Strage in Regione, Andrea Zampi pronto a ucciderne quattro - Il Messaggero

PERUGIA - Il corridoio della strage. Percorrerlo seguendo le orme di Andrea Zampi e della sua disperata follia, guardare i fori dei colpi andati a vuoto, poi quella porta sbarrata e quasi protetta dai mazzi di mimose.
La porta dell’ufficio dove fino alle dodici di mercoledì lavoravano Daniela Crispolti e Margherita Peccati. Provi a immaginare e quasi lo senti l’odore forte della rabbia. L’esasperazione, il terrore, la paura di morire. E ciò che appare coincide con quanto si sussurra lungo il corridoio. Lo stesso che, in tutte le strade ancora aperte dall’indagine, gli investigatori della polizia non possono escludere a priori: Zampi probabilmente era pronto e preparato a uccidere più gente, se oltre alle due dipendenti avesse trovato qualcun altro.

Per esempio la terza collega dell’ufficio «Servizio Istruzione Università e Ricerca» e che era uscita qualche minuto prima. «Era andata a seguire una pratica fuori ufficio - racconta Anna Lisa Doria, coordinatrice dell’Area Welfare e Società ella Conoscenza della Regione - e si è salvata. Aveva un rapporto di amicizia con tutte e due e non sa darsi pace perché dice che se si fosse trovata lì avrebbe potuto fare qualche cosa per aiutare le amiche». Pronto a uccidere tutte e tre. Ma anche quattro, il capoufficio che in quel momento era altrove e che forse è andato a cercare prima di uccidere.
I fori dei proiettili. Seguirli significa risalire la corrente di quei drammatici minuti. Uno a terra davanti alla porta di un ufficio, un altro su un muro, un terzo contro una colonna. In senso contrario rispetto alla folle marcia verso l’ufficio. Perché? Zampi dopo i primi spari sarebbe tornato indietro, forse cercando proprio il capoufficio in altre stanze del quarto piano. A quel punto gli si sarebbe parato davanti un dipendente e il terzo colpo, diretto probabilmente proprio a lui, finisce nella colonna.

Poi la tragedia si materializza. I colpi contro Daniela Crispolti e Margherita Peccati, la corsa nell’ultima stanza urlando «mi ammazzo anche io».
«Dopo gli spari non sapevamo dove fosse andato a finire - racconta ancora la Doria - mentre si dava soccorso alle colleghe, altri sono andati a cercarlo nei bagni e nelle stanze. Finché lo hanno trovato a terra. Assieme a un’altra collega stavamo cercando di soccorrere Daniela, per Margherita non c’era nulla da fare. Abbiamo fatto il possibile, anche se i medici e sanitari del 118 ci hanno detto che era una situazione oltre il limite».

«Si è andato ad ammazzare nella stanza in fondo - dice un altro dipendente - era lì quando sono entrato. Si era sparato alla testa ma non è morto subito, l’ho sentito rantolare per cinque minuti con la pistola sotto la pancia. Anche Daniela rantolava, e per venti minuti buoni prima dell’arrivo dell’ambulanza abbiamo provato a soccorrerla ma senza successo».
«Abbiamo avuto a che fare più con il padre che con il figlio - ricorda l’ex dirigente dell’ufficio, Mario Margasini - ci raccontava spesso delle difficoltà di salute e di equilibrio che il figlio si portava dietro, alcune volte venivano assieme e ci si rendeva ben conto di che difficoltà psicologica fosse portatore».