Caserta, nel covo immagini sacre dal boss per i riti di affiliazione - Il Mattino
Caserta, nel covo immagini sacre
dal boss per i riti di affiliazione
CASERTA (14 agosto) - «Le immagini sacre hanno una sola funzione: quella di aiutare le persone a pregare. Tutte gli altri usi non sono consentiti». A parlare è don Franco Picone, parroco della chiesa di San Nicola a Casal di Principe, successore di don Peppino Diana, il sacerdote ucciso dai sicari del clan dei Casalesi nel 1994.
Lo dice all’indomani del ritrovamento di un’immagine di Gesù Cristo sul tavolo della villa di Gaetano Cerci e della cattura di nove persone, tra cui il latitante Raffaele Maccariello accusato di duplice omicidio, riunite, probabilmente, per partecipare a un rito di affiliazione che prevedeva la «pungitura» del dito e il bacio sull’immagine del Volto Santo.
«Non sono io a dirlo - spiega don Franco, che specifica di essere rientrato a Casale solo da un giorno - ma è la chiesa. Le immagini aiutano i fedeli nella venerazione».
Il rituale di iniziazione alla carriera camorristica aveva assunto minore importanza nel clan tra il 1990 e il 1995, periodo di maggiore fioritura del gruppo di Francesco Schiavone «Sandokan».
A raccontarlo era stato il collaboratore di giustizia Dario de Simone nel 1996. Tredici anni dopo i santini e le immagini sacre sono riapparse. In un momento di maggiore crisi del clan di Francesco Bidognetti detto «Cicciotto e’ mezzanotte». La ripresa della cerimonia di iniziazione è il colpo di coda di un gruppo ormai morto. Un modo per rilanciare, probabilmente, il senso di appartenenza al cartello criminale. I testimoni erano un latitante, il fratello di un killer reclutato dal capo dell’ala stragista, Giuseppe Setola, e uno storico fiancheggiatore del clan condannato in un processo importante come quello Adelphi.
Tutti erano lì, in via Strauss a Casal di Principe, probabilmente, per assistere al rituale. Poi si sarebbe parlato, forse, anche della distribuzione di zone di influenza tra i vari affiliati, delle estorsioni già compiute e di quelle ancora da compiere e soprattutto di un messaggio del boss dal carcere, un ordine da eseguire, forse un omicidio da commettere. Magari si sarebbe anche fatto uso della cocaina, divisa con il coltello trovato sul vetro di un quadro poggiato sul tavolo. Ma tutto veniva eseguito seguendo una scaletta.
Gli agenti della squadra mobile di Caserta sono arrivati prima, molto prima, e hanno mandato a monte il vertice. Sono finiti in carcere Cerci, Maccariello, Antonio Di Caterino, Pasquale Cirillo, Oreste Capasso, Vincenzo Duccillo, Francesco Caterino, Mario Letizia e Nicola Gagliardi. Per oggi è attesa la convalida degli arresti da parte del gip di turno del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Scenario della cattura: una casa simile a tante altre, un’emulazione della villa Scarface di Walter Schiavone. Mura verdi e divani a mo’ di gorgo, a metà tra lo stile kitch e ultramoderno. Cerci non viveva in quella casa dal giorno della separazione dalla moglie, ma potrebbe averla utilizzata, per gli inquirenti, per ospitare latitanti eccellenti e riprendere così il controllo del territorio per conto dello zio acquisito detenuto dal lontano 1993.
A Francesco Bidognetti, pur sottoposto al 41 bis, la procura di Napoli ha di recente contestato in una ordinanza cautelare, la permanenza del ruolo di capo della organizzazione casalese. Il nipote, Cerci, era stato condannato nel processo Adelphi per associazione per delinquere di stampo camorristico. Ma era libero. È finito di nuovo in carcere per favoreggiamento aggravato. Maccariello era invece, ricercato dal 21 febbraio scorso. Gli investigatori lo davano in Toscana fino a poco tempo fa ma in realtà sarebbe rientrato a Casal di Principe per partecipare al summit. Per fuggire alle manette aveva cercato di scavalcare un muretto attraversando tutte le stanze della villa, in ognuna della quali c’era un’immagine di Padre Pio e rosari mariani.
Marilù Musto