Un incontro pubblico a Roma con il segretario del Partito comunista siriano, Ammar Bagdash e una intervista collettiva per conoscere le cause, l’andamento, le conseguenze della guerra civile in Siria. O per meglio dire del tentativo di destabilizzare un paese dissonante per il controllo imperialista del Medio Oriente.

Di Sergio Cararo, Marinella Correggia, Maurizio Musolino

La prima domanda era implicita nella stessa presentazione con cui Bagdash ha affrontato una intervista a più voci. Perché l’attacco alla Siria? “La Siria costituisce una diga contro l’espansionismo statunitense in Medio oriente, soprattutto dopo l’occupazione dell’Iraq. Ma il vero protagonista di questo progetto è in realtà il presidente israeliano Peres, che persegue questo obiettivo sin dagli anni ’80 – spiega Bagdash – Come comunisti siriani abbiamo dato un nome a questo progetto: ‘la grande Sion’. La Siria ha rifiutato tutti i diktat degli Usa e di Israele sul Medio oriente, ha sostenuto la resistenza irachena, quella libanese e il diritto nazionale del popolo palestinese”.

Ma come è nata la rivolta, la crisi e la guerra civile in Siria? “Nell’analisi dei comunisti siriani le condizioni sono state create anche dalle contraddizioni create dalle misure liberiste in economia adottate dintorno al 2005. Questa politica ha prodotto tre effetti negativi:
un aumento della polarizzazione sociale; la crescita dell’emarginazione sociale nelle periferia di Damasco; il peggioramento delle condizioni di vita della popolazione” – dice Bagdash. “Ciò ha favorito le forze reazionarie, come i Fratelli musulmani, che si sono appoggiati sul sottoproletariato, soprattutto rurale. Quando abbiamo denunciato tutto questo anche in Parlamento, ci hanno accusato di essere ideologici e di avere la testa di legno.”

Le origini e le tre fasi della crisi siriana

“In Siria volevano ripetere quanto era accaduto in Egitto e Tunisia. Ma lì si trattava di due paesi filo-imperialisti. Nel caso della Siria era diverso. Hanno cominciato con manifestazioni popolari di protesta partite dalle regioni rurali di Daraa e Idleb. Ma nelle città ci sono state subito delle grandi manifestazioni popolari a sostegno di Assad. Inoltre all’inizio la polizia non sparava, sono state componenti fra i manifestanti ad aver iniziato le azioni violente. Nei primi sette mesi ci sono stati più morti fra polizia ed esercito che nelle file degli altri. Quando il metodo delle proteste non ha funzionato sono passati al terrorismo con omicidi mirati di persone in vista (dirigenti, alti ufficiali, giornalisti), attentati e sabotaggi di infrastrutture civili. Il governo ha reagito adottando alcune riforme come quella sul pluripartitismo e sulla libertà di stampa, riforme che noi abbiamo sostenuto. Ma le forze reazionarie hanno rifiutato queste riforme. Noi comunisti abbiamo fatto questa equazione: le parole e le azioni vanno misurate con le parole e le azioni. Ma il terrorismo va affrontato con la sovranità della legge, ristabilendo l’ordine.
Poi si è passati alla terza fase. La rivolta armata vera e propria. Attentati e omicidi mirati erano il segnale per iniziare l’attacco contro Damasco. Poi gli attacchi si sono concentrati ad Aleppo, che per la sua posizione geografica rende più facile il traffico e i rifornimenti di armi dall’esterno. Ilgoverno ha appunto risposto imponendo l'egemonia della legge. Va detto che l'intervento dell'esercito e i bombardamenti aerei sono avvenuti zone da cui erano già fuggiti quasi tutti i civili.
Al contrattacco dell’esercito siriano i ‘ribelli’ hanno reagito in modo selvaggio, anche nelle zone dove non c’erano combattimenti. Poi hanno assediato Aleppo.”

Perché la Siria resiste e che cosa significa?

Negli ultimi dieci anni in Medio Oriente, l’Iraq è stato occupato, la Libia ha dovuto capitolare, la Siria invece no. Per la sua maggiore coesione interna, le forze armate più forti, alleanze internazionali più solide o per il fatto che non c’è stato ancora un intervento militare diretto delle potenze imperialiste?

“In Siria, a differenza di Iraq e Libia, c’è sempre stata una forte alleanza nazionale. I comunisti collaborano con il governo dal 1966, ininterrottamente. La Siria non avrebbe potuto resistere contando solo sull’esercito. Ha retto perché ha potuto contare su una base popolare. Inoltre può contare sull’alleanza con l’Iran, la Cina, La Russia. E se la Siria rimane in piedi, tanti troni cadranno perché risulterà chiaro che ci sono altre vie. La nostra è una lotta internazionalista. Un esperto russo mi ha detto: ‘Il ruolo della Siria adesso assomiglia a quello della Spagna contro il fascismo’.

L’Egitto, la Siria e l’Islam politico

Quali effetti possono avere gli avvenimenti in Egitto sulla situazione di oggi in Siria?

“C’è un rapporto dialettico tra quanto avvenuto in Egitto e quanto avviene in Siria. La base comune è il malcontento popolare, ma la resistenza siriana ha accelerato la caduta del regime dei Fratelli musulmani in Egitto e ciò aiuterà molto la Siria perché dimostra che i Fratelli Musulmani sono stati ripudiati dal popolo.”

Il presidente siriano Assad in una recente intervista ha affermato: “In Siria abbiamo fermato l’offensiva dell’islamismo politico”. Cosa ne pensa?

“Noi comunisti siriani non usiamo la categoria di Islam politico. L’Islam è una forma di espressione che vede all’interno cose molto differenti. Ci sono reazionari pro-imperialisti come i Fratelli musulmani e progressisti come Hezbollah o lo stesso Iran. Non sono un amante del modello iraniano ma sono nostri alleati nella lotta contro l’imperialismo. Dal nostro V° Congresso abbiamo valutato l’Iran sulla base di come si rapporta all’imperialismo. La nostra parola d’ordine è per un Fronte Internazionale contro l’imperialismo.”

I “ribelli”: rivoluzionari o reazionari?

In Italia ampia parte della “sinistra” ritiene che i ribelli stiano combattendo un regime fascista, quello di Assad. Cosa può rispondere a questa posizione?

“Se partiamo dalla definizione del fascismo – un movimento reazionario che usa mezzi violenti per attuare gli interessi del capitalismo monopolista – in Siria non al comando non c’è un capitalismo monopolista. Piuttosto sono i ‘ribelli’ a rappresentare gli interessi del grande capitale. Le rivolte, come dimostra la storia, non sono sempre delle rivoluzioni. Pensiamo alla contra in Nicaragua, ai franchisti in Spagna e via dicendo.”

Ma l’opposizione ad Assad è tutta reazionaria? Oppure, come dimostrano i crescenti contrasti interni sfociati in scontri tra Esercito Libero Siriano e miliziani jihadisti o gli scontri di questi giorni tra curdi e jihadisti, ci sono anche componenti progressiste con cui poter aprire una interlocuzione?

“Tra gli oppositori ce ne sono alcuni che hanno trascorso molti anni nelle carceri siriane e di cui abbiamo chiesto e ci siamo battuti per la loro liberazione. Questi oppositori ad Assad sono però contrari ad ogni ingerenza o intervento esterno. Alcuni vivono a Damasco e lavoriamo insieme per il dialogo nazionale. Anche Haytham Menaa del Coordinamento democratico condanna l’uso della violenza da parte dell’opposizione armata e le ingerenze esterne. Altri come Michel Kilo hanno una storia di sinistra ma l’hanno rinnegata e comunque non possono modificare la sostanza reazionaria della ribellione.”

Come spiega l’aumento delle divergenze tra Arabia Saudita e Qatar che si ripercuotono anche nelle divisioni delle milizie ribelli?

“E’ vero, sta diminuendo il ruolo e l’influenza del Qatar e sta aumentando quello dell’Arabia saudita. Diversa è la vicenda degli scontri con i curdi. Gli scontri ci sono stati tra i curdi dell’Unione democratica curda e i miliziani jihadisti di Al Nusra, ma c’erano stati anche scontri tra i vari gruppi curdi.”

La causa palestinese e i palestinesi in Siria

Cosa sta succedendo ai palestinesi che vivono nei campi profughi in Siria?

“Ho incontrato recentemente il responsabile dell’Olp e mi ha detto “Se cade la Siria addio Palestina”. Hamas ha compiuto passi molto affrettati, ha fatto molti errori e ha provocato problemi. Possiamo dire che l’organizzazione, che appartiene al mondo del Fratelli musulmani, è tornata alle origini e adesso è sotto l’ala del Qatar. Ma è pericoloso anche per loro. Adesso, dopo quanto accaduto in Egitto cosa accadrà a Gaza? La maggioranza dei miliziani penetrati nei campi profughi palestinesi in Siria non erano palestinesi. La maggioranza dei palestinesi è fortemente contraria ad ogni interferenza negli affari siriani.”

“A Yarmouk il 70% degli abitanti sono siriani perché i campi profughi in Siria non sono dei ghetti come in altri paesi. Ci sono ancora combattimenti a Yarmouk ma la popolazione civile è fuggita. Il Comitato Esecutivo dell’Olp è stato due volte in Siria per porre il problema della protezione dei campi profughi. Yarmuk è stata assediata da Al Nusra con l’aiuto di Hamas che ha cercato di provocare l’esercito, il quale a lungo ha avuto l’ordine di non reagire.”

Se ne parla molto poco, ma che ruolo ha la Giordania nella crisi e nella guerra civile in Siria?

“La monarchia giordana ha sempre collaborato con l’imperialismo e c’è una intensa attività dei Fratelli musulmani. La Giordania ha accettato la presenza di militari statunitensi sul proprio territorio e il quarto attacco a Damasco è partito proprio dal territorio della Giordania.”

E Israele che partita sta giocando in Siria?

“Israele appoggia i ribelli armati, ma quando non riescono a colpire gli obiettivi arrivano gli aerei da guerra israeliani, E’ avvenuto a Damasco e qualche giorno fa anche a Latakia.”

Quale soluzione alla crisi?

Quale i passi e le tappe per uscire dalla tragedia?

“Non si può realizzare alcun progresso sociale, o la democrazia, se si è subalterni a forze esterne. La parola d’ordine è difendere la sovranità nazionale, e difendere le condizioni di vita. Come ho dichiarato all’Ansa, la via maestra per uscire dal massacro siriano passa in primo luogo per uno stop agli aiuti all'opposizione armata da parte di paesi reazionari e imperialisti. Una volta che gli aiuti esterni saranno fermati, si potranno fermare tutte le operazioni militari anche da parte del governo siriano. E far ripartire un processo democratico con elezioni parlamentari e riforme politiche, che certo in questa fase di lotta armata non si possono fare. Il futuro politico della Siria si deciderà nelle elezioni, fra le quali quelle presidenziali del 2014.”
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