GIANNINO, ZINGALES E IL DECLINO DI QUELLI DEL “FARE”
DI LEONARDO FACCO
Nella vicenda del falso master e delle mitologiche lauree di Oscar Giannino, c’è un punto in merito al quale molti animatori di FID (delusi o meno, e pubblico solo ora che il voto è acqua passata), ma pure molti spettatori non militanti, si son posti la seguente domanda: “Perché Zingales lo ha fatto? Chi c’è dietro di lui”? Questione legittima, anzi più che legittima, specialmente ora che in quel partito si è arrivati al redde rationem e per la dietrologia a prescindere. Proverò a dare una mia personale risposta.
Intanto, c’è una premessa da apporre ad ogni ragionamento: trovo imbarazzante che si sia cercato, e si cerchi, di minimizzare il misfatto di cui il noto giornalista è apparso come la star indiscussa, addossando la maggior parte della colpa al comportamento del professore che insegna a Chicago. Giannino, cari miei, mentiva sapendo di mentire! Patologicamente. Detto ciò, appare assai ridicola anche l’affermazione di Zingales, quando – il giorno successivo alla bomba che ha tirato addosso al partito di cui è fondatore – ha affermato che “non voleva che le sue parole venissero strumentalizzate”.
Tutta questa vicenda – e ve lo dice uno che per questioni professionali ha frequentato un certo mondoaccademico italiano – non la si può interpretare dimenticando come funziona l’Università di questo paese alla deriva e come si comportano le “primedonne” italiche che assurgono al ruolo di “professori ordinari” (non ho certezza che si dica ancora così, date le riforme inutili dei vari ministri di turno), che in gran parte dei casi si atteggiano a élite per “diritto di Stato”, avendo inoculato nel loro dna il morbo del “baronato”. Entrando nel dettaglio, mi permetto di mutuare le parole di un amico (che di Accademia ne sa parecchio) per approfondire il mio ragionamento in maniera schematica.
1- Ho l’impressione che Zingales stesse solo aspettando un’occasione per staccarsi da un movimento che probabilmente non lo avrebbe portato da nessuna parte (non v’è mai stata certezza del raggiungimento del quorum per accedere in parlamento) e che gli avrebbe impedito, anzi, di proporsi ad altri come esperto e uomo di governo (o di sottogoverno), o peggio ancora di perdere qualche poltrona in qualche Cda prestigioso che già occupava. E’ una caratteristica, vezzo tipico meglio, del “vanesio cattedratico” in cerca perenne di posti di potere (quanto rimpiango professori come Ricossa). Mica solo Giannino appartiene alla categoria dei “vanagloriosi”.
2- Se Giannino è “bugiardo e disonesto”, mi ha stupito che Zingales se ne sia accorto solo pochi giorni prima del voto (indignandosi persino). Da almeno un quinquennio i suoi millantati crediti circolavano ovunque. In fin dei conti, uno che si propone come leader (e Zingales sicuramente si considera un leader), non può incoraggiare mezzo mondo a votare un movimento capeggiato da un “bugiardo e disonesto”, chiedere scusa per non aver saputo valutare l’uomo e continuare a pontificare come se nulla fosse. Il fatto – noto tra gli addetti ai lavori, meno tra i più – è che tra “professori” si odiano, si sparlano alle spalle in continuazione, si guardano in cagnesco e Zingales (che vanta master veri) probabilmente cominciava ad averne piene le scatole di vedere un “saltimbanco” crescere in popolarità spacciandosi per quello che non era (anche se preparatissimo), ovvero invadendo il campo altrui, quello accademico. Han litigato di brutto fra loro prima? Non credo proprio (discusso della vicenda sì, e non solo tra loro due), dato che Giannino – che peraltro come economista è anche meglio di Boldrin) -, dopo l’uscita spericolata del suo mentore, lo ha comunque definito “un uomo di grande statura”.
3- Se uno crede nelle idee e nel programma di FARE (dove in queste ore stanno volando gli stracci) e il suo “capo” si macchia d’infamia, si sfiducia il “capo”, e ci si dimette solo se gli organi del partito/movimento dicono che il “capo” ha fatto bene, o che le bugie si possono dire, o altre corbellerie simili. Insomma, non ci si dimette solo perché uno ha tradito la fiducia, se non nei partiti dittatoriali. Ma non mi pare che Zingales si sia mai lamentato del fatto che FARE fosse un “one-man show” o il giocattolo di un rassemblement di “menti elette” e/o in carriera.
4- La scelta di tempo di Zingales, nell’esternare la sua presa di distanza dal leader di FID, è certamente sospetta. Avrebbe potuto allontanarsi “per motivi personali” e poi spiegare dopo le elezioni. E’ lampante che la sua uscita era intesa a danneggiare Giannino in modo pesante (ma anche chi in questi anni ha portato il pirotecnico Oscar su un piatto d’argento) e, conseguentemente, il movimento. Ergo, e qui vengo alla domanda che moltissimi in Rete si son posti e continuano a porsi: Zingales lo ha fatto per conto di chi?
Non credo nel complottismo. Secondo me non lo ha fatto su ordine esplicito di un qualche amico politico. Non credo per nulla, anzi la ritengo una scusa puerile, lo abbia fatto su richiesta di Berlusconi (che sicuramente ha tratto vantaggio da quanto accaduto, lo dimostrano le Prime pagine dei giornali diretti da Sallusti e da Belpietro, sui quale va solo steso un velo pietoso). Se proprio il “Chicago-prof” ha delle amicizie quelle stanno a sinistra, essendo stato lui un consigliere di Matteo Renzi fino all’altro ieri, quel Renzi a cui i “declinati” hanno steso tappeti rossi e inneggiato come fosse l’icona della salvezza del “liberalismo” italiano. A tal proposito, ho un mio punto di vista da aggiungere: la sconfitta del sindaco di Firenze alle primarie del PD, ha rovinato i piani dei fondatori di FID, che si sarebbero accomodati volentieri alla corte del pulzello toscano, con o senza un partitino d’appoggio, con la certezza che il signor Montezemolo li avrebbe sostenuti. La disfatta di Renzi, ha fatto saltare i giochini, costringendoli a fare da sé, ad appoggiarsi all’uomo con più immagine e carisma che avevano, a presentarsi da soli con un decalogo di proposte liberal (socialdemocratiche) che se presentate da un ex comunista sarebbero, però, state bollate come liberiste.
Per dare, ad ogni buon conto, una risposta al “cui prodest” il fattaccio che ha estromesso l’Oscar candidato premier dai giochi (almeno per ora), è necessario ricordare un secondo punto che sta a monte del rapporto fra Zingales, Giannino e il gruppuscolo dei fondatori di FID, che è comunque utile per comprendere meglio la vicenda di cui stiamo discutendo.
Durante l’assemblea di “Forza Evasori”, lo scorso gennaio a Bologna, ho espresso con forza un mio punto di vista: “Trovo indecoroso – ho sostenuto – che i liberisti italiani siano sempre alla ricerca della legittimazione a sinistra per potersi definire autorevoli”. Per dirla con Ezra Pound “Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui”. Ora, i fondatori di FID (stendo un velo pietoso su altri personaggi e/o candidati che casualmente ho incontrato in discussione sul web, gente che si scagliava contro le multinazionali, altri contro il profitto ed altri ancora che volevano la morte di chi semina biotech, ecc. ecc.) sono una Comune di personaggi della rive gauche dello statalismo nostrano, tanto snobista, peraltro, da far risultare simpatici persino i più noti radical-chic tricoloriti. Dal nazionalizzatore di banche Michele Boldrin alla compagnia di “NoisefromAmerika” siamo di fronte ad un coacervo di costruttivisti ed adulatori del “perbenismo comune” (con l’aggravante del moralismo). Zingales è quello che spiega il capitalismo snaturandolo. Infine, c’è la componente dell’Istituto Bruno Leoni (e qui un po’ il cuore mi sanguina), che sostiene Giannino da una vita, che con lui, e per lui, ha messo in piedi il “Chicago-blog”.
Sarà che non vengo dalla montagna con la piena, ma fatico a credere, pignolo, preparato e preciso come è Alberto Mingardi (salvo che qualche suo stretto collaboratore, con le mani in pasta dentro FID, lo abbia tenuto allo scuro), che le minchionate inserite nel curriculum vitae “versione di Oscar”, ospitato sul loro sito sino ad un secondo prima del precipitare degli eventi, non le conoscesse. Del resto, ci sono le evidenze che mostrano che tra i “padri fondatori” fiddini la cosa era risaputa prima che Zingales la denunciasse pubblicamente, come ha riportato il Velino. Oppure, come scritto l’Huffington Post online: “I fondatori sapevano tutto a proposito dei titoli di Oscar e hanno taciuto fino alla bomba a orologeria”. Oppure ancora come detto da Boldrin su Facebook nel tentativo di smentire quanto scritto dal giornale diretto dalla Annunziata e citando i suoi ex-compagni: “O assoluti incompetenti o sapevano ed hanno taciuto”. A ciò, si aggiungano altre perplessità e domande che qualcuno, tra le persone più vicine all’IBL, aveva posto a chi di dovere, come ho avuto modo di verificare personalmente, che si sommano ad altre mie fonti. Tanto basta per capire perchè il professor Boldrin (altra star dell’Accademia di genìa italiana), notoriamente un “mediatore moderato”, ha sbattuto la porta in faccia al partito con queste parole: “Mi vergogno di aver fondato un movimento e di avergli regalato le mie idee, oltre a sei mesi della mia vita. Addio. E’ ora di fare dell’altro”. E a seguire: “Qualcuno ha appena raccontato bugie provabili tali. Si aprono le scommesse su chi siano stati”.
L’Istituto Bruno Leoni (di cui sono uno dei firmatari della fondazione, quando ancora era un’associazione che muoveva i primi passi), è nato con le migliori intenzioni coerentemente liberali ed ancora oggi – per molti versi – è protagonista di ottime pubblicazioni, studi seri e convegni interessanti. Sarebbe ridicolo negarlo. Sarebbe assurdo non elogiare le doti del suo direttore generale. Anzi sarebbe fare un torto alla verità. Col tempo, però, ha assunto le vesti di un Giano bifronte all’italiana: da un lato, cercando di accreditarsi come punto di riferimento del liberismo, dall’altro nicchiando ormai da anni con la “peggio gioventù” del comunismo nostrano. Quando personalità tipo Franco Debenedetti, lo stesso Zingales ovviamente, Linda Lanzillotta, Chicco Testa, Massimo D’Alema, Nicola Rossi (diventato addirittura presidente dell’IBL) assurgono a stelle polari di un Istituto che si dice liberista (ho citato a memoria alcuni dei nomi più in vista) c’è qualcosa che non quadra, c’è quel che io ho definito più sopra come il “tentativo di farsi legittimare da quelli che detengono il potere vero” (come se per avere autorevolezza sia per forza necessario avere potere, mah…), sperando di accreditarsi come élite di fronte ai “papaveroni” rossi, finendo magari accidentalmente in qualche bella Authority o in qualche ente parastatale. Tutto legittimo, ci mancherebbe, basterebbe dirlo chiaramente. Tornando, ancora, alla questione di “quelli che detengono il potere vero” – vale a dire quelli che frequenta e ha sempre frequentato mister “Zingales Booth” – non c’è da meravigliarsi se i “papaveroni”, ad un certo punto del cammino, ti infinocchiano (come ha fatto Montezemolo, con cui FID era certa di allearsi da subito viste le aderenze con Nicola Rossi) e ti fanno capire chi è che tiene il coltello per il manico in questo paese.
Giungo, finalmente, alla mia personalissima risposta sul “cui prodest”: Zingales lo ha fatto perché andava fatto per togliersi dalle palle un partitino fastidioso e arrogante (il riferimento è alla dirigenza), che alle elezioni avrebbe solo potuto molestare i signori del vapore. Andava fatto anche per salvaguardare il suo “status quo” di intellettuale organico. Giannino, in preda ad un delirio da leadership (dopo la storia dello Zecchino d’Oro non ha alcuna scusante), ha alzato la cresta, è entrato nel regno di Mordor a rotta di collo, ma Sauron ha rimesso le cose al loro posto, facendo finire nella polvere lui e il progettino furbo-liberista di cui FID (il mio riferimento è sempre alla dirigenza) voleva essere l’unico depositario. In poche parole: Giannino è stato smascherato ed è stato compromesso l’ottimo lavoro di molti iscritti al partito (il resto lo han fatto i magri risultati usciti dalle urne).
In tutta questa storia, il problema non sono i titoli di studio o meno che uno può avere (la preparazione è altra cosa, indipendente da quelli), anche se la figuraccia che ha fatto Giannino, che propugnava nel suo programma l’abolizione del valore legale del titolo di studio, è doppia. Il problema è essere millantatori di professione, è il raccontare balle credendoci, sapendo di raccontarle e raggirando migliaia di persone (la storia che la colpa è dei curricola che giravano in rete è una barzelletta). Il problema è, infine, aver coperto Giannino fin quando si è potuto e poi – anche se elegantemente – prenderne le distanze silurandolo dalla presidenza del partito. Queste sono caratteristiche di chi fa il politico, di quel politico che ho imparato a disprezzare proprio grazie alla conoscenza del libertarismo più ortodosso, oggi tradito da gianninesche figure in fregola per le elezioni. Lord Acton sosteneva che il potere tende a corrompere? Troppo buono. In Italia, basta il profumo del potere per corrompere, tradire gli ideali, le idee migliori e finanche gli amici.
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