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    Predefinito L' esperienza di Rinaldo Rigola: quando il lavoro era un problema di Stato

    L?esperienza di RINALDO RIGOLA: quando il Lavoro era un Problema di Stato. | UNIONE PER IL SOCIALISMO NAZIONALE

    Pubblichiamo questo mini saggio ad opera del nostro Ufficio Storico, articolo dedicato alla figura di Rinaldo Rigola, a mera dimostrazione di quanto, in epoche tanto vituperate, il problema della disoccupazione e della tutela dei lavoratori fosse un “Problema di Stato” a dispetto della situazione attuale, dove lo stato vampirizza i suoi cittadini, relegandoli a poveri consumatori, che producono e crepano.***“Oggi l’Italia appare tutta federata e confederata sia pure con altro spirito e altri fini. Oggi la disciplina, la gerarchia, l’accentramento, le magistrature del lavoro sono sulla bocca di tutti. Quegli ordinamenti sindacali che noi ci sforzavamo di ottenere come una creazione autonoma e volontaria della classe operaia, quella collaborazione che non rinnega e non spegne la lotta di classe, tutto ciò è oggi imposto dall’alto al proletariato il quale naturalmente accetta l’imposizione. Ma chi per prima gettò le basi di questi ordinamenti con l’idea che dovessero poggiare su principi di libertà e democrazia è stata la Confederazione Generale del Lavoro. Rimasi a fianco della confederazione anche dopo che ne lasciai la direzione, seguendola in tutte le sue evoluzioni, e continuando a dare ad essa quel poco di collaborazione che potevo. Non sarà più così; è infinitamente doloroso prenderne atto. La Confederazione Generale del Lavoro muore in questo ultimo giorno dell’anno 1926″. (Rinaldo Rigola)
    Con questa osservazione resa nota al termine del suo saggio autobiografico, Rinaldo Rigola sindacalista socialista della prima ora e primo segretario di quella che fu la vecchia Confederazione Generale del Lavoro; maturava sul finire degli anni venti la sua motivata ”adesione” al sistema politico sociale del corporativismo fascista. Ma chi era Rinaldo Rigola figura che sfugge persino a gran parte di quelle menti ”eretiche” che come noi amano riallacciarsi a quei principi e valori di quel socialismo nazionale italiano, quel socialismo fascista parte integrante della nostra visione politica e culturale; merita qui riportare.Nato a Biella il 2 febbraio 1868; operaio artigiano ebanista in un azienda tessile, fin dall’età di 16 anni, resta precocemente cieco a causa di un incidente sul lavoro.Militante politico nel vasto fronte del movimento proletario, aderisce già da ragazzo nel 1886 al ”Partito Operaio” embrione di quello che sarà a partire dal 1892 il ”Partito Socialista Italiano”. Di idee sindacaliste poco inclini all’ortodossismo marxista Rinaldo Rigola, pur risultando iscritto al PSI è fra i primissimi sostenitori della necessità di una piena autonomia del movimento sindacale dalle direttive del Partito Socialista. Con la nascita nel 1906 della”Confederazione Generale del Lavoro”, (stabiliti i rapporti fra sindacato e partito); Rinaldo Rigola ne è nominato segretario, carica che manterrà fino al 1918.Tuttavia Rigola rimane sempre più propenso a scindere completamente l’azione sindacale da quella politica, scatenando contrasti con i vertici del PSI, e arrivando a ‘minacciare’ nel 1910 la creazione di un partito del lavoro autonomo dal ”Partito Socialista”. Neutralista alla scoppio del primo conflitto mondiale subisce la fuoriuscita dal sindacato di alcuni delegati interventisti.Nonostante questa presa di posizione Rinaldo Rigola si tiene del tutto estraneo dalla propaganda e azione disfattista alimentata dalla corrente massimalista del socialismo; sposando e facendo proprio a guerra già iniziata lo slogan:<<non aderire, non sabotare>>.Al termine del conflitto, lasciato il timone della CGdL all’amico socialista riformista Ludovico D’Aragona eletto nuovo segretario; Rinaldo Rigola fonda e dirige la rivista”Problemi del Lavoro” continuando ad occuparsi ed impegnarsi nelle battaglie sindacali al fianco della CGdL.Con l’avvento al governo del paese del Fascismo, e con la frattura maturata in senso alPartito Socialista Italiano , Rigola collabora con Turati (espulso dal PSI) alla fondazione del”Partito Socialista Unitario”, ma il connubio con il vecchio leader socialista riformista dura poco. Nonostante la sua iniziale presa di posizione antifascista Rinaldo Rigola placa celermente la sua polemica, e come persona di intelletto quale era non si affretta a ”far le valigie” ed espatriare come un delinquente comune, ma piuttosto preferisce analizzare il fenomeno e il fermento del movimento fascista ed il consenso che prima su tutti egli riscuoteva fra le masse popolari. E questa sua profonda analisi porterà i suoi frutti. Siamo infatti sul finire del 1926 quando il governo fascista ormai consolidatosi, inizia a parlare e studiare il progetto di un nuovo ordinamento corporativo che porga fine alle ingiustizie sociali da un lato, ma senza ricorrere al livellamento burocratico marxista dall’altro.”Accorciare le distanze sociali” è questo lo slogan mussoliniano che risuona nelle orecchie dei tanti sindacalisti fascisti da tempo impegnati ad affrontare tali battaglie.E l’ora suonò con la promulgazione il 21 aprile 1927 della ”Carta del Lavoro”. Il testo redatto dopo mesi di lavoro dal giurista Carlo Costamagna, viene definitivamente approvato dal Gran Consiglio del Fascismo nonostante le dure opposizioni delle forze padronali e dei ceti industriali. Ispirata chiaramente alla precedente ”Carta del Carnaro” di dannunziana memoria, il nuovo disegno fascista affronta direttamente le tematiche sociali, e riesce a placare i contrasti fra datori di lavoro e dipendenti, attraverso una serie di riforme e regolamenti sindacali che pongono l’Italia come prima nazione al mondo all’avanguardia in materia di giustizia sociale, (aldilà dei progetti utopici e delle vane promesse rivelatesi una vera beffa a danno delle classi lavoratrici nella terra dei soviet).Si inizia a parlare di lavoro come dovere sociale e soggetto dell’economia, si rendono obbligatori i contratti collettivi di lavoro, si riduce la giornata lavorativa ad otto ore, si dichiara il divieto di licenziamento senza giusta causa e l’indennizzo nel caso dello stesso, si creano istituti assicurativi a tutela dei lavoratori, mezzi di sostentamento per la vecchiaia, garanzie di mantenimento del posto di lavoro in caso di malattie, ferie regolarmente ammesse e pagate dai datori di lavoro e molti altri punti…Come affermerà Giuseppe Bottai uno dei principali protagonisti alla stesura della carta:«tutti questi punti rappresentano, pratici benefici che i lavoratori non erano mai riusciti a raggiungere attraverso i cartelloni demagogici della democrazia e che invece allora essi realizzavano, nella perfetta soddisfazione dei datori di lavoro. » E’ il frutto del lavoro portato avanti da anni dalla migliore classe del sindacalismo nazionale. Ad annunciarla è infatti a Roma in Piazza del Popolo il capo sindacale fascista Edmondo Rossoni, davanti ad una vasta folla entusiasta quanto sbalordita per tanto progresso sociale.Ovviamente tutto ciò rappresenta soltanto l’inizio, il punto di partenza della marcia rivoluzionaria del Fascismo per arrivare costantemente a quella socializzazione delle imprese, a quella socializzazione dell’economia in generale più tardi inaugurata e portata avanti seppur per breve tempo nell’esperienza statuale della Repubblica Sociale Italiana.Detto questo; a parte la parte più maligna e più becera dell’antifascismo militante, non pochi furono gli oppositori attratti dalla nuova politica fascista. Basti pensare all’ex deputato massimalista Romeo Campanini autore di una lettera piena di elogi a Mussolini e al nuovo sistema economico del regime, affermando fra l’altro che: << le politiche sociali fasciste mi hanno costretto ad un profondo esame di coscienza >> la lettera viene orgogliosamente pubblicata su ”Il Popolo d’Italia”. Lo stesso giornale pubblica il 5 maggio 1927 un’ altra benemerita lettera dell’ex redattore capo dell’ ”Avanti” Pio Gardenghi. In essa si esprime la piena approvazione della ”Carta del Lavoro” e si manifesta la volontà di correggere i vecchi errori circa la politica antifascista. La frangia sociale nazionale dei cattolici fuoriusciti dal ”Partito Popolare” di Sturzo tramite un messaggio diretto al capo del governo assicurano: <<la nostra adesione al regime, più che frutto dell’entusiasmo, è dovuta a meditazione e convincimento>>.Come detto Rinaldo Rigola non era espatriato in seguito all’instaurazione del regime fascista. Seguirono il suo esempio altri membri della CGdL fra cui lo stesso attuale segretario in carica Ludovico D’Aragona.Al contrario Rinaldo Rigola stava maturando una certa vaga simpatia per le direttive in materia sindacale che si andavano affermando nel regime. Oltretutto le tematiche sociali affrontate dal governo fascista non sembravano poi così lontane dalle battaglie di cui laConfederazione Generale del Lavoro sotto il loro impulso aveva portato avanti fin dalla sua nascita nel 1906. Il passo era quasi fatto. Se un governo affermatosi qualunque sia il suo colore politico decide di accettare e fare propri quei punti rivendicati da anni dalla CGdL a quale scopo dovrebbe servire ancora l’esistenza della medesima associazione? Non sarebbe più lungimirante affiancare le strutture governative facendo sì che quei punti siano concretizzati veramente? Fu così che i legittimi rappresentanti della Confederazione Generale del Lavoro in patria capeggiati da Rinaldo Rigola e D’Aragona decisero l’autoscioglimento della stessa associazione. Una scelta lungimirante e di alto spirito di responsabilità, che tuttavia non fu accettata dai membri fuoriusciti fra cui Buozzi e Di Vittorio che votati ormai all’odio politico più che a una spiccata analisi obbiettiva si affrettarono a ricostituirla all’estero.Dopo l’autoscioglimento in Italia della CGdL; che non fu come da sempre sostenuto dalla propaganda antifascista sinistroide un atto obbligato dalle leggi speciali ”liberticide” fasciste, ma che al contrario abbiamo spiegato le evidenti ragioni, espresse oltretutto nello stralcio dell’autobiografia di Rigola riportato all’inizio; bisognava creare una nuova organizzazione che affiancasse, appoggiasse e dove necessario criticasse costruttivamente il nuovo ordinamento sociale. Bisognava analizzare ed aiutare l’attuale sistema politico istituzionale a concretizzare quei sani postulati espressi nella ”Carta del Lavoro”, fu così che nacque capeggiata da Rinaldo Rigola, e Ludovico D’Aragona (anche se presto se ne distaccherà ritirandosi a vita privata) l’ ”Associazione Nazionale Studi – Problemi del Lavoro”. Organo e voce ufficiale dell’associazione fu l’omonima rivista sindacale fondata anni prima. Alla nuova organizzazione regolarmente costituita aderirono molti degli ex esponenti confederali rimasti in Italia fra cui Giovanni Battista Maglione, Lodovico Calda, Emilio Colombino, Angiolo Cabrini e Franz Weiss. Tuttavia Rigola con Maglione e Franz Weiss furono fra i più assidui al lavoro dell’organizzazione. Anche il quotidiano socialista ”Il Lavoro” di Genova che non era stato chiuso dopo l’instaurazione del regime, appoggiò l’ANS.La nascita dell’ ”Associazione Nazionale Studi – Problemi del Lavoro” (ANS-PL) provocò divergenti reazioni fra i vertici del Fascismo divisi fra chi come la parte più becera e conservatrice contestava la legittimazione di questa, e fra chi soprattutto l’anima più marcatamente sociale plaudì a tale iniziativa. Una reazione del genere si verificherà del resto anche anni dopo nel 1936 quando l’ex dirigente comunista Nicola Bombacci fonderà con il beneplacito governativo la rivista di impostazione social-nazionale ”La Verità”.Come ricorderà più tardi Maglione segretario della nuova associazione (Rigola ne reggeva la presidenza), in un suo memoriale: <<tutti i quotidiani d’Italia riportarono la pubblicazione della nostra dichiarazione programmatica mentre le trattative erano ancora in pieno svolgimento>> Comunque sia nonostante qualche ”mela marcia” possiamo serenamente affermare che i vertici del Fascismo si compiacquero dell’operazione. Questo dimostra a dispetto delle tesi della propaganda ufficiale antifascista, che il regime fascista non era poi così tanto liberticida, ma che era propenso ad accettare appoggi esterni, ma talvolta – perché no? -anche critiche chiaramente costruttive ed in un contesto di pace sociale. L’esistenza indisturbata del quotidiano socialista di Genova, l’associazione capeggiata da Rigola, la rivista mensile diretta da Nicola Bombacci, e persino l’esistenza (più tardi In Repubblica Sociale Italiana) di un secondo partito il ”Raggruppamento Nazionale Repubblicano Socialista” stanno a dimostrarlo.Ma tornando al tema di partenza la fondazione dell’ ”ANS-PL” fu salutata positivamente anche da Arnaldo Mussolini su ”Il Popolo d’Italia” dove affermava: << Il documento confederale avrà senza dubbio grandi ripercussioni fuori dai confini ed in alcuni centri operai >>. Il ”Corriere della Sera” rincarò la dose affermando che << l’intera vicenda risulta in netto contrasto con l’atteggiamento, di quanti, fuori d’Italia dipingono con foschi colori la situazione delle nostre classi lavoratrici e trasformano in un inferno artificiale questo nostro paese. >> Come possiamo immaginare altresì la nascita dell’ ”ANS-PL” scatenò fra gli antifascisti fuoriusciti sconcerto, sdegno e non poca rabbia.I più duri quanto ottusi come sempre furono i comunisti che si spinsero persino a promettere ai così etichettati ”traditori” il plotone di esecuzione per sparare nelle loro schiene…..Follia pura!Bruno Buozzi nuovo segretario generale della ricostituita CGdL all’estero che molte battaglie aveva condiviso con quei vecchi compagni, non nascose il suo dissenso attraverso svariate epistole spedite ai promotori dell’ ANS. Riportiamo a tal proposito il testo di una lettera indirizzata proprio al segretario Giovanni Battista Maglione. Scriveva Buozzi con una punta di disinvolta malignità il 21 marzo 1927: << Oh no io non dirò a te e a Rigola specialmente, che avete tradito per i trenta denari, o per viltà, o col proposito di tradire, ma avete concesso al fascismo il più ambito e motivato diploma di benemerenza che potesse aspettarsi; nel quale oltre ad affermare, sostanzialmente, che il fascismo sta realizzando il programma confederale, si trova modo di far apparire il vecchio movimento sindacale come un movimento infantile, gretto, sordo a tutti i problemi del paese, preoccupato solo del salario. Se proprio non si voleva combattere il fascismo allora un alternativa c’era: se invece di fare quello che avete fatto, aveste preferito ritirarvi in silenzio, nessuno di noi vi avrebbe mosso il minimo rimprovero; ma ora cosa vale il riconoscimento dei sindacati dove non esiste libertà di organizzazione, dove l’organizzazione libera è distrutta col ferro e col fuoco, dove nell’organizzazione riconosciuta i lavoratori non contano nulla? Io poso riconoscere che forza, strategia e tattica superiori alle mie mi hanno vinto e negare, allo stesso tempo che sia stata vinta la mia ideologia. E però non abbandonarla. E però cercare di fare tesoro dell’esperienza per preparare la riscossa. >>A queste accuse mosse contro di loro dal suo vecchio compagno, non tarda a rispondere Rinaldo Rigola il 25 marzo successivo sulle pagine del primo numero di ”Problemi del Lavoro” edito dopo la nascita del centro studi. Precisava Rigola: << La revisione dei programmi è una necessità di vita; non si sconfessa il socialismo, lo si interpreta più realisticamente come un fine, come una tendenza della società. >> E su un successivo numero del febbraio 1930 tiene a ribadire: << Ci troviamo in fortunata condizione di vera libertà spirituale, interroghiamo con ansia spregiudicata e serena tutte le esperienze e tutti i tentativi, appunto perché tendiamo piuttosto a procedere per vie completamente nuove anziché a ricalcare vecchie strade. >>Per Rigola non bisognava quindi avere paura ”del nuovo”; e se il nuovo, ossia l’attuale realizzazione del progetto socialista era offerto proprio da quel fascismo così tanto agognato, non bisognava continuare forzatamente con l’ottusa e sorda lotta al regime, bensì appoggiarlo per il pieno raggiungimento dell’emancipazione proletaria. Del resto se inizialmente l’ ANS-PL nacque come associazione vagamente attratta dai postulati della ”Carta del Lavoro”, con la progressiva ed evidente realizzazione pratica di quei principi, il connubio fra i componenti dell’organizzazione ed il regime si fece più stretto tanto da poter parlare di una loro spirituale e piena ”adesione” al corporativismo fascista.In una lettera inviata da Rinaldo Rigola al socialista amico Torquato Nanni, il vecchio dirigente sindacale cercava di spiegare quello che il Fascismo era riuscito a capire a differenza dei socialisti ufficiali: << Bastava che il socialismo avesse capito che doveva venire anche per l’Italia l’ora del nazionalismo, come era avvenuta assai prima per gli altri paesi e che, anzi, un moderato nazionalismo, un nazionalismo che rappresenti la fusione spirituale degli italiani e il massimo di cooperazione fra essi, non solo non è in opposizione alla solidarietà internazionale, ma ne è, al contrario, il presupposto. Disgraziatamente il socialismo ha voluto con il suo contegno attraversare il passo alla storia e ne fu travolto. >> A sua volta Franz Weiss in un editoriale su ”Problemi del Lavoro” del 1° ottobre 1927 affermava che: << il Fascismo è assai meno antitetico al socialismo di quanto comunemente si crede, perché fa non poca cosa a vantaggio della ideologia caldeggiata dal socialismo, con la differenza che se in confronto al socialismo tradizionale ed ortodosso il fascismo difetta di ‘arditezza teorica’ , dall’altro lato abbonda di arditezza pratica. Il Fascismo è l’uovo di oggi, laddove il socialismo rappresenta la gallina di domani. >> E in un successivo editoriale non firmato si leggeva: << Noi consideriamo ancora e sempre la libertà disciplinata come il massimo bene politico e spirituale di un popolo, gemmazione virtuale di nuovi istituti dello Stato corporativo, e non restaurazione degli istituti dello Stato liberale. >> Ma la dichiarazione più netta verrà ancora una volta resa pubblica da Rinaldo Rigola in un ennesimo editoriale del 1° maggio 1928: << Lo Stato corporativo rappresenta per noi propriamente quel ponte di passaggio non verso la dittatura del proletariato, come reclamano i nostri contradditori; ma verso lo Stato operaio. >> Il lavoro del centro studi tuttavia continuò per anni. I principali esponenti non mancarono di organizzare convegni e conferenze nella sede di Milano. Temi affrontati: il socialismo sindacale, il corporativismo fascista, ed il superamento del marxismo. Come detto la casa editrice de ”Il Lavoro” di Genova non mancò di aiutare anche economicamente ed appoggiare il lavoro dell’ ”ANS-PL” attraverso un riscontrato contributo di 60000 lire all’anno versato all’ associazione. Nacquero a macchia di leopardo circoli locali dell’ ”ANS-PL” secondo quanto riscontrato le ambizioni di Rinaldo Rigola eran quelle di creare almeno un cinquantina di circoli sparsi in Italia, superare la soglia dei duecento soci, nonché di raggiungere le settemila copie di tiratura della rivista.Anche dopo anni, gli attacchi e le polemiche tramite lettere talvolta anche anonime come questa di un non identificato ferroviere palesemente di natura antifascista non si fecero isolate: << col vostro giornale – scriveva questo avventuriero - non siamo né alla face né al lumicino della fede socialista, siamo ad una luce ambigua, che vorrebbe essere socialista , ma che è troppo obbiettiva col sindacalismo fascista. >> Fra appoggi e polemiche il lavoro dell’ ”Associazione Nazionale Studi – Problemi del Lavoro” andò vanti fino al gennaio 1941, quando l’organizzazione si sciolse in vista di problemi di maggior rilevanza (vedi la guerra).Nel dopoguerra il vecchio tribuno del sindacalismo cercò almeno parzialmente di rigettarsi nella mischia e di continuare le sue vecchie battaglie sindacali. Ma il suo aver collaborato ed appoggiato il regime fascista pesava come un macigno sulla sua persona.Al pari di molti vecchi esponenti del socialismo come Arturo Labriola, Carlo Silvestri e tanti altri che avevano avuto contatti sereni col fascismo anche Rinaldo Rigola venne denigrato e sbeffeggiato come ”traditore” dai suoi vecchi compagni di militanza. Mai domo, si dedicò allora alla seconda sua grande passione quella di pubblicista.Solo e isolato da tutti si spense nella sua casa di Milano il 10 gennaio 1954 alla venera età di 86 anni.Che dire infine?Onore ad un uomo che ha sempre seguito istintivamente il suo ambizioso desiderio di riscossa totale del mondo proletario, senza odio, inutili pregiudizi e senza paraocchi.
    GIACOMO CIARCIA
    Ultima modifica di Avanguardia; 08-06-13 alle 12:31
    FASCISMO MESSIANICO E DISTRUTTORE. PER UN MONDIALISMO FASCISTA.

    "NELLA MIA TOMBA NON OCCORRE SCRIVERE ALCUN NOME! SE DOVRO' MORIRE, LO FARO' NEL DESERTO, IN MEZZO ALLE BATTAGLIE." Ken il Guerriero, cap. 27. fumetto.

 

 

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