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Discussione: Codex Seraphinianus

  1. #21
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  2. #22
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    Camillo Longone


    II CODEX SERAPHINIANUS

    ovvero
    "LUIGI NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE"


    Roba da ricchi, il Codex Seraphinianus. A Parma ce l'avevano in casa solo le figlie degli industriali, donne sgraziate e sciocche ( ), sciocche al punto da pensare che il corteggiamento fosse diretto a loro. No, era diretto al Codex, ci si faceva invitare a casa avendo come obiettivo non la carne ma la carta, quella magnifica di Fabriano usata da Franco Maria Ricci per un libro d'arte già entrato nella leggenda. Verso fine serata si finiva sul divano a sfogliare insieme il mirabolante oggetto, e solo dopo ci si ricordava di un certo impegno l'indomani mattina presto: peccato, per poter dormire almeno qualche ora bisognava proprio scappare. Ovvio che la manfrina non poteva andare avanti tanto, giusto il tempo di venire impressionati per sempre da quel mondo borgesiano di alfabeti inventati e animali inesistenti.




    La prima edizione del 1981 consisteva di due volumi per un totale di 160.000 lire, che secondo i coefficienti di rivalutazione monetaria corrispondono a 300 euro odierni. Era una discreta somma per un esordiente come Luigi Serafini, giovane artista romano, ma l'investimento veniva garantito dal marchese Ricci, l’arbiter elegantiarum di quegli anni felici. L'operazione funzionò soprattutto a Parma, non perché i borghesi locali amassero il bello, anzi, e non perché avessero un animo mecenatesco, quando mai: il parmigiano Ricci, un parmigiano che la Parma contemporanea non si merita (semmai quella del Settecento), a forza di rose all'occhiello e sfondi neri aveva imposto la sua raffinata libreria monomarca come l'unico luogo dove una signora residente tra l'Enza e il Taro potesse approvvigionarsi di regali di prestigio. E così, sotto Natale, in strada Garibaldi c'era la fila di dame impellicciate, e così sugli scaffali dei piani nobili e delle ville suburbane cominciò a formarsi una piccola collezione di grandi libri squisiti. Andavano forte Erte e Petitot, Ligabue e Tamara de Lempicka, ma alla fine riuscì a intrufolarsi nelle bibliotechine confindustriali e confcommerciali anche Serafini, unico artista vivente di un catalogo elegantemente necrofilo. Il solito culatello sfacciato dei parmigiani: oggi la prima edizione del Codex viaggia nella stratosfera, l'anno scorso su eBay i due volumi comparvero a 19.000 dollari. Simili quotazioni inducono nell'autore compiacimento e rimpianto, se a suo tempo avesse potuto farne incetta adesso sarebbe ricco.




    Serafini, pur vivo, era e rimane più incomprensibile di uno scriba egizio morto da trenta secoli: il Codex è uno spettacolo di arte varia, tipografica e figurativa, che stupisce per via di bizzarria, oggetto editoriale con pochi precedenti nella storia, forse l’Hypnerotomachia Poliphili pubblicata da Aldo Manuzio nel 1499, altro vortice di enigmi. Le immagini sono tavole dell'enciclopedia di un mondo parallelo, un brulicante manuale di zoologia fantastica con inserzioni umane, vegetali, ameboidi, astratte. Un sottotitolo potrebbe essere: "Luigi nel paese delle meraviglie". Le didascalie non spiegano un bel nulla essendo composte in serafiniano, ghirigori che possono ricordare certi remoti alfabeti asiatici, l'oriya, il singalese, il telugu, il georgiano, il thai, ma vagamente. Sono venticinque anni che chiunque abbia il Codex fra le mani prova a capirci qualcosa; niente da fare, l'artista burlone si prende perfino gioco degli aspiranti decifratori disegnando una specie di stele di Rosetta: da un lato il suo solito alfabeto misterioso, dall'altro un alfabeto diverso per forma ma uguale per impenetrabilità. Calligrafie e disegni sono costati due anni di lavoro certosino, nel tempo fra una donna che se n'era andata e una gatta che era arrivata, in una mansarda di Via Sant'Andrea delle Fratte di proprietà giustamente ecclesiastica. Più che un affitto pagava un obolo: allora anche un artista bohémien poteva permettersi il centro di Roma.




    Venticinque anni, buon anniversario, e vediamo se l'Italia troverà i mezzi per festeggiare degnamente tanta opera. Il dubbio è legittimo: dagli anni Ottanta spensierati e spenderecci è davvero passato un millennio, e i pochi soldi pubblici disponibili vengono buttati nelle biennali per promuovere opere dai titoli in inglese, non certo in latino. Nella società del low cost non sarebbe concepibile uno slogan come quello pensato da Ricci per la sua FMR: "La rivista più bella del mondo". Oggi, del resto, nemmeno Franco Maria Ricci è più Franco Maria Ricci. Dopo aver venduto la casa editrice, l'ultimo degli esteti si è ritirato nella campagna parmense a progettare un grande labirinto. Ogni tanto sembra che voglia ritornare in gioco ma, nell'attesa che l'erba cresca, il cavallo (Serafini) ha deciso di ripubblicare il Codex altrove. Nella sfida alla nequizia dei tempi lo assisterà la Rizzoli che ha garantito la stessa carta e lo stesso numero di tavole della prima edizione, però in volume unico e a un prezzo affrontabile da una clientela non impellicciata (essere coraggiosi non significa essere suicidi, e specialmente a Parma non ci sono più gli industriali di una volta).

    Camillo Longone su Il Foglio (2006)
    (dal Decodex, prezioso opuscolo allegato all'edizione Rizzoli)




  3. #23
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  4. #24
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  5. #25
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  6. #26
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    Pino Corrias

    L'ENCICLOPEDIA DELL'ALTRO MONDO





    Luigi Serafini non sta né in cielo né in terra, ma in fondo a un corridoio nero, dentro a una stanza di pareti verdi, dove le sedie pendono dal soffitto. Pattina tra gli alfabeti, e gioca con le nuvole, come i personaggi di inchiostro di Raymond Quenaeu, quello dei Fiori blu. In una lontana notte surrealista, durata trenta mesi, ha immaginato una scrittura che (forse) non si legge e un mondo che (forse) non si vede, con uomini che diventano tenaglie, uova che volano, alberi capovolti, zoologia vegetale, insetti e coccodrilli. Ne ha fatto una Enciclopedia fantastica, spiazzante e inservibile che assomiglia al mondo reale quanto un sogno assomiglia al mistero dei miraggi. Da 25 anni abita dentro a quel mistero. E adesso lo festeggia.

    Si chiama Codex Seraphinianus, è un mondo bidimensionale, una sequenza di invenzioni colorate, pubblicato nel 1981 tra i volumi luccicanti di Franco Maria Ricci che ammirava i mondi fantastici di Jorge Luis Borges e li declinava in caratteri Bodoni. Da quei tempi nero&oro il Codex (che affascinò Italo Calvino e che Federico Zeri definì un incanto eccentrico) è entrato nella leggenda dei piccoli universi paralleli. Le circa trentamila copie che da allora circolano nel mondo, sono introvabili. Ma hanno lasciato una scia indelebile, che smaterializzandosi si è ricomposta nel passaparola della Rete. Decine di siti nel mondo riproducono le sue tavole a colori e le sue pagine fitte di calligrafia inventata e perciò leggermente inclinata verso l’abisso. C'è un sito canadese che oltre a mostrare le ascendenze magiche delle tavole, conferma ai suoi navigatori che Luigi Serafini esiste davvero, abitava un tempo in Italia, ha molto viaggiato e probabilmente vive ancora oggi in un punto qualunque del pianeta.

    Luigi Serafini, 56 anni, occhi sottili, sorriso, capelli lunghi e grigi, ha effettivamente viaggiato. Il punto qualunque del pianeta in cui abita è il Pantheon che si vede da tutte le finestre della sua casa romana. La sua casa è una versione semplificata del Codex. Contiene quadri seicenteschi riversati su alluminio e ricolorati a smalto, cervi azzurri con corna luminose, schermi al plasma, zebre e altri erbivori in plastica dentro a grandi teche di vetro. E un pianoforte nero a coda, circondato da poltrone gonfiabili, abbandonato otto anni fa dalla sua penultima fidanzata. Serafini viene da Duchamp e passa per Topor. Ha lavorato nel gruppo Memphis con Ettore Sottsass. Ha progettato case in marmo con colonne blu e cristalli colorati. Dipinge digitale e inventa a olio. […]




    Naturalmente il Codex non ha alcuna traduzione plausibile se non quelle che lo sguardo gli attribuisce. Ma almeno una chiave esiste. È la storia della sua storia. Le molto divertenti avventure di Luigi Serafini. Che nasce architetto di case immaginarie, ma poi diventa artista e viaggiatore di tre viaggi, come tre onde del destino, l’America, l’Oriente, l’Africa. Cominciando dal primo biglietto aereo della sua vita, anno 1971, destinazione New York, via Amsterdam.
    «Partivo da una vita molto polverosa, famiglia borghese, liceo agli Scolopi, niente colori. All’improvviso mi esplodono davanti i canali luccicanti di Amsterdam e poi le verticali della santa America, con le sue nervature elettriche e anche lisergiche, Timothy Leary, gli autobus Greyhound, Chicago, le comuni hippy, le utopie abitative, Fourier, le cupole geodetiche di Paolo Soleri. Tutto era eccitante, nuovo, come se il mondo ricominciasse davanti ai miei occhi, rifiorisse, mutasse proporzione e luce, comprese le tristi strade dell’Alabama dove da tre anni era stata abolita la segregazione».

    Dopo gli oceani d’America, la rotta terrestre verso Oriente, l’Ararat, e poi seguendo l’Eufrate e il Tigri fino all’antica Babilonia. Il sole, il deserto, lo spazio. Tutto a forzare, per contrasto, i confini della vita ordinaria e a scardinarli per sempre. Così Serafini finisce Architettura e apre uno studio di una stanza e mezza in piazza di Spagna, finestra davanti alla cupola della chiesa Sant’Andrea delle Fratte del Borromini, con un socio che nel tempo libero cattura ragnatele, le stende su tele bianche e le immobilizza con il fissativo.

    Poi viene l’Africa. Dove tutti i misteri del colore si sciolgono e i mondi si moltiplicano e le metamorfosi si intrecciano. «Conosco a Roma un nero enorme, elegantissimo, ricchissimo, trafficante di diamanti. Mi dice che ha un terreno a Brazzaville, nell’ex Congo francese, e mi offre di disegnargli la villa. Io accetto, lui sparisce. Ricompare sei mesi dopo. Si è trasferito a Abidjan, in Costa d’Avorio. Mi spedisce un biglietto aereo. All’aeroporto trovo una limousine. Mi consegnano un altro biglietto, e un visto». A Brazzaville ci sono militari ovunque e una piccola guerra in corso tra filo cinesi e filo sovietici con elicotteri in volo, cibo e musica nelle strade, e pallottole danzanti. Va a visitare il terreno che è coltivato ad arachidi e ci sono zebre in lontananza. Sale su una piroga per risalire il fiume Congo. Quando approda, viene circondato e arrestato da una pattuglia in mimetica. Finisce da solo in una grande cella, dove arriva un colonnello a interrogarlo, con gli occhiali a specchio. Si ritrova nei panni inspiegabili di un architetto romano che gira in piroga dentro a una guerra e lavora a ville inesistenti. «In effetti era tutto così surreale, così folle, che neanche mi spavento, ma rido. Rido talmente che mi prendono per matto e invece di fucilarmi fanno dei controlli sulla mia identità. Così compare una specie di console italiano che in realtà è un ingegnere dell’Agip, simpatico, milanese, che garantisce per me. Esco dal sogno, entro nella sua Mercedes».

    Quando sbarca in Italia è per l’appunto il 1976 e dal disordine di tutte le vite e di tutte le forme che ha visto in transito, un giorno gli nasce «questo bisogno testamentario di lasciare un segno per sempre ». Il per sempre è il Codex. Più di trecento tavole, un migliaio di disegni, nessun significato. Per raccontarci l’irraccontabile, per mostraci l’invisibile. Per convincerci a ricominciare sempre, dopo la fine.

    Da La Repubblica (2006) e dal Decodex

  7. #27
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  8. #28
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    Predefinito Rif: Codex Seraphinianus




    Nel nostro 3.052 ogni forma di civiltà era scomparsa dal pianeta Terra.
    Uomini blu alti tre metri con la coda provenienti dal pianta Pandora raggiunsero la selvaggia e ormai priva di vita Terra.
    Una spedizione scientifica si mise alla ricerca di improbabili ma pur sempre possibili forme di vita che avessero abitato il pianeta.
    Non trovarono nulla ... tranne frammenti di un libro scritto in una lingua incomprensibile (ma che i loro computer stavano già tentando di decifrare) ma ricco di illustrazioni dalle quali fu relativamente facile capire come si fosse evoluta la civiltà e quanto questa fosse diversa ed avulsa dai soliti canoni ai quali erano abituati.
    Gli uomini blu di Pandora avevano trovato i resti del Codex Seraphinianus e questi sarà per lunghi anni oggetto di diatribe sul come fosse possibile l'evoluzione di forme di vita secondo archetipi cotanto astrusi e lontani dalla universale tendenza a raggiungere ed uniformarsi con l'UNO e così incomprensibilmente estraneo allo Spirito di EYWA per il quale solo la speranza di buoni frutti può giustificare l'evolversi della Vita in certe direzioni piuttosto che in altre.
    Non avranno comunque dubbi sulle motivazioni per le quali tale civiltà si sia estinta.

  10. #30
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    Predefinito Rif: Codex Seraphinianus

    Bel post, Lupo...

    E tuttavia, se questi giganteschi uomini blu si accosteranno al Codex con il giusto spirito, riusciranno forse a inquadrare questa stravagante enciclopedia per quello che è: l'apoteosi dell'ironia e del paradosso. Il risultato di geniali processi mentali che ci tuffano in un universo immaginario, eccentrico, rovesciato e trasfigurato... ma non così radicalmente diverso dal nostro. Chissà, magari è solo la realtà osservata da un diverso punto di vista...

 

 
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