I motivi per cui si poteva essere inviati al confino erano pressoché illimitati. Bastava essere sorpresi a fischiettare “bandiera rossa”, oppure possedere una foto di Giacomo Matteotti od avanzare critiche al regime anche in maniera indiretta; si poteva anche incappare in zelanti delatori pronti a denunciare frasi irriguardose o da loro ritenute tali oppure, infine, semplicemente abbandonarsi a un bonario motto di spirito. Nel suo libro “La catena”, Emilio Lussu ricorda il caso di un venditore ambulante denunciato al Tribunale speciale perché il suo tentativo di vendere al ribasso la mussolina, una tela sottile di cotone, fu giudicato come un gesto di sfida all’omonimo capo del Governo e un appello alla rivoluzione.
La seguente battuta “il Duca d’Aosta è sepolto a Redipuglia, Vittorio Emanuele a Redipaglia e il duce a Redipiglia”, fu pagata dal cinquantaduenne Guglielmo Carmignani con due anni di confino, scontati tra Ventotene e San Mauro Forte. Domenico Polimeri, classe 1898 e cieco, a Roma lavorava vendendo giornali. Nel 1935 fu denunciato da un cittadino perché, mentre strillava i vari titoli dei quotidiani, fu udito pronunciare frasi ironiche sulla battaglia del grano. Prontamente arrestato, nell’interrogatorio ammise di aver ironicamente affermato che, nonostante Mussolini avesse vinto la battaglia del grano, il prezzo del pane continuava ad aumentare. Sebbene il rapporto della prefettura escludesse una sua appartenenza a qualche partito sovversivo e malgrado le sue difficili condizioni di salute, il capo del Governo lo condannò al confino scontato a Ferrandina e nelle colonie di Ustica, di Ponza e alle isole Tremiti.
Quando nel marzo di due anni dopo, per il suo stato di salute fu amnistiato, il Polimeri rispose al ministro dell’Interno con una lettera ironica nella quale si ringraziava per la magnanimità della riduzione della pena, ma anche per “l’inaudita malvagità” con cui era stato trattato. Il suo gesto fu prontamente ripagato con un nuovo arrestato e un nuovo invio al confino scontato questa volta fino al 1940. Il regime si spinse fino ad attribuire un significato politico alla partecipazione ai riti funebri: due donne, assieme ad altri diciotto concittadini di Monterotondo, furono inviate a Lipari semplicemente per aver preso parte ad un funerale di un operaio socialista.