Meglio un uovo oggi: In Italia pochi laureati: perché?
giovedì 13 gennaio 2011
In Italia pochi laureati: perché?
Lo sappiamo: in Italia il numero di laureati in rapporto alla popolazione, è più basso che negli altri paesi sviluppati. Questo è vero qualunque sia il livello di titolo di studio considerato (laurea triennale, specialistica, o dottorati e specializzazioni varie).
Per coloro che non se ne fossero ancora convinti, estrapolo due grafici dal rapporto OECD Education at a Glance 2008. Per chi non avesse tempo o voglia di leggersi le oltre 500 pagine del ricchissimo documento preparato dall'OECD, ecco qui sotto la situazione nel 2006. Il grafico rappresenta il numero di laureati in corsi di durata almeno pari a 3 anni. I triangoli sono i valori per i giovani fino ai 34 anni, i quadrati rappresentano la coorte tra i 55 ed i 64 anni. L'Italia è laggù, tra gli ultimi cinque paesi (clicca l'immagine per ingrandire):
A questo punto le ipotesi speculative si sprecano. Perché facciamo così pietà? La prima risposta che viene alla mente è che forse in Italia studiare non paga. Ma il prossimo grafico, anch'esso prelevato dal rapporto OECD, ci smentisce immediatamente (clicca l'immagine per ingrandire. Dico davvero, come fai a leggere i numeri così piccoli!?):
La tabella ci regala tante informazioni utili. La prima è che, in media, un laureato italiano guadagna molto di più di un lavoratore che possiede solo il diploma di maturità. Questo è vero sia per i giovani tra i 25 ed i 34 anni, che per i più anziani tra i 55 ed i 64 anni (non si vede nella tabella qui sopra, ma nel rapporto OECD è ben spiegato da una enorme tabella che separa i dati per fasce d'età, a pagina 173). I giovani guadagnano in media +57% rispetto ai colleghi non laureati, mentre gli over 55 guadagnano ben +94%.
L'altra informazione è che le donne sono meno fortunate. Come prevedibile in un paese ancora molto maschilista, in Italia le donne over 55 guadagnano un +62% contro il +101% dei colleghi maschi. Considerando l'intero arco d'età tra i 25 ed i 64 anni, la penalizzazione delle donne laureate appare ancor più accentuata: +88% per i maschi contro appena un +38% per le femmine. La differenza è invece molto meno marcata per i laureati giovani: +69% e +55%, rispettivamente ragazzi e ragazze under 34.
Quindi, pare che in Italia la laurea paghi bene, soprattutto per i maschi. Il maggior reddito ottenibile è abbastanza in linea con Francia, Germania, Regno Unito. Allora perché così pochi laureati? Non si tratta di un fenomeno femminile, dato che i nuovi iscritti nelle università italiane sono per il 63% donne, e maggiore è anche il numero di nuove laureate nell'anno (circa il 47% del totale dei laureati) rispetto ai laureati maschi. Se dunque il maggior reddito ottenibile grazie agli studi universitari è interessante, almeno quanto gli altri paesi europei, cos'è che riduce il numero dei nostri laureati?
Non ho la risposta, ma un'opinione che individua due possibili cause. La prima è la follia nostrana che porta ad incrementi del salario non dovuti a maggiore produttività del lavoratore, ma piuttosto a scatti automatici di anzianità. In questo modo si privilegia sempre e comunque il collega anziano, anche se poco preparato e quindi meno produttivo. E quindi, meglio cercar subito un lavoro per maturare l'anzianità, piuttosto che studiare e laurearsi.
La seconda causa può trovarsi nel valore legale del titolo di studio. Se la laurea è solo un certificato che serve accedere ad albi professionali ed abilitazioni, è ragionevole per lo studente cercare quell'università dove laurearsi è più facile, veloce ed economico. Questo atteggiamento riduce l'offerta di qualità dell'insegnamento, e rende poco utile frequentare corsi universitari per coloro che non aspirano ad accedere a professioni protette. L'università italiana si trasforma così da luogo di apprendimento (che porta a maggiore produttività e specializzazione), ad esamificio la cui durata si somma per lo studente ai vari periodi di apprendistato, tirocinio, specializzazione, che le professioni di avvocato, commercialista, medico, notaio ecc. richiedono obbligatoriamente nel nostro paese.
Si noti bene, che poco c'entrano la riforma Gelmini ed i problemi legati agli sprechi ed ai baroni. La questione è strutturale, e riguarda il meccanismo di remunerazione del lavoro assieme ai molti vincoli posti all'ingresso delle professioni ad elevata specializzazione. Due mali che andrebbero presto eradicati se vogliamo davvero ottenere un'università "europea".