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    Predefinito Pakistan, analisi delle elezioni dell'11 Maggio.

    Giustizia e militari in Pakistan: i nodi vengono al pettine

    Venerdì, 10 Maggio, 2013


    Mediterraneo & Medio Oriente
    Asia


    Elisa Giunchi


    Nel 2008, quando le elezioni parlamentari hanno riportato al potere il Pakistan People’s Party (PPP) dopo nove anni di regime militare e Asif Ali Zardari, il vedovo di Benazir Bhutto, è stato eletto presidente, si è sperato che la svolta democratica potesse facilitare il ripristino dell’ordine e della sicurezza in un paese lacerato da violenze religiose e tensioni etniche, ridimensionare gli elementi religiosi estremisti e ricomporre le fratture politiche interne. Nulla di ciò è accaduto, e a cinque anni di distanza vi è nel paese una disillusione diffusa verso il PPP, e verso i partiti tradizionali in generale, che potrebbe facilitare l’emergere di raggruppamenti politici nuovi, come il Pakistan Tehrik-e-Insaf (PTI), ma anche l’astensione al voto. In questi anni le violenze religiose si sono intensificate, colpendo soprattutto la minoranza sciita, mentre i militanti religiosi legati al narcotraffico hanno continuato a passare indisturbati la Durand Line, mantenendo in vita l’insorgenza nel vicino Afghanistan. La coalizione governativa guidata dal PPP non ha saputo riportare l’ordine e la stabilità e affrontare la crisi economica ed energetica del paese. Le manifestazioni anti-governative si sono moltiplicate, sfociando nel gennaio 2013 in una massiccia protesta guidata a Islamabad da Mohammed Tahir ul Qadri, un religioso con fonti di finanziamento e legami politici poco chiari, che ha richiesto la formazione di un governo interinale di “persone oneste” che introducessero riforme sostanziali nel paese.
    Nello stesso giorno in cui decine di migliaia di persone protestavano a Islamabad, la Corte Suprema ordinava l’arresto del primo ministro Raja Pervaiz Ashraf per corruzione. Il suo predecessore, Yusuf Raza Gilani, era stato destituito per non avere voluto perseguire Zardari per corruzione. La coincidenza di questi eventi è sembrata confermare le ipotesi di un accordo tra le forze armate – indicate da alcuni come i finanziatori occulti di Qadri – e magistratura per far deragliare il processo elettorale. Pur continuando a controllare alcuni settori chiave da dietro le scene, i vertici militari, si è detto, speravano forse di installare un governo provvisorio di “tecnici” composto da individui vicini all’esercito e sensibili alle sue priorità. Questa ipotesi è stata apparentemente sfatata dalla decisione ad aprile della High Court di Islamabad di ordinare l’arresto dell’ex presidente Pervaiz Musharraf per alcuni fatti che risalgono al 2007 e riguardano il suo rapporto con la magistratura. Musharraf, come prima di lui Ashraf, è stato quindi squalificato dall’agone elettorale, con un gesto che ha indebolito indirettamente la posizione delle Forze armate, al quale Musharraf apparteneva, e della PML-Q (Pakistan Muslim League-Quaid e-Azam), a lui vicina.
    Il PPP, nonostante Qadri e il malcontento diffuso, è riuscito a completare il suo mandato. È la prima volta nella storia del Pakistan che un governo eletto arriva alla fine del suo mandato: Zulfiqar Ali Bhutto, arrivato al potere dopo le prime elezioni nazionali del 1970, la figlia Benazir e Nawaz Sharif erano tutti stati destituiti da un colpo di stato militare o dal capo di stato colluso con i vertici militari. Nei mesi successivi una serie di attentati ha colpito i sostenitori e i candidati dei principali partiti della coalizione uscente –PPP, Awami National Party (ANP) e Muttahida Qaumi Movement (MQM) –, facendo più di 70 morti e centinaia di feriti. A rivendicare gli attentati è stato il Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP), che ha accusato il PPP e i suoi alleati di avere perseguito politiche filo-statunitensi e anti-talebane. Ma anche candidati del JUI (Jamiat-e-Ulama-e Islam) sono stati colpiti nelle aree tribali adiacenti all’Afghanistan, con l’accusa di avere in passato collaborato con il PPP. Si stima che nei primi quattro mesi del 2013, 2.674 persone abbiano perso la vita in episodi di violenza politica. Solo nelle ultime settimane sono state più di 80 le vittime di attentati.
    Sempre più impopolare, e costretto dagli attentati a una campagna elettorale cauta, il PPP, che fino ad alcuni mesi fa era considerato come il probabile vincitore delle elezioni, ha perso ulteriormente consensi. Secondo gli ultimi sondaggi, alle elezioni dell’11 maggio nessun partito otterrà la maggioranza necessaria per guidare da solo il prossimo governo; la PML-N (Pakistan Muslim League-Nawaz) guidata da Nawaz Sharif, alleata con importanti settori religiosi tra cui il JUI, e che ha un’agenda pro-business e conservatrice, dovrebbe ottenere il maggior numero di seggi all’Assemblea Nazionale, consolidando il suo controllo sul Punjab, la provincia più popolosa e ricca del paese. Ad avvantaggiarla potrebbe essere il sostegno dei settori religiosi e industriali e la decisione di molti sostenitori della PML-Q di votare la PML-N, che condivide la sua politica Punjabo-centrica e pro-business.
    Al secondo posto dovrebbe attestarsi il PPP, sostenuto soprattutto dal Sindh rurale, dal quale proviene la famiglia Bhutto, e dal Punjab meridionale, o PTI di Imran Khan, che si presenta come un’alternativa “pulita” e moderna ai due principali partiti tradizionali – PPP e PML-N -. Il PTI potrebbe attirare voti soprattutto dall’elettorato del PPP, deluso da Zardari, ma fortemente anti-Sharif per motivi ideologici ed etnici.
    Probabilmente il voto per i due principali partiti storici, PPP e PML-N, seguirà linee etniche, come è avvenuto in passato: i sindhi e pakistani di lingua seraiki sosterranno il PPP, mentre punjabi e pakistani di lingua hindko sceglieranno la PML-N. Il voto sarà in parte connotato anche sotto il profilo socio-economico: la popolazione più povera voterà il PPP, e il PTI attirerà soprattutto il voto dei ceti medio-alti urbani. La PML-N attirerà invece voti da ogni gruppo sociale, e il PTI avrà consensi da diversi gruppi etnico-linguistici.
    Se i sondaggi nelle ultime settimane concordano sull’esito delle elezioni, e sulla scomposizione etnico-sociale del voto, più difficile è fare previsioni sui futuri rapporti tra esecutivo, forze armate e magistratura: nell’autunno del 2013 il capo di Stato Maggiore dell’esercito, Ashfaq Kayani, dovrebbe ritirarsi, così come il chief justice della Corte Suprema, Iftikhar Muhammad Chaudhry. Lo stesso mandato di Zardari scadrà a settembre. Si apre quindi per il paese un periodo d’incertezza, in cui problemi economici e di ordine pubblico interni s’intrecceranno con un contesto regionale altamente volatile, tra un Afghanistan non ancora pacificato, in cui stanno riemergendo vecchie rivendicazioni confinarie sulla Durand Line, e un Iran indebolito dalla crisi siriana e dalle sanzioni; a sud, le relazioni del Pakistan con l’India rimangono tese e il loro fulcro, il dissidio sul Kashmir, irrisolto.
    * Elisa Giunchi è Associate Senior Research Fellow dell’ISPI e ricercatore di Storia e istituzioni dell’Asia, Facoltà di Scienze Politiche, Università degli Studi di Milano
    Giustizia e militari in Pakistan: i nodi vengono al pettine | ISPI

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    Predefinito Re: Pakistan, analisi delle elezioni dell'11 Maggio.

    Nawaz Sharif vince le elezioni in Pakistan!?

    Lahore, 11 Maggio 2013. A poche ore dalla chiusura delle urne, Nawaz Sharif e il fratello Shabaz, leader della Pakistan Muslim League-N (PML-N)hanno dichiarato di aver vinto le elezioni generali pakistane, aggiungendo che Nawaz sarà il nuovo primo ministro pachistano. Malgrado l’audace uscita, i Sharif hanno ammesso che la maggioranza non sarà assoluta, per questo dovranno lavorare con attenzione nella definizione del nuovo governo. Ciononostante Nawaz ha espresso la propria gratitudine alla nazione per la fiducia accordatagli. Al momento è certo che la PML-N ha ottenuto la maggioranza presso due seggi dell’Assemblea Nazonale, 120 a Lahore e 68 a Sargodha. Ulteriori conferme, o smentite seguiranno nelle prossime ore, quando le operazioni di spoglio saranno concluse. Attività minata oggi da diversi casi di tentata manipolazione dei risultati, in particolare a Karachi, dove sono stati esclusi almeno una dozzina di seggi considerati a rischio.

    Nawaz Sharif è già stato eletto primo ministro del Pakistan nel 1990 e nel 1997, ma entrambi i governi sono stati sollevati prima della fine del mandato. Nel primo caso Sharif fu sostituito dal presidente Ghulam Ishaq Khan, nel secondo caso (1999) ebbe luogo il colpo di stato del generale Pervez Musharraf, che ha governato fino all’agosto 2008.

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    Predefinito Re: Pakistan, analisi delle elezioni dell'11 Maggio.

    Nawaz Sharif e le sfide del Pakistan. Lontano l’appuntamento con la democrazia

    Islamabad, 13 Maggio 2013. Con le elezioni generali di sabato, vinte dal PML-N di Nawaz Sharif, in Pakistan si è aperto un nuovo capitolo che in molti si augurano porti verso la democrazia. E’ la prima volta infatti, che un partito al governo è riuscito portare a termine (il 16 marzo scorso) il suo mandato, e per la prima volta in 66 anni di storia, con le votazioni di sabato è stato sancito un passaggio di consegne con un altro governo democraticamente eletto (dal PPP uscente, alla PML-N). Viene così ad interrompersi quell’alternanza tra potere politico e militare che sin dal dopo Jinnah ha ripetutamente reciso ogni barlume di aspirazione democratica, affidando per ben 32 anni complessivi e dopo ripetuti colpi di stato, la guida del paese a diversi governi militari. Ciononostante, le elezioni di sabato 11 maggio non basteranno ad insediare in Pakistan una democrazia solida e duratura, in quanto sono ancora troppi i limiti esistenti. In particolare la diffusione del terrorismo dal nord al sud, la crescita delle violenze verso le minoranze religiose, la pesante recessione che ha quasi arenato la crescita economica, la disoccupazione, la crisi energetica, l’offensiva anti-Taliban, la permissività verso gli USA in particolare sulla guerra dei droni. L’insieme di questi elementi rendono un quadro allarmante, impossibile da ignorare e se letto in ottica democratica, svela la fragilità insita nel governo che a breve dovrà insediarsi e possibilmente prendere le redini del Paese. Nawaz Sharif durante il suo discorso da vincitore, ha garantito la volontà di mantenere tutte le promesse fatte in campagna elettorale, tuttavia la situazione in Pakistan è talmente fragile che difficilmente avrà la spinta necessaria a contenere le falle esistenti e rilanciare il Paese.
    Uno dei primi obbiettivi di Sharif dovrà essere la riconquista della fiducia dei cittadini, i quali secondo un’analisi di Gallup, dubitano che un governo democratico possa essere utile al Pakistan. Lo scorso novembre, appena il 23% della popolazione vedeva positivamente un governo democratico, rispetto al 31% nel 2010, 54% nel 2008, 58% nel 2006. Il dato rilevato nel 2012 è controbilanciato dalla preferenza diffusa per il potere militare, scelta benvoluta dall’88% dei pachistani, disposti a sostituire la cravatta del premier con le stelline d0rate di un generale. Questa sfiducia scaturisce dalle politiche perseguite dal governo uscente (PPP, Pakistan People Party), in particolare dalla scelta di supportare gli Stati Uniti nell’offensiva anti-Taliban, che oltre a minare pesantemente la fiducia degli elettori verso i fondamenti della (debole) democrazia pachistana, ha di fatto annientato ogni speranza di successo per il partito della famiglia Bhutto. A nulla è infatti servito l’intervento di Bilawal Bhutto, figlio della compianta Benazir, il quale ha fallito in pieno nel tentativo di risollevare le sorti del PPP, arrivando addirittura a riesumare il celebre slogan elettorale introdotto dal nonno materno Zulfica Ali Bhutto, che recitava “roti, kapra aur makan” (cibo, vestiti e casa).
    Il rischio di un futuro colpo di stato e l’imposizione di un’autorità militare è tangibile. Non a caso Sharif è già stato deposto dall’esercito, e sostituito dal generale Pervez Musharraf nel 2008. Qualora il livello già alto di ingovernabilità dovesse crescere ancora, un nuovo golpe potrebbe essere inevitabile. Partiamo dall’assunto che Sharif non sarà mai in grado di porre fine alle violenze religiose che imperversano il Paese, non riuscirà mai a scardinare la folle legge sulla blasfemia in base alla quale un comportamento denigratorio verso l’Islam è un reato penale punibile con la pena di morte, come accaduto nel 2012 alla cristiana Asia Bibi, la prima donna ad essere colpita dalla legge sulla blasfemia e condannata alla pena capitale. A questi elementi si sommano la corruzione dilagante, il sistema giuridico inefficiente, la pesante crisi economica, energetica e dell’occupazione, e non da ultimo il sempre maggiore scollamento tra potere centrale e i diversi (potenti) gruppi fondamentalisti attivi nel paese, per i quali la tacita alleanza con Islamabad si è rotta nel 2001, con l’apertura di Musharraf verso la collaborazione nella lotta al terrorismo lanciata dagli Stati Uniti a ridosso della Linea Durand. E’ vero che Sharif, rispetto ai leader del PPP, gode di maggiori consensi presso l’ortodossia islamica, tuttavia solo un governo militare potrà riportare entro limiti accettabili la deriva anti-governativa intrapresa dalle organizzazioni islamiche del Paese in particolare nel 2009, anno in cui Islamabad ha lanciato l’offensiva militare anti-Taliban in Swat e Dir, poi estesa lungo il confine afgano fino al Sud Waziristan e in Baluchistan.
    L’approssimarsi del passaggio di consegne in Afghanistan è ormai vicino (2014), quindi difficilmente assisteremo ad un colpo di mano militare in Pakistan prima di allora. Per Islamabad e soprattutto per l’auctoritas militare pachistana è cruciale essere coinvolti nel processo di pace in Afghanistan, quindi ottenere un ruolo che permetta loro di agire concretamente a Kabul e dintorni, dove New Delhi ha già posto radici solide minando di fatto la profondità strategica tanto cara al Pakistan e necessaria nel caso di un conflitto con il nemico di sempre, l’India.
    Per Sharif sarà dura, ma a suo favore ci sono almeno un anno di tempo, le aspettative dell’Occidente che pretende ‘moderazione e democrazia’ (almeno nominale), una crisi economica talmente profonda da richiedere un intervento concreto. Per quanto riguarda l’avverarsi del sogno democratico in Pakistan riparliamone tra cinque anni.
    Nawaz Sharif e le sfide del Pakistan. Lontano l?appuntamento con la democrazia | Indika

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    Predefinito Re: Pakistan, analisi delle elezioni dell'11 Maggio.

    Citazione Originariamente Scritto da José Frasquelo Visualizza Messaggio
    er quanto riguarda l’avverarsi del sogno democratico in Pakistan riparliamone tra cinque anni.
    Piano senza premura, sperando che chi abbandona l'Afghanistan non si parcheggi da lui.

    Conoscevil PD-L ma il PML-N.....
    "Non abbiamo l'unione sociale ma solo quella economica e finanziaria. Finchè non capiamo questo, non capiremo perché i populisti hanno tanto successo!". Gabriele Zimmer
    Gratteri: "L'Ue è una prateria per le mafie"

  5. #5
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    Predefinito Re: Pakistan, analisi delle elezioni dell'11 Maggio.

    Pakistan, Egitto, Iraq, Siria (a breve): in questi paesi la democrazia non funzionerà mai. Gli unici che ci sono andati vicini sono gli ex jugoslavi; ma lì hanno dovuto smantellare la nazione.

 

 

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