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    Predefinito 23 marzo: il significato di un nome e cognome

    23 MARZO; IL SENSO DI UN NOME E COGNOME ! | UNIONE PER IL SOCIALISMO NAZIONALE
    RIFLESSIONE: soprattutto in una data cosi pregna di significato dobbiamo comprendere il peso e la responsabilità morale di un nome e di un cognome che ci siamo voluti dare come segnale inequivocabile di una volontà di lotta senza resa. Nella fattispecie allora, per non essere semplicemente banali e mentre un gregge uguale ad un altro oggi é in piazza a difendere l’indifendibile (non tanto per le vicende umane quanto e soprattutto – almeno per noi – quelle politiche !), chi intende seguirci ha il dovere di capire cosa questo può rappresentare – nel bene e nel male – nell’immaginario collettivo partendo – diciamo così – dalla collocazione ideologica antiborghese ed anticapitalista e l’ autonoma personalità di rilievo pubblico e politico che fu esempio educativo per il fondatore dei Fasci di Combattimento nel giorni 23 Marzo 1919 in quel di Milano

    Collocazione politica antiborghese ed anticapitalista che è poi proseguita coerentemente e senza soluzione di continuità nella famiglia attraverso i figli ed in modo storicamente rilevante attraverso appunto il figlio Benito, socialista e fondatore del fascismo, per mezzo del quale ha realizzato il socialismo nell’unica forma effettuabile e cioè respingendo “le meccaniche livellazioni di tutto e di tutti, livellazioni inesistenti nella natura ed impossibili nella storia……”

    Ecco perché, se per scelta responsabile e consapevole, dei “discendenti” assumono nella vita – non solo pubblica – quella stessa degli “antenati”, allora si ha il dovere di onorare con coerenza un percorso ideale che é saldato dal ferro e dal fuoco della Storia

    Altrimenti si scelgono altri lidi che consentono di vivere probabilmente bene, meglio di noi, ma in pace solo con la propria pancia e non con la coscienza. La riflessione è volutamente rivolta anche e soprattutto a chi, forse per ignoranza culturale (spesso anche in malafede !), spaccia delle caratteristiche e delle posizioni ideologiche e dottrinarie inequivocabili ma finisce per trascinare quel nome e quel cognome nel campo avverso liberalcapitalista; insomma la “premiata ditta dei nipotini” che, per ragioni di bottega, spacciano nomi fasulli (politicamente parlando, ovviamente !) tipo “destra identitaria”, “destra sociale”, “estrema destra”, “destra radicale” – e chi ha più destra più ne metta – tra gli ingenui (forse !?) nostalgici della “fascisteria”.

    REPETITA JUVANT !

    M.C.


    ***


    ALESSANDRO MUSSOLINI – nato l’11 novembre 1854 in Montemaggiore, frazione di Predappio, da famiglia contadina. Appena ragazzo fu mandato come garzone ad imparare il mestiere di fabbro. Di bottega in bottega passò infine come aiutante presso il fabbro Bartolucci di Meldola, bravo artigiano ed ex garibaldino. Fu a Meldola che il giovane Mussolini venne a contatto con il mondo politico romagnolo in cui fermentava il socialismo rivoluzionario. Per il romantico ideale che agitava la precorritrice minoranza artigiana ed operaia aderente all’internazionale socialista, Alessandro si accese di un entusiasmo da neofita che in lui divenne apostolato di tutta la vita. Mentre il suo lavoro di fabbro gli procurava appena vitto ed alloggio, egli si faceva attivissimo propagandista di quel socialismo romantico misto di sovversivismo libertario, garibaldino ed anticlericale. Essendo ormai esperto del mestiere di fabbro, Alessandro lasciò Meldola per ricongiungersi alla famiglia che, nel frattempo, si era trasferita a Dovia. Mise su bottega propria che ebbe difficile avviamento perché i proprietari benestanti di Predappio evitavano di ricorrere all’opera di un individuo ormai considerato “sovversivo pericoloso”. Lo amavano e lo frequentavano invece i giovani proletari accesi dalle sue stesse idee, attratti dal suo entusiasmo trascinatore, da una certa superiorità del suo temperamento e da quel tanto di cultura che egli si era formata al contatto con i compagni forlivesi e con la lettura assidua di libri e giornali. Egli era animato da un irresistibile impulso alla vita attiva, ai rapporti umani e di comunità; aveva la parola facile e suadente. Le sue slegate conoscenze letterarie andavano dal Manzoni al Carducci all’Hugo; seguiva i settimanali socialisti e più tardi vi collaborò attivamente con scritti ed analisi politiche. Il suo tratto era rude e sbrigativo come quello di tutti gli autentici romagnoli, ma l’animo socievole, disinteressato e generoso perfino in eccesso; aveva spiccato l’istinto dell’ospitalità. Tutto sacrificò all’idea politica, alla sua aspirazione di giustizia sociale servita senza fini personali e senza atteggiamenti faziosi. Ogni volgarità di costume gli ripugnava; era esente dal vizio locale del turpiloquio e del linguaggio sboccato. Donde una personale autorità sui compagni più rozzi e la stima degli avversari. Dalla borgata egli scendeva spesso a Forlì per incontrarvi al mercato settimanale amici politici e clienti. Benché povero non rinunciava ad aiutare – magari indebitandosi – chiunque ricorresse a lui. Aveva forte il senso del pubblico interesse, e partecipò a manifestazioni paesane organizzate per reclamare l’iniziativa comunale di migliorie indispensabili alla trascurata frazione di Dovia. Dimostrazioni riuscite inutili fin quando lui stesso divenuto consigliere ed assessore al Comune di Predappio, alacremente realizzò importanti opere pubbliche. Nel novembre 1878 una riunione di tutti i braccianti della valle del Rabbi organizzata da Alessandro, fu proibita e lui venne segnalato dai carabinieri per l’ammonizione. I motivi reali di un così grave provvedimento non erano che l’ardore organizzativo del giovane agitatore, il rinvenimento nella sua bottega di opuscoli di Bakunin e di lettere di Andrea Costa e ci Carlo Cafiero. Ma tanto bastò per provocare l’arresto del fabbro e la sua detenzione per sei mesi nella rocca forlivese di Caterina Sforza. Nel frattempo Alessandro si era innamorato della gentile maestrina Rosa Maltoni, arrivata nell’autunno del 1877 a Dovia come titolare delle due classi elementari solo allora istituite. Avvenente, seria, di tratto fine e dolce, la maestra aveva appena 19 anni e tuttavia si era subito conquistata la stima dei paesani. Mancò per un lungo periodo il consenso dei genitori di lei che diffidavano di affidare la figlia al fabbro ammonito e perfino carcerato. Ma l’amore tra i due prevalse e infine il 25 gennaio 1882 fu celebrato il matrimonio religioso e il 4 marzo dello stesso anno quello civile. Gli sposi si allogarono in una rustica casa sul rialzo collinoso di Varano di costa, alle nudi pareti dei locali di scarso mobilio Rosa appese una immagine della Madonna di Pompei e Alessandro il ritratto di Garibaldi. Dopo undici mesi nacque il loro primogenito Benito, e successivamente nacquero: Arnaldo (11 gennaio 1885) e Edvige (10 novembre 1888). Nel dicembre 1884, dopo aver costituito una specie di consorzio per l’acquisto e lo sfruttamento di una trebbiatrice – la prima che sarebbe apparsa nella zona – Alessandro si recò a contrattarne l’acquisto a Lugano. In quel periodo subentrò la fase più acuta della persecuzione poliziesca contro gli “internazionalisti”, i circoli e le società operaie, che costrinse gli organizzatori a ricorrere ad espedienti talvolta ingenui per assicurare la continuità del movimento. Alessandro chiese allora l’autorizzazione a costituire una “Società dei bevitori” la cui verde bandiera portava il motto “vivere lavorando, morire combattendo”. L’impegno di consigliere comunale, di assessore e di pro-sindaco è testimoniato dai verbali del Consiglio Comunale di Predappio che documentano l’intensa disinteressata, ed imparziale attività di Alessandro Mussolini, specie per quanto riguarda la riorganizzazione dei servizi pubblici, la riparazione di strade e l’apertura di nuove vie di comunicazione; aveva innato il senso della giustizia e dell’equità, rifuggiva dalle intolleranze e come amministratore fu incrollabile nell’evitare favoritismi. A costo di farsi espellere non esitò a ribellarsi alle direttive tattiche del partito, quando le giudicava errate. Nella sua zona fu grande elettore di Andrea Costa, di Alessandro Calducci, di Bernardino Verro e di Amilcare Cipriani. Allo scopo di acquistare una seconda trebbiatrice si recò a Milano nel 1891, facendosi accompagnare dal piccolo Benito che aveva allora 7 anni. Poco dopo creò una cooperativa di produzione e di consumo, per la quale ottenne l’adesione del deputato Andrea Fratti, morto poi nel 1898 combattente volontario contro i turchi in Grecia. Nel 1902 venne arrestato insieme ad altri 12 compagni per contrasti con i clericali. Nonostante non fosse rimasto direttamente coinvolto nei fatti, il 29 ottobre il giudice istruttore Francesco Mancini gli negò la libertà provvisoria e trasmise alla sezione di accusa di Bologna la propria relazione in cui era sostenuta la colpevolezza. Il 20 dicembre seguì il processo davanti alla Corte d’Assise di Forlì. I compagni di Mussolini, rei confessi, affidarono a lui – unico incolpevole accusato – la difesa ideale della loro azione di protesta, ed ebbero per avvocati il futuro senatore Bellini e Francesco Bonavita. Questi ricorda l’estrosa ed appassionata deposizione di Alessandro: < Parlò delle lotte politiche a Predappio, parlò delle condizioni di vita di quei disgraziati terrazzieri, costretti per pochi soldi a giornate di sedici ore di lavoro; parlò dell’ipoteca morale dei proprietari che oltre la merce-lavoro esigevano la merce-coscienza, e rivendicò il diritto all’organizzazione per la comune difesa e per la conquista del comune, che si doveva compiere anche con la violenza perché era una questione di vita o di morte per quei lavoratori. Protestò contro l’accusa di malfattori e, ritorcendo contro gli avversari l’accusa e la parola, affermò che: “l’opera socialista dovrà rendere più grande, più ricca, più civile l’Italia che noi socialisti adoriamo più della borghesia gretta e retrograda” >. Il verdetto dei giurati fu di assoluzione per tutti e il 30 dicembre Alessandro fu scarcerato. Nel 1905 rimase vedovo e la perdita della moglie fu per lui un duro colpo che lo minò anche nella salute. Nel novembre del 1908 si trasferì a Forlì, dopo aver ceduto la sua bottega di fabbro. Prese in gestione la trattoria “Al Bersagliere” avendo come collaboratrice la vedova del contadino Guidi., Anna Lombardi, con le sue tre figlie: Augusta, Pina e Rachele che diverrà poi la moglie di Benito. Gravemente ammalato fece in tempo a rivedere attorno a sé tutti i figli e a sorridere alla piccola Edda, nata il mese prima e che gli fu presentata al capezzale dalla nuora Rachele. Spirò alle ore 4 del 19 novembre 1910 a cinquantasei anni. Oltre mille compagni di lotta parteciparono al suo funerale. Nel suo giornale “La Lotta di Classe” il figlio Benito pubblicò una fiera nota funebre in ricordo del padre.

    (cfr. bibliografia “Mussolini l’Uomo e l’Opera” di Giorgio Pini e Duilio Susmel – La Fenice Firenze)
    Ultima modifica di Avanguardia; 24-03-13 alle 19:27
    FASCISMO MESSIANICO E DISTRUTTORE. PER UN MONDIALISMO FASCISTA.

    "NELLA MIA TOMBA NON OCCORRE SCRIVERE ALCUN NOME! SE DOVRO' MORIRE, LO FARO' NEL DESERTO, IN MEZZO ALLE BATTAGLIE." Ken il Guerriero, cap. 27. fumetto.

 

 

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