Hiroshima e Nagasaki, una monito che passa anche per Corato
di seguito la riflessione del prof. Gaetano Bucci su uno degli episodi più squalificanti della storia umana
di La Redazione
Il 6 agosto di quest’anno ricorre il sessantaquattresimo anniversario del lancio della bomba atomica da parte degli americani sulla città giapponese di Hiroshima. Tre giorni dopo toccherà alla città di Nagasaki. Qualche settimana dopo l’Impero del Sol Levante si arrende. Il due settembre 1945 finisce la Seconda guerra mondiale, iniziata sei anni prima con l’invasione della Polonia da parte della Germania nazista.
Prima che la guerra finisse, per completare l’opera di “ravvedimento operoso” finalizzato al completo riconoscimento internazionale, l’Italia dichiarò guerra al Giappone. Non serviva a niente, ma fu un obolo di riconoscenza e sottomissione che gli USA pretendevano dal nostro paese. Anche per questo nella ricorrenza del lancio dell’atomica sul Giappone noi italiani, “moralmente corresponsabili”, non dovremmo dimenticare.
Non dovremmo mai dimenticare di rivolgere un pensiero verso quelle centinaia di migliaia di civili che furono annientanti in pochi attimi tra indicibili sofferenze da un’arma così distruttrice che mai mente umana aveva solo immaginato.
E’ strano come la nostra memoria rimanga paurosamente strabica, parziale, ingiusta quando si tratta di recuperare messaggi dal passato. Ogni anni per mesi e mesi partecipiamo a quella che sempre più si profila come “l’industria mediatica della Shoah” e poi ci si dimentica delle altre grandi atrocità, e delle date che le hanno segnate.
Certo la Shoah è importante, ma allo stesso modo importanti, specie se agli occhi di Dio, sono gli altri “olocausti”: dalle deportazioni degli armeni alle purghe di Stalin, dai genocidi dei khmer rossi in Cambogia agli stermini di massa operati dagli americani in Viet Nam, dall’annichilimento del popolo palestinese agli “stermini” nei campi profughi e della striscia di Gaza compiuti dagli israeliani, fino ad arrivare alle cosiddette “guerre per la democrazia” in Irak e Afganistan, che in realtà nascondono gli interessi imperiali dell’Occidente, ed in primis degli Stati Uniti.
Il lancio delle bombe atomiche sulle città giapponesi fu un’orribile e inutile crudeltà. Forse ancor più grave delle efferatezze compiute da Hitler. L’Italia si era ormai arresa ed era stata completamente liberata, e la Germania era stata definitivamente sconfitta e resa assolutamente inoffensiva. Lo stesso Giappone era sull’orlo della resa. Cercava solo un’uscita onorevole dal conflitto. Ma agli americani, ai vertici della politica e dell’esercito serviva altro che una semplice resa del Giappone. Serviva una dimostrazione di forza che potesse definire la politica sull’intero globo per i decenni a venire. Ecco che il lancio della bomba atomica diventò e fu una consapevole opzione militare e politica. Con la distruzione atomica delle città giapponesi, gli Stati Uniti macchiarono in modo inemendabile la loro “democrazia” e la loro supremazia sul pianeta.
La bomba atomica divenne da allora sinonimo non solo di arma di distruzione di massa ma del punto di svolta della storia dell’intera umanità. La tecnica aveva ormai “fagocitato” l’uomo. L’uomo non sarebbe più stato in grado di governare in sicurezza il suo destino, e addirittura la continuità della specie e la sopravvivenza del pianeta.
Intorno alla bomba atomica e alle altre potentissime armi di distruzione di massa e di annichilimento del genere umano si sviluppò a partire dall’immediato dopoguerra un grande dibattito culturale e politico. A tale dibattito, nelle forme più diverse, parteciparono gli spiriti più eletti dell’umanità.
Scienziati, filosofi, scrittori, artisti e molti giovani cantanti che poi “fecero” il cosiddetto Sessantotto parteciparono a quel grande dibattito. Un dibattito che non ebbe confini e che appassionò tutti. Anche perché la Guerra fredda tra USA e URSS veniva combattuta proprio sulla proliferazione e dislocazione delle armi atomiche. Di grande rilievo, solo per fare qualche esempio, furono i contributi del filosofo Bertrand Russell e del tribunale internazionale a lui intitolato, dei filosofi Jean Paul Sartre e Gunther Anders, che mostrarono in opere divenute celebri l’assoluto bisogno di superare le cadute di un’umanità divenuta mortalmente malata di “potere e tecnica”.
Non si trattava di vuoto pacifismo ma di vero bisogno di dare una svolta alla cultura dell’intera civiltà, senza confini di nazioni, di religione o di ideologia.
Le strategie atomiche messe in atto dagli opposti schieramenti nel corso della Guerra fredda portarono nel nostro paese alla individuazione di aree in cui allocare missili di media e lunga gittata, eventualmente equipaggiati con testate atomiche.
La Puglia, regione di confine, non solo dell’Italia ma dell’intero blocco occidentale ospitò importanti basi militari. Vicino a Corato, sulla dorsale delle Murge, in luoghi segreti e nascosti furono costruite una trentina di rampe di lancio. I missili erano puntati verso il blocco sovietico da cui, si riteneva, poteva venire un attacco. Una strategia che oggi sappiamo inadeguata, in quanto in caso di conflitto atomico difficilmente ci sono, “attaccanti” e “difensori”, “vincitori” e “vinti” . Paradossalmente in tali conflitti si è allo stesso tempo “vincitori e vinti”.
Ebbene, tra gli uomini politici pugliesi che più da vicino parteciparono di questi problemi troviamo il prof Giorgio Nebbia, che in un suo scritto ricorda come finì quell’esperienza delle testate nucleari sulle teste dei pugliesi ed anche dei coratini:
«Veloci e segreti come erano arrivati, i missili delle basi pugliesi furono smantellati fra l’aprile e il giugno 1963, lasciando i ruderi delle piazzole di lancio.
Durante i movimenti pacifisti degli anni ottanta, quando Reagan voleva installare i missili americani a Comiso, il deputato, poi senatore, pugliese Pasquale Lops ed io proponemmo che i ruderi della base di Gravina, quelli forse meglio conservati, fossero trasformati in un parco nazionale dalla pace, a dimostrazione che i missili possono anche essere installati, ma possono anche andarsene, se vi è una volontà politica.
Nel caso dei missili pugliesi, a dire la verità, per quanto ne so, una volontà politica e una protesta popolare per liberarsi dei missili non c’è stata, anche perché, a quanto pare, ben pochi in Puglia si resero conto del pericolo a cui erano esposti».
Oggi le cose sono cambiate. E nella ricorrenza delle distruzioni di Hiroshima e Nagasaki non possiamo dimenticare gli orrori compiuti in nome della democrazia. Non possiamo abbassare la vigilanza od evitare di protestare di fronte a chi “punta l’arma” della propria smisurata potenza tecnico-scientifica come strumento di oppressione e distruzione umana, anziché di liberazione e di progresso.
In Giappone, il Nagasaki Atomic Bomb Museum, con le sue aree luminose, verdeggianti e colorate, è nato essenzialmente per lanciare discreti e confortevoli messaggi di pace, piuttosto che come “memoria del terrore e della distruzione”.
Una lezione di stile e un augurio di grande umanità.
Gaetano Bucci