I “piccoli” e l’inutile “grosso” (1953)
“La Voce Repubblicana”, a. XXXIII, n. 283 del 4 dicembre 1953. Articolo non firmato.
Tullio Vecchietti è sceso ieri dall’alto della tribuna dell’ “Avanti!” e ha avuto la degnazione di occuparsi, come se ne può occupare il rappresentante di un “grosso” partito, di quello che pensano o si propongono di fare i partiti minori.
In cospetto di tanta degnazione, noi potremmo semplicemente rispondere che, dopo le deliberazioni del Comitato centrale del PSI, e dopo i discorsi ai quadri di Morandi e Nenni, per sapere cosa pensano o sono costretti a pensare i socialisti fusionisti ci basta leggere “L’Unità”, le tesi dell’ “Avanti!” essendo un inutile e stucchevole duplicato. Tuttavia poiché Tullio Vecchietti non ci è simpatico come direttore dell’ “Avanti!”, ma ci è simpatico personalmente, circostanzieremo questa risposta.
Per Vecchietti, dunque, repubblicani, socialdemocratici e liberali di sinistra avrebbero scoperto che le cose in Italia non vanno e che bisogna prepararsi a fronteggiare il consolidamento del fronte clerico-monarco-fascista. Ma Vecchietti sa che noi non abbiamo scoperto questa minaccia ora; noi abbiamo intravisto questo pericolo da lungo tempo e abbiamo fatto di tutto per evitarlo, sostenendo anche, a questo scopo, la legge elettorale. La scoperta della minaccia della destra sarà, se mai, fatta dagli elettori socialisti, che pieni di rosee speranze dopo il 7 giugno, per la vittoria trionfale dell’ “alternativa” Nenniana, vedono trionfare esattamente l’alternativa contraria. Il che, se depone favorevolmente sulla nostra capacità di prevedere l’evoluzione (e l’involuzione) della situazione politica, non depone molto favorevolmente sulle virtù divinatorie dei gerarchi russi.
E quando Vecchietti ci accusa di non aver capito il 7 giugno, di non aver capito cioè che con quelle elezioni fu smascherato l’equivoco centrismo degasperiano, a noi ci viene da ridere. Il PSI attraverso una furibonda battaglia, è riuscito a smascherare l’ “equivoco centrismo degasperiano”, ma nel contempo ha aperto le porte del potere e del controllo dello Stato repubblicano a monarchici e fascisti. Più vittoriosi e più cornificati di così, è difficile essere.
Avendo visto giusto, ma non potendo ormai evitare la svolta a destra (o le elezioni) noi ci prepariamo alla nuova battaglia. Ed è ovvio e naturale che la situazione politica ci porti all’opposizione e a uno sforzo riorganizzativo per fronteggiare le nuove minacciose eventualità. Vecchietti dice che, insieme ai liberali, noi repubblicani miriamo a salvare la democrazia, ridestando dal letargo la borghesia progressista e riformatrice, mentre i socialdemocratici si porrebbero un problema più complesso. D’inciso, diremo a Vecchietti che noi vogliamo difendere, nel contempo, la democrazia e la socialdemocrazia, che le nostre preoccupazioni sono politiche e sociali insieme, che pensiamo alla borghesia riformatrice (non abbiamo preconcetti classisti) ma soprattutto agli operai e ai contadini che militano nelle nostre file, e ai quali non vogliamo regalare un nuovo 1922. Pensiamo a una politica di sinistra, e di sinistra democratica, e saremmo lieti di incontrarci con tutti i socialisti, se una parte di essi non preferisse, a una grande solidarietà democratica, l’eterno e monotono vassallaggio al Partito comunista.
Non c’è nessun equivoco da parte nostra; e meno che mai c’è “un tentativo di ritorno, sotto vesti camuffate, al vecchio centrismo”. E non perché ci vergogniamo di quella esperienza, ma perché il rafforzamento della destra è stato tale, da rendere ormai inattuale quella posizione.
Non ci nutriamo di illusioni o di volute illusioni, onorevole Vecchietti! Sappiamo che, dopo il 7 giugno, la sinistra socialfusionista ha avuto una falsa vittoria, e la destra una vera vittoria. Dobbiamo prepararci a fronteggiare la nuova situazione. E non siano così ingenui, o così ridicolmente machiavellici, da scrivere che “i democristiani preoccupati dell’involuzione politica italiana (intendi i democristiani di sinistra) hanno quel minimo di buon senso per sapere che il dialogo lo si può aprire solo con la classe lavoratrice, con i suoi partiti e il suo sindacato, piuttosto che con coloro che si ostinano a riprendere la battaglia con le stesse armi che li portarono alla sconfitta”.
Dopo avere nutrito i lavoratori dell’illusione dell’ “alternativa socialista”, che ha portato a destra (tratteniamo le risa!), oggi i gerarchi del PSI dichiarano di sperare nel colloquio con la sinistra democristiana, di poter realizzare cioè il trinomio, sinistra democristiana, socialfusionismo, comunismo. Ci credono o fanno finta di crederci? O usano la sinistra democratica come hanno usato, ricevendo al momento opportuno le necessarie legnate, il nome di Churchill? Per parte nostra, crediamo più facile il ritorno del fascismo in Italia, che la machiavellica combinazione politica alla quale Tullio Vecchietti deve far finta di credere.
E allora? Allora saremo nella lotta, come potremo esserci: accanto ai socialisti democratici, accanto ai liberali, se tutti ci vorranno essere, ai liberali di sinistra che in ogni caso – pensiamo – saranno con noi. Continueremo a ignorare l’avanzare della storia in Italia e nel mondo “sul binario della lotta di classe e dei nuovi valori democratici”, poiché continueremo a non voler nulla dividere col Partito comunista.
Saremo, come dice Vecchietti, dei “reazionari di fatto”, ma dei reazionari che hanno lottato, con estrema coerenza e con estremo coraggio, per la democrazia, per la libertà e per un grande progresso civile e sociale, contro coloro che, in nome di una falsa democrazia, portano l’Italia alla dittatura e al totalitarismo.
[Ugo La Malfa]