I lavoratori italiani forse non se ne rendono ancora conto. La proposta di gabbie salariali avanzata, ovviamente, dalla Lega Nord e puntualmente avallata da Berlusconi nell'intervista di ieri su Il Mattino di Napoli, ha scatenato proteste dei sindacati, delle opposizioni parlamentari e non e anche di settori della stessa maggioranza.
Per chi si interessa, come me, di comunismo nazionale, cioè della difesa dei lavoratori italiani nell'ambito dell'unità nazionale, tale proposta rappresenta una duplice pugnalata al cuore:
- da un lato, produce disparità di trattamento tra i lavoratori italiani e concorrenza tra gli stessi, generando l'ennesima guerra tra poveri di cui si giova il Capitale e la demagogia leghista;
- dall'altro lato, l'idea del popolo che contribuisce, col lavoro di tutti e di ciascuno, dalle Alpi alla Sicilia, allo sviluppo economico, sociale, politico e culturale della Patria viene delegittimata di fatto e di principio.
Va inoltre detto che le gabbie salariali, abolite a seguito della lotta dei sindacati nel 1969, sono de facto già esistenti: dati Istat hanno dimostrato che fittare una casa al centro di Roma o Napoli costa molto più che fittarla al centro di Torino o Milano; che un dipendente pubblico lombardo guadagna circa 24 mila euro l'anno, mentre lo stesso dipendente pubblico in Calabria ne guadagna 14.
Uno studio della Nielsen, nota società esperta di marketing e sondaggi, ha stabilito che, a parità di prodotti comprati nel supermercati italiani, la spesa risulta più cara nel Lazio e in Campania rispetto alla lombardia e al veneto.
Quindi, di cosa parlano i leghisti? Quale necessità di agganciare i salari al costo della vita scorgono in questi dati oggettivi? I meridionali che votano Berlusconi stanno capendo quali teorie quest'uomo sostiene?
Contro ogni leghismo. Per l'unità dei lavoratori italiani.