Questi pseudointellettuali ben attaccati alle mammelle del regime da cui dipendono le loro laute prebende, tra un delirio e l'altro, non si accorgono di ammettere tra le righe che questo mostruoso connubio chiamato itaglia non esiste ma serve che venga creata ad arte dalla politica altrimenti a nessuno interesserebbe. Indipendenza.

La nazione abbandonata

La nazione abbandonata - Corriere della Sera

Vedremo tra po*chi giorni le pro*poste del gover*no volte a rime*diare come possibile al*l’insulso programma edili*zio lasciatogli in eredità dal precedente ministero Prodi per celebrare l’anni*versario dell’unità d’Italia del 2011. Il cuore della questione è stato ben ri*cordato dal presidente Napolitano nella sua lette*ra all’esecutivo di un me*se fa: la nascita di una na*zione non può essere cele*brata solo con un Palazzo del cinema qua e un Par*co della musica là. Ha bi*sogno di un’idea politi*co- culturale forte, che ri*specchi il senso e i valori della sua identità e della sua storia. Il capo dello Stato attende tuttora una risposta, e noi con lui. Intanto, però, la discus*sione accesasi a proposi*to delle celebrazioni, con una vasta partecipazione di non addetti ai lavori, è andata ben oltre il tema specifico, mettendo in lu*ce due aspetti decisivi del*lo spirito pubblico di cui le imminenti proposte del governo dovranno te*ner conto.

Il primo aspetto riguar*da l’immagine distorta, ma sempre più diffusa, della storia del nostro Pa*ese, e in particolare della formazione dello Stato unitario. In contrapposi*zione ad una visione oleo*grafica del Risorgimento (peraltro sostanzialmente messa al bando da mezzo secolo) è venuta forman*dosi, e ormai dilaga, una visione dove classismi pa*leogramsciani, nostalgie neoborboniche e neoau*striacanti, vituperi antiu*nitari e antiliberali di mar*ca cattolico-temporalista, si mischiano e fanno tut*t’uno con un singolare fe*nomeno di reciproca vali*dazione. Ne risulta una storia nazionale dove, co*me ha scritto un giovane studente milanese, le co*se di cui vergognarsi non si contano; dove chi ha co*mandato, da Cavour a Ma*ni Pulite, avrebbe sempre fatto i suoi più sporchi co*modi; dove i cittadini, «la gente», sembra essere passata per 150 anni da una strage a una ruberia, da un’illegalità ad un’al*tra: sempre vittima, sem*pre oppressa dal «pote*re », rappresentato da quel riassunto di ogni ma*le che sarebbe lo Stato.

Ciò che è nuovo di que*sta immagine è, sì, la sua crescente popolarità, ma soprattutto il fatto che es*sa è diffusa più o meno in ugual misura tanto al Nord che al Sud. È il se*condo dei due aspetti di cui dicevo sopra, ed è quello che sta producen*do il senso di radicale di*stacco, di disaffezione profonda nei confronti dell’idea d’Italia, a cui tan*ti italiani, soprattutto gio*vani, sono soliti ormai da*re voce. È un sentimento vero, autentico? Io penso di no. Ma è il sentimento che inevitabilmente pren*de il sopravvento nelle co*scienze se non arriva loro altro messaggio. Special*mente se la politica non vuole o non riesce più a dare al proprio discorso alcuna prospettiva gene*rale in grado di parlare e di coinvolgere anche emo*tivamente l’intero Paese; se tanto la destra che la si*nistra non sanno più evo*care alcun obiettivo in cui possa riconoscersi il pro*prio elettorato, e che al tempo stesso, però, si sforzi d’interpretare an*che i segni dei tempi e l’interesse della collettivi*tà. In una parola se la poli*tica abbandona la nazio*ne. Non da oggi il presi*dente Napolitano svolge in questo senso una pre*ziosa opera di surroga. Ma la sua opera ha un ov*vio limite costituzionale: oltre quel limite tocca ai partiti politici e alle loro culture agire.

Ernesto Galli Della Loggia

23 agosto 2009