Confermato il "no" al giardino d'infanzia islamico
Dopo la giustizia zurighese anche il Tribunale federale ha respinto un ricorso dell'associazione "al Huda", promotrice del progetto
LOSANNA - L'Ufficio scolastico cantonale e il Consiglio di Stato zurighesi hanno a giusta ragione rifiutato l'autorizzazione ad aprire un giardino d'infanzia islamico a Volketswil (ZH): dopo la giustizia zurighese anche il Tribunale federale (TF) ha respinto un ricorso dell'associazione "al Huda", promotrice del progetto.
Una scuola privata deve garantire che gli allievi non siano sottoposti ad alcun influsso pedagogico e di "visione del mondo" sostanzialmente contrari agli obiettivi della scuola pubblica, aveva affermato nel luglio del 2015 il Tribunale amministrativo di Zurigo.
Il progetto di "al Huda" non distingue a sufficienza tra "insegnamento profano" e religioso, aggiungeva la corte, secondo la quale sussiste dunque il "considerevole pericolo" che ai bambini vengano impartiti primariamente contenuti religiosi, per di più poco moderati vista la vicinanza di "al Huda" al Consiglio centrale islamico della Svizzera (CCIS/IZRS), organizzazione assai controversa per le sue posizione integraliste.
Il TF ha confermato su tutta la linea la decisione della giustizia zurighese. Secondo i giudici losannesi, una scuola privata deve offrire la garanzia che gli allievi non siano sottoposti a influenze pedagogiche o filosofiche fondamentalmente contrarie agli scopi della scuola pubblica.
Di conseguenza, il rifiuto delle autorità zurighesi di concedere l'autorizzazione al progetto non viola la libertà di coscienza e di credenza.
Svizzera - Confermato il "no" al giardino d'infanzia islamico
Perché Claude Peguiron ha detto basta alla chimica nei suoi campi
Di Samuel Jaberg
L’acceso dibattito mondiale sui pesticidi e sulle loro conseguenze sulla salute e l’ambiente riguarda anche la Svizzera. Mentre la Confederazione ha lanciato un piano d’azione per ridurre i rischi legati ai prodotti fitosanitari, un agricoltore vodese ha voltato le spalle ai metodi di produzione convenzionali. Una scelta che non rimpiange.
Claude Peguiron ha il carattere caparbio delle persone che lavorano la terra, ma senza quell’indole taciturna che spesso viene loro attribuita. Affabile e loquace, l’agricoltore di Mex, un piccolo villaggio a pochi chilometri da Losanna, potrebbe passare ore a raccontare i motivi della sua riconversione, la soddisfazione che ne è conseguita, ma pure i numerosi interrogativi e incertezze che a volte ancora lo perseguitano.
Da quasi due anni, la sua azienda agricola dispone del marchio della Gemma, attribuito da Bio Suisse, la Federazione delle aziende agricole biologiche svizzere. Una scelta presa inizialmente più per ragioni di salute che per pura convinzione ecologica: Claude Peguiron è infatti ipersensibile ai prodotti fitosanitari. «Quando utilizzavo dei diserbanti o dei prodotti per trattare le piante contro i parassiti avevo a volte delle vertigini o dei rigonfiamenti dei linfonodi. A volte mi usciva sangue da naso», racconta l’agricoltore.
Grazie a una mascherina, Claude Peguiron è riuscito a evitare l’insorgere di tali sintomi. Ma poco a poco, ha iniziato a dubitare dei prodotti chimici. Un primo campanello d’allarme è suonato quando i residui di un pesticida sono finiti in un piccolo stagno della fattoria, abitato da una colonia di girini. «Il loro sviluppo si è interrotto da un giorno all’altro», ricorda l’agricoltore. Un’altra volta, mentre si trovava nel campo di un collega che aveva utilizzato un prodotto chimico contro le lumache, aveva notato la presenza di numerosi lombrichi morti. «Con l’impiego intensivo di prodotti chimici si massacrano gli esseri viventi che da più di 2000 anni sono gli alleati naturali dei contadini», denuncia.
Gli aspetti economici sono stati attentamente valutati, ma non sono all’origine della decisione di riconvertirsi al biologico. «Il rendimento per ettaro è leggermente inferiore, ma i prezzi di vendita sono più alti. Alla fine, se ci si impegna e si ha fortuna, produrre in modo biologico permette di guadagnare un po’ di più», rileva Claude Peguiron.
L’agricoltore si dice comunque deluso dall’atteggiamento di alcuni intermediari del settore. «Migros [il più grande distributore della Svizzera] preferisce ridurre i prezzi acquistando dei girasoli biologici all’estero. Abbiamo cosi' dovuto rinunciare a questa produzione», si lamenta Claude Peguiron, che considera l’importazione di prodotti biologici un’assurdità ecologica e una minaccia per la sopravvivenza dei produttori locali.
Ricominciare da zero
L’agricoltura biologica implica l’impiego di maggiore manodopera, cio' che genera costi supplementari. «Per alcuni lavori di diserbo manuale dipendo oramai dagli aiuti esterni e tutta la famiglia vi partecipa», afferma. E' quindi logico che i tre figli di Claude siano stati coinvolti nella riflessione che ha preceduto il passaggio al biologico. Guillaume, il primogenito di 17 anni, vorrebbe lavorare un giorno nell’azienda agricola. Ma siccome la proprietà non appartiene ai Peguiron, Claude e Laurence l’hanno incoraggiato a seguire dapprima un altro apprendistato.
Rinunciare completamente ai prodotti chimici per coltivare 32 ettari di terreno - con grano, segale, colza, soia e mais - e allevare 50 capi di bestiame, nutriti in totale autarchia, ha pure necessitato un grande sforzo di apprendimento. «Abbiamo praticamente dovuto ripartire da zero e dimenticare tutto quello che ci avevano insegnato alla scuola di agricoltura», spiega Claude Peguiron. La riconversione è avvenuta passo dopo passo, con delle prove effettuate inizialmente su una parcella di grano. «Ho visto che potevo tenere sotto controllo le erbacce senza la chimica e questo mi ha rassicurato».
Lo sguardo degli altri
Le erbacce continuano ciononostante a tormentare Claude Peguiron. «A volte temo di subire l’invasione dell’acetosa e del cardo. Bisogna anticipare e intervenire rapidamente appena c’è un problema siccome non c’è alcuna soluzione chimica. Con il biologico non si sceglie la semplicità».
A queste nuove difficoltà si aggiungono tutte le dicerie e le prese in giro da parte dei suoi colleghi, cio' che non lo lascia indifferente. «Sono il primo agricoltore biologico del villaggio e quindi è ovvio che i miei campi sono osservati con grande interesse. Appena ci sono delle graminacee più alte delle altre piovono i commenti di scherno. Qui, la gente ha l’abitudine di vedere delle coltivazioni curate nei minimi dettagli. Devo imparare a non prestarci troppa attenzione…».
Ma nonostante i dubbi che a volte lo assillano, Claude Peguiron non rimpiange la sua scelta. «In Svizzera francese c’è ancora parecchio scetticismo nei confronti della coltivazione biologica, soprattutto nelle aziende agricole di una certa dimensione. Io sono la dimostrazione che è possibile rinunciare completamente ai prodotti chimici, garantendo al contempo una produzione di qualità. E inoltre si ha l’impressione di fare qualcosa di positivo per il pianeta e le generazioni future. E' valorizzante».
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Cucciolata di lupi sul Calanda
Si tratta della quinta serie di nascite per il branco che abita il monte grigionese. I cuccioli sarebbero almeno 6.
Negli ultimi giorni, gli organi di vigilanza grigionesi sulla caccia hanno rilevato che per la quinta volta consecutiva nel branco di lupi sul Calanda è nata una cucciolata.
Diversi scatti di una trappola fotografica confermano due osservazioni di privati segnalate negli ultimi giorni. Sulla base delle foto a disposizione si deve ritenere che i cuccioli siano almeno sei. Negli ultimi quattro anni è stata osservata e comprovata geneticamente la presenza di 5-7 cuccioli.
Cucciolata di lupi sul Calanda | Giornale del Popolo