Yoani Sanchez contestata a Perugia la platea fischia i filocastristi - Repubblica.it
PERUGIA - Mario Calabresi, direttore de La Stampa ha appena finito la sua breve presentazione. Yoani Sanchez sta per prendere la parola. Una trentina di manifestanti filocastristi si impadronisce del palco con bandiere e volantini lanciati in aria. Da giorni, in uno dei pochi siti web locali, gli attivisti di AsiCuba Umbria lamentavano l'arrivo della popolarissima blogger cubana, accusandola di essere coccolata, accudita e ovviamente pagata dall'Occidente.
Dalle ali della Sala dei Notari gli anticastristi, originari di Cuba, gridavano a loro volta contro i manifestanti, rigorosamente umbri. Abbastanza pittoresca la loro uscita, dopo dieci buoni minuti di protesta, urla e invettive contro la Sanchez, rimasta seduta, protetta dai 194 centimetri di Calabresi, al canto di "Bella ciao".
Il commento a caldo di Yoani Sanchez è stato laconico: "Anche noi a Cuba vorremmo protestare come hanno fatto loro. E' bello vedere gente libera di manifestare e per questo li ringrazio. Le loro proteste rendono più alta la mia voce". Poi, a bassa voce, sussurra ai suoi amici: "Sono talmente abituata a queste manifestazioni che se non succede nulla finisce che mi annoio".
Un finale col botto, per il settimo Festival del Giornalismo, alla sua prima manifestazione contro, scoccata proprio nel primo giorno italiano della Sanchez. Una giovane donna che attraverso un blog, Generazione Y, una semplice finestra telematica, ha generato un violentissimo vortice di pensieri informazioni, polemiche. Nel 2008 il governo cubano ha messo un filtro per rendere invisibile il suo blog nell'isola, problema immediatamente aggirato da centinaia di amici che fanno rimbalzare i suoi messaggi attraverso tutte le porte possibili. Oggi il blog Generazione Y è inserito tra i 25 più influenti al mondo.
Una donna, la Sanchez, che ha voluto tornare a vivere nella sua Cuba, malgrado l'esilio di suo zio Adolfo Fernandez, fatto uscire dal carcere grazie al paziente lavoro diplomatico della Chiesa, malgrado il fatto che sua sorella se n'è andata tre anni fa, come tantissimi suoi amici e conoscenti. "Non riuscivo a vivere altrove. Ogni volta che mangiavo un piatto di carne pensavo alle privazioni dei miei concittadini, alla loro difficoltà di vivere che è la mia di ogni giorno. Io voglio essere utile al mio Paese e alla mia gente".
La Sanchez ha un figlio di 18 anni e vive al quattordicesimo piano di una casa con un ascensore malandato. Rivendica la sua battaglia contro l'inflessibile e granitico governo cubano ma lo fa raccontando le scene di vita quotidiana, dalla lavatrice che non funziona al mercato sotto casa. Decisiva la sua capacità tecnologica e la sua indole spiccatamente digitale in una robusta cultura classica, ribadita dalla sua laurea in Filologia. E, ovviamente, la sua qualità narrativa.
Su Raul Castro, Yoany Sanchez taglia corto: "Il suo è un peccato originale. Raul non è stato eletto, ha ereditato il potere per questioni di sangue, qualcosa di inimmaginabile nel terzo millennio".
Al termine qualche rigurgito di proteste, stavolta attraverso le domande dalla platea. Ma il pubblico è per lei. E sarà difficile zittire la sua voce.