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    Predefinito La guerra di Stalin contro le sue stesse truppe

    Il tragico destino dei prigionieri di guerra sovietici catturati dai tedeschi








    INTRODUZIONE:
    All’alba del 22 Giugno 1941 ebbe iniziò la più gigantesca offensiva militare della storia. L’attacco da parte delle forze dell’Asse guidate dalla Germania contro l’Unione Sovietica. Durante i primi 18 mesi della campagna, circa tre milioni di soldati sovietici furono fatti prigionieri. Alla fine del conflitto, quattro anni dopo, è di oltre cinque milioni la cifra stimata di truppe sovietiche cadute nelle mani dei tedeschi. Gran parte di questi sfortunati morì durante la prigionia.
    La ragione principale di ciò era la natura inusuale della guerra sul fronte orientale, in particolare durante il primo anno, giugno 1941 – giugno 1942, quando caddero nelle mani dei tedeschi un numero tale di prigionieri sovietici ben superiore alle possibilità ricettive germaniche. Tuttavia, come fra l’altro spiega il giornalista Teplyakov nel seguente articolo, gran parte della colpa per il terribile destino dei soldati sovietici prigionieri dei tedeschi è da addebitare alla crudele ed inflessibile politica del dittatore sovietico Stalin.
    Durante la guerra i tedeschi fecero vari tentativi, attraverso paesi neutrali e tramite il Comitato Internazionale della Croce Rossa, per raggiungere un comune accordo sul trattamento dei prigionieri da parte della Germania e da parte dell’URSS. Come spiega lo storico britannico Robert Conquest nel suo libro “ Stalin, Breaker of Nations “ (Stalin: il demolitore di nazioni), i sovietici furono inflessibili e rifiutarono di cooperare.
    Quando i tedeschi contattarono i sovietici, tramite la neutrale Svezia, per negoziare il rispetto delle disposizioni della Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra, Stalin si rifiutò. I soldato sovietici in mani tedesche erano così senza tutela persino dal lato teorico. Milioni di loro morirono in prigionia, a causa di malnutrizione o maltrattamenti. Se Stalin avesse aderito alla convenzione (della quale l’URSS non fece parte), i tedeschi si sarebbero comportati meglio? A giudicare dal trattamento di altri prigionieri di guerra “slavi subumani” (come i polacchi, arresisi addirittura dopo l’insurrezione di Varsavia nel 1944), la risposta sembra essere sì. (Il comportamento di Stalin verso i prigionieri polacchi catturati dall’Armata Rossa era già stato dimostrato a Katyn e dal altre parti, dove furono tutti fucilati.
    Un altro storico, Nikolai Tolstoy, nel libro: The Secret Betrayal (il tradimento segreto), sostiene:
    “ Hitler stesso sollecitò l’ispezione da parte della Croce Rossa dei campi tedeschi contenenti i prigionieri di guerra sovietici. Ma una richiesta fatta a Stalin sui servizi postali per i prigionieri, ricevette una risposta raggelante: NON CI SONO PRIGIONIERI DI GUERRA SOVIETICI. IL SOLDATO SOVIETICO COMBATTE FINO ALLA MORTE. SE SCEGLIE DI DIVENTARE PRIGIONIERO ALLORA VIENE AUTOMATICAMENTE ESCLUSO DALLA COMUNITA’ SOVIETICA. NON CI INTERESSA UN SERVIZIO POSTALE SOLO PER I TEDESCHI.
    Data la situazione, i dirigenti tedeschi decisero di trattare i prigionieri sovietici non meglio di quanto i dirigenti sovietici facevano con i prigionieri tedeschi. Come si può ben immaginare, il trattamento sovietico dei prigionieri tedeschi era duro. Di un numero stimato di tre milioni di soldati tedeschi caduti in mani sovietiche, più di due milioni morirono durante la prigionia. Dei 91.000 soldati tedeschi catturati nella Battaglia di Stalingrado, meno di 6.000 tornarono in Germania.
    Come ci spiega qui Teplyakov, la “liberazione” dell’Armata Rossa dei prigionieri sovietici sopravvissuti nei campi tedeschi, non mise fine alla sofferenza di questi sfortunati. È solo di recente, quando i documenti di guerra sovietici per lungo tempo secretati vennero a galla e anche voci rimaste nel silenzio poterono parlare, che l’intera storia sul trattamento dei prigionieri sovietici da parte di Stalin divenne nota. Fu solo nel 1989 ad essere pubblicato per la prima volta il feroce ordine di Stalin N° 270 del 16 agosto 1941, citato più avanti.


    Mark Weber


    Yuri Teplyakov
    Fonte: Stalin's War Against His Own Troops

    traduzione di
    Gian Franco Spotti

    “ Qual è la cosa più orribile della guerra?”
    Il Maresciallo Ivan Bagramyan, tre volte eroe dell’Unione Sovietica, Alexander Pokryshkin e il soldato semplice Nikolai Romanov, che non ha alcuna decorazione, tutti risposero con una parola: “La prigionia”.
    “ E’ più terribile della morte ? “ chiesi al soldato Nikolai Romanov 25 anni fa quando, il giorno commemorativo del 9 maggio (anniversario della fine della guerra contro la Germania nel 1945), stavamo bevendo insieme una vodka per commemorare le anime dei muzhiks (contadini, ndt.) russi che non sarebbero mai più tornati al loro villaggio rimasto orfano sulle rive del Volga.
    “ E’ più terribile “, rispose. “ La morte è la tua sorte. Ma se si tratta di prigionia, questo comporta guai per molti altri“.
    A quell’epoca, nel 1965, non potevo nemmeno lontanamente immaginare l’entità della tragedia che era capitata a diversi milioni di uomini e nemmeno potevo sapere che quella tragedia era stata innescata da poche righe scritte dal Servizio Interno delle Disposizioni dell’Armata Rossa degli Operai e dei Contadini: un soldato sovietico non deve essere fatto prigioniero contro la sua volontà. E se lo è, allora è un traditore della Madre Patria.
    Quanti di loro erano quei “traditori” ?
    “ Durante gli anni della guerra “, mi disse il Colonnello Ivan Yaroshenko, Vice-Capo degli Archivi Centrali del Ministero della Difesa dell’URSS, a Podolsk vicino a Mosca, “ furono 32 milioni i soldati e 5.734.528 di loro furono fatti prigionieri dal nemico “.
    In seguito seppi dove e quando ciò avvenne. Così l’Armata Rossa subì le perdite più tragiche in quanto a prigionieri di guerra nelle seguenti battaglie:
    Belostok-Minsk, Agosto 1941, 323.000
    Uman, Agosto 1941, 103.000
    Smolensk-Roslavl, Agosto 1941, 348.000
    Gomel, Agosto 1941, 30.000
    Demyansk, Settembre 1941, 35.000
    Kiev, Settembre 1941, 665.000
    Luga-Leningrad, Settembre 1941, 20.000
    Melitopol, Ottobre 1941, 100.000
    Vyazma, Ottobre 1941, 662.000
    Kerch. Novembre 1941, 100.000
    Izyum—Kharkov, Maggio 1942, 207.000
    Ci furono persino 100.000 prigionieri presi in Ungheria nel febbraio del 1945.
    Gli stessi archivi a Podolsk hanno altri 2,5 milioni di nomi “dispersi in battaglia”, due milioni e mezzo di uomini che non hanno mai fatto ritorno. Gli esperti credono che due milioni di essi giacciono ancora nelle foreste e nelle paludi della Russia. E circa 200.000 vanno aggiunti alla lista dei prigionieri di guerra. Le prove? Di tanto in tanto gli archivi di Podolsk ricevono una lettera da qualche parte in Australia o negli Stati Uniti dicendo: “ fui preso prigioniero. Richiedo conferma di aver partecipato a battaglie contro il fascismo “.
    Queste persone furono fortunate, sono sopravvissute. La maggioranza, comunque, ebbe un destino diverso. Le statistiche tedesche dicono che 280.000 persone morirono nei campi di concentramento e 1.030.157 furono fucilati mentre tentavano di evadere o morirono in case di campagna o miniere in Germania.
    Molti dei nostri ufficiali e dei nostri uomini morirono di fame prima di arrivare ai campi. Circa 400.000 uomini morirono nel solo periodo Novembre-Dicembre 1941. Durante tutta la guerra ci furono 235.473 prigionieri di guerra inglesi e americani in Germania, di questi ne morirono 8.348. I nostri uomini erano più deboli? Difficile. Le ragioni erano diverse. In Occidente si crede che i milioni di nostri prigionieri di guerra che morirono in prigionia, caddero vittima non solo del fascismo ma anche dello stesso sistema stalinista. Almeno la metà di quelli che morirono di fame potevano essere salvati se Stalin non li avesse chiamati traditori rifiutandosi di inviare loro pacchi alimentari tramite la Croce Rossa Internazionale.
    Possiamo argomentare quanti sarebbero sopravvissuti, ma il fatto è che abbiamo abbandonato i nostri prigionieri di guerra al loro destino. L’Unione Sovietica non firmò la Convenzione di Ginevra riguardante lo status legale dei prigionieri di guerra. Rifiutandosi di firmarla, ciò era compatibili con la natura gesuitica del “leader dei popoli”.
    Dal punto di vista di Stalin, varie disposizioni della Convenzione erano incompatibili con le istituzioni morali ed economiche inerenti il “paese più libero” del mondo. La Convenzione, in fin dei conti, non garantiva il diritto dei prigionieri di guerra al lavoro obbligato, alle basse paghe, ai giorni di riposo, ad un orario di lavoro. Fu fatta anche un eccezione circa i privilegi stabiliti per alcuni gruppi di prigionieri di guerra. In altre parole, il trattamento doveva essere più umano. Ma difficilmente si può immaginare una maggiore ipocrisia. Quali privilegi godevano nel frattempo milioni di persone detenute nei campi di prigionia sovietici (Gulag)? Quali garanzie esistevano e quanti giorni di riposo potevano avere?
    Nell’Agosto del 1941 Hitler permise ad una delegazione della Croce Rossa di visitare il campo per prigionieri di guerra sovietici di Hammerstadt. Furono questi sopraluoghi che ebbero come conseguenza un appello al governo sovietico con la richiesta di invio di pacchi alimentari per i nostri soldati e ufficiali. “ Siamo disposti a rispettare le norme della Convenzione di Ginevra “ – affermò Mosca nella sua risposta – “ ma inviare cibo in questa situazione e sotto il controllo fascista sarebbe come fare un regalo al nemico “.
    La risposta arrivò come una sorpresa. I rappresentanti della Croce Rossa non avevano letto l’Ordine del Giorno di Stalin, Ordine N° 270 firmato il 16 Agosto 1941, altrimenti avrebbero capito quanto fossero ingenue le loro richieste e offerte e quanto grande fosse l’odio di Stalin per coloro che si erano trovati dietro le linee nemiche. Non faceva alcuna differenza: chi, dove, come e perché. Persino i morti venivano considerati come criminali. Il Gen. Vladimir Kachalov, si legge nell’ordine, “essendo stato circondato col grosso delle truppe, dimostrò codardia e si arrese ai fascisti tedeschi. Le truppe del quartier generale di Kachalov ruppero l’accerchiamento facendosi strada combattendo, ma il Gen. Kachalov preferì disertare e passare al nemico”.
    Il Generale Vladimir Kachalov è rimasto per 12 giorni all’interno di un carro armato bruciato presso il villaggio di Starinka vicino a Smolensk e non riuscì mai a rompere l’accerchiamento per raggiungere forze amiche. Ma questo non interessava a nessuno. Si interessavano ad altro, cercando capri espiatori sui quali scaricare tutta la loro rabbia, cercando nemici del popolo il cui tradimento e la cui vigliaccheria avevano nuovamente rovesciato la volontà del grande leader militare.
    Dovevamo essere “convinti” ancora e ancora di nuovo: i massimi vertici delle autorità, i leaders, non hanno nulla a che vedere con tragedie o con fallimenti, sia che si tratti dell’insuccesso del primo Piano Quinquennale, sia della morte di centinaia di migliaia di soldati sulle rive del Dnieper. Inoltre queste disgrazie non possono avere ragioni obiettive, essendo esse dovute soltanto ai complotti di sabotatori e ai nemici del sistema progressista. Per decenni, fin dagli anni 30, abbiamo costantemente cercato capri espiatori nel posto sbagliato, ma sempre trovandoli. A quell’epoca, nella prima estate di guerra, ne sono stati trovati un sacco. E più ce n’era, meglio era. Il 4 Giugno 1940, fu reintrodotto nell’Armata Rossa il grado di generale. Fu dato a 966 persone. Più di cinquanta furono fatti prigionieri nel primo anno di guerra. Molti di loro avrebbero invidiato i loro colleghi, quei 150 generali che sarebbero morti in seguito sui campi di battaglia. I tormenti della prigionia diventarono più foschi di una tomba. Comunque i destini del Generale Pavel Ponedelin e del Generale Nikolai Kirilov, citati nello stesso ordine N° 270, dimostrano che le cose stanno così. Sopportarono stoicamente i loro anni di prigionia nei campi tedeschi. Nell’Aprile 1945 gli Alleati occidentali li liberarono e li riconsegnarono alla parte sovietica. Pareva si fossero lasciati tutto alle spalle ma invece non furono perdonati per essersi lasciati catturare nell’estate del 1941. Furono arrestati dopo una “verifica di stato”, tenuti per cinque anni nella prigione di Lefortovo per prigionieri politici e fucilati da un plotone di esecuzione il 25 Agosto 1950.
    “ Le ultime tragiche azioni di Stalin durante le purghe dei militari, furono le accuse di tradimento e di complotto che egli presentò nell’estate del 1941 nei confronti dei comandanti del Fronte Occidentale, Pavlov e Klimovskikh e molti altri generali fra i quali, come fu chiarito in seguito, c’erano anche persone che si comportarono senza compromessi fino alla fine della prigionia “. Questa affermazione fu fatta dal famoso reporter di guerra, Konstantin Simonov. Fu pubblicata negli anni 60, ma durante gli eventi bellici c’era un credo indomabile: i prigionieri di guerra (sia generali che soldati) erano colpevoli. Non esisteva altro parametro di valutazione.
    Il diritto internazionale afferma che la prigionia militare non è un crimine, “ un prigioniero di guerra deve essere inviolabile tanto quanto la sovranità di un popolo e sacro tanto quanto la disgrazia “. Tutto ciò era per altri, mentre per noi c’era una legge ben diversa, l’Ordine di Stalin N° 270:
    “Se invece di organizzare la resistenza contro il nemico, uomini dell’Armata Rossa preferissero arrendersi, verranno annientati con qualsiasi mezzo, sia da terra che dall’aria, mentre le famiglie degli uomini dell’Armata Rossa che sono stati presi prigionieri verranno private dell’assistenza statale (cioè le razioni di viveri) e sussidio. I comandanti e ufficiali politici che si arrendono al nemico saranno considerati disertori volontari, le cui famiglie sono soggette ad arresto come le famiglie dei disertori che hanno rotto il giuramento e tradito la loro Madre Patria”.
    Sono soltanto poche righe ma erano indirizzate a centinaia di migliaia di bambini e di anziani che morirono di fame solo perché il loro padre o il loro figlio era stato fatto prigioniero.
    Soltanto poche righe, ma rappresentavano un verdetto su coloro che nemmeno pensavano ad un crimine e che stavano solo aspettando una lettera dal fronte.
    Avendo letto queste parole, riuscii a capire quanto dolore hanno causato a persone completamente innocenti, proprio come quando capii il segreto dispiacere nelle parole del soldato Nikolai Romanov quando mi disse 25 anni fa: “ la tua prigionia significa guai per molti altri “.
    Capii perché la cosa più terribile per i nostri soldati non era quella di essere uccisi ma essere “dispersi in azione” e perché prima di ogni battaglia, specialmente prima degli assalti per l’attraversamento di un fiume, si dicevano l’un l’altro: “ Compagno, se annego, racconta che mi hai visto morire “.
    Mettendo i loro piedi su un pontone traballante e sapendo che sarebbero potuti essere catturati per colpa loro, la loro mente faceva un salto all’indietro ma non per paura delle loro vite ma per il tormento e la preoccupazione per le vite di chi era rimasto a casa.
    Ma qual’era la colpa delle centinaia di migliaia di soldati accerchiati vicino a Vyazma quando Hitler lanciò l’operazione Taifun nella sua avanzata verso Mosca? “ La cosa più importante è di non cedere la vostra posizione “, ordinò loro il quartier generale del Comando Supremo. Intanto l’esercito stava febbrilmente scavando trincee rivolte a ovest quando i panzer in formazione a cuneo lo stava già circondando da est.
    Il Generale Franz Halder, Capo di Stato Maggiore delle forze di terra della Wehrmacht, fece la seguente annotazione sul suo diario in quell’occasione: “ 4 Ottobre – 105° giorno di guerra. Il nemico ha continuato ovunque a mantenere i settori inattaccati del fronte con la conseguenza che forti accerchiamenti di queste forze nemiche si stanno profilando sul lungo termine “.
    Chi doveva vedere questi panzer? Un soldato dalla sua stretta buca? Oppure Stalin dal suo quartier generale? E quale fu il risultato? Chi fu preso prigioniero? Chi tradì la Madre Patria? Il soldato lo fece.
    Nel Maggio del 1942, ben 207.047 soldati e ufficiali (questa la cifra più aggiornata) si trovarono accerchiati a Kharkov. Quando Krusciov andò al potere, fu Stalin ad essere considerato colpevole di tutto questo. Quando Brezhnev andò al governo, la colpa fu nuovamente addebitata a Krusciov il quale, tra l’altro, era stato avvertito da Stalin di quella sconfitta che apriva la strada ai tedeschi verso il Volga. Ma chi tradì dunque la Madre Patria? E chi fu fatto prigioniero? Il soldato.
    19 Maggio 1942 è la data della catastrofe del nostro esercito in Crimea. “ L’Operazione Kerch può considerarsi conclusa. 150.000 prigionieri di guerra ed una grande quantità di materiale “. Questo è un documento di parte tedesca. Ed ora un documento di parte sovietica citato da Konstantin Simonov: “ Mi trovavo sulla penisola di Kerch nel 1942. La ragione di questa umiliante sconfitta mi è chiara: completa sfiducia dell’esercito e dei comandanti del fronte, le azioni arbitrarie e la stupida cocciutaggine di Mekhlis. Egli ordinò che non venissero scavate trincee per non indebolire lo spirito aggressivo del soldato “
    L’assistente più vicino a Stalin, diventato poi Capo dell’Amministrazione Politica (GPU), Lev Mekhlis, primo Commissario dell’Esercito e della Marina, ritornò a Mosca dopo la sconfitta. E cosa fecero il soldato? Il soldato restava prigioniero.
    È chiaro che non c’è guerra senza imbroglio e tradimento. Cose che succedevano anche fra prigionieri di guerra. Ma se paragonate ai milioni di fratelli in prigionia, esse non rappresentavano altro che una goccia nell’oceano. Una goccia che è esistita, su questo non c’è dubbio. Alcuni furono convinti da volantini scritti come questo:
    La conseguenza omicida del Bolscevismo:
    Uccisi durante gli anni della Rivoluzione e della Guerra Civile: 2.200.000 di persone
    Morti di fame ed epidemie nel 1918-1921 e nel 1932-1933:
    14.500.000 di persone
    Morti in campi per lavori forzati:
    10.000.000 di persone

    Alcuni hanno pensato in questo modo: non prendo le armi contro il mio popolo, ma contro Stalin. Ma la maggior parte si unirono alle forze armate fasciste con la sola speranza che non appena sarebbero cominciati i combattimenti, avrebbero attraversato le linee per unirsi alle forze amiche. Non tutti lo fecero, sebbene la cosa è risaputa. Il 14 Settembre 1943, quando furono valutate le conseguenze della battaglia di Kursk, Hitler spiegò la sconfitta a causa del “tradimento delle unità ausiliarie”. Infatti, all’epoca, 1.300 uomini, praticamente un intero reggimento, disertarono sul settore meridionale per unirsi all’Armata Rossa. “ Ma ora ne ho abbastanza “ – disse Hitler – “ordino che queste unità vengano disarmate immediatamente e che tutta questa banda venga mandata nelle miniere in Francia “.
    Bisogna ammettere che fu Hitler a rifiutarsi più a lungo di tutti gli altri di formare unità militari provenienti da prigionieri di guerra sovietici, sebbene già nel Settembre del 1941 il Colonnello von Tresckow aveva messo in piedi un piano per la formazione di un esercito anti-sovietico forte di 200.000 uomini russi. Fu solo alla vigilia della Battaglia di Stalingrado, quando i prigionieri di guerra erano già milioni, che il Fuehrer diede finalmente la sua autorizzazione.
    Alla fine dell’opera fu possibile formare più di 180 unità. Fra queste il numero delle formazioni russe era di 75, quelle formate fra i Cosacchi del Don, di Terek e di Kuban era di 216, quelle formate da Tatari di Crimea, Tataria a Turkestan era di 42, da Georgiani 11, da gente del Nord del Caucaso 12, dall’Azerbaijan 13, dall’Armenia 8.
    La forza numerica di questi battaglioni in base alla loro nazionalità (dati aggiornati al 24 Gennaio 1945) era la seguente: 104.000 Lettoni, 12.500 Tatari della Tataria, 10.000 Tatari della Crimea, 10.000 Estoni, 7.000 Armeni, 5.000 Calmucchi. E i Russi? In base ai dati ufficiali del “governo” transitorio di Karl Doenitz del 20 Maggio 1945, c’erano: la 599a. Brigata Russa con 13.000 uomini, la 600a. con 12.000 e la 650a. con 18.000.
    Se mettiamo insieme il tutto, sembrerebbe che molti uomini siano passati dall’altra parte. Ma se consideriamo che solo il 20% di queste forze prese parte ai combattimenti, che furono reclutate fra milioni di prigionieri di guerra, che migliaia e migliaia attraversarono la linea del fronte per ritornare dalle truppe amiche, il luccichio di queste cifre si spegne.
    Un dettaglio: i servizi speciali del Reich espressero una preoccupazione particolare nel formare battaglioni non russi, come se sapessero che questi, assieme a bambini e vecchi nelle loro case, in particolare dopo la guerra, sarebbero stati accusati di tradimento. E non faceva alcuna differenza se si era prigionieri in un campo o se si era passati dalla parte opposta, erano tutti considerati nemici.
    Ma i prigionieri di guerra non erano ancora consapevoli di questo, il bello doveva ancora venire. Le spiacevoli conseguenze ci sarebbero state dopo la liberazione, sia per quelli che fuggirono dai campi (500.000 nel 1944 secondo le stime del Ministro degli Armamenti tedesco Speer), che per quelli che dopo la liberazione da parte delle unità dell’Armata Rossa (più di un milione fra soldati e ufficiali) tornarono a combattere nei loro ranghi.
    Per troppo tempo ci siamo abituati a giudicare la primavera del 1945 sulla base delle disposizioni umanitarie emesse dai nostri fantastici comandanti: distribuire latte ai bambini di Berlino, fornire cibo a donne e anziani. Era strano leggere quei documenti, mentre si masticava segala bollita invece del pane, si mangiava zuppa fatta con carne di cane (solo poco tempo prima della sua morte, mia nonna mi confessò che aveva ucciso dei cani per salvarci dalla fame). Leggendo quegli ordini, ero pronto a piangere dalla forte emozione, di quanto nobile fosse agire in quel modo e dimostrare tanta preoccupazione per il popolo tedesco.
    E chi di noi sapeva che nel frattempo i comandanti ricevevano ordini diversi dal Cremlino per quanto riguarda la nostra gente?
    “Ai Comandanti delle truppe del Primo e Secondo Corpo d’Armata Bielorusso e al Primo, Secondo, Terzo e Quarto Corpo d’Armata Ucraino.
    Il Consiglio Militare dei Corpi d’Armata creeranno campi in zone delle retrovie per la sistemazione e l’assistenza degli ex prigionieri di guerra e dei cittadini sovietici rimpatriati, ogni campo verrà previsto per 10.000 persone. In tutto verranno creati 15 campi sul Secondo Fronte Bielorusso, 30 campi sul Primo Fronte Bielorusso, 30 campi sul Primo Fronte Ucraino, 5 campi sul Quarto Fronte Ucraino, 10 campi sul Secondo Fronte Ucraino e 10 campi sul Terzo Fronte Ucraino.
    L’esame degli ex prigionieri di guerra e dei cittadini rimpatriati verrà affidato come segue:
    - ex soldati dell’Armata Rossa affidati al controspionaggio dello SMERSH
    - i civili alle commissioni del NKVD, NKGB, SMERSH
    J. Stalin”

    Yuri Teplyakov
    Fonte: Stalin's War Against His Own Troops

    Telefonai al Generale Dmitri Volkogonov, Capo dell’Istituto di Storia Militare sotto il Ministero della Difesa dell’URSS (e autore del libro: Stalin: trionfo e tragedia), chiedendogli: “ Dove ha trovato quell’ordine? Sia il Comitato Statale di Sicurezza, che il Ministero degli Interni dell’URSS mi hanno detto che non avevano niente del genere “.
    Rispose: “ Proviene dall’archivio personale di Stalin. I campi esistevano, il che significa che ci sono documenti dai quali si può sapere tutto, chi, dove, cosa mangiavano, cosa pensavano. Molto probabilmente i documenti sono nel sistema del Ministero degli Affari Interni. Le truppe sotto scorta erano subordinate a questo dipartimento governativo. Questi includeva l’Amministrazione per gli Affari degli ex Prigionieri di Guerra. Faccia una ricerca “.
    E la ricerca la feci. Il Gen. Pyotr Mishchenkov, Primo Vice-Capo dell’odierna Amministrazione Centrale degli Affari Correttivi (GUID) presso il Ministero degli Affari Interni dell’URSS, fu veramente sorpreso: “ E’ la prima volta che ne sento parlare. Vorrei poter essere di aiuto ma non posso fare niente in proposito. So che c’era una colonia nel distretto di Chunsky nella regione di Irkutsk. La gente veniva portata là dopo essere stata esaminata nei campi di smistamento menzionati nell’ordine di Stalin. Furono tutti condannati in base all’Art. 58 per alto tradimento “.
    Una colonia…..dove sono gli altri? Cosa è successo ai loro compagni? Dopo tutto erano in funzione un centinaio di campi. La sola cosa che sono riuscito a trovare è che al 1° Ottobre 1945 furono “smistati” 5.200.000 cittadini sovietici, 2.034.000 furono restituiti dagli Alleati, il 98% di coloro che si trovavano nelle zone occidentali occupate della Germania, per lo più prigionieri di guerra. Quanti di loro tornarono a casa? E quanti di loro, in base all’Ordine N° 270 andarono nei campi di concentramento sovietici? Non sono ancora in possesso di documenti autentici. Solo delle stime di fonte occidentale e alcuni racconti di testimoni oculari.
    Parlai con uno di questi testimoni su Kolyma. Un ex “traditore della Madre Patria”, ma a quel tempo capo-ragioniere della miniera d’oro di Srednekan, Viktor Masol. Mi disse come nel Giugno del 1942 nelle steppe del Don, dopo la catastrofe di Kharkov, disarmati, affamati e logori, questi uomini dell’Armata Rossa furono circondati e raggruppati come pecore a migliaia dai carri armati tedeschi. Vagoni merci li portarono in Germania e Viktor andò a miscelare cemento per il Reich e tre anni dopo furono spediti su carri merci dalla Germania attraverso tutta l’Unione Sovietica, fino all’Oceano Pacifico. Al porto di Vanino furono caricati nelle stive del nave a vapore Felix Dzerzhinsky (dal nome del fondatore della polizia segreta) e che prima portava il nome di Nikolai Yezhov, un ex Commissario del Popolo degli Affari Interni (cioè l’NKVD o polizia segreta), diretta a Magadan. Rimasero in viaggio per tutta la settimana e furono rifocillati una sola volta, barili di farina grigia coperta di acqua bollente venivano fatti scendere dal portellone. E loro, bruciandosi le mani, schiacciandosi l’un l’altro, afferravano questa robaccia e se la ficcavano in bocca fino a soffocare: il più delle volte la gente impazziva dalla fame. Coloro che morivano lungo il tragitto venivano gettati fuori bordo nella Baia di Nagayev. I sopravvissuti marciarono nella taiga, ancora una volta dietro al filo spinato che però, stavolta, apparteneva ai loro stessi campi di prigionia.

    Solo pochi sopravvissero e tornarono. Ma anche loro erano come lebbrosi. Degli emarginati. Quante volte hanno sentito la frase: “È meglio una pallottola in testa “.
    Molti ex prigionieri di guerra hanno pensato ad una pallottola negli anni 40 e 50, sia quando veniva loro ricordato dall’ufficio della milizia “il tuo tempo è scaduto da due giorni” (tutti i prigionieri di guerra erano elencati un registro speciale con rapporti obbligatori in date ben definite), sia quando veniva loro detto: “State zitti. Avete trascorso il tempo di prigionia col cibo fascista “.
    E loro stavano zitti.
    Nel 1956, dopo il rapporto Krusciov, fu possibile parlare di Stalin. Gli ex prigionieri di guerra non erano più automaticamente nemici del popolo, ma non erano ancora difensori della Madre Patria.
    Erano una via di mezzo. Sulla carta era in un modo ma nella vita tutto era diverso.
    Due anni fa, alla viglia del Giorno della Vittoria, intervistai il gen. Alexei Zheltov, Presidente del Comitato Sovietico dei Veterani di Guerra. Come conviene per l’occasione, mi raccontava con le lacrime agli occhi della festa, di un soldato sovietico, con la fisarmonica in mano, nelle strade di Vienna in primavera. E non so bene cosa mi ha portato a chiedergli se gli ex prigionieri di guerra erano dei veterani di guerra.
    “ No, non sono veterani. Non ha altro su cui scrivere? Guardi quanti soldati veri abbiamo…”
    Se Alexei Zheltov, il commissario veterano temprato, fosse il solo a pensarla in quel modo, non sarebbe poi così male. Il problema è che questa filosofia viene predicata dalla maggioranza dei pezzi grossi, sia da quelli che sono in pensione da un pezzo, che da quelli che detengono ancora posti di comando. Per quasi 40 anni siamo “rimasti orfani”, abbiamo vissuto senza “il padre dei popoli” ma abbiamo onorato i suoi ordini in modo sacro, talvolta senza nemmeno che ce ne accorgessimo.
    Il sangue umano non è acqua, ma si è dimostrato essere un perfetto agente conservante per la moralità di Stalin.
    E’ diventato persino più denso. Non è scomparso, nemmeno dopo varie generazioni. Continua a vivere. E spesso trionfa pure. Provate e tirate fuori il problema dei prigionieri di guerra (anche prima di me questo tema è stato affrontato in più di una occasione, quindi non scopro nulla di nuovo), la reazione è sempre la stessa e cioè che è meglio parlare d’altro. E se non date retta ad un “buon consiglio”, potreste anche venire minacciati. “Non osare! “
    A chi dovremmo indirizzare questa richiesta? Al governo o al Soviet Supremo? A quali meravigliose porte del Cremlino dovremmo bussare per chiedere di restituire la dignità di soldato agli ex prigionieri di guerra e ripristinare così il loro buon nome? Supponiamo che qualcuno vi ha udito bussare. Vi chiederanno di che cosa vi lamentate. A quale proposito vi sentite offesi. Anzi, niente proposito, voi siete soltanto preoccupati del passato. Che strano!Ma è ancora più strano avere ancora dei veri soldati, veri eroi, e vere persone, intendendo che ci sono anche coloro che non lo sono. Ancora oggi la nostra vita è come il fronte di una battaglia: a furia di abitudine continuiamo a mettere le persone in categorie, queste da una parte, quelle dall’altra. Pare non ci sia più ne una legge ne un Ordine N° 270, così come non c’è nulla e nessuno contro cui combattere ma qualsiasi cosa veniva chiamata una volta “nera”, nella migliore delle ipotesi potrà diventare “grigia”, ma mai “bianca”.
    9 maggio, l’intera nazione piange e festeggia. I veterani mettono le medaglie e versano vino, ricordando i loro compagni. Ma anche in questa circostanza l’ex prigioniero di guerra è l’ultimo a brindare col bicchiere e l’ultimo a scendere in pista per ballare.
    Cos’altro possiamo fare? Cosa dovremmo fare per spazzare via lo schiavo Stalinoide che è dentro noi stessi?

    Traduzione a cura di
    Gian Franco Spotti
    NOTE SULL’AUTORE
    Yuri Teplyakov, nato nel 1937, ha studiato giornalismo all’Università di Stato di Mosca. Ha lavorato come giornalista per i quotidiani moscoviti IZVESTIA e KOMSOMOLSKAYA PRAVDA e per l’agenzia di stampa APN. Dal 1980 al 1993 ha lavorato per il settimanale MOSCOW NEWS. Nella stesura di questo articolo, esprime i suoi migliori ringraziamenti a Mikhail Semiryaga, D. Sc. (Storia) ” per avermi fornito importante materiale da lui ritrovato negli archivi tedeschi. In quanto ai documenti provenienti dai campi sovietici, continuerò le mie ricerche “. Questo articolo fu pubblicato in origine sul MOSCOW NEWS N° 19 del 1990 e fu ristampato previo particolari accordi nel THE JOURNAL OF HISTORICAL REVIEW, Luglio-Agosto 1994 (Vol. 14, N° 4) pag. 4-10

    NOTE SULL’AUTORE
    Yuri Teplyakov, nato nel 1937, ha studiato giornalismo all’Università di Stato di Mosca. Ha lavorato come giornalista per i quotidiani moscoviti IZVESTIA e KOMSOMOLSKAYA PRAVDA e per l’agenzia di stampa APN. Dal 1980 al 1993 ha lavorato per il settimanale MOSCOW NEWS. Nella stesura di questo articolo, esprime i suoi migliori ringraziamenti a Mikhail Semiryaga, D. Sc. (Storia) ” per avermi fornito importante materiale da lui ritrovato negli archivi tedeschi. In quanto ai documenti provenienti dai campi sovietici, continuerò le mie ricerche “. Questo articolo fu pubblicato in origine sul MOSCOW NEWS N° 19 del 1990 e fu ristampato previo particolari accordi nel THE JOURNAL OF HISTORICAL REVIEW, Luglio-Agosto 1994 (Vol. 14, N° 4) pag. 4-10



    La guerra di Stalin contro le sue stesse truppe | Storia | Rinascita.eu - Quotidiano di Sinistra Nazionale
    Non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspetti.
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  2. #2
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    Predefinito Re: La guerra di Stalin contro le sue stesse truppe

    mio nonno fu fatto prigioniero in grecia dopo l'armistizio e in seguito deportato in germania spesso raccontava di quanti giovani italiani attorno a lui morivano dentro le carceri d'inedia lui stesso arrivò a pesare 30 chili e probabilmente ci sarebbe rimasto se non fossero arrivati i sovietici che a loro volta lo deportarono in russia ma almeno gli diedero di che mangiare e alla fine fortunatamente lo liberarono peggior sorte toccò invece a molti altri soldati italiani che rimasero prigionieri in russia e non fecero più ritorno.

  3. #3
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    Predefinito Re: La guerra di Stalin contro le sue stesse truppe

    Citazione Originariamente Scritto da chanting horde Visualizza Messaggio
    mio nonno fu fatto prigioniero in grecia dopo l'armistizio e in seguito deportato in germania spesso raccontava di quanti giovani italiani attorno a lui morivano dentro le carceri d'inedia lui stesso arrivò a pesare 30 chili e probabilmente ci sarebbe rimasto se non fossero arrivati i sovietici che a loro volta lo deportarono in russia ma almeno gli diedero di che mangiare e alla fine fortunatamente lo liberarono peggior sorte toccò invece a molti altri soldati italiani che rimasero prigionieri in russia e non fecero più ritorno.

    Ti capisco, tutti abbiamo dei lutti di cui ricordarci, per me, l'importante è ricordare con rispetto.
    I sistemi concentrazionari di guerra sono posti terribili, chi più chi meno.
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  4. #4
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    Predefinito Re: La guerra di Stalin contro le sue stesse truppe

    Bella lettura bravo Ringhio

  5. #5
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    Predefinito Re: La guerra di Stalin contro le sue stesse truppe

    Citazione Originariamente Scritto da Cattivo Visualizza Messaggio
    Bella lettura bravo Ringhio

    Grazie, mi sono limitato a rilanciare l'ottimo articolo di Rinascita, come sempre, d'altronde.
    Non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspetti.
    Eraclito


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  6. #6
    Ghibellino
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    Predefinito Re: La guerra di Stalin contro le sue stesse truppe

    Da notare il comportamento criminale di americani ed inglesi che furon complici delle mattanze di Stalin con la restituzione, anche contro la loro volontà, di milioni di ex prigionieri sovietici. Non parliamo poi, dei combattenti russi, ucraini e turcomanni alleati del Reich. Troppo spesso si insiste giustamente sulla ferocia di Stalin ma si dimenticano quesgli autentici criminali di guerra di Churchill e Roosevelt (e poi Truman)
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

 

 

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