviato.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 849-851

  6. #26
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    Predefinito re: 31 marzo 2013: Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo

    17 marzo 2013: DOMENICA DI PASSIONE

    Oggi, se udirete la voce del Signore, non indurite i vostri cuori.

    L'insegnamento della Liturgia.

    La santa Chiesa comincia oggi il Mattutino con queste gravi parole del Re Profeta. Una volta i fedeli si facevano un dovere d'assistere all'ufficiatura notturna, per lo meno le Domeniche e le Feste, perché ci tenevano a non perdere nessun insegnamento della Liturgia. Ma dopo tanti secoli la casa di Dio non fu più frequentata con quell'assiduità che formava la gioia dei nostri padri; e un po' alla volta anche il clero cessò di celebrare pubblicamente gli uffici che non erano più seguiti. All'infuori dei Capitoli e dei Monasteri, non si sente più risuonare il coro così armonioso della lode divina, e le meraviglie della Liturgia non sonò più conosciute dal popolo cristiano che in una maniera imperfetta.

    Lamento del Signore.

    Questo è un motivo per noi di presentare all'attenzione dei lettori alcuni tratti dell'Ufficio, che altrimenti sarebbero per loro come se non esistessero. Che cosa c'è oggi di più adatto a commuoverli dell'avvertimento che la Chiesa prende da David per rivolgerlo a noi, e che ripeterà ogni mattina fino al giorno della Cena del Signore? Peccatori, ci dice, oggi che cominciate a sentire la voce gemebonda del Redentore, non siate così nemici di voi stessi da lasciare i vostri cuori nell'ostinazione. Il Figlio di Dio sta per darvi l'ultima e più viva dimostrazione di quell'amore che lo portò dal cielo sulla terra; s'avvicina la sua morte; è pronto il legno per l'immolazione del nuovo Isacco; rientrate in voi stessi e non permettete che il vostro cuore, emozionato forse per un istante, ritorni alla sua consueta durezza. Sarebbe il più grande pericolo. Questi anniversari hanno l'efficacia di rinnovare le anime, le quali cooperano con la loro fedeltà alla grazia che ricevono; ma aumentano l'insensibilità di coloro che li lasciano passare senza convertirsi. "Se oggi dunque udrete la voce del Signore non indurite i vostri cuori" (Sal 94,8).

    Ultimi giorni della vita pubblica di Gesù.

    Durante le precedenti settimane abbiamo visto crescere ogni giorno più la malizia dei nemici del Salvatore. Li irrita la sua presenza e la sua stessa vista; si ha quasi la sensazione che l'odio ch'essi comprimono nei loro cuori non aspetti che il momento per esplodere. La bontà e la dolcezza di Gesù continuano ad avvicinare a lui le anime semplici e rette; mentre l'umiltà della sua vita e l'inflessibile purezza della sua dottrina allontanano sempre più il Giudeo superbo che sogna un Messia conquistatore, ed il Fariseo che non teme di travisare la legge per farla strumento delle sue passioni. Tuttavia Gesù continua l'opera dei miracoli; i suoi discorsi sono impressi di nuova forza; con le profezie minaccia la città ed il famoso tempio del quale non rimarrà pietra su pietra. I dottori della legge, almeno, potrebbero riflettere, esaminare queste opere meravigliose che rendono testimonianza al Figlio di David, e rileggere tanti oracoli divini che si compirono in lui fino a questo momento con la massima fedeltà. Ahimé! anche questi oracoli stanno per compiersi fino all'ultimo iota. David ed Isaia non predissero un apice delle umiliazioni e dei dolori del Messia, che questi uomini accecati non s'affrettassero a realizzare.

    Ostinazione della sinagoga e del peccatore.

    In essi dunque si compì il detto: "Chi avrà sparlato contro il Figlio dell'Uomo sarà perdonato, ma chi avrà sparlato contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato né in questa vita né in quella futura" (Mt 12, 32). La sinagoga corre verso la maledizione. Ostinata nel suo errore, non vuole ascoltare né vedere più niente; ha falsificato a suo piacimento la propria sentenza, ha spento in sé la luce dello Spirito Santo; e la vedremo scendere, di gradino in gradino, sulla china dell'aberrazione, fino all'abisso. Triste spettacolo al quale assistiamo spesso, anche ai nostri giorni, nei peccatori che, a forza di resistere alla luce di Dio, finiscono per assopirsi nelle tenebre! E non ci stupisce di ravvisare in altri uomini i tratti che osserviamo negli autori del dramma che sta per compiersi. La storia della Passione del Figlio, di Dio ci fornirà più d'una lezione sui segreti del cuore umano e delle sue passioni. Né potrebbe essere altrimenti: perché ciò che avviene a Gerusalemme si rinnova nel cuore dell'uomo peccatore. Questo cuore è un Calvario, sul quale, secondo l'espressione dell'Apostolo, Gesù Cristo è molte volte crocifisso. La stessa ingratitudine, lo stesso acciecamento, la stessa follia; con la differenza che il peccatore, quando è schiarito dai lumi della fede, sa chi mette in croce; mentre i Giudei, come dice anche San Paolo, non conoscevano come noi questo Re di gloria (1Cor 2,8) che fu confitto in croce. Seguendo perciò la narrazione dei fatti evangelici che giorno per giorno ci verranno messi sotto gli occhi, la nostra indignazione contro i Giudei si rivolga anche contro noi stessi e i nostri peccati. Piangiamo sui dolori della vittima, noi, che con le nostre colpe abbiamo reso necessario un tal sacrificio.

    Il ritiro di Gesù.

    In questo momento, tutto c'invita alla tristezza. Perfino la croce sull'altare è nascosta dietro un velo, e le immagini dei Santi sono coperte; "la Chiesa è in attesa della più grande sciagura. Non attira più la nostra attenzione sulla penitenza dell'Uomo-Dio; solo trema al pensiero dei pericoli che lo circondano. Leggeremo fra poco nel Vangelo che il Figlio di Dio stava per essere lapidato come un bestemmiatore; ma non essendo ancora giunta l'ora sua, dovette fuggire e nascondersi. Un Dio nascondersi, per evitare la collera degli uomini! Quale capovolgimento! È forse debolezza, o timore della morte? Sarebbe una bestemmia il solo pensarlo, mentre presto lo vedremo manifestarsi apertamente dinanzi ai suoi nemici. Si sottrasse in quel momento alla rabbia dei Giudei, perché non s'era ancora adempiuto in lui tutto ciò ch'era stato predetto. Del resto, non è sotto una pioggia di pietre ch'egli dovrà spirare, ma sull'albero della maledizione, che d'ora in poi diventerà l'albero della vita.

    Adamo e Gesù.

    Umiliamoci nel vedere il Creatore del cielo e della terra sottrarsi alla vista degli uomini per non incorrere nella loro rabbia. Pensiamo al giorno del primo peccato, quando Adamo ed Eva colpevoli pure si nascosero nel vedersi nudi. Gesù è venuto per garantire loro il perdono; ed ecco che anche lui si nasconde, non perché sia nudo, Lui che per i Santi è la veste della santità e dell'immortalità, ma perché s'è fatto debole, per dare a noi la forza. I nostri progenitori si sottrassero agli sguardi di Dio; Gesù si nasconde agli occhi degli uomini; ma non sarà sempre così. Verrà il giorno in cui i peccatori, nel vedere chi oggi sembra fuggire, rivolgeranno le loro implorazioni alle rocce e alle montagne e le supplicheranno di cadere sopra di loro per scomparire dalla sua vista; ma questa loro brama rimarrà sterile, e loro malgrado "vedranno il Figlio dell'uomo venir sulle nubi del cielo con gran potenza e gloria" (Mt 24,30).

    Questa Domenica è chiamata Domenica di Passione, perché oggi la Chiesa comincia ad occuparsi espressamente dei patimenti del Redentore. È detta anche Domenica Judica, dalla prima parola dell'Introito della Messa; e infine della Neomenia, cioè della nuova luna, perché la Pasqua cade sempre dopo la luna nuova, la quale serve a fissare tale festa.

    Nella Chiesa greca questa Domenica non ha altro nome che quello di Quinta Domenica dei santi digiuni.

    La Stazione, a Roma, è nella Basilica di S. Pietro. L'importanza di tale Domenica, che non cedeva a nessuna festa, per quanto solenne, esigeva che la funzione avesse luogo nel più augusto tempio della città eterna.

    MESSA

    EPISTOLA (Ebr 9,11-15). Fratelli; Cristo venuto come pontefice dei beni futuri, attraversando un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano d'uomo, cioè non di questa creazione, non col sangue dei capri e dei vitelli, ma col proprio sangue entrò una volta per sempre nel Santuario, dopo aver ottenuta la redenzione eterna. Or se il sangue dei capri e dei tori e la cenere di vacca, aspergendo gl'immondi, li santifica quanto alla purità della carne, quanto più il sangue di Cristo che per lo Spirito Santo ha offerto se stesso immacolato a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, per servire a Dio vivo? E per questo Egli è mediatore d'una nuova alleanza, affinché, interposta la sua morte per redimere le prevaricazioni avvenute sotto la prima alleanza, i chiamati ricevano la promessa dell'eterna eredità di Gesù Cristo nostro Signore.

    La salvezza nel sangue d'un Dio.

    Solo col sangue l'uomo può essere riscattato. La divina maestà offesa non si placherà che per lo sterminio della creatura ribelle, il cui sangue sparso sulla terra con la propria vita renderà testimonianza del suo pentimento della sua profonda umiliazione dinanzi a colui contro il quale s'è ribellata. Altrimenti la giustizia di Dio dovrà essere compensata con l'eterno supplizio del peccatore. Tutti i popoli lo hanno compreso, dal sangue degli agnelli di Abele fino a quello che colava a fiotti nelle ecatombi della Grecia e nelle innumerevoli immolazioni con le quali Salomone inaugurò la dedicazione del suo tempio. Nondimeno Dio disse: "Ascolta, o popolo mio, che vò, parlarti, o Israele, che ti ho da avvertire: Io sono Dio, il tuo Dio. Non ti rimprovererò per i tuoi sacrifici: i tuoi olocausti mi stan sempre davanti. Non ho bisogno di prendere i vitelli della tua casa, né dal tuo gregge i capri, perché mie son le fiere dei boschi, il bestiame che pascola sui monti e i bovi. Conosco tutti gli uccelli dell'aria, e la bellezza dei campi è la mia disposizione. Dato che avessi fame, non verrei a dirlo a te, perché mio è l'universo e tutto ciò che contiene. Mangerò forse carni di tori e berrò sangue di capri?" (Sal 49,7-13). Così Dio ordina sacrifici cruenti, ma dichiara che non sono niente ai suoi occhi. Vi è forse una contraddizione? No: Dio vuole che l'uomo comprenda che non può essere riscattato che col sangue, e che nello stesso tempo il sangue degli animali è troppo grossolano per operare un tale riscatto. Sarà allora il sangue dell'uomo a placare la divina giustizia? Non basta: perché il sangue dell'uomo è impuro e macchiato; ed anche se fosse puro, sarebbe impotente a risarcire l'oltraggio fatto a un Dio. Occorre il sangue d'un Dio; e Gesù viene a spargere il suo.

    In lui sta per realizzarsi la più grande figura dell'antica legge. Una volta l'anno, infatti, il pontefice entrava nel Santo dei Santi ad intercedere per il popolo. Penetrava oltre il velo, e si trovava al cospetto dell'Arca santa; ma gli era concesso tale favore solo a condizione d'entrare in quel sacro asilo recando fra le mani il sangue della vittima da lui immolata. In questi giorni il Figlio di Dio, il Pontefice per eccellenza, sta per fare ingresso in cielo, e noi pure vi entreremo dietro a lui; ma per far questo dovrà presentarsi col sangue nelle mani, e questo sangue non può essere che il suo. Così lo vedremo adempiere questa divina volontà. Apriamo dunque le nostre anime, affinché questo sangue, come ci ha detto l'Apostolo, "purifichi la nostra coscienza dalle opere di morte, per servire a Dio vivo".

    VANGELO (Gv 8,46-59). In quel tempo: Gesù diceva alla turba dei Giudei: Chi di voi mi potrà convincere di peccato? Se io dico la verità perché non mi credete? Chi è da Dio, ascolta le parole di Dio. Per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio. Replicarono i Giudei: Non diciamo con ragione che tu sei un Samaritano e indemoniato? Gesù rispose: Io non sono indemoniato, ma onoro il Padre mio e voi mi vituperate. Ma io non cerco la mia gloria, c'è chi ne prende cura e ne giudica. In verità, vi dico: chi osserva i miei comandamenti non vedrà morte in eterno. Gli dissero allora i Giudei: Ora vediamo bene che tu sei posseduto da un demonio. Abramo è morto, così pure tutti i profeti e tu dici: Chi osserva i miei comandamenti non vedrà morte in eterno. Sei forse tu da più del padre nostro Abramo, il quale è morto? Ed anche i Profeti sono morti. Chi credi mai tu di essere? Gesù rispose: Se io glorifico me stesso, la mia gloria è nulla: vi è a glorificarmi il Padre mio, il quale voi dite che è il vostro Dio; ma non lo avete conosciuto. Io sì che lo conosco, e se dicessi che non lo conosco, sarei, come voi, bugiardo. Ma io lo conosco ed osservo le sue parole. Abramo, vostro padre, sospirò di vedere il mio giorno: lo vide e ne tripudiò. Gli opposero i Giudei: Non hai ancora cinquant'anni e hai veduto Abramo? Gesù rispose loro: In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse nato, io sono. Dettero allora di piglio alle pietre per tirarle contro di lui, ma Gesù si nascose, ed uscì dal tempio.

    Indurimento dei Giudei.

    Come si vede, la rabbia dei Giudei è giunta al colmo, e Gesù è costretto a dileguarsi davanti a loro. Fra poco lo faranno morire; ma come è differente la loro sorte dalla sua! Per obbedienza ai decreti del Padre celeste, e per amore degli uomini, egli si darà nelle loro mani, ed essi lo metteranno a morte; ma uscirà vittorioso dalla tomba, salirà al cielo e andrà a sedersi alla destra del Padre. Essi invece, sfogata la loro rabbia, s'addormenteranno senza rimorso fino al terribile risveglio che sarà loro preparato. Naturalmente è fatale la condanna di questi uomini. Guardate con quale severità parla loro Gesù: "Voi non ascoltate la parola di Dio, perché non siete da Dio". Ma vi fu un tempo ch'essi erano da Dio: perché il Signore dà a tutti la sua grazia; ma essi frustrarono questa grazia, ed ora si agitano fra le tenebre, e non vedranno più la luce che hanno disprezzata.

    "Voi dite che il Padre è vostro Dio; ma non lo avete conosciuto". Misconoscendo il Messia, la sinagoga è arrivata al punto di non conoscere più lo stesso Dio unico e sovrano, del cui culto andava così fiera; se infatti conoscesse il Padre, non rigetterebbe il Figlio. Mosè, i Salmi, i Profeti sono per lei lettera morta; perciò questi libri divini passeranno presto nelle mani d'altri popoli, che sapranno leggerli e comprenderli. "Se dicessi di non conoscere il Padre, sarei, come voi, bugiardo". Nella durezza del linguaggio di Gesù s'intravide già l'ira del giudice che verrà nell'ultimo giorno a fracassare a terra la testa dei peccatori. Gerusalemme non ha conosciuto il tempo della sua visita; il Figlio di Dio è venuto da lei, ed essa osa dirlo "posseduto dal demonio". Rinfaccia al Figlio di Dio, al Verbo eterno che dimostra la sua origine divina coi più strepitosi miracoli, che Abramo ed i Profeti sono da più di lui. Incredibile accecamento che proviene dalla superbia e dalla durezza del cuore! Venuta la Pasqua, questi uomini mangeranno religiosamente l'agnello figurativo; e sanno che quest'agnello è simbolo che si deve realizzare. Il vero agnello sarà immolato proprio dalle loro mani sacrileghe, e non lo riconosceranno; il sangue sparso per loro perciò non li salverà. La loro sventura ci porta col pensiero a tanti peccatori induriti, per i quali la Pasqua di quest'anno sarà sterile di conversione come quella degli anni precedenti. Raddoppiarne le nostre preghiere per loro e domandiamo che il sangue divino ch'essi mettono sotto i piedi non gridi un giorno contro di loro dinanzi al trono del Padre celeste.

    PREGHIAMO

    Riguarda propizio, o Dio onnipotente, la tua famiglia; affinché sia sostenuta nel corpo per tua bontà e sia custodita nell'anima per la tua grazia.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 638-644

  7. #27
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    Predefinito re: 31 marzo 2013: Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo

    18 MARZO 2013

    SAN CIRILLO DI GERUSALEMME,
    VESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA



    Dottore del Sacramento del Battesimo.

    È giusto che nei giorni consacrati all'istruzione dei catecumeni la santa Chiesa onori il Pontefice, il cui nome ricorda, meglio d'ogni altro, lo zelo e la scienza che i Pastori devono impiegare nella preparazione del santo Battesimo. Da molto tempo, la cristianità latina si limita a numerare un tanto Dottore con la menzione che fa di lui, ogni anno, nel martirologio. Ora però all'antica espressione di riconoscenza per i servigi resi da Cirillo nei lontani tempi, essa aggiunge la domanda di un'assistenza resa non meno necessaria che nei primi tempi del cristianesimo.

    Il battesimo, è vero, ora si conferisce sin dall'infanzia, mettendo l'uomo, per la fede infusa, in possesso della piena verità prima che la sua intelligenza si trovi in contatto con la menzogna. Ma troppo spesso accade che il bambino non trovi più a suo fianco la difesa che deve sostenere la sua debolezza; infatti la società moderna ha rinnegato Gesù Cristo, e la sua apostasia, sotto l'ipocrita neutralità di pretese leggi, la spinge a soffocare il germe divino in ogni anima battezzata, prima che possa germogliare e svilupparsi. Tuttavia, di fronte alla società, come anche nell'individuo, il battesimo ha i suoi diritti; e noi non possiamo meglio onorare san Cirillo, che ricordandoci, il giorno della sua festa, dei diritti di questo primo Sacramento dal punto di vista dell'educazione, come egli li reclama nei battezzati.



    Doveri dei governi verso i battezzati.

    Per quindici secoli le nazioni dell'Occidente, il cui edificio sociale poggiava sulla saldezza della fede romana, mantennero i loro membri nell'ignoranza della difficoltà che prova un'anima per innalzarsi dalle regioni dell'errore alla pura luce. Battezzati come noi sin dalla nascita, e sin d'allora in possesso della verità, i nostri padri avevano a loro vantaggio la potenza civile, che, concorde con la Chiesa, difendeva in essi quella pienezza di verità che costituiva il loro più grande tesoro, al tempo stesso che formava la salvaguardia del mondo. La protezione dei singoli è infatti il dovere del principe o di chiunque, non importa a quali titoli, governa gli uomini; e la gravità di questo dovere è in ragione dell'importanza degl'interessi da garantire. Ora questa protezione è tanto più gloriosa per il potere, quanto più si rivolge ai deboli ed ai piccoli di questo mondo. Mai la maestà della legge umana rifulse meglio che nella culla ove guarda al fanciullo nato ieri, all'orfano indifeso, alla vita, al nome, al patrimonio.



    Dignità dei battezzati.

    Ora, il bambino uscito dal sacro fonte, possiede delle preminenze che sorpassano di gran lunga tutto ciò che possono avergli procurato la nobiltà e la fortuna degli antenati, insieme alla più ricca natura. Risiede in lui la vita divina; il nome di cristiano lo fa uguale agli angeli; il patrimonio che possiede è la pienezza di quella verità di cui parlammo poco fa, cioè Dio stesso, posseduto su questa terra per la fede, in attesa che si riveli al suo amore nella beati*tudine dell'eterna visione.

    Quale grandezza, dunque, è nelle culle in cui vagisce l'infantile debolezza! Ma anche quale responsabilità per il mondo! Se Dio non aspetta per conferire tali beni alla terra, che i beneficiarii siano in età da comprenderli, è l'impazienza del suo amore che si manifesta in questa sollecitudine; ma ciò che incombe al mondo è di rivelare a suo tempo la loro dignità a questi figli del cielo, per formarli ai doveri che derivano da quel nome e per innalzarli come conviene al loro divino linguaggio.

    L'educazione del figlio d'un re è adeguata alla sua origine: e coloro che sono ammessi all'onore d'istruirlo, ispirano le lezioni al titolo di principe che porta; le stesse nozioni comuni gli vengono presentate in maniera che si armonizzino il meglio possibile al suo eminente destino; nulla per lui che non miri al medesimo fine: perché tutto deve concorrere in lui a metterlo in grado di portare la corona con gloria.

    Può ora l'educazione d'un figlio di Dio meritare minori riguardi? e si può mai, nelle cure da dedicare a lui, lasciar in oblio la sua origine ed i suoi destini?



    Diritti della Chiesa nell'educazione.

    Proprio così: soltanto la Chiesa è capace, quaggiù, di spiegare la nostra origine di figli di Dio; soltanto lei conosce la maniera sicura di far servire gli elementi delle umane nozioni al fine supremo che deve dominare la vita del cristiano. Dunque, che ne deduciamo, se non che la Chiesa è di diritto la prima educatrice dei popoli? Quando istituisce scuole, in ogni ramo di scienza, è alla sua altezza; e la missione da lei ricevuta d'insegnare vale più di tutti i diplomi. Anzi v'è di più: ogni qualvolta questi diplomi non sono rilasciati da lei, l'uso dei loro incarichi trae la sua prima principale legittimità, all'occhio dei cristiani, dal suo consenso: perché tutto resta sempre sottomesso e di pieno diritto, alla sua sorveglianza. Ella è la madre dei battezzati; e la sorveglianza dell'educazione dei figli spetta a lei, qualora la madre non assolva da sé al compito di tale educazione.



    Dovere della Chiesa.

    Al diritto materno la Chiesa aggiunge il dovere di Sposa del Figlio di Dio e di custode dei Sacramenti. Il sangue divino non può impunemente scorrere invano sulla terra; delle sette sorgenti, attraverso le quali l'Uomo-Dio volle s'espandesse mediante la parola dei ministri della sua Chiesa, non ve n'è una che deve sgorgare altrimenti che dalla speranza fondata sopra un effetto realmente salutare e rispondente al fine del sacramento per cui se ne fa l'uso. Soprattutto il battesimo, che eleva l'uomo dalla profondità del suo niente alla nobiltà soprannaturale, non potrebbe sfuggire, nella sua amministrazione, alle norme d'una prudenza tanto più vigile quanto più il titolo divino che conferisce è eterno.

    Il battezzato, che ignora volontariamente o forzatamente i propri doveri e diritti, somiglierebbe a quei figli di famiglia che, con o senza loro colpa, non conoscono le tradizioni della stirpe da cui provengono, ne sono l'obbrobrio e conducono ingloriosamente nel mondo la loro vita decaduta. Così ora la Chiesa, come già al tempo di Cirillo di Gerusalemme, non può ammettere nessuno al sacro fonte, senza esigere dal candidato al battesimo la garanzia d'una sufficiente istruzione: s'egli è adulto, deve dar prova della propria scienza; se gli manca l'età e tuttavia la Chiesa acconsente che venga introdotto nella famiglia cristiana, è in ragione della vita cristiana di coloro che lo presentano e dello stato sociale che lo circonda, ch'ella si accerta dell'educazione che riceverà conforme alla vita soprannaturale acquisita nel sacramento.



    La Chiesa educatrice.

    Così fu necessaria la stabilità incontestata dell'impero dell'Uomo-Dio sul mondo, perché la pratica del battesimo conferito ai bambini diventasse generale com'è oggi; e non dobbiamo meravigliarci se la Chiesa, a misura che andava completandosi la conversione dei popoli, s'è venuta a trovare investita della sola missione di elevare le nuove generazioni. Gli sterili corsi dei grammatici, dei filosofi e dei retori, ai quali non mancava che la sola scienza necessaria, quella dello scopo della vita, furono disertati a vantaggio delle scuole episcopali e monastiche in cui la scienza della salvezza, primeggiando su ogni altra, le illuminava contemporaneamente tutte della vera luce. La scienza così battezzata mise alla luce le Università, che riunirono in una feconda armonia tutto lo scibile delle conoscenze umane sino allora disgiunte da un comune legame e troppo spesso contrastanti fra loro. Sconosciute nel mondo prima del Cristianesimo, che solo portava in sé la soluzione del grande problema del connubio delle scienze, le Università, che fanno di questa unione la loro essenza principale, restano per tale ragione l'inalienabile dominio della Chiesa.



    Vana pretesa dello Stato neutro.

    Oggi invano lo Stato, ridivenuto pagano, pretende negare alla madre dei popoli ed arrogare a se stesso il diritto di chiamare con tale nome le sue scuole superiori; le nazioni scristianizzate, vogliano o no, non avranno mai il diritto di fondare tali gloriose istituzioni, ne avranno la forza di mantenerle nel vero senso del nome che portarono e realizzarono nella storia. Lo Stato senza fede non manterrà mai nella scienza altra unità che quella di Babele; non lo costatiamo già sino all'evidenza? Il monumento della superbia ch'esso vuole innalzare contro Dio e la sua Chiesa non servirà ad altro che a far sorgere la spaventosa confusione delle lingue, cui la Chiesa aveva strappato le nazioni pagane, delle quali ripete gli errori. Quanto a pavoneggiarsi dei titoli della vittima che hanno osato spogliare, ogni usurpatore e ladro fa altrettanto; ma l'impotenza in cui si trova di far pompa, nel contempo, delle prerogative che questi titoli suppongono, non fa che mettere maggiormente allo scoperto il furto commesso a danno del legittimo proprietario.



    La neutralità.

    Negheremo allora allo Stato pagano o neutro, come oggi si vuoi dire, il diritto di educare a modo suo gl'infedeli che ha prodotti a sua immagine? Niente affatto; la tutela di cui la Chiesa rivendica il diritto e il dovere riguarda i soli battezzati. Ugualmente non ne dubitiamo: se la Chiesa un giorno dovrà costatare che ogni garanzia da parte della società verrà veramente a mancare al battesimo, essa certamente tornerà alla disciplina dei primi tempi, in cui la grazia del sacramento che fa i cristiani non era accordata indistintamente a tutti come oggi, ma solamente agli adulti che se ne mostravano degni, o ai fanciulli le cui famiglie davano le necessario garanzie alla sua responsabilità di Madre e di Sposa.

    Le nazioni allora si troveranno divise in due: da una parte i figli di Dio che vivono della sua vita e sono eredi del suo trono; dall'altra, gli uomini che, invitati come tutti i figli di Adamo a questa nobiltà soprannaturale, avranno preferito criminosamente restare schiavi di colui che li voleva suoi figli in questo mondo che l'Incarnazione fece sua dimora. Allora l'educazione comune e neutra apparirà ancora più assurda: per quanto la si consideri neutra, mai la scuola dei servi potrà conciliarsi con quella dei principi ereditari.



    Protezione dei Santi Dottori.

    Andiamo forse avvicinandoci ai tempi, in cui gli uomini, che per infelice sorte furono esclusi dal battesimo, sin dal loro ingresso in questo mondo, conquisteranno da sé il privilegio dell'ammissione nella cristiana famiglia? Dio solo lo sa; ma più di un segno c'induce a crederlo. L'istituzione della festa odierna forse avrà un legame, nei disegni della Provvidenza, con le esigenze d'una nuova situazione creatasi nel seno della Chiesa sotto tale rapporto.

    Non è passata una settimana che rendemmo omaggi a san Gregorio Magno, il Dottore del popolo cristiano; tre giorni dopo onoravamo il Dottore della scuola, Tommaso d'Aquino, nel quale la gioventù cristiana e studiosa festeggia il suo patrono. Perché oggi, dopo mille e cinquecento anni, ci si domanda di venerare questo nuovo Dottore, il Dottore d'una classe scomparsa, i catecumeni? Non è forse perché la Chiesa vede i nuovi servigi ch'è chiamato a rendere Cirillo di Gerusalemme, con gli esempi e gl'insegnamenti contenuti nella sua Catechesi [1]?

    Oggi sono ormai molti i cristiani traviati che, nel loro ritorno a Dio, trovano l'ostacolo maggiore in una ignoranza esasperante e ben più profonda di quella stessa, dalla quale lo zelo di Cirillo sapeva trarre i pagani ed i Giudei!



    VITA. - San Cirillo nacque verso l'anno 315. Si dedicò allo studio della sacra Scrittura e divenne un valoroso difensore della fede ortodossa. Ordinato prete nel 345, ebbe l'incarico di predicare la parola di Dio e compose le Catechesi, in cui pone le solide basi di tutti i dogmi contro i nemici della fede. Divenuto poi vescovo di Gerusalemme, ebbe molto a soffrire da parte degli Ariani, che lo cacciarono nel 357. In seguito alla morte dell'imperatore Costanzo poté ritornare in sede, ma subì un nuovo esilio sotto Valente e fu poi ristabilito sulla cattedra da Teodosio. Morì a Gerusalemme verso il 386, dopo 35 anni d'episcopato. Leone XIII lo dichiarò Dottore della Chiesa.



    Preghiera al Dottore...

    O Cirillo, tu fosti un vero figlio della luce (Ef 5,8). La Sapienza di Dio sin dall'infanzia conquistò il tuo amore e ti stabilì come il faro che brilla sul porto e salva, attirandolo alla riva, il povero nau*frago sbattuto nella notte dell'errore. Nel luogo stesso dove si compirono i misteri della redenzione del mondo, ed in quel IV secolo così fecondo di dottori, la Chiesa ti affidò la missione di preparare al battesimo le anime guadagnate dalla recente vittoria del cristiane*simo in tutte le classi della società. Nutrito delle Scritture e degl'insegnamenti della Madre comune, sgorgava abbondante e pura la parola dalle tue labbra. Sappiamo dalla storia che, impedito dalle altre cure del tuo santo ministero di consacrarti esclusivamente ai catecumeni, dovesti improvvisare le Catechesi, in cui la scienza della salvezza viene svolta con una sicurezza, una luminosità ed una sintesi mai conosciute fino allora, ne d'allora in poi sorpassate.

    Per te, santo Pontefice, la scienza della salute consisteva nella conoscenza di Dio e del Figlio! suo Gesù Cristo, contenuta nel simbolo della Chiesa. La preparazione al battesimo, alla vita, all'amore, consisteva nell'acquisto di questa scienza unica, profonda, la sola necessaria e capace di governare ogni uomo, non con l'impressione d'una vana sentimentalità, ma sotto l'impero della parola di Dio ricevuta com'essa merita, meditata giorno e notte, e che penetra tutta l'anima così che basti da sola a metterla in possesso della pienezza della verità, della rettitudine morale e dell'odio dell'errore.



    ... al Pastore.

    Assicurati così i tuoi uditori, non temevi di svelare gli argomenti e le abbominazioni delle sette nemiche. Vi sono tempi e circostanze, la cui estimazione spetta ai capi del gregge, e nei quali essi devono passar sopra il disgusto che ispirano tali esposizioni, per denunciare il pericolo e mettere le loro pecorelle in guardia contro gli scandali dello spirito o dei costumi. Per questo, o Cirillo, le tue indignate invettive perseguitavano il manicheismo nel fondo stesso dei suoi antri impuri; tu presentivi in lui l'agente principale di quel mistero d'iniquità (2Ts 2,7), che continua il suo cammino tenebroso e dissolvente attraverso i secoli, fino a che il mondo soccomba con lui di putredine e di superbia.

    Manete ai nostri tempi spadroneggia più che mai; e le società occulte ch'egli ha fondate sono divenute padrone. L'ombra delle loggie, è vero, continua a nascondere ai profani il suo simbolismo sacrilego e i dogmi un tempo portati dalla Persia; ma l'abilità del principe di questo mondo finisce di concentrare nelle mani del suo fedele alleato tutte le forze sociali. Ora il potere è nelle sue mani, ed il primo ed esclusivo uso che ne fa è di persecuzione contro la Chiesa in odio a Cristo. Egli le nega il diritto d'insegnare avuto dal divino Capo; perfino i figli ch'essa ha generati e che le appartengono già di diritto per il battesimo, le si vogliono strappare a viva forza e impedirle di presiedere alla loro educazione.

    Tu, o Cirillo, chiamato in suo soccorso in questi tristi tempi, non venir meno alla fiducia che essa ha riposto in te. Tu, che comprendevi a fondo le esigenze del sacramento che fa cristiani, difendi il battesimo in tante anime innocenti, ove lo si vuoi soffocare; sorreggi, risveglia, se occorre, la fede dei loro padri cristiani, e comprendano che, se hanno il dovere di proteggere i loro figlioli, sino a farsi scudo coi propri corpi, piuttosto che lasciarli in balìa delle fiere, l'anima degli amati figli è ancora più preziosa.

    Già molti di loro - e formano la grande consolazione della Chiesa di un tempo in cui la speranza della società è battuta in breccia da ogni parte - compresero la condotta che s'imponeva ad ogni anima generosa in tali circostanze: perché ispirandosi unicamente alla propria coscienza, e forti del loro diritto di padri, subirono la violenza della forza brutale dei nostri governi, piuttosto che cedere di un sol passo alle capricciose innovazioni d'uno Stato pagano tanto assurdo e riprovevole. Benedicili, o Cirillo, ed aumenta il loro numero. Ugualmente benedici, moltiplica, sostieni, illumina i fedeli che si dedicano alla missione d'istruire e salvare quei figli che furono traditi e ingannati dal potere: non è questa una missione più urgente di quella dei catechisti, ai nostri giorni, e non è quella che ti sta più a cuore?



    Il trionfo della Croce.

    L'apparizione della Croce segnò l'inizio del tuo episcopato. Anche i nostri tempi increduli, assistettero a un simile prodigio, quando a Migné, nella diocesi di sant'Ilario, tuo emulo e contemporaneo, apparve nel ciclo il segno della salvezza, risplendente di luce, alla vista di migliaia di persone. Ma l'apparizione del 7 maggio 351 preannunciava per la santa Croce il trionfo da te previsto; infatti alcuni anni dopo, sotto i tuoi occhi, Elena ritrovava il legno redentore. L'apparizione del 17 dicembre 1826 non avrebbe annunciato invece perdite e rovine! Fiduciosi nel tuo aiuto sì opportuno, santo Pontefice, noi vogliamo sperare in un avvenire migliore, memori che il trionfo della Croce di cui tu fosti testimone, non fu che il frutto delle sofferenze della Chiesa, che tu dovesti completare, da parte tua, al prezzo di ben tre deposizioni dalla tua sede e di venti anni d'esilio. La Croce non è mai vinta, ma al contrario maggiormente trionfa nel martirio dei fedeli e nelle prove pazientemente sopportate; ella sarà sempre vittoriosa, fino a quando apparirà sulle rovine di questo mondo, nell'ultimo giorno.



    [1] Nel tomo 33 della Patrologia Greca troviamo le 24 istruzioni attribuite a san Cirillo. Queste sono distinte: l.o in una catechesi preliminare avente lo scopo di preparare gli uditori a seguire con frutto gli esercizi che precedono la recezione del battesimo: 2.o in 18 catechesi. pronunciate durante la Quaresima, che trattano degli articoli del simbolo battesimale di Gerusalemme; 3.o in un gruppo di o catechesi dette "mistagogiche", che spiegano le cerimonie osservate nell'amministrazione del Battesimo e nei sacramenti della Cresima e dell'Eucaristia. Esse furono esposte ai neofiti, durante la settimana che seguiva la festa di Pasqua e compivano la formazione dei nuovi battezzati.

    Studi recenti dimostrano che sarebbe ormai imprudente collocare le catechesi mistagogiche fra le opere di san Cirillo di Gerusalemme. mentre bisognerà attribuirle al suo successore nell'episcopato, Giovanni di Gerusalemme (Museon, T. 40, p. 1-43, art. di W. J. Swaans, M. O.).



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 851-859

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    Predefinito re: 31 marzo 2013: Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo

    18 marzo 2013

    LUNEDÌ DELLA SETTIMANA DI PASSIONE

    La Stazione è a Roma, nella chiesa di S. Crisogono, il "titulus Chrysogoni" del 499, dove molto per tempo si venerò il Martire omonimo d'Aquileia, vittima della persecuzione di Diocleziano, nel 303. Il suo nome è inserito nel Canone della Messa.

    EPISTOLA (Gn 3,1-10). - In quei giorni: Il Signore parlò di nuovo a Giona profeta e gli disse: Alzati e recati di nuovo a Ninive, la grande città; e nella medesima predica tutto quello che ti dico io: Giona si mosse e andò a Ninive, secondo l'ordine del Signore. Or Ninive era una città grande, di tre giorni di cammino. Giona cominciò a penetrare in città, camminando per una giornata, e si mise a gridare e a dire: Ancora quaranta giorni, e Ninive sarà distrutta. I Niniviti credettero a Dio, e ordinarono il digiuno, e si vestirono di sacco, dal più grande al più piccolo. Giunta la cosa al re di Ninive, egli s'alzò dal suo trono, depose le sue vesti, indossò il sacco e si gettò sulla cenere. E fu pubblicato e posto in Ninive quest'ordine fatto dal re e dai suoi principi: Uomini e bestie, bovi e pecore, non tocchino niente, non vadano al pascolo, non bevano acqua. Si copran di sacco gli uomini e gli animali, e gridino con tutta forza al Signore; si converta ciascuno dalla sua cattiva vita e dalle sue opere malvagie. Chi sa che Dio non muti sentenza e ci perdoni; e, cessata l'ira sua furibonda, non ci faccia più perire? E Dio notò tutto quello che facevano, e come s'erano convertiti dalla loro cattiva vita; e il Signore Dio nostro ebbe compassione del suo popolo.

    Penitenza di Ninive.

    La santa Chiesa ci mostra oggi questo fatto per rianimarci di zelo nella via della penitenza. Una città data all'idolatria, una capitale superba e voluttuosa ha meritato il castigo della collera celeste. Dio sta per travolgerla sotto i colpi della sua vendetta; ancora quaranta giorni, e Ninive crollerà sui suoi abitanti. Ma che cosa è sopravvenuto? La minaccia del Signore non s'è più adempiuta, e Ninive è stata risparmiata. Un popolo infedele s'è ricordato di Dio, dopo averlo dimenticato; ha gridato al Signore, s'è umiliato, ha digiunato; e la Chiesa conchiude la narrazione del Profeta con le parole: "Ed il Signore Dio nostro ebbe compassione del suo popolo". Un popolo pagano era divenuto popolo del Signore, perché aveva sentito la voce del Profeta ed aveva fatto penitenza; Il Signore aveva stretto alleanza con una sola nazione; ma non disdegnava gli omaggi delle altre, che rinunciando ai loro idoli, confessavano il suo santo nome e dichiaravano di volerlo servire. Noi qui costatiamo l'efficacia della penitenza del corpo unite a quella del cuore capace di piegare lo sdegno celeste: quanto dobbiamo dunque apprezzare le pratiche che impone in questi giorni la Chiesa, e come dobbiamo riformare la falsa idea d'una spiritualità razionalista e rilassata che potrebbe essersi infiltrata in noi!

    Lezione di confidenza.

    Questa lettura era nello stesso tempo un motivo di speranza e di fiducia per i Catecumeni, prossimi all'iniziazione. Essi v'imparavano a conoscere la misericordia del Dio dei cristiani, le cui minacce sono così terribili, ma che non sa resistere al pentimento d'un cuore che rinuncia al peccato. Venuti dal paganesimo, da questa Ninive profana, imparavano da questo fatto che il Signore, anche prima d'inviare il suo Figliolo in questo mondo, voleva che tutti gli uomini fossero suo popolo; e pensando alle difficoltà che avevano dovuto vincere i loro padri per accogliere la grazia offerta loro, e perseverare in essa, benedicevano il Dio Salvatore, il quale, con la sua incarnazione, il suo sacrificio, i suoi Sacramenti e la sua Chiesa, ci ha messo così a portata di mano la salute, di cui egli è l'unica sorgente, sia per il mondo antico che per il nuovo. Anche i pubblici Penitenti attingevano da questa lettura un nuovo incoraggiamento a sperare nel perdono. Dio ebbe misericordia di Ninive, città peccatrice e condannata; si degnerà dunque gradire anche la loro penitenza, ed arresterà, in loro favore, il braccio della sua giustizia.

    VANGELO (Gv 7,32-39). - In quel tempo: I prìncipi e i farisei mandarono delle guardie a prendere Gesù. Allora Gesù disse loro: Ancora per poco tempo sono con voi, e vado da chi mi ha mandato. Mi cercherete e non mi troverete; e dove io sono non potete venire. Dicevano perciò tra di loro i Giudei: Dove mai andrà, che noi non lo troveremo? Andrà forse ai dispersi tra le nazioni, ad insegnare ai pagani? Che significa questo suo dire: Voi mi cercherete e non mi troverete e dove son io non potete venire? Poi nell'ultimo gran giorno della festa, Gesù, levatesi in piedi, disse ad alta voce: Chi ha sete venga a me e beva. Dal seno di chi crede in me, come dice la Scrittura, scaturiranno fiumi d'acqua viva. Diceva questo dello Spirito, che dovevano ricevere coloro che avrebbero creduto in lui.

    Timore dell'indurimento.

    I nemici del Salvatore non s'accontentarono di lanciar pietre contro di lui; oggi vogliono sottrargli la libertà, e mandano soldati ad impadronirsi di lui. In questa circostanza Gesù non crede opportuno fuggire; ma quale terribile parola pronuncia al loro indirizzo! "Vado da chi mi ha mandato; mi cercherete e non mi troverete, e dove io sono non potete venire". Dunque il peccatore che per tanto tempo ha abusato della grazia, può, in punizione della sua ingratitudine e del suo disprezzo, non ritrovare più il Salvatore, dal quale ha voluto distaccarsi. Umiliato dalla mano di Dio, Antioco pregò; ma non fu esaudito. Dopo la morte e la risurrezione di Gesù, mentre la Chiesa gettava le sue radici nel mondo; i Giudei crocifissori del Cristo andavano a cercare il Messia in tutti gl'impostori che allora si levavano nella Giudea causando le sommosse che portarono Gerusalemme alla rovina. Assediati d'ogni parte dalla spada dei Romani e dalle fiamme dell'incendio che divorava il tempio e le case, essi gridavano verso il cielo, supplicando il Dio dei loro padri a mandare, secondo la sua promessa, l'atteso liberatore; e neppure immaginavano che questo liberatore s'era già mostrato ai loro padri, anzi a molti di loro, che l'avevano ucciso, e che gli Apostoli avevano già portato il suo nome agli ultimi confini della terra. Attesero ancora, fino al momento in cui la città deicida s'abbatté su quelli che non furono passati dalla spada del vincitore; gli altri che sopravvissero furono condotti a Roma per ornare il trionfo di Tito. Se si fosse loro chiesto chi aspettavano, certamente avrebbero risposto che aspettavano il Messia. Vana attesa: il momento era passato. Temiamo che la minaccia del Salvatore non si compia in molti di coloro che lasceranno ancora passare la Pasqua senza convertirsi al Dio di misericordia; e preghiamo, intercediamo, affinché non cadano in mano alla giustizia, che non riuscirebbe più a piegare un loro tardivo ed assai imperfetto pentimento.

    L'acqua viva.

    Proseguendo nella narrazione evangelica, ci vengono suggeriti pensieri più confortanti. Anime fedeli ed anime penitenti, ascoltate; è a voi che parla Gesù: "Chi ha sete venga a me e beva". Ricordate la preghiera della povera Samaritana? "Signore, diceva, dammi sempre di quest'acqua". Quest'acqua è la grazia divina: attingete abbondantemente alle fonti del Salvatore predette dal Profeta (Is 12,3). Quest'acqua restituisce la purezza all'anima contaminata, la forza dell'anima debole, l'amore a chi si sente tiepido. Anzi il Salvatore aggiunge: "Dal seno di chi crede in me scaturiranno fiumi d'acqua viva", perché discenderà lo Spirito Santo, nel fedele, il quale potrà riversare sugli altri la grazia che ha ricevuto nella sua pienezza. Con quale santa gioia il Catecumeno sentiva leggere queste parole che gli promettevano che avrebbe potuto dissetarsi alla divina fonte! Il Salvatore ha voluto essere tutto per l'uomo rigenerato: la Luce che rischiara le sue tenebre, il Pane che lo nutre, la Vigna che gli offre il ceppo della vite, infine l'Acqua zampillante che ristora i suoi ardori.

    PREGHIAMO

    Concedi, o Signore, al tuo popolo la salute dell'anima e del corpo; affinché perseverando nelle buone opere, meriti di essere sempre difeso dalla tua protezione.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 644-647

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    Predefinito re: 31 marzo 2013: Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo

    19 MARZO 2013

    SAN GIUSEPPE,
    SPOSO DELLA SANTISSIMA VERGINE
    E PATRONO DELLA CHIESA UNIVERSALE, confessore



    Una dolce gioia ci viene a consolare nel cuore della Quaresima la cara presenza di Giuseppe, lo Sposo di Maria e il Padre putativo del Figlio di Dio.



    Il Protettore della verginità di Maria.

    Al Figlio di Dio che veniva sulla terra a rivestire l'umanità, occorreva una Madre, e questa Madre non poteva essere che la più pura delle Vergini, perché la sua divina maternità non doveva affatto alterarne l'incomparabile verginità. Ora, sino a quando il Figlio di Maria non fosse riconosciuto per il Figlio di Dio, l'onore della Madre esigeva un protettore: un uomo doveva essere destinato alla gloria di Sposo di Maria; e quest'uomo fu Giuseppe, il più casto degli uomini.



    Il Padre putativo di Gesù.

    La sua gloria non consiste soltanto nell'essere stato, scelto a proteggere la Madre del Verbo incarnato; egli doveva esercitare una paternità adottiva sullo stesso Figlio di Dio. I Giudei ritenevano Gesù figlio di Giuseppe. Nel tempio, alla presenza dei dottori della legge, che il divino adolescente aveva meravigliato con la sapienza delle risposte e delle domande, Maria rivolse così la parola a suo figlio: "Tuo padre ed io ti cercavamo ansiosi" (Lc 2,48); ed il santo Vangelo aggiunge che Gesù era soggetto a Giuseppe ed a Maria.



    Grandezza di san Giuseppe.

    Chi potrebbe concepire e degnamente narrare i sentimenti che riempivano il cuore di quell'uomo che il Vangelo ci descrive con una sola parola, chiamandolo l'uomo giusto? (Mt 1,19). Un affetto coniugale rivolto alla più santa e alla più perfetta delle creature di Dio; l'ambasciata celeste portata dall'Angelo che gli rivelò il frutto della salvezza che portava in seno la sua sposa e l'associava come unico testimone sulla terra all'opera divina dell'Incarnazione; le gioie di Betlem nell'assistere alla nascita del Bambino, nel colmare di onori la Vergine-Madre e nell'udire gli angelici concenti; quando vide arrivare presso il neonato i pastori, seguiti dai Magi; l'allarme che venne ad interrompere sì bruscamente tanta felicità, quando, nel cuore della notte, dovette fuggire in Egitto con il Fanciullo e la Madre; le asprezze dell'esilio, la povertà, la nudità, alle quali furono esposti il Dio nascosto del quale egli era il sostegno e la sposa verginale di cui ammirava sempre più la dignità; il ritorno a Nazaret, la vita umile e laboriosa che condusse in questa città, dove tante volte i suoi occhi inteneriti contemplarono il Creatore del mondo che s'univa a lui in un umile lavoro; finalmente, le delizie di questa esistenza senza pari, nella casa abbellita dalla presenza della Regina degli Angeli e santificata dalla maestà del Figlio eterno di Dio; mentre entrambi onoravano lui, Giuseppe, come capo della famiglia che univa intorno a lui coi vincoli più teneri il Verbo increato, Sapienza del Padre, e la Vergine, capolavoro senza confronti della potenza e della santità di Dio.



    Il primo Giuseppe.

    No, nessuno mai al mondo potrà comprendere le grandezze di Giuseppe. Per penetrarne la profondità, bisognerebbe abbracciare tutta l'estensione del mistero col quale la sua missione lo mise in rapporto quaggiù, quale strumento necessario. Non ci meravigliamo perciò che il Padre putativo del Figlio di Dio sia stato raffigurato nell'Antica Alleanza sotto le sembianze d'un Patriarca del popolo eletto. San Bernardo spiega molto bene tale relazione: "Il primo Giuseppe, egli dice, venduto dai fratelli, e per questo figura di Cristo, fu portato in Egitto; il nuovo, che sfugge alla gelosia d'Erode, porta Cristo in Egitto. Il primo Giuseppe, serbando fedeltà al suo padrone, rispettò la sposa di costui; il secondo, non meno casto, fu il custode della sua Sovrana, della Madre del suo Signore, e il testimone della sua verginità. Al primo fu data l'intelligenza dei segreti rivelati nei sogni; al secondo furono confidati gli stessi misteri del cielo. Il primo conservò le provviste del grano non per sé ma per tutto il popolo; il secondo ebbe in sua custodia il Pane vivo disceso dal cielo, per sé e per il mondo intero" (2.a Omelia sul Missus est).



    Morte di san Giuseppe.

    Una vita così meravigliosa non poteva terminare che con una morte altrettanto degna. Era giunta l'ora che Gesù doveva uscire dall'oscurità di Nazaret e manifestarsi al mondo. Ormai la sua celeste origine doveva ricevere la testimonianza delle opere: dunque il ministero di Giuseppe era terminato. Era tempo che lasciasse questo mondo, per andare ad attendere, nel riposo del seno d'Abramo, il giorno in cui le porte dei cieli si sarebbero spalancate ai giusti. Accanto al suo letto di morte vegliava il padrone della vita, che tante volte l'aveva chiamato col nome di Padre; la più pura delle vergini, la sua Sposa, ricevette il suo ultimo respiro. Assistito e circondato dal loro affetto, Giuseppe s'addormentò nel sonno della pace. Ora lo Sposo di Maria ed il Padre putativo di Gesù regna in cielo in una gloria senza dubbio inferiore a quella di Maria, ma ornato di prerogative che nessun altro possiede.



    Patrono della Chiesa.

    Di lassù egli spande, su coloro che lo invocano, il suo potente patrocinio. Ecco quanto dice, con linguaggio ispirato, la liturgia della Chiesa: "O Giuseppe, vanto dei celesti, speranza dei mortali, sostegno del mondo!" Quale grande potere in un uomo! Ma nessuno, come lui, ebbe sulla terra rapporti così intimi col Figlio di Dio. Gesù si degnò di essergli sottomesso e in cielo, ora, vuole glorificare colui al quale affidò, quaggiù, la sua infanzia e l'onore di sua Madre. Non ci sono limiti al potere di san Giuseppe e la Chiesa ci invita, oggi, a ricorrere, con molta fiducia, a questo potente protettore. Invochiamolo nelle terribili prove della vita ed egli ci proteggerà: nei pericoli dell'anima e del corpo, nelle prove e nelle crisi sia temporali che spirituali, abbiamo fiducia in lui e la nostra speranza non verrà ingannata. Diceva il Re d'Egitto al suo popolo affamato: "Andate da Giuseppe"; il Re del Cielo ci ripete quello stesso invito; e il fedele custode della Vergine Maria ha, presso Dio, assai più potere di quanto ne avesse, presso il Faraone, il sovraintendente ai granai di Menphis.

    La rivelazione di questo aiuto potente predisposto dall'eternità, è stata dapprima fatta conoscere da Dio a certe anime privilegiate alle quali venne affidata come un prezioso germe: precisamente come si verificò per la festa del Santissimo Sacramento, per la festa del Sacro Cuore e per altre ancora. Nel XVI secolo, santa Teresa, i cui scritti saranno in seguito conosciuti in tutto il mondo, ricevette una rivelazione divina a questo riguardo e ne parlò nella sua Vita.



    Santa Teresa e san Giuseppe.

    Ecco quanto dice: "Invoco san Giuseppe come patrono e protettore e non cesso di raccomandarmi a lui: il suo soccorso si manifesta in modo visibilissimo. Questo tenero protettore dell'anima mia, questo amabilissimo padre, si degnò di trarmi dallo stato in cui languiva il mio corpo e di liberarmi da pericoli assai più gravi che minacciavano il mio onore e la mia salvezza eterna. In più, mi ha esaudita sempre, più di quanto sperassi e di quanto chiedessi. Non ricordo di avergli chiesto qualcosa e che non me l'abbia accordato. Quale ampio quadro io potrei esporre, se mi fosse accordato di conoscere tutte le grazie di cui Iddio m'ha colmata e i pericoli, sia dell'anima che del corpo, da cui m'ha liberata per intercessione di questo amabilissimo Santo! L'Altissimo dona ai santi quelle grazie che servono per aiutarci in certe circostanze; il glorioso san Giuseppe - e lo dico per esperienza - estende il suo potere su tutto. Con questo, il Signore vuole mostrarci che, come un giorno fu sottomesso all'autorità di Giuseppe, suo padre putativo, così ancora in cielo, si degna di accettare la sua volontà, esaudendo i suoi desideri. Come me, l'hanno costatato per esperienza, quelle persone alle quali ho consigliato di raccomandarsi a questo incomparabile protettore; il numero delle anime che lo onorano cresce di giorno in giorno, e i felici successi della sua mediazione confermano la verità delle mie parole".

    Per soddisfare questi desideri e per venire incontro alla devo*zione del popolo cristiano, il 10 settembre 1847, Pio IX estese alla Chiesa universale la festa del Patrocinio di san Giuseppe che fino allora era celebrata soltanto dai Carmelitani e da qualche chiesa. In seguito, san Pio X aumentò il valore di questa festa, onorandola di una Ottava e Pio XII, volendo dare un particolare patrono a tutti gli operai del mondo, ha istituito una nuova festività da celebrarsi il 1° Maggio; per questo motivo, venne soppressa quella del secondo mercoledì dopo Pasqua, e la festa del 19 marzo ricorda san Giuseppe quale Sposo della Vergine e Patrono della Chiesa universale.



    MESSA

    Chiamato giusto dallo Spirito Santo, san Giuseppe è veramente, nelle sue virtù nascoste, il modello di tutti coloro che meritano, sulla terra, questo bel titolo.

    Così, la festa di questo giorno, non ha impedito alla Chiesa di trarre buona parte della Messa di oggi dal comune dei Confessori.



    INTROITO

    Il giusto fiorirà come un palmeto e si moltiplicherà come i cedri del Libano; egli è piantato nella casa di Dio, nella intimità della casa del nostro Dio.

    SAL. - È bello lodare il Signore, cantare inni al Tuo nome, o Altissimo! Gloria al Padre.

    Il giusto.



    La potenza presso Dio del Santo Sposo della Madre del Signore, è un punto fermissimo per la Chiesa. Lo dice chiaramente la preghiera della Colletta.



    COLLETTA

    Noi ti preghiamo, o Signore, affinché i meriti dello Sposo della tua santa Madre siano la nostra protezione e affinché quanto supera le nostre forze ci sia donato per sua intercessione.



    EPISTOLA (Eccli 45,1-6).

    Caro a Dio ed agli uomini, la cui memoria è in benedizione. Il Signore lo fece simile ai santi nella gloria, lo fece grande e terribile per i nemici e con le sue parole placò mostri orrendi. Lo glorificò nel cospetto dei re, gli diede i suoi ordini dinanzi al popolo, gli mostrò la sua gloria. Per la sua fedeltà e per la sua mansuetudine lo fece santo e lo elesse fra tutti i viventi. Infatti egli sentì lui e la sua voce, e fu fatto entrare nella nube. E rice*vette i precetti e la legge di vita e di scienza.



    Dignità di Mosè.

    Queste righe, nel libro dell'Ecclesiastico, celebrano l'elogio di Mosè, che fu eletto a confidente di Dio. Al cospetto dei re egli trasmetteva al popolo ordini celesti; la sua gloria uguagliò quella dei più illustri patriarchi e dei santi personaggi dei tempi dell'attesa. "Se c'è qualche profeta in mezzo a voi, diceva il Signore, io gli com*parirò in visione e gli parlerò nel sonno; ma tale non è la condizione del servo mio Mosè, il più fedele di tutta la mia casa: perché io gli parlo a tu per tu, ed egli vede il Signore faccia a faccia, non per enigma o sotto figure" (Nm 6,8).



    Dignità di san Giuseppe.

    Non meno caro a Dio e non meno benedetto dal popolo, Giuseppe non è soltanto l'amico di Dio (Es 33,11), l'intermediario fra il cielo ed una nazione privilegiata. Il sommo genitore gli comunica i diritti della sua paternità sul proprio Figlio; a questo Figlio, capo degli eletti, e non solamente al popolo egli trasmette gli ordini dall'alto. L'autorità che così esercita è uguale al suo amore; e non di passaggio o alla sfuggita egli vede il Signore (ivi 22): il Figlio di Dio lo chiama padre e si comporta da vero figlio; e riconosce nella sua obbedienza e nel suo affetto i tesori di dedizione riposti nel suo cuore mite e fedele. Quale gloria in cielo e quale potenza sulle creature, rispondente al potere ed alla santità di quaggiù, sono ora l'eredità di colui che, meglio di Mosè, penetrò i segreti della misteriosa nube e conobbe ogni bene! (ivi 33,19).

    Il Graduale e il Tratto completano l'Epistola nel cantare i pri*vilegi di quell'uomo che, più di ogni altro, giustifica il versetto del Salmo : nella sua casa vi sono gloria e ricchezze e la sua giustizia rimarrà per tutti i secoli.



    GRADUALE

    O Signore, tu l'hai colmato con la dolcezza delle tue benedizioni, hai posto sul suo capo una corona di pietre preziose.

    Egli ti ha chiesto la vita e tu gli hai dato dei giorni che non finiranno mai.



    TRATTO

    Felice l'uomo che terne il Signore e adopera la sua intelligenza per osservare i suoi ordini.

    La sua discendenza sarà forte su tutta la terra; la stirpe dei giusti sarà benedetta.

    Nella sua casa vi sono gloria e ricchezze e la sua giustizia rimarrà per tutti i secoli.



    VANGELO (Mt 1,18-21).

    Maria, madre di Gesù, essendo promessa sposa a Giuseppe, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, essendo giusto, e non volendo esporla all'infamia, pensò di rimandarla occultamente. Men*tre egli stava sopra pensiero per queste cose, un Angelo del Signore gli apparve in sogno e gli disse: Giuseppe, figlio di Davide non temere di prendere teco Maria, perché ciò che è nato in lei è dallo Spirito Santo. Partorirà un figlio cui porrai nome Gesù; poiché sarà lui che salverà il suo popolo dai peccati.



    La prova di Giuseppe.

    Dio impose allo Sposo di Maria una prova ben dura. Giuseppe - e lo sperimentarono i santi - sarebbe stato per i suoi devoti la guida incomparabile della vita spirituale; e per questo doveva provare l'angoscia, crogiolo necessario nel quale si perfeziona ogni santità. Ma la Saggezza non abbandona coloro che camminano sulla sua strada. Come canta la Chiesa in questo stesso giorno, la Sapienza lo conduceva per le diritte vie senza che egli ne avesse coscienza, e nella notte in cui i suoi pensieri cercavano a fatica di aprirsi una via verso la giustizia, gli mostrò la sua luce divina; egli godeva la conoscenza dei celesti segreti; in cambio dei patimenti del suo cuore, poteva vedere il posto che gli riservava l'imperscrutabile disegno della Provvidenza nel regno di Dio, i cui splendori dovevano irradiarsi per sempre dalla sua dimora in tutto il mondo. Veramente poteva dire che la divina Sapienza aveva oltremodo nobilitato il suo lavoro e fecondate le sue pene. Così ella suole dare ai giusti il premio delle loro fatiche e li guida per vie ammirabili.

    L'offertorio ricorda la grandezza delle largizioni divine che hanno innalzato, al di sopra dei re suoi antenati, l'umile artigiano di Nazaret.



    OFFERTORIO

    La mia fedeltà e la mia misericordia sono con lui; e la sua potenza, sarà esaltata dal mio nome.



    Affidiamo con la Chiesa, attraverso la preghiera della Segreta, al felice custode del Dio-Fanciullo, i doni che il Signore ha affidati alla nostra anima; egli nutrirà Gesù dentro di noi e formerà in noi l'uomo perfetto come già lo formò in sé diciannove secoli fa.



    SEGRETA

    Accogli, o Signore, l'espressione della nostra gratitudine mentre umil*mente ti supplichiamo di proteggere in noi i tuoi doni; te lo chiediamo in nome, del felice Giuseppe, sposo della Madre del tuo figlio Gesù, Nostro Signore, in questo giorno della sua festa nella quale ti presentiamo l'omaggio della nostra lode. Per lo stesso Gesù Cristo nostro Signore.



    Oggi la Chiesa sostituisce il Prefazio ordinario della Quaresima con un altro Prefazio, e in esso, alla gioia e alla riconoscenza, unisce il ricordo del Santo Sposo della Vergine Maria, Madre di Dio. Questo Prefazio si recita in tutte le feste di san Giuseppe ed è stato introdotto nel Messale romano da Papa Benedetto XV.



    PREFAZIO

    È veramente degno, giusto, equo e salutare che noi ti ringraziamo sempre e dovunque, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Dio eterno, e che nella festa del beato Giuseppe Ti magnifichiamo con le dovute lodi, Ti benediciamo e celebriamo. Egli, uomo giusto, fu da te dato come sposo alla Vergine Madre di Dio; e servo fedele e prudente fu messo a capo della Tua famiglia affinché, qual padre, custodisse il Tuo Unigenito, concepito per opera dello Spirito Santo, Gesù Cristo, Nostro Signore. Per lui, gli Angeli esaltano la Tua Maestà, le Dominazioni la adorano, le Potestà si prostrano tremanti. I Cieli e le Virtù dei cieli e i Serafini si associano a celebrarla con comune esultanza. Ti preghiamo affinché alle loro voci siano unite pure le nostre nel dire, con lode supplichevole, Santo! Santo! Santo!



    Il Communio ricorda il messaggio con cui l'Angelo annunzio a Giuseppe che Dio stesso era sceso in Maria; e la comunione non avvicina forse il destino della Chiesa a quello della Vergine Madre?



    COMMUNIO

    Giuseppe, figlio di Davide, non avere timore di prendere con te Maria come tua sposa; quanto è nato in essa è per onera dello Spirito Santo.



    Il Postcommunio riporta il pensiero della Segreta: preghiamo Iddio, affinché si degni di affidare i suoi doni e Gesù stesso che ora abbiamo ricevuto, alla custodia fedele di san Giuseppe,

    POSTCOMMUNIO

    Accetta la nostra preghiera, o Dio misericordioso, e degnati di custodire in noi i tuoi doni, per l'intercessione del beato Giuseppe.



    Preghiera di lode a san Giuseppe.

    Padre e protettore dei fedeli, glorioso Giuseppe, noi ringraziamo la nostra santa Madre Chiesa che, in questa agonia del mondo, ci ha insegnato ad avere speranza in te. Sono passati molti secoli prima che le tue grandezze fossero conosciute; e tu non sei soltanto un potente, intercessore in ciclo in favore del genere umano. Capo di quella Sacra Famiglia di cui è membro Dio stesso, tu continui la tua paterna intercessione in nostro favore. La tua protezione nascosta ebbe gran peso nella salvezza dei popoli e degli uomini, e il mondo approvava il tuo patrocinio senza aver ancora istituito, per riconoscerlo, quell'omaggio che oggi ti attribuisce. La conoscenza completa della tua grandezza e della tua potenza, la proclamazione del tuo Patrocinio e della tua solenne Protezione, è stata riservata a questo tempo infelice nel quale il mondo, all'estremo delle sue forze, abbisogna di aiuti che non sono ancora stati accordati alle epoche che ci hanno preceduti. Ci prostriamo ai tuoi piedi, o Giuseppe, per rendere omaggio, in te, ad una forza d'intercessione che non ha limiti, a una bontà che abbraccia, con una stessa adozione, tutti i fratelli di Gesù.

    Le nostre necessità non ti sono sconosciute e i più umili figli della Chiesa vogliono ricorrere a te, giorno e notte, sicuri di ricevere l'aiuto di un padre tenero e compassionevole. Non lo dimenticheremo, o Giuseppe, e per le necessità dell'anima ricorreremo a te. Ti chiederemo di aiutarci a conseguire quelle virtù che Dio desidera siano nella nostra anima, ti invocheremo nelle lotte contro il Maligno, nei sacrifici che così spesso dobbiamo sostenere. Rendici degni d'essere chiamati tuoi figli, o padre dei fedeli! Il tuo grande potere, però, non riguarda soltanto la vita futura; l'esperienza di ogni giorno dice quanto sei potente anche per le cose del tempo, quando i nostri desideri non sono contrari ai disegni di Dio. Quindi, osiamo deporre nelle tue mani, gli interessi di questa nostra vita, le nostre speranze, i nostri voti, e i nostri timori. Un giorno ti fu affidata la cura della casa di Nazaret e degnati quindi, ora, di essere il consiglio e il soccorso di quanti affidano a te le loro preoccupazioni temporali.

    Tu sei stato il Capo della Sacra Famiglia e oggi la famiglia cristiana è sotto la tua protezione: veglia su di essa in questi tempi difficili. Rispondi a quanti si rivolgono a te in quel momento difficile, quando si tratta di trovare la forza per lasciare questa vita e per preparare la via a un'altra migliore. Mantieni tra gli sposi la mutua dignità e il mutuo rispetto, salvaguardia dell'onore del matrimonio, e concedi loro la fecondità, simbolo delle benedizioni del ciclo. Fa' in modo che i cristiani abbiano in orrore quelle pratiche che disonorano quanto vi è di più santo, attirano la maledizione di Dio sui discendenti e rovinano la società, materialmente e moralmente. Dissipa i pregiudizi tanto colpevoli quanto disonorevoli, rimetti in onore la continenza che gli sposi cristiani devono stimare e alla quale devono talvolta sottomettersi, se non vogliono ridursi al rango di quei pagani di cui parlava l'Apostolo, quelli "che seguono soltanto l'istinto perché non conoscono Dio".

    Ancora una preghiera, glorioso san Giuseppe. Esiste, nella nostra vita, un momento da cui dipende tutta l'eternità: il momento della morte. Quando pensiamo che la bontà divina ne ha fatto oggetto del tuo potere sovrano, noi siamo portati a guardare quell'istante con meno inquietudine. Ti è stato affidato il misericordioso compito di facilitare, al cristiano che ricorre a te, il passaggio dal tempo all'eternità. Dobbiamo rivolgerci a te per assicurarci una buona morte. Ed è giusto che sia tua questa prerogativa, perché tu sei morto tra le braccia di Gesù e Maria, ammirazione per il cielo e sublime spettacolo per la terra. Sii dunque tu, il nostro soccorso, in quel solenne e ultimo istante della nostra vita terrena. Noi abbiamo fiducia in Maria e ogni giorno la preghiamo affinché ci sia propizia in quell'ora suprema, ma noi sappiamo che Maria è felice della confidenza che noi abbiamo in te e che lei è presente là ove ci sei tu. Resi fiduciosi dalla speranza nella tua paterna bontà, noi aspetteremo con calma quell'ora decisiva, perché sappiamo che tu ci aiuterai se ti avremo invocato.



    PREGHIAMO

    Ci venga in aiuto, o Signore, lo Sposo della tua SS. Madre, affinché ciò che non possiamo ottenere da soli, ci sia concesso per i suoi meriti.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 859-868

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    Predefinito re: 31 marzo 2013: Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo

    19 marzo 2013: MARTEDÌ DELLA SETTIMANA DI PASSIONE



    A Roma una volta la Stazione era nella chiesa del santo Martire Ciriaco, come è tuttora segnato nel Messale Romano; ma siccome questo antico tempio fu distrutto, ed il corpo del santo diacono fu trasferito da Alessandro VII (1655-1667) nella chiesa di S. Maria in Via lata, presentemente la Stazione ha luogo in quest'ultima.

    lettura (Dn 14,27-42). - In quei giorni: Si radunarono i Babilonesi contro il re e gli dissero: Dacci nelle mani Daniele che ha distrutto Bel e ha ucciso il dragone, altrimenti uccideremo te e la tua famiglia. Quando il re vide che lo assalivano con la violenza, costretto dalla necessità, abbandonò loro Daniele. Ed essi lo gettarono nella fossa dei leoni, ove stette sei giorni. Nella fossa c'eran sette leoni ai quali davano ogni giorno due corpi e due pecore, che allora non furon date, affinché divorassero Daniele. V'era allora in Giudea il profeta Abacuc, il quale, cotto il companatico e fatte delle stiacciate in una teglia, andava al campo a portarle ai mietitori. L'Angelo del Signore disse ad Abacuc: Porta il desinare che hai, in Babilonia a Daniele, che è nella fossa dei leoni. Abacuc disse: Signore, io non ho visto Babilonia, e non conosco la fossa. Allora l'Angelo del Signore lo prese alla cima del capo, pei capelli della testa, e con la celerità dello spirito lo portò e lo posò a Babilonia sopra la fossa. Abacuc alzò la voce e disse: Daniele, servo di Dio, prendi il desinare che Dio t'ha mandato. Daniele esclamò: O Signore, ti sei ricordato di me, e non hai abbandonato chi ti ama. Poi Daniele s'alzò e mangiò, e l'Angelo del Signore subito riportò Abacuc al suo luogo. Il settimo giorno il re andò per piangere Daniele. Arrivato alla fosse vi guardò dentro, e vide Daniele a sedere in mezzo ai leoni. Allora il re gridò ad alta voce ed esclamò: Tu sei grande, o Signore Dio di Daniele! E lo trasse fuori dalla fossa dei leoni. Poi fece gettar nella fossa tutti quelli che l'avevan voluto perdere, e questi in un momento furon divorati alla sua presenza. Allora il re disse: Gli abitanti di tutta la terra temano il Dio di Daniele, perché egli è colui che salva e fa segni e prodigi Sulla terra, e ha liberato Daniele dalla fossa dei leoni.

    Daniele modello dei Catecumeni.

    Questa lettura era destinata in modo speciale ai Catecumeni, che si preparavano ad iscriversi nella milizia cristiana; e perciò conveniva mettere sotto ai loro occhi gli esempi che dovevano studiare e mettere in pratica durante la loro vita. Daniele dato in pasto ai leoni per aver disprezzato e distrutto l'idolo di Bel, era il tipo del Martire. Aveva confessato il vero Dio in Babilonia, ucciso il dragone figura di Satana, al quale il popolo idolatra, dopo la distruzione di Bel, aveva rivolto i suoi onori superstiziosi; solo la morte del Profeta poteva calmare i pagani. Pieno di confidenza in Dio, Daniele si lasciò calare nella fossa dei leoni, dando così alle età cristiane l'esempio di quel coraggioso sacrificio che per ben tre secoli doveva portare la consacrazione del sangue per il consolidamento della Chiesa. La figura di questo profeta, attorniato da leoni, s'incontra ad ogni passo nelle Catacombe romane; e la maggior parte delle pitture che lo rappresentano risale ai tempi delle persecuzioni. In tal modo i Catecumeni potevano contemplare con gli occhi ciò che con le loro orecchie sentivano leggere; tutto parlava loro di prove e di sacrifici. La storia di Daniele mostrava sì, la potenza di Dio che interviene a strappare una preda innocente gettata in pasto ai leoni; ma i candidati al Battesimo sapevano in anticipo che la liberazione cui dovevano mirare non sarebbe loro stata accordata, se non dopo aver reso testimonianza col sangue. Di quando in quando si ripetevano prodigi perfino nelle arene; talvolta si videro leopardi lambire i piedi dei Martiri e frenare la loro voracità alla presenza dei servi di Dio; ma questi miracoli altro non facevano che sospendere l'immolazione delle vittime e suscitare degli imitatori.

    Lotta contro il mondo.

    Non il coraggio di Daniele, né la sua vittoria sui leoni, proponeva la Chiesa all'attenzione dei Catecumeni; ciò che importava per loro era l'avere impresso d'ora innanzi nella memoria il detto del Salvatore: "Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima: temete piuttosto colui che può mandare in perdizione e l'anima e il corpo nell'inferno" (Mt 10,28). Noi siamo i discendenti di quelle prime generazioni della Chiesa; ma non abbiamo guadagnato allo stesso prezzo il privilegio d'essere cristiani. Non in faccia ai proconsoli abbiamo da confessare Gesù Cristo, ma in faccia a quell'altro tiranno ch'è il mondo. Che l'esempio dei Martiri dunque, ci fortifichi in questi giorni per la lotta che dovremo ancora sostenere contro le sue massime, le sue pompe, le sue opere. In questo tempo di raccoglimento e di penitenza v'è una specie di tregua fra lui e noi; ma non tarderà il momento che ci toccherà d'affrontarlo e mostrarci cristiani.

    VANGELO (Gv 7,1-13). - In quel tempo: Gesù andava per la Galilea, non volendo andare nella Giudea, perché i Giudei cercavano di farlo morire. Ed era imminente la festa dei Giudei, detta dei Tabernacoli. Gli dissero pertanto i suoi fratelli: Partiti di qua e vattene in Giudea, affinché anche quei discepoli tuoi vedano le opere da te fatte; che certo nessuno il quale cerchi di essere acclamato in pubblico fa di nascosto le opere sue: e se fai tali cose, fatti conoscere al mondo. Ora nemmeno i suoi fratelli credevano in lui. Ma Gesù disse loro: Non è ancora arrivato il mio tempo; ma il vostro è sempre pronto. Il mondo non può odiarvi, ma odia me, perché faccio vedere che le sue opere sono malvagie. Andate voi a questa festa, io non ci vengo, perché non è ancora compiuto il mio tempo. Ciò detto si trattenne in Galilea. Ma partiti i suoi fratelli, andò alla festa anche lui, non pubblicamente, ma quasi di nascosto. I Giudei intanto lo cercavano nel giorno della festa e dicevano: Lui dov'è? E un grande sussurro si faceva di lui tra la gente. Chi diceva: È buono; chi: No, anzi, travia il popolo. Ma nessuno parlava pubblicamente di lui per timore dei Giudei.

    L'umiltà dell'Uomo-Dio.

    I fatti narrati in questo brano del santo Vangelo si riferiscono ad un'epoca un po' anteriore della vita di Gesù; ma la Chiesa ce li presenta oggi, per la relazione ch'essi hanno con quelli che abbiamo letti giorni fa. In esso notiamo che non solo all'avvicinarsi della Pasqua, ma fin dal tempo della festa dei Tabernacoli, in settembre, il rancore dei Giudei contro Gesù cospirava già la sua morte. Il Figlio di Dio era, così, costretto a viaggiare segretamente, e per recarsi sicuro a Gerusalemme, doveva prendere delle precauzioni.

    Adoriamo i diversi abbassamenti dell'Uomo Dio, che volle santificare tutte le congiunture, anche quella del giusto perseguitato e costretto a nascondersi agli sguardi dei nemici. Non gli sarebbe stato difficile abbagliare gli occhi dei suoi avversari con degl'inutili miracoli, come quelli che pretendeva Erode, e così forzare il loro culto e la loro ammirazione. Ma Dio non volle procedere così; non costringe, fa tutto palesemente davanti agli uomini; e se questi intendono riconoscere l'opera di Dio, si devono raccogliere, umiliare e far tacere le loro passioni. Soltanto allora si manifesta all'anima la luce di Dio: quest'anima ha visto abbastanza, ora crede e vuoi credere; la sua felicità, come il suo merito sta nella fede, ed ha la possibilità di attendere la manifestazione dell'eternità.

    La carne ed il sangue non la pensano così, perché questi amano il chiasso e lo splendore. Ma il Figlio di Dio, venendo sulla terra, non doveva abbassarsi per far mostra del suo potere infinito agli uomini: doveva sì, operare dei prodigi, per provare la sua missione; ma, come Figlio dell'Uomo, non tutto doveva essere un prodigio in lui. Gran parte della sua esistenza era riservata agli umili servigi della creatura; altrimenti, come poteva insegnare a noi col suo esempio ciò che avevamo tanto bisogno d'apprendere? I suoi fratelli (è noto come i Giudei davano il nome di fratelli a tutti i parenti in linea collaterale) avrebbero voluto aver parte nella stima popolare che desideravano per Gesù; e così gli diedero occasioni di pronunciare una parola che dobbiamo meditare in questo santo tempo, per ricordarcene più tardi: "Il mondo non può odiarvi, ma odia me". Guardiamoci dunque dal piacere al mondo, perché la sua amicizia ci separerebbe da Gesù Cristo.

    PREGHIAMO

    Concedi, o Signore, un perseverante servizio sotto la tua volontà; affinché ai nostri giorni il popolo a tè fedele cresca in merito e in numero.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 647-650

 

 
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