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"La terra del rimorso": le ragioni di una ricercaUna mattina di giugno del 1959, una équipeguidata dall'etnografo Ernesto De Martino parte da Roma in direzione di Galatina, in Salento, per studiare un fenomeno che, nel passato, aveva interessato molti medici e studiosi, ma che non era mai stata considerata a sufficienza dal punto di vista psichiatrico: il fenomeno degli attarantati. L'obiettivo è infatti quello di analizzare la presunta componente patologica (latrodectismo) dei casi di tarantismo per comprendere se essi non possano essere spiegati attraverso una osservazione psicanalitica. Ad accompagnare De Martino "uno storico delle religioni [...] e un gruppo di quattro giovani collaboratori rispettivamente addestrati in pichiatria, psicologia, etnomusicologia e antropologia culturale". I risultati della ricerca verranno successivamente condensati nel libro "La terra del rimorso - contributo a una storia religiosa del sud" (Il Saggiatore, Milano 21961)I criteri della ricerca. "Convenimmo di considerare attarantati - scrive'etnografo - tutti coloro i quali, nell'estate del '59, erano coinvolti in una vicenda che li caratterizzava come 'tarantati' presso la gente del luogo e partecipavano alla ideologia della cura del morso della taranta mediante la musica, la danza, i colori". L'équipe, presente nella cappella di Galatina nei giorni della festa di San Paolo (28-29 giugno), osservò i casi di 37 tarantolati di cui 32 erano di sesso femminile.
Un caso esemplare: Maria di Nardò.Tra i casi analizzati dall'équipe, il caso di Maria di Nardò (nella foto) appare particolarmente esemplificativo dell'origine del fenomeno del tarantolismo. Maria, spiega De Martino, era una raccogltrice di tabacco e spigolatrice. Rimasta orfana di padre all'età di 9 anni, trascorse un'infanzia piuttosto infelice e in angustie. A 18 anni si era innamorata di un giovane ma per ragioni economiche la famiglia di lui si era opposta al matrimonio e il giovane l'aveva lasciata. Ecco, allora, che "una domenica a mezzogiorno fu morsa dalla tarantola mentre era alla finestra e fu costretta aballare". Frattanto una donna aveva ritenuto che Maria potesse essere la sposa ideale per suo figlio e cominciò ad avanzare profferte la cui risposta veniva puntualmente differita dalla giovane. Un giorno ebbe una visione: San Paolo che le comandava di non sposrasi. Ma la donna non demordeva e un giorno fece condurre Maria fino a una masseria dove, per affrettare il matrimonio, le propose di scappare col figlio e convivere more uxorio per qualche tempo. Maria accettò, anche se di mala voglia. Un giorno, dopo una lite col marito, incontrò per strada i Santi Pietro e Paolo che le ingiunsero di seguirla. Era passato un anno esatto dal primo incontro con San Paolo, stesso luogo e stessa ora. Dopo aver pagato per tre giorni per i campi, Maria tornò infine dal marito e San Paolo, per punirla di aver contravvenuto ai suoi ordini, la fece mordere una seconda volta dalla tarantola, costringendola a ballare per nove giorni. Intanto tutti vennero a sapere della convivenza e per riparare si resero necessarie le nozze. Ed ecco come conclude il racconto De Martino: "Maria consentì alle noze col marito [...] ma al tempo stesso mantenne il suo rapporto stagionale con la taranta e col Santo, rinnovando crisi e balloo ogni anno, con spiccata elettività per i mesi caldi, per il periodo catameniale e per l'approssimarsi della festa di Galatina"La spiegazione. Legando le coincidenze tra il manifestarsi della "malattia" e i momenti di massima crisi nella vita personale di Maria, De Martino tira alcune interessanti conclusioni. "Nell'orizzonte mitico rituale del tarantismo - scrive l'etnologo - Maria faceva periodicamente defluire le sue cariche conflittuali e realizzava in simbolo le sue frustrazioni, alleggerendo i periodi intercerimoniali, cioè la vita quotidiana, di un carico di sollecitazioni dell'inconscio che sarebbe stato estremamente pericoloso se non avesse trovato nel tarantismo un progetto socializzato e tradizionalizzato di trattamento calendariale e festivo". Attraverso l'ordine mitico della 'taranta', del 'veleno' e di San Paolo, Maria dava configurazione a contenuti psichici conflittuali e frustranei, e mediante l'ordine rituale della musica, della danza e dei colori raggiungeva quei contenuti secondo una posologia 'pro anno', che li evocava a tempo e luogo e li faceva comunicare col piano delle realizzazioni simboliche proposte dal mito". In breve: il rito della taranta opera come sublimazione delle frustrazioni di Maria di Nardò.Conclusione. Anche gli altri casi analizzati diedero adito a conclusioni simili a quelle tirate per il caso di Maria. De Martino arriva quindi a concludere che il tarantismo era "un dispositivo simbolico mediante il quale un contenuto psichico conflittuale che non aveva trovato soluzione sul piano della cosicenza, e che operava nell'oscurità dell'inconscio rischiando di farsi valere come simbolo nevrotico, veniva evocato e configurato sul piano mitico-rituale, e su tale piano fatto defluire e e realizzato periodicamente, alleggerendo del peso delle sue sollecitazioni i periodi intercerimoniali e facilitando per qui periodi un relativo equilibrio psichico."
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cara,
so che molti dopo avere fatto un torto provassero rimorso.
Infatti mi ero illuso che avrei letto di una zona merdosa del sud pentita e che provava rimorso per aver sfruttato il nord, magari invocando su di se un terrometo giustiziero e riparatore.
Invece sono solo le cazzate folkloristiche di un posto di merda