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Discussione: Medicina e Magia

  1. #61
    Me ne frego
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    Predefinito Re: Medicina e Magia

    Citazione Originariamente Scritto da Ivan Visualizza Messaggio
    Quoto e mi associo al giudizio.
    Grande forumista!
    Quoto anch'io van, Silvia è una grande forumista, ma a anche Sideros è un ottimo interlocutore.
    _Non rinnegare e non restaurare__


    Difendi la nazione come nei tempi passati, in modo moderno:" fotti lo Stato antifascista! "(Giò)
    L'invidia ha due bocche; con una sputa miele , con l'altra sputa veleno e fiele

  2. #62
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    Predefinito Re: Medicina e Magia

    Grazie a tutti, troppo buoni!

  3. #63
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    Predefinito Re: Medicina e Magia

    Massimo Centini

    NEL DEDALO DEL SIMBOLISMO


    All'interno del variegato universo della medicina popolare, il simbolismo svolge una funzione importante, poiché chiama in causa tutta una serie di riferimenti all'immaginario che senza dubbio, a livello psicologico, contribuiscono a condizionare il rapporto tra l'ammalato e la terapia, tra la malattia e la guarigione. Pensiamo, per esempio, alla forte componente simbolica costituita dagli animali, che hanno rappresentato una parte molto importante nell'ingredientistica della medicina popolare più antica. Lo stesso si può dire del mondo vegetale, in particolare per quelle piante che presentano forme antropomorfe o zoomorfe e quindi sono relazionabili a situazioni reali o mitiche, o collegabili all'immaginario dell'ammalato o del terapeuta utilizzate allo scopo di restaurare l'equilibrio perduto. Oggetti simbolici ricorrenti nella tradizione esoterica e nella superstizione concorrono naturalmente a favorire l'approccio rituale al processo terapeutico, partecipando all'attivazione di un meccanismo sincretistico che, appunto, si avvale di elementi provenienti da contesti diversi, anche lontani da quelli della medicina tout court.




    Dal Tacuinum Sanitatis
    Biblioteca nazionale di Francia, Parigi



    Un altro corpus importante nel linguaggio simbolico della terapia tradizionale, e a più stretto contatto con la magia, è costituito dai materiali di provenienza umana: dal cordone ombelicale al sangue, dalla placenta ai capelli, dall'orina alla saliva. Pur senza escludere la possibilità che in questi elementi possano essere presenti principi attivi, non dimentichiamo che spesso il loro ruolo è esclusivamente evocativo, essendo destinati a porsi proficuamente nel processo terapeutico psicosomatico con funzione di placebo. Capelli, peli, sangue, ossa, mestruo, saliva, sperma e altri derivati del corpo umano hanno occupato, nella «medicina magica», una posizione rilevante, entrando poi a far parte, in piccola percentuale, di quell'ambito della terapia tradizionale che per convenzione definiamo medicina popolare. Tale espressione terapeutica trova, ancora oggi, una notevole diffusione nella magia in tutte le sue forme.

    Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XXVIII) ha lasciato alcune importanti informazioni sull'uso di questi singolari prodotti nella terapia magica coeva. Per esempio, lo storico narra che il sangue dei gladiatori era bevuto contro l'epilessia; stessa funzione terapeutica avevano il midollo delle ossa delle gambe e il cervello dei bambini, così come l'uso di sangue mestruale spalmato sui piedi dell'ammalato. Sempre contro l'epilessia si faceva bere nel cranio di un uomo ucciso dell'acqua attinta da una fonte al chiarore della luna. La saliva di una donna digiuna era considerata una vera e propria panacea per diverse malattie degli occhi; contro il mal di denti si consigliava l'orrida pratica dì ferirsi le gengive col dente di un uomo ucciso. La cataratta era curata con fiele d'uomo. Contro i morsi dei cani si utilizzavano pillole ottenute dal cranio di un impiccato; se il cane era idrofobo si doveva somministrare sangue mestruale con lana di ariete. Contro la febbre si consigliava di utilizzare i capelli di un impiccato; per varie malattie della gola e dell'orecchio si suggeriva di portare il collo a contatto con la mano di un impiccato. Il grasso umano era utilizzato per i dolori articolari e le lussazioni.

    A conferma di quanto si siano radicate all'interno della medicina popolare più recente le pratiche terapeutiche che già Plinio conobbe a suo tempo, è sufficiente volgere lo sguardo alle fonti che giungono fino all'inizio dell'Ottocento: ci si rende conto che, ancora dopo l'Illuminismo, le parti del corpo umano erano di norma utilizzate nella pratica terapeutica, attivando processi simbolici che pescavano nell'universo dei nostri archetipi.

    Tra i prodotti della medicina tradizionale che sono posti tra il sacro e il profano, tra la magia e la scienza, un esempio emblematico è costituito dalla Triaca. Si trattava di un farmaco per certi aspetti misterioso, composto da molti ingredienti (oltre ottanta) vegetali, minerali e organici. Quasi sempre si poneva questa medicina nell'ambito della leggenda e ancora oggi sì nutre qualche dubbio sulla sua effettiva esistenza. In realtà la Triaca, come molti altri preparati analoghi, presentava caratteristiche tali da renderla più vicina alla dimensione alchimistica che alla medicina vera e propria, risultando così poco credibile, anche in ragione della sua misteriosa formula in cui figuravano componenti dotati prima di tutto di valenze più simboliche che terapeutiche.

    Massimo Centini, La medicina popolare (Xenia edizioni, pag.52 e seguenti)
    Ultima modifica di Silvia; 08-01-13 alle 17:40

  4. #64
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    Predefinito Re: Medicina e Magia

    Antonio Bortolotti

    ETNOMEDICINA TRA SCIENZA E SUPERSTIZIONE





    Il cammino della Medicina è costellato da innumerevoli difficoltà, non solo perché tutte le nuove verità, prima di essere considerate tali, hanno bisogno di tempo, analisi critica, sacrifici da parte di geniali e coraggiosi innovatori, ma in special modo perché in questa ancor giovane scienza non esistono 'certezze' o verità assolute. Molto di ciò che oggi consideriamo efficace o sicuro forse tra pochi decenni verrà dimenticato, irriso, se non considerato come dannoso per la salute dell'uomo. Sfogliando gli ingialliti antichi libri di medicina ci si sorprende della quantità di ricette ripugnanti e del vasto impiego di sostanze terapeutiche di origine animale, vegetale, minerale, associate a complicati rituali, alle preghiere, agli esorcismi, agli incantesimi. Così Nerone, ad esempio, si compiaceva di dare da bere ai suoi soldati feriti in battaglia un elisir a base di sterco di cinghiale. Lucrezio reputava la saliva umana capace di neutralizzare l'effetto della morsicatura dei serpenti; il latte umano utile per guarire nevrosi, per ritardare la senescenza e, versato sul capo del bambino, lo avrebbe preservato dal mal di testa o dalle affezioni oculari. I soldati romani erano incoraggiati a mangiare testicoli di gallo per potenziare forza e virilità; le fanciulle dovevano mangiare mammelle di mucca e di capra per ottenere un seno prosperoso! Gli empirici del '500 fornivano ai nobili il prezioso balsamo dell'impiccato, uno speciale ritrovato ricavato dal grasso dei condannati all'impiccagione. Frizionato sulle parti dolenti, assicuravano i medici dell'epoca, leniva qualsiasi dolore…

    Nell'antichità eventuali successi terapeutici erano spesso da attribuire più all'intuizione e al carisma personale del medico che a una corretta diagnosi e a una valida azione terapeutica. Solo sul finire del '700, proprio grazie agli studi anatomopatologici e all'invenzione del microscopio, si cominciò seriamente a ricercare e interpretare la fenomenologia sintomatica di cui i più grandi protagonisti furono Morgagni e Malpighi. Cautamente la medicina ufficiale sta riscoprendo le medicine non ortodosse. Ci si è accorti che accanto a vetuste e cervellotiche teorie terapeutiche, imbibite di metafisica, superstizione e magia, v'erano pure geniali e valide intuizioni. Queste terapie eretiche sono arrivate fino ai nostri giorni grazie alla loro indubbia efficacia. L'ipnosi, l'omeopatia e l'agopuntura oramai fanno parte della terapeutica ufficiale. Queste antiche medicine tendono quasi tutte a considerare l'uomo olisticamente, cioè prendono in considerazione non solo l'organo ammalato e i suoi sintomi, ma valutano soprattutto la sua personalità, l'adattamento sociale, la sfera emozionale e affettiva, tengono conto della sua situazione economica e culturale, l'atteggiamento esistenziale.






    Fin quasi tutto il 1600, l'astrologia ha avuto nella medicina un ruolo, se non proprio di guida, almeno preminente; e ciò non solo in Oriente, ma, sebbene combattuta dalla Chiesa cristiana, anche in Occidente. I medici dell'epoca portavano la barba e il berretto a punta proprio come gli astrologi. Erano convinti che la vita umana fosse dominata dagli spiriti e non prescrivevano farmaci non prima di avere consultato le stelle. Poi, nel 1526, Paracelso, chiamato a dirigere la cattedra di chirurgia dell'Università di Basilea, fondò la teoria fisiologica sull'applicazione della Cabala al corpo umano, sconvolgendo le credenze seguite fino a quel momento: non era utile osservare gli astri per diagnosticare le malattie e predire la sorte cui il paziente era destinato, ma il moto degli astri poteva essere sfruttato per curarle nel modo più appropriato. Infatti, secondo questo illustre medico «… il corpo umano è dotato di sette organi, paragonabili ai sette pianeti principali: il cervello è la Luna, il cuore è il Sole, la milza Saturno, i polmoni Mercurio, lo stomaco Marte, il fegato Giove, i reni Venere. La causa naturale delle malattie, o terza entità patogena, si identifica con tutto ciò che colpisce ed altera il normale corso degli astri corporei… Ogni organo ha una sua precisa destinazione e funzione e un suo specifico moto di rivoluzione: se si smarrisce e penetra in vie che non gli sono conformi, provoca appunto le malattie. Il Sole è il cuore del macrocosmo, la Luna ne è il cervello e le piante e i minerali dominati da ogni pianeta sono benefici all'organo corrispondente». Quindi, qualsiasi intervento curativo e anche i medicamenti dovevano essere somministrati sotto determinati segni zodiacali. Per esempio, la Luna congiunta a Venere aumentava moltissimo la loro forza: «Pharmaca vix quicquam movere naturam dumtaxat quando Luna cum Iove congreditur», però, se si dovevano somministrare, per esempio, farmaci contro la pituita (umore vischioso secernente dai bronchi e dal naso) era tassativo farlo quando la Luna era in congiunzione con il Sole. In generale, Giove aumentava con i suoi raggi la forza attrattiva di certi farmaci, mentre il segno dei Pesci favoriva la forza espulsiva di altri farmaci, come i purganti; gli emetici (sostanze che promuovono il vomito) funzionavano bene se somministrati nel segno del Leone e gli elettuari (medicamenti composti da sciroppi e miele) nel segno del cancro. Questa impostazione doveva sicuramente sollevare il problema su cosa fare delle persone così sfortunate da ammalarsi… fuori segno zodiacale. La lettura di quanto prescriveva il chirurgo astrologo Pietro Montagnana: «Ariete è segno del mese di marzo. E' male medicare nella testa e all'hora qualunque sarà percosso nella testa, ò morirà, ovvero rimanerà stropiato…», non induce all'ottimismo su quale dovesse essere il loro destino!

    Il rispetto dei giusti tempi di cura e di somministrazione delle medicine in relazione alla posizione degli astri nello zodiaco era reso ancor più complicato dal fatto che, sfortunatamente non tutte le piante medicamentose o le parti di una stessa pianta godevano delle stesse influenze sideree. A questo ulteriore problema tentò di porre rimedio il medico Taddeo von Hayek, il quale scoprì che se si prendeva un serpentello e lo si nutriva per un adeguato periodo di tempo con le erbe che via via divenivano attive sotto l'appropriata posizione degli astri, il liquido ottenuto distillandolo vivo sotto il segno del Sole curava l'epilessia qualunque fosse il periodo in cui la malattia si manifestasse... Solo all'inizio del secolo XVIII, grazie alla nascita della moderna farmacologia e della chimica farmaceutica, si cominciò a guardare i medicamenti da una diversa angolazione, svincolandosi dall'empirismo e dalle teorie metafisiche e alchemiche, indirizzandosi verso la creazione di farmaci di più razionale composizione e di provata efficacia.





    Le società primitive credevano alla medicina per similarità: per esempio, il succo rosso di una pianta come la sanguinaria (Geranium sanguineum), poteva essere efficace per curare le malattie del sangue. Questa strana nozione è stata ripresa dai classici greci, da questi introdotta nella cultura romana e da Roma antica diffusa in tutta Europa. La dottrina della segnatura ebbe il massimo favore nel Medioevo, quando Paracelso ne diventò il più convinto propugnatore. Questa dottrina si basava sulla radicata convinzione che tutte le piante esistessero sulla terra a beneficio dell'uomo; al fine di distinguerne l'utilizzabilità – come cibo, per ricavare fibre, come medicine – il Creatore aveva marcato ogni pianta con un "segno". La celidonia veniva usata per curare le malattie del fegato perché forniva un succo di un colore giallo assai simile a quello della bile. I frutti della porcellana (Portulaca oleracea) e del migliarino (Lithospermum officinale) venivano usati per curare le malattie renali. L'equiseto (Equisetum arvense), con la forma che può ricordare la spina dorsale con le sue diramazioni nervose, veniva impiegato per curare le malattie ritenute originate da questa parte anatomica, mentre l'iperico (Hypericum perforatum) veniva impiegato per curare le affezioni della pelle. Si potrebbe continuare fino alla noia in questa descrizione.

    La dottrina della segnatura raggiunse i limiti estremi dell'assurdo quando Giambattista della Porta ne provocò il connubio con l'astrologia. Come in quelle epoche venisse interpretata la medicina traspare da un aneddoto raccontato da Razeo: «Una fantesca raggiunse la casa di un famoso medico recando, avvolto in un panno, un vaso con le urine del suo padrone. Ormai sulla soglia, la donna incrociò un allievo del medico, il quale la fermò e, osservate attentamente le urine, sentenziò: "questa è l'urina di un cristiano che ieri ha mangiato lenticchie e che abita in un tal quartiere della città". Su questi dati, il giovane stabilì poi una terapia. La donna fu contentissima, pagò e se ne andò. Senonché il maestro aveva seguito il colloquio dalla finestra. Chiamò l'aiutante e gli chiese come avesse fatto a scoprire tutte quelle cose sul paziente. Il giovane affermò di avere dedotto trattarsi di un cristiano dal tipo di panno che avvolgeva il vaso, la storia delle lenticchie dal fatto che i cristiani usano mangiare lenticchie tutti i venerdì e quel giorno era per l'appunto sabato e il quartiere dal colore particolare del fango che sporcava le scarpe della donna. Di fronte a questa risposta, il medico licenziò immediatamente l'allievo perché la medicina è una scienza seria, al cui esercizio non convengono i trucchi degli istrioni!».



    Antonio Bortolotti - Da Hera n° 106 (novembre 2008)

  5. #65
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    Predefinito Re: Medicina e Magia

    Daniele Banfi

    QUEI CADAVERI UTILIZZATI PER FARNE MEDICINE


    E' possibile curare un gran numero di disturbi utilizzando parti del corpo dei cadaveri? Certo che no. Eppure in un passato non troppo lontano - oggi questa cosa ci fa sorridere - i morti venivano correntemente usati per la preparazione di presunti farmaci. Un esempio? La polvere ottenuta dallo sbriciolamento delle ossa del cranio si credeva fosse utile nella trattamento delle malattie del cervello. E' questo il caso dei martiri di Otranto. I ricercatori dell'Università di Pisa, guidati dal professor Gino Fornaciari, hanno svelato il mistero del cranio con 16 fori presente tra le reliquie dei santi. Lo studio ha individuato le ragioni della trapanazione multipla incrociando le analisi sui resti con i testi di storia della medicina: le parti del cranio furono utilizzate per preparare farmaci utili contro le malattie del cervello.




    Mistero risolto: buchi nel cranio per ottenere polvere d’osso
    «Inizialmente -spiega la dottoressa Valentina Giuffra, una delle autrici dello studio- abbiamo preso in considerazione diverse ipotesi tutte però poco convincenti. Ad esempio una procedura per ricavare reliquie in forma di polvere d'osso non era plausibile, considerando le migliaia di ossa, appartenenti ai martiri che potevano essere facilmente prelevate. Diversi testi descrivono l'uso di polvere di cranio umano come ingrediente per la cura dell'epilessia e di altri disturbi per i quali non esisteva una spiegazione razionale». La testa era considerata la parte più importante del corpo umano, un capolavoro della creazione, depositaria di forze spirituali invisibili che si conserverebbero anche dopo la morte. Il cranio di Otranto rappresenta un'evidenza unica di trapanazione effettuata per ottenere polvere d'osso da usare come ingrediente in preparazioni terapeutiche. «Le lesioni -prosegue l'esperta- sono il risultato di una trapanazione multipla effettuata con uno strumento dotato di una grande punta arrotondata. Questo tipo di strumento non poteva produrre rondelle ossee ma solo polvere d'osso».


    Mummie per qualsiasi farmaco: dalle pene d'amore alle paralisi
    Una procedura curiosa, quella della preparazione del farmaco a partire dal cranio, che non rappresenta di certo una novità. A partire dal 1400 circa la medicina ufficiale utilizzava regolarmente parti del corpo dei morti per produrre "pozioni" curative. In particolare la "materia prima" più pregiata per la preparazione dei "farmaci" era la mummia dell'antico Egitto. Da alcuni scritti della fine del 1500, ad opera del medico Pier Andrea Mattioli, si evince che le popolazioni arabe attribuivano alle mummie molte virtù come la cura delle paralisi, dell'epilessia, dell'emicrania e di molti altri disturbi. Non solo, se l'estratto di mummia veniva aggiunto ad acqua e menta era possibile curare anche le delusioni amorose.






    Il business delle false mummie
    Anche se oggi stentiamo a credere a questa singolare procedura nel passato, la cieca fiducia nei rimedi prodotti dall'utilizzo dei cadaveri raggiunse una popolarità tale che in Egitto cominciarono gli arresti dei trafugatori di mummie. Non solo, vista l'estrema diffusione, anche in Europa iniziarono a fiorire i commerci di false mummie: invece che corpi provenienti da antiche sepolture si vendevano agli europei cadaveri disidratati e opportunamente preparati. Un commercio particolarmente fiorente in Francia dove i corpi degli impiccati venivano trafugati e rivenduti a prezzo salato, dopo opportuna preparazione, spacciandoli per vere mummie egizie. Fortunatamente con il passare dei secoli e l'avvento della medicina moderna la pratica di preparare farmaci utilizzando i cadaveri è andata scemando. L'ultima comparsa è datata 1911 a Vienna: a quel tempo era ancora possibile acquistare in farmacia estratti ottenuti da vere o presunte mummie.



    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 20-05-15 alle 01:14

  6. #66
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    Predefinito Re: Medicina e Magia

    Il medico Franz Anton Mesmer (1734-1815) ipotizzò la presenza, nei minerali e negli esseri viventi, di un "magnetismo vitale" che poteva essere usato da individui che ne fossero eccezionalmente dotati a fini terapeutici. Ma il mesmerismo fu soprattutto un fenomeno sociale che si diffuse nella società francese alla fine del Settecento e perdurò tenacemente fino a primi decenni del secolo successivo. Ebbe notevole successo nella Parigi dell'aristocrazia colta, sensibile alle novità scientifiche, soprattutto se legate a fenomeni curiosi e di grande effetto.




    MAGNETISMO ANIMALE E PRANOTERAPIA




    L'espressione magnetismo animale fu coniata dal medico austriaco Franz Anton Mesmer (1734-1815) negli ultimi decenni del Settecento. Egli riteneva che esistesse un fluido circolante in tutto l'universo, fluido che l'uomo poteva accumulare a livello biologico e trasmettere a tutti gli esseri viventi a scopo terapeutico. Mesmer si laureò in medicina, filosofia e teologia e, all'età di 42, anni pubblicò un volume che fece scalpore, Dissertatio Physico Medica de planetarum influxus, in cui attribuiva i fenomeni ipnotici e magnetici all'influenza degli astri. In realtà, l'idea non era nuova: la teoria dell'influsso astrale sulla fisiologia e sulla patologia appartiene a molte medicine antiche, e, nel XIV secolo, Paracelso aveva riconosciuto nei minerali e soprattutto nelle calamite (magneti) specifiche proprietà terapeutiche.

    Una tinozza con acqua e limatura di ferro (forse anche qualche goccia di acido solforico). Intorno i malati (molte donne isteriche). Mesmer li toccava con una bacchetta mentre una fisarmonica suonava: il fluido "magnetico" si trasmetteva. I pazienti dovevano tenersi uniti tramite una fune per potenziare l'effetto di assorbimento delle "energie mesmeriche". Portati quindi in un'altra stanza, Mesmer li tranquilizzava e a volte operava vere guarigioni con tecniche ipnotico-suggestive. Successivamente, egli si accorse che non serviva la bacchetta per ottenere gli stessi effetti, ma bastava la sola imposizione delle mani, cariche del fluido guaritore e, alla stessa maniera, "caricava" oggetti capaci di guarire il paziente, facendolo entrare in trance.



    L'unico esemplare rimasto della tinozza di Mesmer
    (Museo della Storia della medicina e della farmacia, Lione)


    Mesmer e il suo magnetismo animale divennero in pochi mesi di gran moda: davanti alla sua lussuosa casa di Place Vendôme aspettavano da mattina a sera berline, cabriolets e portantine di ricchi e nobili. E poiché i gabinetti di cura, dove a disposizione dei malati ben paganti c'erano soltanto tre tinozze magnetiche (baquets), erano insufficienti, divenne necessario prenotare con giorni di anticipo. Siccome era di moda anche la filantropia, Mesmer mise a disposizione alcuni baquets anche per i meno agiati, affinché tutti, ricchi o poveri, potessero provare la nuova medicina dell'armonia. Escludeva dalla cura soltanto i malati con ferite aperte, gli epilettici, i pazzi e i mutilati, riconoscendo così lealmente di poter ottenere agendo sui nervi solo un miglioramento delle condizioni generali e non di poter trasformare per miracolo la struttura dell'organismo.

    Nel 1774, una commissione dell'Accademia delle Scienze si riunì a Parigi per studiare questo magnetismo animale e decretò che le guarigioni avvenivano per via dell'immaginazione e non per azione di particolari "forze fluidiche". Mesmer fu accusato di frode dalla medicina ufficiale e fu costretto ad espatriare in Svizzera, dove morì in solitudine.

    Una menzione a sé merita la pranoterapia regale: la cerimonia di incoronazione del re, che riceveva l'investitura 'divina', poteva conferire poteri taumaturgici, cosa che accadde a vari re di Francia, come Luigi IX San Luigi e Luigi XVI. All'imperativo "Il Re ti tocca, Dio ti guarisce", si narra che il giorno della sua incoronazione, nel 1775, toccò ben 2.400 soggetti affetti da 'scrofola'! Il re fu noto per curare con il solo tocco delle mani anche altre malattie come quelle ghiandolari e della pelle.

    .

  7. #67
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    Predefinito Re: Medicina e Magia

    Simonetta Cerrini nel suo libro "LA RIVOLUZIONE DEI TEMPLARI" riporta che da certi documenti, dalla ricercatrice rinvenuti, i templari usavano la magia, con formule e caricando "di energia" certe sostanze, per mantenere e curare la salute solo dei cavalli, dato che questi animali erano fondamentali per il ruolo che dovevano svolgere soprattutto in Terra Santa, ne possedevano in media tre per ogni cavaliere. Mentre di queste pratiche non si trova menzione, nei documenti, per quanto riguarda gli aspetti sanitari umani, questo fa pensare... I templari credevano nella magia e forse non si permettono di scrivere tutto per la paura di essere accusati di eresia, accusa che in ogni caso fu estorta attraverso la tortura...
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 24-09-16 alle 11:19

  8. #68
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    Predefinito Re: Medicina e Magia

    Paola Giovetti

    I GUARITORI DI CAMPAGNA






    Vediamo ora brevemente che cos'è la medicina popolare e chi è il guaritore di campagna. Il discorso va affrontato innanzitutto a livello storico e sociale. La medicina popolare rinvia infatti a una società in cui fin dai tempi più antichi le classi popolari hanno adottato per la difesa della salute sistemi difensivi particolari, metodi di prevenzione e di intervento messi in atto dalla figura carismatica dell'operatore - il guaritore di campagna, appunto - che attraverso riti suggestivi attiva processi profondi di ricettività.

    Per essere compresa, la medicina popolare non può quindi essere valutata in base alla sua analogia, o alla sua mancata analogia, con la medicina ufficiale con la quale non ha nulla, o quasi nulla, a che vedere: per interpretarla e capirla occorre un'impostazione tutta diversa, anche perché i principi su cui essa si basa sono prevalentemente di tipo magico-rituale. La medicina popolare tende infatti a individuare l'origine della malattia in elementi esterni alla persona che si è ammalata, in cause che tende a personificare (possessioni, invasamenti, "fascinature", malocchio e fatture, addirittura interventi demoniaci); oppure, con un'intuizione straordinaria e modernissima, attribuisce l'instaurarsi del male alla caduta delle difese. È questo il caso per esempio dello scantu siciliano: una paura o un dolore improvviso, che spezza l'equilibrio della persona e consente la manifestazione di ogni tipo di malattia. In tutti questi casi, per ristabilire l'ordine occorre ricorrere a riti adeguati, ovvero magico-religiosi.

    Di tipo rituale sono anche le numerosissime terapie preventive cui la medicina popolare ricorre: amuleti, abitini, portafortuna di vario genere, rimedi contro fatture e malocchio, e altro ancora. Tutti questi interventi e riti, altamente suggestivi, mettono in moto quei meccanismi psicosomatici di cui oggi sempre più viene riconosciuta l'importanza nel processo di guarigione. Non può inoltre essere ignorato l'intervento, sia per la diagnosi che per la terapia, di probabili effetti paranormali prodotti dal guaritore, che sovente - pur senza saperlo - è sensitivo e pranoterapeuta; così come non deve essere dimenticato l'uso, da parte di certi guaritori popolari, di un'erboristeria di cui oggi si va riscoprendo la validità.

    A quando risalgono i riti e le tecniche magiche che ancora si conservano in Italia? A tempi certamente molto remoti. Si tratta infatti di consuetudini terapeutiche antichissime, probabilmente nate in epoca pagana, cui nel tempo si sono sovrapposti nomi e rituaHtà cristiani. I guaritori di campagna utilizzano infatti una gestualità di tipo magico e contemporaneamente invocano i santi cattolici e fanno uso del segno di croce: quella di "segnare" è anzi una caratteristica costante del loro intervento terapeutico. La sostanza dell'intervento è comunque di tipo magico: quando nel Salernitano la guaritrice Maria Servita, per curare la milza ingrossata stacca da un albero di noce un pezzo di corteccia corrispondente alla forma della pianta del piede dell'ammalato, e la mette poi a seccare sul fuoco dopo aver recitato certe preghiere e dopo averla "segnata", compie senza saperlo un tipico rituale di "magia simpatica", o "magia per analogia": ella ritiene infatti che via via che la corteccia si secca e raggrinzisce, anche la milza ingrossata si riduca di proporzioni, tornando a poco a poco alla normalità.






    Oppure prendiamo le numerosissime cure contro i porri che ho trovato un po' dappertutto: un guaritore sardo, zio Palmerio, prende un giunco, gli fa tanti nodi quanti sono i porri da curare, lo "segna", recita le sue formule e poi lo seppellisce oppure lo getta in un fossato: ed è convinto, e i suoi malati con lui, che via via che il giunco si consuma e marcisce, debbano sparire anche i porri. L'operazione infatti richiede una quarantina di giorni. Lo stesso principio è alla base di interventi che ho trovato in Emilia: qui si prende del grasso di maiale maschio, lo si strofina sui porri e lo si seppellisce in una concimaia. E mentre il grasso si sfalda, spariscono anche i porri. Ancora una volta, magia per analogia. Di tipo magico sono anche altri riti tesi a trasmettere a un oggetto il male che affligge la persona: zia Angelina, in Sardegna, trasmette ai rami di fico, che poi brucia, la sciatica che tormenta i suoi "clienti". Per la cura dei vermi ho trovato in più parti la consuetudine di ricorrere a fili di cotone che alla fine del rito vengono anch'essi bruciati ad indicare l'eliminazione degli sgraditi ospiti.

    Come si diventa guaritori? I modi sono fondamentalmente due: o per nascita o per "ereditarietà". E cioè: c'è chi nasce in circostanze tali per cui è subito chiaro che è destinato a curare certe malattie. È questo per esempio il caso dei cosiddetti "nati con la camicia", coloro cioè che nascono avendo addosso il sacco amniotico [1]. Questo "nascere vestiti" era ritenuto segno di un destino particolarmente favorevole, per cui subito dopo la nascita la levatrice, o chi per essa, destinava il piccolo a "segnare" questa o quella malattia, il che avveniva attraverso un piccolo rito consistente in certe parole e preghiere; inoltre al neonato veniva messo in mano, per tutto il tempo del rito, qualcosa che simboleggiava la malattia che avrebbe in seguito curato: un carbone per il fuoco di S. Antonio, un baco da seta per i vermi e così via. Oppure in certe zone (per esempio in Romagna) si usava nascondere gli oggetti simboleggianti il male da curare nelle fasce del piccolo, il giorno del battesimo, perché fossero benedetti con lui. Il tutto all'insaputa del sacerdote, che ufficialmente ignorava la cosa.

    Destinati a guarire erano anche i "settimi", ovvero il settimo di sette figli maschi, o la settima di sette figlie femmine. E in certe regioni anche i settimini. Qua e là ho raccolto poi altre curiose usanze: per esempio può cominciare a curare la donna che abbia partorito due gemelli di sesso diverso (S. Cassiano di Brisighella in Romagna). Nella maggioranza dei casi però la virtù di guarire viene lasciata dal guaritore a una persona (della famiglia o anche non della famiglia) da lui ritenuta idonea; la virtù viene trasmessa quasi sempre la notte di Natale, notte magica per eccellenza, e consiste nell'insegnamento delle parole, dei segni e dei riti. Il neo-guaritore deve possedere certe caratteristiche: deve innanzitutto desiderare di curare e di aiutare il suo prossimo, deve essere persona generosa e animata dalla volontà di perpetuare la tradizione, non lo deve fare per lucro e deve impegnarsi a mantenere il segreto sulle parole da dirsi durante il rito. Mentre, infatti, gesti e riti vengono apertamente mostrati durante la "terapia, le parole devono essere pronunciate dal guaritore sempre e soltanto fra sé e sé. C'è chi s dice convinto che rivelando le parole (che i quanto è dato di sapere sono in genere invocazioni a determinati santi, anche se c'è qualche guaritore che afferma che nelle sue giaculatorie i santi non c'entrano affatto, il che rimanda all'origine pagana di questi riti), queste perderebbero il loro magico potere.





    Ho accennato al compenso: nessuno dei guaritori che ho incontrato chiede denaro. C'è chi decisamente lo rifiuta, chi accette a massimo piccoli doni, anche in natura, chi dice che non può né chiedere né rifiutare. Altri invece sono convinti che perché la cura abbia effetto il paziente deve dare qualcosa. Ma questo qualcosa può essere veramente una cosa qualunque: sei uova, un pezzo di formaggio, una bottiglia di vino, tutto bene. Nerina Toni, una anziana guaritrice di Soliera (Modena), consiglia alle persone che si fanno "segnare" da lei di offrire una candela in chiesa: per sé non vuole niente. È chiaro, in ogni caso, che il guadagno non c'entra: questi guaritori sono persone che per guadagnarsi da vivere fanno tutt'altro e che, avendo la "virtù", quando se ne presenta l'occasione o la necessità, "segnano". Ma lo considerano un dovere religioso e sociale, non un'attività di lavoro vero e proprio.

    I segni che i guaritori di campagna fanno sulla parte ammalata sono in genere segni di croce, ripetuti almeno tre volte: tre è il numero magico che ricorre continuamente, eventualmente anche nei suoi multipli, specie il nove [2]. Per esempio quasi tutti questi operatori ritengono che la cura vada ripetuta tre volte, per tre giorni di seguito. Il materiale che viene usato è quello che si trova a portata di mano: fiori, steli di grano, rami di fico, grani d'orzo o di frumento, corteccia d'albero, acqua e sale, qualche goccia d'olio per il diffusissimo rito contro il malocchio, lievito di pane, un po' di vino e così via: semplici ingredienti quotidiani che, usati in un certo modo all'interno dei riti, acquistano un significato speciale. Il guaritore osserva anche certi tempi; c'è chi cura solo quando la luna è calante, perché "la luna crescente fa crescere il male, mentre quella calante lo fa diminuire", e comunque quasi tutti hanno bisogno di ripetere la cura tre volte, in genere a digiuno: il digiuno va osservato sia dal guaritore che dal paziente.

    Un aspetto importante è quello della fede: tutti infatti danno un grande valore al fatto di credere in quello che viene fatto. I guaritori stessi sono in genere persone dotate di un profondo senso religioso e attribuiscono molta importanza al fatto che il paziente sia convinto di poter guarire e preghi durante la "cura". Questa fiducia ha ovviamente un grosso ruolo nella eventuale guarigione.
    Che malattie curano questi guaritori? A differenza dei pranoterapeuti, che in genere accettano ogni tipo di infermità, i guaritori di campagna sono "specializzati" e si limitano a intervenire per certe malattie ben precise: gli interventi più frequenti riguardano porri, fuoco di Sant'Antonio, orzaioli, storte, bruciature, sciatiche, risipola, verminazione dei bambini. Disturbi, come si può vedere, per lo più non gravi, ma fastidiosi e difficili da eliminare. Ritengo, per quello che ho avuto modo di vedere, che uno dei casi più tipici sia quello del fuoco di Sant' Antonio: malattia molto dolorosa e ancora oggi resistente alle cure. Nelle campagne mi sono sentita spesso ripetere che, se non viene "segnato", il fuoco di Sant'Antonio non si ferma e continua ad allargarsi. Certi medici, soprattutto - ripeto - nelle campagne, mandano i loro pazienti colpiti dal fuoco di Sant'Antonio a farsi "segnare" dal guaritore apposito.



    NOTE

    1 La credenza nelle particolari virtù dei "nati con la camicia" è molto antica. Ne fa per esempio testimonianza la deposizione resa il 17 maggio 1591 dinanzi all'Inquisizione venda dal cappuccino fra' Pietro Veneto, guardiano del monastero di Santa Caterina di Roveredo. "... et è opinione de alcuni, che quelli che nascono con la camìsiola siano sfornati andar in strigozzo" (andare al banchetto notturno della strega con il demonio). Da: Carlo Ginzburg, IBenandanù, Einaudi 1966.
    2. Il 9 è simbolo di rinascita, in quanto nove sono i mesi di gestazione.


    Paola Giovetti, ll Giornale dei misteri n° 528

  9. #69
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    Predefinito Re: Medicina e Magia

    Andrea Cionci


    POLVERE DI MUMMIA, QUEL TEMPO IN CUI LA SI INGERIVA CONTRO LA BRONCHITE O COME ELISIR DI LUNGA VITA






    La storia della medicina è piena di rimedi astrusi e pozioni disgustose, tuttavia il primato del raccapriccio spetta senza dubbio alla cosiddetta «Mumia Vera», che è stata consumata, senza soluzione di continuità dall’epoca, medievale fino ai primi del ‘900. Si trattava infatti del ricavato di vere e proprie mummie egizie (e non solo, come vedremo) che venivano macinate, fatte macerare, o distillate e poi adoperate sia per uso esterno che interno. Un vero e proprio atto di cannibalismo compiuto per guarire dalle malattie o anche semplicemente per «conservarsi».

    L’uso della mumia era già largamente diffuso in Africa settentrionale e fu introdotto in Andalusia dalla penetrazione araba. Furono poi i reduci delle Crociate a diffonderla nel resto d’Europa.
    «Tutto partì da un equivoco – spiega il dottor Enrico Ferraris, ricercatore del Museo Egizio di Torino – considerando che Plinio il Vecchio e Dioscoride magnificavano le proprietà del bitume proveniente dalla Persia ritenendo che questo idrocarburo di colore nerastro avesse grandi proprietà terapeutiche. Gli stessi parlavano anche di come gli egizi utilizzassero il bitume, che in persiano antico si diceva “Momia”, per imbalsamare i corpi. Tuttavia, questa era una sostanza difficile da reperire, al contrario delle mummie; ecco perché, dal XIII secolo in poi, i medici arabi cominciarono a raccomandare l’uso delle mummie in sostituzione del bitume minerale.

    In realtà, gli egizi cominciarono a usare per l’imbalsamazione questo materiale solo in epoca tarda, a partire dal VII sec. a. C., all’epoca delle dominazioni assire e persiane. Adoperavano soprattutto i sette oli sacri di diversa provenienza – mai ritrovati - e, ancora, resine e sostanze essiccanti come il Natron. Tuttavia, la colorazione nerastra delle mummie, dovuta ai normali processi di ossidazione dei tessuti faceva sì che tutte venissero ritenute impregnate di bitume, senza troppe distinzioni. Così, i mercanti antichi si diedero a recuperare e macinare le mummie egizie nell’idea di ricavarne quel bitume che era tanto ricercato. Ad Alessandria e al Cairo ve ne era un fiorente commercio».

    Le indicazioni terapeutiche della polvere di Mumia erano le più varie: dall’asma bronchiale, alla tosse, alle altre malattie di petto, per le quali si assumeva attraverso fumigazioni, mentre veniva impiegata in pomate ed impiastri per l’applicazione esterna: curare ferite, fratture, lussazioni, malattie della pelle come la erisipela. Ritenuta efficace come contravveleno, ebbe fortuna anche per guarire dal «mal d’amore» e dal «mal caduco» (ovvero dall’epilessia) e dagli esaurimenti nervosi. Si somministrava anche per favorire il parto e per lenire i disturbi mestruali. I medici arabi la mescolavano ad oli profumati, come quello di rose e gelsomino, oppure la amalgamavano a decotti aromatici resi gradevoli da more, cannella, zafferano, liquirizia fino a farne sorta di caramelle.

    Per quanto più accessibili del bitume, non era facile reperire mummie egizie e i prezzi di questa panacea arrivarono alle stelle, soprattutto in epoca rinascimentale quando la sua richiesta giunse al picco. Inevitabile che si cominciasse a falsificare la sostanza anche perché era impossibile riconoscere la contraffazione. Nel 1462, in Egitto, i francesi compravano la Mumia vera per la cifra record di 25 scudi d’oro al quintale. Quasi un secolo dopo, un viaggiatore tedesco riferiva di come i locali andassero a caccia anche dei corpi dei viandanti morti nel deserto e disseccati dal sole.

    Nel 1564 Guy de la Fontaine, il medico personale del re di Navarra, conobbe il principale esportatore di mummie di Alessandria. Era un mercante ebreo che non si capacitava di come gli europei potessero credere che le mummie da lui commercializzate fossero veramente quelle degli antichi egizi. Anzi, gli mostrò perfino il suo «deposito», dove teneva migliaia di corpi trafugati dalle sepolture che lui preparava estraendo cervello e visceri, praticando incisioni nella carne in cui inseriva dell’asfalto. Poi li fasciava con bende e li metteva a disseccare in un luogo assolato. Dopo tre mesi la «mummia» era pronta per essere venduta alle farmacie europee.

    Stando a una ricerca del CICAP che cita un volume del 1625, questa pratica si era diffusa fra medici e mercanti ebrei che non esitavano a preparare anche i corpi di appestati e impiccati per venderne la polvere ai cristiani che combattevano in Palestina. Tuttavia, la «mumia patibuli», ricavata dai condannati a morte, lungi dallo schifare dottori e pazienti europei, conobbe una certa fortuna anche grazie al medico paracelsiano Oswald Croll che raccomandava, per giunta, di usare i corpi di impiccati 24enni purché dotati di capelli rossi.

    Tuttavia, già nel ‘500 qualche uomo di scienza cominciò a esprimere pareri critici, sia di ordine morale che sanitario. Tra questi, l’italiano Pier Andrea Mattioli e il francese Ambrogio Pareto che sosteneva di non aver mai visto un malato guarire dopo l’assunzione della Mumia. Soprattutto, sosteneva Pareto, i popoli antichi non avevano imbalsamato i loro morti perché fossero mangiati dagli occidentali.

    «Nonostante i costi del medicamento e queste autorevoli perplessità – spiega l’archeologo Carlo Di Clemente - l’uso della Mumia vera perdurò addirittura fino al 1924, quando si trovava ancora nel listino della casa farmaceutica inglese Merck & Co. Nell’Inghilterra anglicana il medicamento conobbe maggior fortuna che nel’Europa latina dove il cattolicesimo poneva argini culturali e morali maggiori sul cannibalismo medicale: non è un caso che Shakespeare citi mummie nei sonetti e nel suo Macbeth (fra gli ingredienti della pozione delle streghe), come, similmente, fecero altri grandi autori elisabettiani.

    In epoca vittoriana si sviluppò l’idea che la sostanza, provenendo da cadaveri incorrotti, potesse allungare la vita. La Mumia cominciò quindi ad essere assunta come un elisir (quasi fosse un “integratore”, diremmo oggi) in modo paradossalmente meno “scientifico” rispetto all’epoca rinascimentale quando possedeva precise - quanto illusorie - indicazioni terapeutiche. Va inoltre considerato il fascino morboso che le mummie, insieme a misticismo e ai geroglifici egizi esercitavano sui britannici. Prova ne sia il nascere e il perdurare della favola circa la maledizione di Tutankamon».

    E’ curioso notare come per gli antichi la mummificazione fosse garanzia di sopravvivenza nel mondo dei morti, mentre nelle credenze dei moderni l’assunzione della mummia servisse a ritardare l’accesso all’aldilà.


  10. #70
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    Predefinito Re: Medicina e Magia


    Questa immagine (dal [i]Traité de la peste[/i[ di Jean-Jacques Manget, Parigi 1720) mostra un medico che si prepara a visitare un appestato: guanti, maschera e abito per proteggersi dalla contaminazione. La maschera aveva due fori all'altezza delle narici e gli occhi erano protetti da due piccoli vetri. All'interno del "becco" erano inseriti profumi e pomate balsamiche, in bocca il medico teneva dell'aglio o della ruta, nelle orecchie e nel naso dell'incenso. Gli amuleti contro la peste erano a base di aglio, corallo, cera di candela, erbe magiche.


    UNA SEPOLTURA DI MASSA RACCONTA LA DEVASTAZIONE SEMINATA DALLA PESTE NERA




    Un morbo talmente letale e diffuso da stravolgere le normali pratiche di sepoltura, persino nei contesti più legati alla tradizione: la Peste Nera, l'epidemia che attorno al 1350 si portò via un terzo della popolazione europea, fu anche questo, come confermato ora da un'interessante scoperta archeologica. Nel sito dell'ospedale monastico di Thornton Abbey, nella contea inglese del Lincolnshire, è stata trovata una fossa comune con 48 scheletri di uomini, donne e bambini: tutte vittime della Peste Nera, decedute nel XIV secolo.

    Le testimonianze archeologiche dirette dei decessi causati dalla peste del Trecento sono estremamente rare perché, per quanto piegate, le comunità locali tentarono di seppellire i loro cari nelle modalità più tradizionali, nei cimiteri posizionati, come da tradizione, nei cortili parrocchiali. Finora, le uniche due fosse comuni con vittime della Peste Nera erano state ritrovate a Londra, dove le autorità locali furono costrette a ricorrere a tombe di massa per far fronte all'elevato numero di morti, in una città densamente abitata. Ecco perché la scoperta di una sepoltura di gruppo in un villaggio rurale poco popolato dà un'idea della pervasività della piaga, e di come fosse arrivata a turbare anche le prassi più consolidate.

    Del ritrovamento compiuto nel 2013 dagli archeologi dell'Università di Sheffield (Regno Unito) parla un articolo appena pubblicato su Antiquity. L'analisi del DNA estratto dalla polpa dentale degli scheletri ha confermato la presenza del batterio Yersinia pestis, che raggiunse il Lincolnshire nella primavera del 1349. Accanto ai resti umani, in quel che rimane dell'edificio dell'ospedale, è stato trovato un ciondolo con la croce di Tau, un simbolo che veniva indossato da chi doveva guarire dal fuoco di Sant'Antonio, una malattia virale che si manifesta con vescicole sulla pelle. Nonostante le circostanze, i corpi furono deposti in modo ordinato, l'uno accanto all'altro avvolti in sudari, a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro. Nemmeno l'urgenza di seppelire impedì di dare ai defunti una sepoltura dignitosa.

    Tra il 1346 e il 1353 la Peste Nera dimezzò la popolazione inglese. Per qualche motivo - forse per l'assenza del parroco o per il numero troppo elevato di morti - non fu possibile seppellire queste persone nel retro della chiesa del villaggio, e si dovette ricorrere al terreno dell'abbazia. La scoperta testimonia la forza dirompente con cui l'epidemia irruppe nella quiete di un tranquillo villaggio di campagna, che si trovò impreparato a gestirne le conseguenze.




 

 
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