Con la caduta del faraone islamista Muahmmad Mursi, il ciclo della cosiddetta ‘Primavera araba’, attentamente pianificata fin dal 2009, e avviata nell’estate 2010, si chiude, con un bilancio catastrofico: un Paese, la Libia Jamahiriyana, la socialmente più evoluta dell’Africa, devastata e ridotta a colonia dei fantocci islamisti dell’imperialismo. Tunisia, Egitto e Yemen sull’orlo della guerra civile, Bahrain e Gaza ridotti a lager dell’islamo-atlantismo. Inoltre, le forze culturalmente retrograde e socialmente reazionarie, incarnate dalle proiezioni regionali di Arabia Saudita e del Qatar, rispettivamente il salafismo armato (taqfirismo) e il partito-loggia dei Fratelli mussulmani, sono state politicamente e militarmente sconfitte in Siria, Libano e Egitto. Non gli resta che il terrorismo indiscriminato per giocare un qualsiasi ruolo nella politica mediorientale.
Davanti a tale quadro, le varie fazioni filo-islamiste e filo-alqaida presenti in Italia, si scatenano in ipocriti e farisaici piagnistei sulla ‘democrazia violata’ e la repressione dei ‘diritti umani’. In Egitto, i soliti professoroni a caccia di assegni qatarioti da 10mila dollari e odalische ‘rivoluzionarie’ in affitto, accusano l’esercito egiziano di golpismo antidemocratico. Dimentichi che milioni di egiziani sono scesi nelle piazze a manifestare contro l’islamizzazione forzata della loro società da sempre religiosamente moderata. Questi nostrani neogiannizzeri del sultano, che due anni fa hanno esaltato le masse egiziane in rivolta contro Mubaraq quale ‘rivoluzione’ in cammino nel Medioriente da ripulire, oggi le biasimano accusandole di essere ottusi greggi reazionari. Ennesima dimostrazione dell’opportunismo accademico o di micro-setta politicamente fringe. Dietro forbiti discorsi scientifici e fraseologie pseudo-marxiste, si nasconde una chiara e netta visione politica, di indeffettibile e ben retribuito sostegno agli integralisti oscurantisi, anti-nazionali e filo-imperialisti, contro l’eredità del panarabismo in Medio oriente.
Chiaramente una visione politica supportata da ben concreti e ben pagati servizi agli interessi di Doha e di Riyadh. Altrimenti non si spigherebbe l’entusiasmo, tuttora manifestato dalle odalische di immaginari petro-califfati alqaidisti, riguardo appunto la distruzione della Libia popolare, l’omicidio del suo Leader Muammar Gheddafi, tuttora sbeffeggiato e svillaneggiato da nani morali che strimpellano le corde dell’integralismo cieco. Gli stessi che dopo aver applaudito il massacro di centinaia di poliziotti e di cittadini siriani, e dopo aver tifato selvaggiamente per la distruzione della Siria baathista, anche proclamando sia la necessità di eliminare, fisicamente, le minoranze religiose in Libano e in Siria (alawiti, cristiani, sciiti con le relative espressioni politiche), sia l’ineluttabilità dell’avvento del Califfato islamista in Medio Oriente, con tanto di gnomi del sottobosco accademico nostrano che sprizzavano in pieno orgasmo, ammirazione uterine per le spietate falangi di Jabat al-Nusra (ovvero al-Qaida in Siria) oggi, alla luce dei progressi delle forze armate e di sicurezza siriane, avanzano piagnucolando proposte di processi di pace e tregue, ma consapevolmente con il solo e unico scopo di far concedere del tempo al terrorismo islamista per riorganizzarsi e riprendere l’aggressione alla Siria.
Il golpe restaurativo in Egitto, assieme alla fine politica dell’islamismo e dei suoi sponsor qatariori, suggella la conclusione di due anni da incubo in cui ha vissuto il Medioriente e il bacino del Mediterraneo, lasciando però l’incognita dell’evoluzione della situazione in Egitto. Infatti, il ‘democratico’ Mursi, assieme ai turchi Erdogan, Davutoglu e Gulen, avevano proclamato la guerra santa contro la Siria e lo sciismo (Hezbollah, Iraq e Iran), per spianare la scena geopolitica alla famgilia-Stato degli al-Thani, emanazione locale del Pentagono. Un passo che avrebbe trascinato l’intera regione del Medioriente nel baratro di una grande guerra civile regionale. Elemento opportunamente ignorato dai nostrani tifosi della fratellanza mussulmana, che siano dotti accademici oramai in disarmo o rivoluzionari in affitto presto disoccupati, perché ciò avrebbe ricordato i veri attori e i veri obiettivi della tanto decantata ‘primavera araba’: provocare un mostruoso caos sanguinario con cui cercare di far recuperare all’impero atlantista, quel ruolo di unico polo del potere mondiale che, in realtà, sta irreversibilmente perdendo.
In sintesi, supportare la fratellanza mussulmana, in Siria come in Egitto, significa soltanto soccorrere l’asse atlantista-sionista, oramai sconfitto nell’area cruciale Nord Africa – Medio Oriente. Alessandro Lattanzio
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