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    Predefinito Bangladesh, un'altra primavera?

    Si parla poco in Italia del Bangladesh, forse perché non è un nostro dirimpettaio ma un lontano paese dell’Oriente. Eppure è una nazione a maggioranza musulmana ed è stata teatro di conflitti religiosi sanguinosi, ben descritti dalla scrittrice Tasmila Nasreen nel suo romanzo Vergogna (Lajja) che già negli anni Novanta è stato censurato e ha scatenato le proteste degli integralisti. Con tanto di fatwa e taglia sulla testa dell’autrice, costretta all’esilio.

    Queste settimane c’è molto fermento civile in Bangladesh, tanto da far parlare di “primavera” sulla scia di quelle arabe, come scrive Peter Custers su Asia Times. Dall’inizio di febbraio centinaia di migliaia di studenti protestano a Dhaka proprio contro il partito islamista, i cui esponenti si sono macchiati di crimini durante la guerra di indipendenza dall’India nel 1971. Il Tribunale penale internazionale si era interessato alla questione tanto che già nel novembre del 2011 aveva messo sotto processo Delwar Hossain Sayeedi, esponente religioso e politico del partito Jamaat-e-Islami, per efferati crimini durante il conflitto. L’esercito pakistano all’epoca sostenne infatti gruppi paramilitari che si accanirono soprattutto contro oppositori politici e indù, compiendo numerosi massacri e confische. Una corte del Bangladesh lo ha condannato a morte a fine febbraio, stessa pena inflitta a inizio del mese a un altro esponente del partito, Abdul Kader Mullah, ritenuto a sua volta colpevole di violenze durante il conflitto .
    Le sentenze hanno suscitato manifestazioni e proteste tra opposte fazioni, tra favorevoli e contrari alle condanne. Ma il movimento contro Jamaat — indipendente dai partiti, composto da moltissimi giovani e studenti organizzati sul web e tendenzialmente laici — è cresciuto e dà vita a imponenti manifestazioni in piazza Shahbagh a Dhaka, che molti considerano ormai analoga alla piazza Tahrir del Cairo. I manifestanti non invocano più pene capitali o reazioni indiscriminate, ma piuttosto chiedono lo scioglimento del partito islamista immerso fino al collo nei crimini di guerra e la chiusura delle sue strutture integraliste (come banche, scuole, cliniche). Ironia della sorte proprio Tasmila Nasreen, che era scettica sul movimento quando sono iniziate le prime manifestazioni del movimento di Shahbagh perché attiva contro la pena di morte, ora lo vede più favorevolmente perché si sta impegnando per i diritti, la democrazia e la laicità. Ma rileva comunque che la strategia degli islamisti di etichettare i blogger dissidenti come “atei” porti talvolta il movimento a dover fornire rassicurazioni sul fatto che i militanti siano dei buoni musulmani, sebbene non integralisti. E invita a osare di più.

    Sheikh Hasina, il premier donna a capo del partito Lega Awami, ha espresso solidarietà verso i manifestanti laici e promesso pulizia. Ma va ricordato che nel paese l’islam è tornato a essere religione di stato nel 2011 proprio per iniziativa del primo ministro, andando contro una decisione della Corte Suprema che aveva ripristinato nel 2010 il principio di laicità, già riconosciuto nella Costituzione originaria del 1972. Non mancano quindi colpi di frusta integralisti. Come l’arresto di un insegnante, Yunus Ali, colpevole di aver portato nella biblioteca della sua scuola una copia del testo proibito di Nasreen. O il carcere per altri due insegnanti accusati di aver messo in scena in una scuola un’opera teatrale giudicata blasfema. Non va dimenticato il lavorio nella società degli islamisti nel corso di questi anni, che ha favorito l’integralismo e l’intolleranza.
    Proprio in queste settimane i partiti islamisti hanno chiamato a raccolta i manifestanti dopo la preghiera del venerdì, invocando la morte per i blogger atei accusati di offese blasfeme contro il profeta Maometto e la religione. In molte città ci sono stati scontri e un manifestante è rimasto ucciso. Il 15 febbraio era stato massacrato a coltellate dai fondamentalisti un blogger laico attivo durante le proteste a Dhaka, Ahmed Rajib Haider (sul web Thaba Baba), colpevole di aver esteso le sue critiche anche alla religione. Anche un altro attivista ateo su internet, Asif Mohiuddin, era stato assassinato a gennaio nel distretto di Uttara.

    Anche in Bangladesh, come nel Nord Africa, la mobilitazione dei giovani ha una forte componente laica e innovatrice. E anche qui emergono, a rischio della vita, proprio i non credenti. Finirà come nel Maghreb, dove la primavera laica si è trasformata nell’autunno dei partiti islamisti che hanno preso il potere e nell’inferno di provvedimenti liberticidi? Nessuno ha la palla di vetro. E il rischio di una rivoluzione tradita, si è già visto, è sempre alto una volta passato l’entusiasmo delle avanguardie e quando entrano in campo i movimenti tradizionalisti a normalizzare la situazione. Persino in Occidente si tende spesso a sovrastimare fenomeni urbani di modernizzazione e riforma e a sottostimare l’influenza della tradizione imperante nelle zone rurali. La fede, tramandata ereditariamente di generazione in generazione, per centinaia di milioni di persone troppo spesso è purtroppo l’unico orizzonte di vita concepibile e tutto ciò che possiedono. Non stupisce che costituiscano greggi altamente malleabili e infiammabili in mano ai leader religiosi e fascisti.
    Ultima modifica di Cattivo; 12-03-13 alle 20:24

 

 

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