di V. Macioce

Questa è la fotografia della scuola, di una professione, di due poli, due terre, che non si riconoscono più.
Su, al Nord, un tempo arrivavano gli operai, trascinati dal boom economico, dal posto fisso, dal miraggio di una vita senza latifondi, fuga dal lavoro dei campi, dai paesini di montagna, dal sale di certi mari senza speranza. Era l’altro secolo.
Ora a migrare sono le fabbriche, lì dove il lavoro costa di meno.
E a Nord invece salgono presidi e professori.
Solo che molti di loro non restano.
È gente con la valigia leggera. Quando arriva l’estate sono già tornati a casa. Sono i corsari dell’istruzione, prendono la cattedra e poi scappano, lontano dai cieli grigi di Pioltello, Busto, Rivolta d’Adda.
Arrivano con il biglietto di ritorno già nel portafoglio.
Ogni anno, dice uno studio della Fondazione Agnelli, 90mila insegnanti vincono il trasferimento al Sud. Casa.

Alcuni di loro non hanno mai preso il treno.
A scuola sono arrivati solo i certificati medici: malattie e punti in cattedra.
Il Nord osserva questo via vai e non gradisce.
Quando la Lega sacramenta contro il Sud e gli statali gioca su questo malumore.
Quelli ci sfruttano, quelli fanno i furbi, quelli fanno terra bruciata delle nostre scuole.
Il Nord, da una vita, ha il terrore di morire meridionale e ormai considera la scuola una sorta di cavallo di Troia sudista.
Il professore come nemico.
Il guaio è che tutto questo non è un’invenzione di Bossi.
Il fenomeno esiste.

Capitano cose come questa.
Un anno fa 80 presidi vengono nominati di ruolo in scuole di Milano e lombarde.
Il calendario fa un giro e cinquanta di loro, più del 60 per cento, sono tornati a casa. Tutti al Sud.
A settembre? Arriveranno altri 103 nuovi presidi, tutti da Campania, Calabria, Puglia e Sicilia.
Si scommette su chi resiste.

Il Sud è una fabbrica di insegnanti.
Le ragioni sono tante.
I concorsi, dice la voce di popolo, sono meno rigidi.
Quelli del Nord sbraitano: giù regalano le idoneità e chi ci dice che i nostri bocciati siano peggiori dei loro promossi?
Altro mal di pancia.
Ma le ragioni sono anche economiche.
La cattedra al Sud resta un buon posto, al Nord è un lavoro misero.
Ci sono stipendi migliori.
L’insegnamento, a Settentrione, è una professione che non attrae.
Gli stessi presidi e professori fuggiaschi sanno benissimo che a casa con quei soldi ci vivono, a Milano sopravvivono a fatica.

È qui, nella scuola, che le gabbie salariali hanno davvero senso.

Cosa accade se i professori al Nord vengono pagati di più? Quelli del Sud non scappano, quelli del Nord non snobbano una professione sottopagata.
L’unico problema è che i soldi per la scuola non ci sono.
Il 90 per cento del budget per l’istruzione viene già speso per gli stipendi. La formula meno professori, ma più pagati non piace al sindacato.
E quindi niente, resta il via vai.

Chi ci rimette è la scuola e ciò che resta degli studenti, sempre più naufraghi in questo mondo senza baricentro.
In ogni scuola, segnalano le statistiche, a settembre cambia il 30 per cento del corpo docente. I maestri della pedagogia poi fanno lunghi sermoni sulla continuità didattica.
Chiacchiere, appunto.

Il Sud vive di statalismo, le stesse abitudini di sempre.
Lo esporta e poi lo riporta a casa.
Il Nord non capisce. Non capisce certi privilegi di casta e di Stato.
Sono tanti quelli che lasciano la propria terra in cerca di una professione o di un lavoro.
Vanno e non sanno se tornano.
Anche a loro, magari, il cielo di Segrate fa paura.
Ma tornare non è facile. Questo vale per le aziende private.
Gli statali no, a loro basta una domanda di trasferimento e sono di nuovo giù.
Poi uno si chiede dove vanno.

I cinquanta presidi di Milano dove sono finiti? Da dove sono spuntati, all’improvviso, quei 50 posti al Sud?
Un neodocente su quattro chiede subito nuove destinazioni.
È il mordi e fuggi dell’istruzione.
Non va. Non fa bene al Sud ed esaspera il Nord.
La Lega sogna concorsi territoriali: insegni solo nelle regioni dove hai vinto la cattedra. Magari questa non è la soluzione. Ma il prossimo preside che arriva a Milano stia fermo almeno tre anni.
E senza passare dal via.

dal www.ilgiornale del 18 08 09

saluti