Archeo-finanza: Il dramma occupazionale.
Il dramma occupazionale.
L'istat ha aggiornato i suoi dati sulla disoccupazione e l'occupazione Istat.it - Occupati e disoccupati (mensili)
Il tasso di disoccupazione a gennaio si attesta all'11.7% e il numero di lavoratori senza lavoro sfiora i tre milioni .
I numeri sono in crescita rispetto ai dati precedenti . Particolarmente rilevante il dato della disoccupazione giovanile che sfiora il 40% .
I dati citati sono drammatici e rappresentano nella pienezza il fallimento da un lato della politica economica governativa che ha attuato un poderoso rientro di bilancio col mezzo peggiore possibile ( l'aggravio fiscale ) e senza accompagnamento monetario adeguato .
A questo si aggiunge dall'altro la mancanza totale di adeguamento del mercato del lavoro con norme in grado di contrastare il peggioramento della dinamica occupazionale .
Di questo ne avevamo già scritto qui Archeo-finanza: Sul tasso di disoccupazione.
Visto che il discorso fatto in precedenza non è minimamente cambiato , vediamo di ripetere qualche concetto cercando di capire quindi cosa sta succedendo e cosa andrebbe fatto .
Innanzitutto partiamo dalla teoria . Nella fattispecie la teoria neoclassica . E visto che a dare lavoro sono le imprese , guarderemo in via preliminare la curva di domanda di lavoro di una impresa .
Tenendo sempre a mente che una impresa cerca costantemente di minimizzare i costi di produzione per massimizzare i profitti , dato un livello di produzione , con una data dotazione di capitale e di dotazione tecnica , le imprese utilizzeranno un numero di lavoratori tali da minimizzare la curva di costo totale , che se ipotizziamo essere composta da lavoro L e capitale K è data da
Tc=rK+wL con K=capitale , L=lavoro , r=costo capitale , w=costo lavoro
La formula per i profitti da massimizzare è invece questa :
Pf=(Q*p)-Tc con Pf=profitto ; Q=quantità prodotta ; p=prezzo vendita ; Tc=costi totali
Abbiamo quindi varie componenti : livello della produzione , capitale e dotazione tecnica e quindi produttività , infine il costo del lavoro e del capitale.
Ma cosa ci dicono le due equazioni ? Noi abbiamo dato la produzione , ovvero la quantità prodotta come costante. Ma se la produzione scende , anche i costi devono scendere .
Infatti richiamando quanto detto all'inizio sul fatto che le imprese cercheranno sempre di massimizzare i profitti , abbiamo che nell'equazione del profitto se Q ovvero la quantità prodotta scende , ovviamente anche Tc deve scendere pena la scomparsa del profitto .
E' semplice : Pf=10-9=1 ma se Q scende ad esempio a 8 abbiamo Pf=8-9=-1
Nell'ipotesi che sto considerando per semplificare ipotizzo i costi coincidenti col costo del lavoro , ma nella realtà così ovviamente non è . E ovviamente , nota per i keynesiani puri , p , ovvero il livello dei prezzi per ipotesi non scende . E giusto per prevenire contestazioni ricordo che come i quantitative easing hanno ampiamente dimostrato , non appena la banca centrale pratica politiche monetarie aggressive non si cade MAI nella trappola della liquidità keynesiana , che ricordo è l'annullamento della teoria quantitativa della moneta e comunque l'Italia fino ad oggi per il periodo considerato non ha avuto il problema deflazione , infatti p è salito costantemente .
Tornando a noi , nel breve periodo abbiamo quindi che se il costo del lavoro non scende di pari passo la discesa produttiva , i profitti si azzerano . Con profitti azzerati le imprese risponderanno diminuendo i costi . Se wL non riesce a scendere tramite la diminuzione di w , ovvero il costo del lavoro , l'unico modo per diminuirlo in costanza di w è licenziare personale , quindi diminuire L .
Questo nel breve . Nel lungo periodo , sempre se il costo del lavoro non si adegua , succederanno due cose :1) se l'impresa non riesce in qualche modo a tornare in utile dovrà chiudere ; 2) caso normale e auspicabile : l'impresa attraverso nuovi investimenti cambierà la sua dotazione tecnica in modo da tornare profittevole con la nuova e più alta curva di costo del fattore lavoro .
In entrambi i casi abbiamo che , se il costo del lavoro non viene riequilibrato al nuovo livello di produzione , sia nel breve termine sia nel lungo termine avremo lavoratori strutturalmente non occupati .
Se esaminiamo la dinamica produttiva e la compariamo con l'andamento della disoccupazione e del salario reale in Italia , vediamo esattamente quanto trovato a livello teorico .
Il grafico con tanto di spiegazione lo troviamo nel link precedente Archeo-finanza: Sul tasso di disoccupazione.
Detto questo però bisogna per forza fare due chiarimenti finali :
1) Quando parliamo del costo del lavoro intendiamo ovviamente quanto una impresa è costretta a pagare per occupare un lavoratore . Questo valore è dato dalla somma del salario e degli oneri contributivi che le imprese devono pagare allo stato . Poiché su quest'ultima componente l'Italia devia dalla media europea di circa 30 punti percentuali , è evidente che proprio questo fattore , ovvero il cuneo fiscale , è la principale causa dell'elevata disoccupazione italiana e considerando che va ad incidere direttamente anche sul livello di profitto medio è anche responsabile dell'elevata tassazione delle imprese che inibisce gli investimenti che come abbiamo visto dovrebbero essere proprio quelli che aumentano la produttività .
Insomma , l'Italia ha realizzato il sistema fiscale più efficiente del mondo ........ nel distruggere il lavoro e l'impresa.
Purtroppo ribadiamo che per il grosso della disoccupazione nel meridione d'Italia non vediamo la possibilità di non intervenire anche nella parte salariale . I divari di produttività sono talmente elevati che anche tenendo semplicemente fermo il costo del lavoro ci vorrebbero 10 o 15 anni per riassorbire la disoccupazione presente solo con gli aumenti della produttività . E questo comunque solo dopo aver diminuito il cuneo fiscale visto che con la tassazione attuale gli investimenti per l'aumento della produttività semplicemente non vengono fatti.
2) Il sostegno di Q , ovvero della quantità prodotta : come abbiamo già visto Archeo-finanza: Keynes e le angurie , parte 1. è dagli anni '40 con i lavori di Kuznets che sappiamo che nelle crisi economiche a scendere non sono tanto i consumi dati dai redditi , ma gli investimenti . E anche quando cadono i consumi comunque non sono dell'intensità ipotizzata dai keynesiani .
Ovviamente il tutto condito dal problema che l'Italia con il debito che ha non può comunque permettersi deficit di bilancio , unico mezzo escludendo il quantitative easing per sostenere nel brevissimo termine la domanda aggregata.
Costo del lavoro quindi . Fino a quando non si interverrà strutturalmente su questa componente temo fortemente che la dinamica occupazionale rimarrà fortemente avversa .