Pagina 2 di 2 PrimaPrima 12
Risultati da 11 a 13 di 13
  1. #11
    Ghibellino
    Data Registrazione
    22 May 2009
    Messaggi
    48,885
     Likes dati
    2,423
     Like avuti
    14,807
    Mentioned
    95 Post(s)
    Tagged
    5 Thread(s)

    Predefinito Re: Politica economica e sociale del fascismo

    Citazione Originariamente Scritto da Avanguardia Visualizza Messaggio
    Riforma sistema bancario italiano del 1936 | IL PRIMATO NAZIONALE
    Oggi giustamente la gente si sente oppressa dall’Europa delle banche. In realtà, la nostra sovranità l’abbiamo svenduta qualche anno prima. Bisognerebbe quindi riflettere bene per capire la vera genesi dei nostri problemi. La storia sempre ci riserva molte sorprese. Le vicende umane sfuggono alle categorie e ai recinti dentro cui noi vogliamo ingabbiarle. Infatti, fu il socialista riformista Alberto Beneduce ad aver avuto carta bianca da Mussolini per mettere ordine nel sistema bancario italiano. Sessanta anni dopo un altro socialista come Giuliano Amato metteva in mano ai poteri forti della finanza le sorti della nostra economia. Ma perché il fascismo-regime delegava la gestione dell’economia pubblica ad un socialista per di più massone? Per capire questo basta ricordare una frase tratta da Il Trattato del ribelle di Ernst Junger: “Il ribelle non si lascia abbagliare dall’illusione ottica che vede in ogni aggressore un nemico della patria”.
    Salvatore Recupero
    Interessante l'ultima considerazione su Beneduce.
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

  2. #12
    Moderatore
    Data Registrazione
    22 Apr 2009
    Messaggi
    13,470
     Likes dati
    543
     Like avuti
    1,680
    Mentioned
    191 Post(s)
    Tagged
    9 Thread(s)

    Predefinito Re: Politica economica e sociale del fascismo

    Politica sociale nel Regime Fascista
    Politica sociale nel Regime Fascista

    La politica sociale del Fascismo, durante il corso del Ventennio, ha rappresentato e rappresenta ancora oggi un importante argomento di dibattito: il gran numero di provvedimenti presi nei confronti del mondo del lavoro, in particolare, evidenzia la complessità di un'ideologia politica difficilmente catalogabile nei tradizionali schemi destra-sinistra.
    DI ANTONIO MARTINO - 2 APRILE 2015

    Tweet


    La politica sociale del Fascismo, durante il corso del Ventennio, ha rappresentato e rappresenta ancora oggi un importante argomento di dibattito: il gran numero di provvedimenti presi nei confronti del mondo del lavoro, in particolare, evidenzia la complessità di un’ideologia politica difficilmente catalogabile nei tradizionali schemi destra-sinistra. Fino alla Grande Guerra, lo Stato Italiano aveva applicato un comportamento tipicamente liberale nei confronti della dialettica lavoro-capitale: seguendo il celebre postulato del laissez-faire, poco o nulla era stato fatto in materia di diritti dei lavoratori. Allorché il Fascismo giunse al governo, nell’ottobre 1922, le istanze delle classi subalterne, iscritte in buon numero nel PNF, furono sfruttate per estendere il consenso personale di Mussolini: in un solo anno (1923), la legislazione sociale fascista recupera il tempo perduto dai regimi liberali, con appositi Regi Decreti:Tutela lavoro donne e fanciulli – (R.D. 653/1923); Maternità e infanzia – (R.D. 2277/1923); Assistenza ospedaliera per i poveri – (R.D. 2841/1923); Assicurazione contro la disoccupazione – (R.D. 3158/1923); Assicurazione invalidità e vecchiaia – (R.D. 3184/1923)Al contempo, nel campo della lotta di classe, nella dinamica del processo produttivo, il Fascismo aveva, fin dal 1921, adottato la teoria del Corporativismo, indicando in tal modo l’ipotetica terza via tra Capitalismo e Collettivismo marxista. Lo stesso Mussolini aveva espresso, a tal proposito, la propria idea di «Chi dice lavoro, dice borghesia produttiva e classi lavoratrici delle città e dei campi. Non privilegi alla prima, non privilegi alle ultime ma tutela di tutti gli interessi che armonizzano con quelli della produzione e della nazione». Era dunque necessario creare un documento programmatico che, elaborando la teoria corporativa, regolasse il mondo del lavoro nella nuova Italia fascista. L’onere dell’opera fu assunto dal Ministro delle Corporazioni Giuseppe Bottai, il più importante esponente della corrente sociale del Regime, che, traendo ispirazione dalla Carta del Carnaro dannunziana, redasse la Carta del Lavoro. Approvata, dopo numerose revisioni, il 21 aprile 1927, Natale di Roma, la Carta del Lavoro si compone di quattro parti e trenta articoli. L’articolo uno afferma che «La Nazione italiana è un organismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori per potenza e durata a quelli II. Il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzativi ed esecutive, intellettuali, tecniche, manuali è un dovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato». Il lavoro è definito dovere sociale;viene introdotto il contratto collettivo di lavoro, quale «espressione concreta della solidarietà tra i vari fattori della produzione, mediante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione».Viene inoltre istituita la Magistratura del Lavoro (art. V e X), riconosciuto il ruolo delle Corporazioni quali organi di Stato (art.VI), regolato il ruolo dell’intervento statale nell’economia (art. IX). Dal XI al XXI articolo si affrontano le tutele dei lavoratori e legaranzie minime del Lavoro. Chiudono la Carta articoli sulla previdenza, assistenza, istruzione, sanità. La Carta fu utilizzata dal Regime per propagandare all’estero la riuscita creazione di una terza via economica, mentre il capitalismo evidenziava i primi sintomi della catastrofica crisi del 1929. Molti paesi, infatti, prenderanno la carta come modello, specie dopo il crollo di Wall Street e l’apparente agonia del modello capitalista. Il successo del sistema corporativo, di cui la Carta è un pilastro imprescindibile, fu certificato dal Congresso internazionale del lavoro di Ginevra del 1932, ove si affermò che «(Per l’Italia) non si può parlare di regressione nella politica sociale». Sul fronte interno, il documento di Bottai porterà dei concreti vantaggi materiali alle classi lavoratrici, specie sul fronte delle ferie e delle indennità in caso di infortuni o malattie. Alcuni esponenti dell’antifascismo, addirittura, rivedono le loro posizioni dopo il provvedimento del 21 aprile. Sono, però, dei successi minimi rispetto all’ardito progetto di totale trasformazione dell’economia in senso corporativo: Mussolini non può e non vuole assecondare Bottai, inimicandosi del tutto gli industriali e il grande capitale italiano. La vera attuazione del progetto corporativo e della politica sociale, quale era nella mente del duce, si avrà soltanto durante la Repubblica Sociale, quando verrà approvata la socializzazione delle fabbriche ed elaborata la funzione sociale della proprietà. Fuori tempo massimo, però.
    Ultima modifica di Avanguardia; 02-04-15 alle 10:28
    FASCISMO MESSIANICO E DISTRUTTORE. PER UN MONDIALISMO FASCISTA.

    "NELLA MIA TOMBA NON OCCORRE SCRIVERE ALCUN NOME! SE DOVRO' MORIRE, LO FARO' NEL DESERTO, IN MEZZO ALLE BATTAGLIE." Ken il Guerriero, cap. 27. fumetto.

  3. #13
    Moderatore
    Data Registrazione
    22 Apr 2009
    Messaggi
    13,470
     Likes dati
    543
     Like avuti
    1,680
    Mentioned
    191 Post(s)
    Tagged
    9 Thread(s)

    Predefinito Re: Politica economica e sociale del fascismo

    Breve storia del fascismo sociale
    Breve storia del fascismo sociale

    Aggiunto da Francesco Carlesi il 24 gennaio 2016.


    807
    Condivisioni
    FacebookTwitter


    Mario Sironi, L’Italia Corporativa, 1936, Coll. privata , Roma
    Roma, 25 gen – Il 25 Gennaio 1922 nasceva a Bologna la Confederazione Nazionale delle Corporazioni Sindacali, un passo dimenticato quanto fondamentale nella traiettoria sociale del regime fascista, ancora oggi oggetto di studi e discussioni. Si tratta del primo passo ufficiale del sindacalismo fascista, sorto dal travaglio del sindacalismo rivoluzionario, che si propone di unire tutti i lavoratori nel segno di una lotta interclassista e nazionale contro capitalismo e comunismo, annoverando Filippo Corridoni, Ottavio Dinale e Angelo O. Olivetti tra i padri nobili.
    All’interno del sindacalismo fascista si dividono due correnti: quella di Michele Bianchi, che vuole un organismo strettamente legato al Partito Fascista, e quella di Edmondo Rossoni, che si batte per l’autonomia. A risultare vincente è la posizione del primo, con il secondo che si vede comunque riconoscere come segretario dell’organizzazione. Il neo leader intraprende subito un’aspra lotta al ceto padronale, restio ad accettare la crescente importanza dei lavoratori, che gli fa guadagnare successi inaspettati: interi settori dell’operaismo organizzato passano dal socialismo al fascismo, come puntualmente descritto da R. De Felice in Mussolini, Il Fascista (vol. 1). L’obiettivo del segretario non è quello di “sconfiggere” Confindustria e Confagricoltura, ma di realizzare un «sindacalismo integrale», coinvolgendole pariteticamente alla sua organizzazione in un’unica sintesi. È proprio questo il fulcro dell’idea corporativa: il superamento del conflitto di classe per la realizzazione di una «Terza Via» tra stato liberale e stato comunista. «Chi dice lavoro dice borghesia produttiva e classi lavoratrici delle città e dei campi. Non privilegi alla prima, non privilegi alle ultime, ma tutela di tutti gli interessi che si armonizzano con quelli della produzione e della Nazione» spiega Mussolini nel suo primo discorso alla Camera, un mese dopo la Marcia su Roma. Sin dai primi anni di governo, infatti, il regime vara una serie di importanti leggi sociali, mentre il disegno rossoniano vede lo stipularsi di due accordi di collaborazione tra sindacato e Confindustria (Patto di Palazzo Chigi, 1923 e Patto di Palazzo Vidoni, 1925) quale punto di partenza.
    Dopo alcuni provvedimenti in continuità con le politiche liberali degli anni precedenti, con la legge n. 563 del 3 Aprile 1926 viene convenzionalmente indicato l’inizio fattuale del corporativismo, attuato attraverso il riconoscimento del sindacato fascista quale unico rappresentante dei lavoratori per la stipula dei Contratti Collettivi. Ad essi viene conferita valenza di legge: i produttori, sotto l’impulso ed il controllo della rivoluzione fascista, entrano nella «cittadella dello Stato», nell’intento di creare una nuova forma di partecipazione economica e politica.

    L’anno successivo viene pubblicata La Carta del Lavoro (sarà anche la base dei 18 punti di Verona nel 1943) che sancisce ulteriori passi avanti:
    – l’istituzione della Magistratura del Lavoro, per dirimere le controversie tra sindacato e datori nell’interesse della Nazione (che ha «fini, vita, mezzi di azione superiore a quelli degli individui divisi»). Con detto istituto gli scioperi sono proibiti.
    – diritto alle ferie annuali
    – istituzione degli uffici di collocamento statali
    – istituzione dell’indennità di fine rapporto
    Oltre al rafforzarsi delle conquiste sul piano dell’assistenza e della previdenza compiute negli anni precedenti (si confronti a proposito il libro di Alessandro Mezzano, I danni del fascismo). Questi passaggi richiedono sforzi continui dei «combattenti sociali» fascisti, osteggiati dalla Corona, dalle banche, dagli industriali, dalla massoneria, oltre che da consistenti ambienti conservatori dello stesso regime (tradotto: le forze della reazione). Basti qui prendere in mano le pagine di Eroi e Cialtroni scritto da Augusto Grandi per capire i contorni della vicenda. Nel 1924 si verificano addirittura numerosi scioperi indetti dal sindacato fascista (ad esempio nel Valdarno, nella Lunigiana, ad Orbetello) con protagonisti Renato Ricci, Domenico Bagnasco, Luigi Razza e Bramante Cucini, a conferma dell’essenza di larga parte del movimento: «Il fascismo supera il socialismo, ma raccoglie i buoni frutti dell’opera socialista secondo la sua propria legge, e tale opera continua» scrive Enrico Corradini sulle colonne del «Popolo d’Italia». Il processo rivoluzionario continua gradualmente, arricchito da dibattiti e contributi significativi (le pagine di il «Critica Fascista» e gli scritti di Sergio Panunzio e Berto Ricci tra i tanti), e vede come tappe fondamentali:
    1934: creazione delle Corporazioni quali organi statali che assicurano la collaborazione tra classi: sono 22, e coprono ogni ramo produttivo (olearia, pesca, chimica ecc.). Ad esse e al loro Consiglio Nazionale erano inoltre attribuiti compiti di programmazione economica, con partecipazione organica e permanente dei produttori interessati. «Quali sono gli scopi? Una organizzazione che raccorci con gradualità ed inflessibilità le distanze tra le possibilità massime e quelle minime della vita (…) l’economia disciplinata, armonizzata in vista di un’utilità collettiva» riferisce il capo del fascismo alla prima Assemblea Generale delle Corporazioni.
    – 1939: Creazione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, che sostituisce la Camera dei Deputati. Composta da membri del Consiglio Nazionale del P.N.F. e componenti del Consiglio delle Corporazioni, discute tutti i disegni di legge di carattere generale e di maggior interesse. «Devono raccorciarsi, e si raccorceranno, le distanze tra le diverse categorie di produttori, i quali riconosceranno le gerarchie del più alto dovere e della più dura responsabilità» sottolinea ancora Mussolini. Proprio in questi anni egli preconizza la crisi del sistema economico occidentale (e non nel sistema) e l’Italia con l’IMI, l’IRI (tornato in voga in questi ultimi tempi di crisi), la legge bancaria (1936) e le teorie corporative diviene esempio per molti paesi in difficoltà, Stati Uniti in primis. Al contempo viene intensificata la “lotta” antiborghese ed anticapitalista, come si evince dalle parole d’ordine della propaganda e dalle pagine del «Popolo d’Italia», di «Gerarchia» e dei maggiori spazi culturali del tempo, fotografati da Giovanni Belardelli ne Il Ventennio degli intellettuali. E’ l’accelerazione totalitaria e rivoluzionaria che suscita tanti entusiasmi e tante delusioni, proiettando l’immagine di una definitiva «rivoluzione sociale» per l’Italia.
    Non mancano, ovviamente, errori e contraddizioni, difficoltà salariali e provvedimenti discussi come lo “sbloccamento” del sindacato (1928). Formulare un giudizio definitivo diventa difficile, visto che ad interrompere il percorso arriva la guerra e la battaglia del «sangue contro l’oro» non va come previsto. All’acuirsi della crisi tutte le forze della reazione, che tanto entusiasticamente avevano sostenuto il regime, cambiano barricata passando al fronte anglo-americano. Il Fascismo “rinasce” con la Repubblica Sociale Italiana, e non è un caso che, «quando tutti i nemici si fecero riconoscere, tornò immediatamente e con slancio alla propria essenza originaria e la linfa socialista, rivoluzionaria e sociale della vigilia riprese a scorrere liberamente» come descritto da Luca L. Rimbotti ne Il Fascismo di sinistra. La socializzazione, possibile grazie alla «avanzata educazione corporativa dei produttori» (parole di R. Sermonti in Valori Corporativi) non è nient’altro che lo sviluppo logico del cammino delle camicie nere. Già diversi progetti, come quelli del sindacalista Tullio Cianetti, e La Carta del Lavoro posta a fondamento del Codice Civile avevano anticipato una svolta sociale di proporzioni storiche. Uomini come Nicola Bombacci, Giuseppe Solaro e Giuseppe Spinelli, operaio e ministro del Lavoro, sono i protagonisti di un passaggio lontano ed effimero ma ardito e profondo, tanto da avere ancora oggi spunti da offrire e principi da cui prendere esempio.
    Francesco Carlesi
    FASCISMO MESSIANICO E DISTRUTTORE. PER UN MONDIALISMO FASCISTA.

    "NELLA MIA TOMBA NON OCCORRE SCRIVERE ALCUN NOME! SE DOVRO' MORIRE, LO FARO' NEL DESERTO, IN MEZZO ALLE BATTAGLIE." Ken il Guerriero, cap. 27. fumetto.

 

 
Pagina 2 di 2 PrimaPrima 12

Discussioni Simili

  1. Risposte: 18
    Ultimo Messaggio: 24-03-10, 11:02
  2. Risposte: 2
    Ultimo Messaggio: 09-12-08, 18:56
  3. Risposte: 5
    Ultimo Messaggio: 08-08-08, 12:05
  4. Politica Economica
    Di Muntzer (POL) nel forum Comunismo e Comunità
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 27-04-06, 11:52
  5. Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 21-09-05, 10:05

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito