SOLUZIONE DELLA CRISI

5 agosto 2013 | Autore Andrea Cavalleri | Stampa articolo


di Andrea Cavalleri


Prendendo spunto dal recente libro di Paul Krugman e successivi commenti, vorrei sottolineare alcuni aspetti di quella che fu la più memorabile soluzione a una terribile crisi economica negli ultimi secoli.
Si tratta della Germania degli anni 30, oppressa da un immane debito di guerra, flagellata prima dalla fin troppo famosa inflazione e poi dalla troppo facilmente dimenticata deflazione sotto il cancellierato di Bruning, circondata dalla tempesta della Grande Depressione che scuoteva tutto il mondo economicamente avanzato. La situazione era quella di uno Stato in condizione di bancarotta mal camuffata, in cui la miseria si espandeva e in cui, su 25 milioni di potenziali lavoratori, 6 milioni erano privi di qualunque impiego: praticamente un uomo su quattro era disoccupato.
Quando Hitler andò al potere nel gennaio del 1933, chiese al Governatore della Reichsbank quanti fondi erano disponibili per creare occupazione, in ottemperanza ai programmi del partito e alle promesse elettorali. Hans Luther (così si chiamava il dirigente dell’epoca), a fronte dei miliardi che il Governo tedesco spendeva in sussidi per tamponare una catastrofe umanitaria che avrebbe visto morire di fame milioni di persone, rispose che poteva offrire 150 milioni di marchi.
Hitler lo licenziò e mise al suo posto Hjalmar Schacht (ebreo, successivamente insignito del titolo di “ariano ad honorem”).
Schacht, per finanziare la ripresa, cominciò a pagare i lavori pubblici con dei bond garantiti dallo Stato (i certificati Mefo, analoghi ai Bot italiani), che quindi si impegnava a creare moneta a seguito di lavori compiuti, secondo lo schema sotto riportato (tratto dal saggio di Guido Giacomo Preparata: “Hitler’s Money”).






Lo schema era abbastanza semplice e otteneva l’effetto di emettere moneta, non per consumi tout-court o per comprare case a debito, ma per nuove realizzazioni. Quindi questo sistema selezionava la finalità dell’emissione, quella produttiva, escludendo quelle consumistiche o speculative.



Qualcuno trovò il programma molto keynesiano e quel qualcuno fu John Mainard Keynes,che scrisse nella prefazione all’edizione tedesca della sua “Teoria Generale”, che la Germania era il Paese che la applicava meglio. La cosa funzionò talmente bene, che la disoccupazione si dimezzò nel giro di un anno (tre milioni di posti di lavoro!) e scomparve nel giro di quattro, mentre il potere d’acquisto dei salari fu in costante aumento. Questo quando negli Stati Uniti la depressione durò fino al 1940. Nella seconda metà degli anni trenta la Germania conobbe un autentico boom, mentre gli altri Stati arrancavano nelle secche della crisi.

Nonostante la damnatio memoriae a cui sono stati sottoposti Hitler e il nazismo, è stato impossibile ignorare i loro risultati da parte degli economisti moderni (ad esempio Stephen Zarlenga in “The lost Science of Money”, citato con encomio nei paper del FMI). Tuttavia, come per un riflesso condizionato, frutto della loro formazione intrisa di liberismo monetarista, gli economisti del giorno d’oggi chiamano il piano-Schacht un sistema di “monetizzazione del debito”. Questo termine è assolutamente improprio, infatti ciò che avvenne in Germania fu un’altra cosa, ovvero una monetizzazione dell’investimento. Infatti un conto è se lo Stato si indebita per ottenere una liquidità che si disperde in mille rivoli di spesa, altra cosa è se si indebita per eseguire dei lavori, che creano occupazione, che sostiene i consumi, che creano nuova occupazione e così via, in un circolo virtuoso che sortisce anche il piacevole (per lo Stato) effetto collaterale di aumentare gli introiti fiscali.

Apro una parentesi su questo concetto, di monetizzazione dell’investimento, che è ciò che, faticosamente, con ampi giri di parole, solenne prosopopea e inutili formule matematiche, vorrebbe propugnare la MMT. Tuttavia, confrontando l’esempio passato con la teoria recente, risulta, da vari dettagli che vedremo, che il piano-Schacht fosse superiore per ingegno e per effetti alla moderna teoria.

Un elemento importante del metodo di finanziamento nazista fu quello che gli imprenditori monetizzavano (scontando presso le banche) solo la quota spese dei certificati, mentre conservavano la quota utili direttamente in forma di bond. Questo accorciava la filiera del debito (al contrario di oggi, allorquando lo Stato sconta tutti i bond presso le Banche, che poi li rivendono ai risparmiatori) e tendeva a separare il mezzo di scambio dal mezzo di risparmio, in quanto i certificati Mefo tesaurizzati non erano ancora stati usati come collaterale per produrre moneta, inibendo così le possibili spinte inflazionistiche.

Ma c’è di più: tra imprenditori divenne usanza corrente effettuare pagamenti direttamente in certificati Mefo che presero a circolare liberamente, costituendo di fatto una forma di moneta complementare (forse la prima della storia). A conferma, in un suo testo del 1941, Keynes scrisse: “Il dottor Schacht è inciampato per disperazione in qualcosa di nuovo che aveva in sé i germi di un buon accorgimento tecnico. Laccorgimento consisteva nel risolvere il problema eliminando luso di una moneta con valore internazionale e sostituendola con qualcosa che risultava un baratto, non però fra individui, bensì fra diverse unità economiche. In tal modo riuscì a tornare al carattere essenziale e allo scopo originario del commercio, sopprimendo lapparato che avrebbe dovuto facilitarlo, ma che di fatto lo stava strangolando”.

E “l’apparato strangolatore” fu effettivamente represso, tant’è che la riserva frazionaria delle banche fu portata al 20%, le operazioni rischiose vietate. La speculazione sui cambi fu stroncata grazie al baratto internazionale (importazione di materie prime pagate in prodotti finiti).

La dirigenza tedesca era conscia di ciò che stava facendo? Leggendo le seguenti frasi di Hitler sembra proprio di sì: “La forza del lavoro germanico è il nostro oro. Solo il lavoro crea nuovo lavoro. Non è assolutamente il denaro che lo crea”. E poi: “non eravamo così stupidi da cercare di usare una moneta basata sull’oro, di cui non ne avevamo, invece per ogni marco che emettevamo richiedevamo l’equivalente di un marco di lavoro o di beni prodotti…e ridevamo dei finanzieri che sostengono che il valore di una moneta dipende dal suo contenuto d’oro e da riserve di valuta che risiedono nelle casseforti di una banca centrale…”

Il piano-Schacht terminò nel 1937, quando Hitler decise di eliminare totalmente il debito nazionalizzando la Reichsbank (Banca Centrale), continuando però ad attenersi ai suoi precedenti propositi di buon governo economico. Probabilmente questo atto fu la causa occulta (e mai ammessa) della guerra.

Ci si potrebbe chiedere come mai le potenze democratiche capitalistiche poterono allearsi al comunismo russo, che ufficialmente propugnava l’abolizione della proprietà privata, per stroncare la pericolosa “infezione” di denaro libero da debito, che sosteneva un popolo padrone del proprio destino, quale si stava delineando in Germania. La risposta la si trova in quello stesso 1937, anno in cui la Banca centrale sovietica venne privatizzata e divenne proprietà della solita cricca di miliardari ebreo-americani di Wall street. Ma qui si va oltre il campo di indagine dell’economia per entrare in quelli della storia e della politica.

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