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  1. #21
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    Predefinito re: 31 agosto 2013: San Raimondo Nonnato, confessore

    Ippolito, santo, martire di Roma, è indicato da una lapide dell’undicesimo secolo come sepolto nella basilica di S. Lorenzo f.l.m. Il Posterla e il Contini indicano la testa di questo martire custodita, in un reliquiario d’argento, nella sagrestia. Martirizzato nel 258 ebbe un grande culto da parte dei primi cristiani che già nel IV secolo accorrevano numerosi, da varie parti d’Italia, al suo sepolcro. Adiacente alle catacombe di Ciriaca, nel 1883, fu scoperta la piccola basilica sotterranea in onore di S. Ippolito. Devastata nel VI secolo dai Goti fu restaurata al tempo di papa Vigilio da Andrea prete. La reliquia di un suo braccio è, secondo la lapide di consacrazione del 1123, a S. Maria in Cosmedin. Il 10 agosto del 1740 parte del suo cranio e reliquie di S. Lorenzo e di S. Gallicano vennero adoperate da monsignore Crispi per la consacrazione dell’altare dell’Oratorio del SS.mo Crocifisso a S. Marcello. Il Caselli, invece, vuole il suo corpo traslato nel monastero di S. Salvatore sul Monte Letenano presso Rieti.
    M.R.: 13 agosto - A Roma il beato Ippolito Martire, il quale per la gloria della confessione, sotto l'Imperatore Valeriano, dopo altri tormenti, legato per i piedi al collo di indomiti cavalli, fu crudelmente trascinato per luoghi aspri e spinosi, e con il corpo tutto lacerato rese lo spirito. Patirono ancora nello stesso giorno la beata Concordia sua nutrice, la quale tormentata in sua presenza con flagelli piombati, passò al Signore; ed altri diciannove della sua famiglia, i quali fuori della porta Tiburtina furono decapitati, e, insieme con lui, sepolti al campo Verano.


    [ Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ]

  2. #22
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    Predefinito re: 31 agosto 2013: San Raimondo Nonnato, confessore

    14 agosto 2013

    Eusebio
    di Roma, santo, sue reliquie sono visibili, unitamente a quelle dei martiri Orosio e Paolino preti e Vincenzo, nell’altare maggiore della chiesa di S. Eusebio all’Esquilino. La cassa di marmo, posta nel pavimento dietro l’altare maggiore, che un tempo conservava i resti di Eusebio, Orosio e Paolino, andò dispersa a causa delle grandi trasformazioni subite dalla chiesa.
    M.R.: 14 agosto - A Roma il natale del beato Eusebio, Prete e Confessore, il quale dall'Ariano Imperatore Costanzo, per aver difeso la fede cattolica, rinchiuso in una camera della sua casa, ivi, avendo perseverato costantemente sette mesi in orazione, si riposò in pace. Il suo corpo fu raccolto dai Preti Gregorio ed Orosio e fu sepolto nel cimitero di Callisto, sulla via Appia.



    [ Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ]

  3. #23
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    Predefinito re: 31 agosto 2013: San Raimondo Nonnato, confessore

    14 agosto 2013
    VIGILIA DELL'ASSUNZIONE DI MARIA SANTISSIMA
    Il quadro austero e penitenziale degli Uffici, che precedono le grandi solennità, lascia spesso intravvedere la gioia, contenuta ma gustosa, di un'attesa. Letture e canti della vigilia dell'Assunzione portano questa caratteristica, che lascia indovinare il travaglio di una grazia premurosa. Né parole, né riti però provocano per primi questa serenità, ma la gioia zampilla dal profondo del cuore e si gusta in silenzio, nell'intimo dell'anima.
    Il cristiano oggi si prepara alla festa della Madre. Sì, davvero, la Madre, perché Maria è vera Madre per ogni fratello del suo Figlio. Mediatrice e tesoriera della grazia, Maria è lo strumento docile e perfetto, che gli trasmette la vita soprannaturale, con le sue ricchezze incomparabili. Ma Maria è inoltre la Madre per eccellenza, la Madre unica e perfetta, Madre verginale e in senso pieno e, in una parola, che dice tutto, la Madre di Dio. Vedremo domani come la pietà cristiana fu portata a celebrare questo giorno natalizio della Madonna e a ricordare il suo trionfale ingresso, in corpo e anima, nel Regno della gloria celeste. Ora dobbiamo pensare alla Madre, dobbiamo prepararci insieme con i Santi tutti del cielo e della terra e con Dio stesso a onorarla degnamente.
    Una madre di quaggiù si festeggia, onorandola nel giorno dedicato al Santo o alla Santa di cui porta il nome, ma per Maria la cosa è diversa. La sua festa non è festa di un'altra Santa sua Patrona, è festa soltanto sua, e ciò che la Chiesa vuole celebrare è la pienezza della sua santità. Un solo omaggio salirà a Colei, che è insieme la Madre e la Santa.
    La santità personale di Maria sta nell'essere la Madre perfetta, voluta da Dio per il Figlio suo e per noi: è questa la sua vocazione meravigliosa. In Essa, la perfezione della carità, che in ciascuno di noi costituisce la santità, per privilegio mai udito e commovente, diventa perfezione dell'amore materno e amare Dio è amare suo Figlio. Festeggiare in Maria la Madre e la Santa è perciò lodare una identica perfezione, un solo amore: e un unico slancio di lode esprimerà in noi e la pietà religiosa e la pietà filiale.
    L'anima, che vuole onorare Maria, deve, in questa vigilia di festa, porre prima di tutto due condizioni: essere pura e ricca di amore. La grazia dei sacramenti le realizzerà e la Chiesa, immagine visibile e vivente della Regina del cielo, guiderà gli affetti con i pensieri suggeriti dallo Spirito di Dio.
    MESSA
    Fino alla fine del secolo VIII la Vigilia dell'Assunzione non compare nei libri liturgici e, fatta eccezione per l'Oremus, tutte le parti della Messa sono da quel tempo mutate e quelle che leggiamo ancora si trovano in parecchie altre Messe della Madonna e, come gioielli meravigliosi, brillano di uno splendore più puro, nell'aurora trionfale in cui oggi si presentano.
    Da principio si cantava nel giorno stesso dell'Assunzione l'Introito Vultum tuum, modellato sulla Messa delle Vergini, che in seguito, dopo qualche secolo, sostituito dal Gaudeamus, passò alla Messa della Vigilia, la quale cominciava una volta col Salve sancta Parens.
    EPISTOLA (Eccli 34,23-31). - Come vite diedi frutti di soave odore, e i miei fiori dàn frutti di gloria e di ricchezza. Io sono la madre del bell'amore e del timore, della scienza e della santa speranza. In me ogni grazia della vita e della verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, o voi tutti che mi bramate, e saziatevi dei miei frutti; perché il mio spirito è più dolce del miele, e il mio retaggio più del favo di miele. Il ricordo di me durerà nelle generazioni dei secoli. Chi mi mangia avrà ancora fame, e chi mi beve avrà ancora sete. Chi mi ascolta non sarà confuso e chi lavora per me non peccherà; chi mi illustra avrà la vita eterna.
    I versetti, dei quali consta l'Epistola oggi, erano assegnati ad una Messa mariana fin dal secolo VIII, ma non pare che fossero assegnati da principio a questa Vigilia. La diversità estrema dei più antichi documenti conosciuti impedisce di stabilire l'uso primitivo di tali versetti. Dobbiamo però riconoscere che l'Epistola della Messa di oggi si adatta alle circostanze in modo perfetto. La Chiesa ha veduto che, accostandoci a Maria, noi saremmo incapaci di esprimere un complimento degno e perciò Maria parla per prima, prevenendo ogni nostro desiderio.
    Le parole che ci rivolge sono le parole della divina Sapienza della quale essa è la Madre e il Trono. Apriamo interamente lo spirito e il cuore, perché penetrino fino in fondo questi appelli di amore.
    VANGELO (Lc 11,27-28). - In quel tempo: Mentre Gesù parlava alle turbe, una donna, alzando la voce in mezzo alla folla, gli disse: Beato il seno che t'ha portato, e il petto che hai succhiato. Ed egli aggiunse: Beati invece quelli che ascoltano la parola di Dio e la praticano.
    È questo il Vangelo di tutte le Messe della Madonna, ma è stato introdotto nella Messa della Vigilia in modo singolare. Da principio era letto il giorno dell'Assunzione, subito dopo la scena di Marta e Maria, tolta essa pure dalla Messa delle Vergini, e l'aggiunta era delicata e suggestiva applicazione alla Madre di Dio dell'elogio fatto da Cristo alla vita contemplativa. In seguito questa finezza non fu più compresa e, istituita la Vigilia, l'ammirevole accostamento dei due quadri fu tolto, per riservare la pericope mariana alla Messa della Vigilia.
    Tuttavia è evidente che si inquadra bene nella Messa, perché continua e sviluppa il tema fornito dall'Epistola. Qui però è la Sapienza Incarnata, il Figlio di Maria, che, con linguaggio misterioso, esalta le grandezze misteriose della Madre sua. Non è necessario ricordare la scena evangelica ben nota, per coglierne il significato profondo. Il Salvatore ci invita ad ammirare nella Madre perfetta, acclamata da un'umile donna, la disposizione di fede e di fedeltà, che fece di essa il docile strumento dei più alti disegni di Dio. La fede in Essa non ha soltanto trasportato le montagne: ha generato un Dio. Solo l'umile e obbediente ancella del Signore poteva cooperare a questo fatto, che è la meraviglia di tutta la creazione.

    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba,

    Ultima modifica di Luca; 15-08-13 alle 01:35

  4. #24
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    Predefinito re: 31 agosto 2013: San Raimondo Nonnato, confessore

    15 AGOSTO
    ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE IN CIELO
    L'Assunzione della Madonna è una delle solennità liturgiche più ricche di gioia. Gaudent Angeli! Gaudete, quia cum Christo regnat! (Si rallegrano gli Angeli! Rallegratevi anche voi, perché regna con Cristo!).
    La Chiesa del cielo e quella della terra si uniscono alla felicità infinita di Dio, che incorona sua Madre e cantano con amore la gioia verginale di Colei, che si introduce per tutta l'eternità nella gioia del suo Figlio e Angeli e Santi si affrettano ad acclamarla Regina, mentre la terra gioisce, per aver dato al Cielo la sua gemma più bella.
    Glorificazione dell'anima di Maria.
    Questo è il giorno natalizio di Maria, quello in cui si celebrano ad un tempo il trionfo della sua anima e quello del suo corpo. Consideriamo prima la glorificazione dello spirito, meno notata, perché comune a tutti i Santi. Il raggiungimento della visione beatifica da parte dell'anima di Maria è cosa di tanto splendore e di tanta ricchezza che riverbera una luce inimitabile sulle nostre più alte speranze. Non ci è possibile immaginare la bellezza di questa suprema rivelazione in cui lo sguardo già così puro e penetrante, della creatura più perfetta, si aprì repentinamente davanti ad un abisso di infinita Bontà, ma, con l'aiuto della grazia divina, tentiamo di levare i nostri pensieri verso la cima, sulla quale si compie questa meraviglia che i nostri occhi non distinguono ancora.
    Veramente si tratta di una cima: è il punto di arrivo di un'ascensione continua e perseverante, perché, piena di grazia nel momento della Concezione, l'Immacolata continuò quaggiù a crescere davanti a Dio.
    L'Annunciazione, il Natale, il Calvario, la Pentecoste hanno segnato le tappe di questo progresso meraviglioso e ad ogni tappa l'amore verginale e materno si è accresciuto e arricchito, tendendo ad un'altezza che nessuna creatura potrà mai raggiungere. La luce di gloria che investe d'improvviso l'anima di Maria e le rivela le grandezze del Figlio in tutta la loro magnificenza e la sua dignità materna, supera di molto la gloria di tutti gli Angeli e di tutti i Santi, perché, dopo la santa Umanità di Cristo, stabilita alla destra del padre nel santuario della Divinità, nulla possiede il mondo più perfetto di quest'anima materna irradiante purezza, bellezza, tenerezza e gioia: Beata Mater!
    Lascerà ancora questo raggiungimento trionfale della felicità suprema qualche possibilità di sviluppo all'anima di Maria? Per sé no, perché ormai tutto in lei è perfetto e nell'eternità non si cresce nella perfezione. Aperta in modo totale sugli splendori del Verbo, suo Figlio, l'anima di Maria soddisfa ormai perfettamente tutte le esigenze della sua vocazione sublime. È lo stato d'anima di una perfetta Madre di Dio.
    Ma Maria ebbe un figlio solo, Gesù. Madre di Dio Salvatore, è madre altresì di tutti coloro, che attingeranno alla sorgente della Salvezza, e la sua Maternità di grazia si estenderà fino alla fine del mondo. Nella luce beatifica, l'anima di Maria vede tutti i suoi figli e tutti i disegni di Dio su ciascuno di essi e, con un fiat di amore, consente e partecipa all'universale Provvidenza, in cui Dio la chiama ad avere un posto di intercessione, che non conosce limiti. Maria si unisce così al Sacerdote Sommo, che intercede per noi incessantemente la misericordia del Padre e la sua preghiera ottiene per la Chiesa, della quale è il tipo ideale, una Assunzione permanente fino a quando la pienezza del Corpo mistico sarà raggiunta in modo definitivo. L'anima di Maria, nell'attesa di questa apoteosi, meglio di qualsiasi altro santo, "impegna il suo Paradiso a fare del bene sulla terra". Sia allora libero lo slancio della nostra gioia, uniamo alla confidenza la gratitudine, lodiamo degnamente la nostra Avvocata, la Mediatrice, la Madre, che prende il suo posto di Regina, presso il trono dell'Agnello.
    Fede della Chiesa nell'Assunzione di Maria.
    L'origine di questa fede non ha una data precisa, ma da molti secoli la Chiesa afferma che il corpo di Maria è in Cielo unito all'anima sua gloriosa e questo privilegio del corpo di Maria è l'elemento distintivo del mistero dell'Assunzione. Il Sommo Pontefice Pio XII, il primo novembre del 1950, compiendo il voto unanime di vescovi e fedeli, proclamò solennemente come "dogma rivelato che Maria, l'Immacolata Madre di Dio, sempre Vergine, al termine della sua vita terrena, fu elevata, anima e corpo, alla gloria del cielo" (Bolla dogmatica Munificentissimus Deus).
    La definizione non dice se Maria passò, vivente, dalla terra al Cielo, o se, come il Figlio, subì la morte e risuscitò, prima di entrare nella gloria. Il privilegio insigne dell'Immacolato Concepimento, la Verginità e la Santità perfetta potevano certo rendere Maria immortale, ma la Madre del Salvatore, che imitò sempre fedelmente il Figlio, volle senza dubbio seguirlo fino al sepolcro, perché doveva, come lui, e come tutti noi nell'ultimo giorno, trionfare pienamente con una risurrezione gloriosa, sul peccato e sulla morte.
    Leggende.
    Leggende apocrife, diffuse verso la fine del IV secolo, hanno volgarizzato narrazioni spettacolari, meravigliose e spesso incoerenti, sulla morte di Maria e sul trasporto del suo Corpo in Paradiso. Gli Apostoli, riuniti prodigiosamente presso la Madre del Salvatore, avrebbero assistito alla sua morte e ai suoi funerali. San Tommaso, giunto troppo tardi, avrebbe voluto la riapertura della tomba, il che permise di costatare che il Corpo verginale era stato portato in luogo noto a Dio soltanto. La nostra fede e la nostra certezza teologica non devono accettare questi documenti senza valore, nati forse fra comunità eretiche. Predicazione e insegnamento pastorale devono fare a meno di seguire queste maldestre imitazioni del racconto evangelico della Risurrezione del Signore. Queste leggende non hanno dato origine alla fede della Chiesa nella Assunzione, ma hanno anzi ritardata di parecchi secoli la perfetta unanimità di essa. Il pensiero cristiano dovette prima sbarazzarsi della dannosa loro influenza, per poter giungere a discernere bene i motivi veri, che portano a considerare l'Assunzione corporea di Maria una verità di fede.
    La fede unanime.
    Quale motivo permise dunque al Sommo Pontefice di definire dogma di fede l'Assunzione? Lo dichiara la Bolla pontificia con precisione: il consenso unanime dei Vescovi e delle Chiese oggi in comunione con la Sede Apostolica. Questa convinzione universale dei Pastori e dei fedeli non sarebbe mai stata possibile, se l'oggetto di essa non fosse in qualche modo contenuto nella Rivelazione.
    Prove scritturali.
    Dove troviamo la verità dell'Assunzione nella rivelazione cristiana? Nei documenti della Chiesa primitiva non abbiamo traccia di una tradizione orale di origine apostolica. Forse appena vi allude l'Apocalisse indirettamente, quando descrive la Chiesa in questi termini: "Apparve in Cielo un segno grande: una donna vestita di sole, la luna ai suoi piedi e sulla sua testa una corona di dodici stelle" (Ap 12,1). Tipo e modello perfetto della Chiesa è Maria, la Madre di Dio e può essere che qui san Giovanni abbia fatto una indiretta allusione alla presenza di Maria in Cielo.
    È invece certo che i Libri sacri attribuiscono a Maria titoli e funzioni provvidenziali, che nel loro insieme esigono, come normale coronamento, il privilegio dell'Assunzione corporale. Dando un senso mariano al Versetto del Genesi, noto con il nome di Protoevangelo: "Stabilirò inimicizia fra te e la donna, fra la sua generazione e la tua, essa ti schiaccerà il capo", la tradizione cristiana espressa autenticamente nella Bolla dogmatica Ineffabilis, vide in questa sentenza divina l'annuncio di un trionfo perfetto di Cristo e della sua Madre sul peccato e tutte le conseguenze di esso. Pio IX si era appoggiato a questo testo, per definire l'Immacolata Concezione e non è impossibile vedere in questo testo anche una rivelazione implicita di un trionfo perfetto sulla morte.
    Checché si pensi di questo testo misterioso, il Vangelo associa sempre Maria agli atti essenziali della Redenzione e specialmente al sacrificio della Croce e come si potrebbe credere che non sia più corporalmente unita al Figlio nell'esercizio del suo attuale sacerdozio celeste? Il Vangelo dichiara inoltre Maria piena di grazia, benedetta fra tutte le donne e soprattutto Madre del Signore e tanti titoli costituiscono, come vedremo, una rivelazione implicita della glorificazione immediata della sua anima e del suo corpo.
    La mancanza di reliquie.
    Tuttavia riconosciamo che i primi secoli cristiani non conobbero in modo positivo e preciso l'Assunzione di Maria. Dobbiamo tener presente un fatto importante: in nessun luogo fu mai rivendicato il Corpo della Santa Vergine, né mai furono cercati i resti e, in epoca in cui le reliquie dei santi erano molto onorate, ciò diventa un indice importante. Sembrerebbe che fin da quei tempi lontani si pensasse che il Corpo di Maria non poteva essere sulla terra. Sant'Epifanio, morto nel 377, dopo aver vissuto molto tempo in Palestina, confessa la sua ignoranza riguardo alla morte e al sepolcro di Maria, ma neppure una riga del suo scritto insinua che i resti mortali della Vergine sarebbero conservati quaggiù. Egli mette solo in dubbio i racconti fantasiosi che cominciano a diffondersi e si chiede se Maria è morta e se è morta martire e risponde che a queste domande non si può dare una risposta e, senza affermare l'Assunzione, pare tuttavia non ne faccia oggetto delle sue prudenti riserve.
    Il pensiero cristiano, all'inizio del secolo V, l'epoca del concilio di Efeso, particolarmente interessato alla dottrina mariana, affronta il problema della sorte riservata al Corpo di Maria e afferma che i racconti apocrifi interpretano in modo sconveniente e ridicolo una verità, che si impone da sé alle anime illuminate dalla fede: il Corpo di Maria non si è corrotto nella tomba: Dio lo ha miracolosamente portato in Paradiso.
    Origine della Festa dell'Assunzione.
    Le sole liturgie siriaca ed egiziana, attingono in quell'epoca ai racconti leggendari per le loro descrizioni della dormitio di Maria. Gerusalemme ha dal 450 la sua festa annuale della Madre di Dio fissata al 15 agosto, ma per due secoli l'ufficio non accenna all'Assunzione. Agli inizi del secolo VII la festa della Dormitio è istituita a Bisanzio, con decreto dell'Imperatore Maurizio, e presto, forse sotto l'influenza degli apocrifi, ma soprattutto per il senso profondo, che la Chiesa possiede delle verità della fede, oggetto principale della festa diventa l'ingresso del Corpo di Maria nella gloria. La festa dell'Assunzione è introdotta a Roma verso l'anno 650 e nella stessa epoca, forse anche alquanto prima, come in Gallia per la dipendenza di san Gregorio di Tours dagli apocrifi, l'Assunzione diviene oggetto di una commemorazione solenne fatta prima il 18 gennaio e più tardi il 15 agosto.
    La festa a Roma.
    Per la dottrina affermata, la celebrazione della festa dell'Assunzione costituiva per la Chiesa Romana un fatto di importanza capitale e, cosa ancor più degna di nota, Roma accettava la fede nell'Assunzione, senza aderire alle leggende. La sua liturgia ha una sola allusione all'Assunzione, ma è di una precisione mirabile e porta tutto il problema al suo vero centro. È la celebre orazione Veneranda nobis, che si recitava quando partiva la processione, che precedeva la Messa. "Signore, dobbiamo venerare la festa di questo giorno nel quale la Santa Madre di Dio fu sottomessa alla morte temporale. Ella tuttavia non poté essere trattenuta dai legami della morte, avendo generato nella sua propria sostanza il vostro Figlio incarnato, nostro Signore".
    Non si poteva essere insieme più sobrii, più completi e più precisi. La fede nella morte, nella risurrezione e nell'Assunzione di Maria è affermata nettamente ed è messo in evidenza il motivo fondamentale di questa fede: la Maternità divina o, meglio, il fatto che la carne di Cristo, Verbo Incarnato, è stata presa da Maria. Questo gioiello della liturgia mariana data per lo meno dal secolo VIII, cioè dal tempo in cui, in Oriente, sant'Andrea, vescovo di Creta dal 711 al 720, predicando un triduo sulla Dormitio della Madonna, esponeva il dogma dell'Assunzione su basi puramente dottrinali e indipendenti da tradizioni apocrife.
    San Germano di Costantinopoli e san Giovanni Damasceno, sebbene meno prudenti e riservati, riallacciano essi pure l'Assunzione alle sue sorgenti autentiche ed è necessario citare qualche passo delle loro ammirabili omelie.
    Discorso di san Germano.
    "Come avresti potuto essere concepita e poi svanire in polvere, esclama san Germano, Tu che, per la carne che desti al Figlio di Dio liberasti il genere umano dalla corruzione della morte? ...
    Era mai possibile che il vaso del tuo Corpo, che fu pieno di Dio, se ne andasse in polvere, come qualsiasi carne? Colui, che si è annientato in te, è Dio fin dal principio e perciò vita, che precedette i secoli, ed era necessario che la Madre della Vita abitasse insieme con la Vita e cioè che si addormentasse per un istante nella morte, per assomigliare a Lui e che poi il passaggio di questa Madre della Vita fosse come un risveglio.
    Un figlio prediletto desidera la presenza della madre e la madre, a sua volta, aspira a vivere col figlio. Era giusto perciò che salissi al Figlio tu che ardevi nel cuore di amore per Dio, frutto del tuo seno; era giusto ancora che Dio, nell'affetto filiale che portava alla Madre sua, la chiamasse presso di sé a vivere nella sua intimità" (Primo discorso sulla Dormitio PG 98; col. 345, 348).
    In un secondo discorso ritorna sullo stesso argomento in termini ancora più precisi: "Tu avevi da te stessa la tua lode, perché tu sei la Madre di Dio ... Per questo bisognava che il tuo Corpo, un corpo che aveva portato Dio, non fosse abbandonato in preda alla corruzione e alla morte" (Secondo Discorso, col. 357).
    D'ora in poi queste considerazioni nutriranno tutti i discorsi sulla Dormitio e sull'Assunzione della Madonna. Il padre Terrien scrive: "I discorsi di san Giovanni Damasceno sulla preziosa morte e Assunzione di Maria sono un inno perpetuo, che egli canta in onore della Vergine benedetta, e in esso richiama tutti i privilegi, tutte le grazie, tutti i tesori, dei quali fu prodigiosamente arricchita dal cielo, e tutti li riallaccia alla Maternità divina come raggi al loro centro" (Mère de Dieu, t. ii, p. 371-372).
    L'oriente è ormai conquistato alla fede tradizionale nell'Assunzione di Maria e il suo pensiero non subirà più sbandamenti.
    La fede in Occidente.
    In occidente appaiono difficoltà. Il popolo cristiano, docile agli insegnamenti della liturgia, aderisce, nel suo complesso, senza riserve alla dottrina dell'Assunzione, ma i teologi, per lo meno nella Gallia, restano esitanti e temono gli apocrifi. Essi non negano l'Assunzione, ma non vogliono impegnarvi la fede della Chiesa e ai tempi di Carlomagno (verso l'anno 800) un concilio capitolare di Aix-la-Chapelle omette l'Assunzione nell'elenco delle feste della Madonna, riservandosi di esaminare, se possa essere conservata e sarà data una risposta affermativa solo nel 813, al concilio di Magonza.
    La crisi aumenta nel secolo IX. La notizia sull'Assunzione, che abbiamo nel Martirologio di Adone, lascia di proposito nel dubbio la questione dell'Assunzione corporale e rigetta i dati frivoli ed apocrifi, che sono stati diffusi in argomento. Nella stessa epoca l'abate di Gorbia, Pascasio Radberto rivolge a dei religiosi un lungo sermone Cogitis me, nel quale ha l'abilità di farsi credere san Gerolamo e, mentre con parole commoventi celebra la morte della Madonna [1], comincia mettendo in guardia sul racconto del Passaggio di Maria dalla terra al cielo. A suo modo di pensare, non si sa nulla sulla sorte riservata al Corpo di Maria. È una reazione certo esagerata, ma dal fondo sano, alla troppo facile credulità verso gli apocrifi, allora in voga nella Gallia (la liturgia gallicana aveva preso molto da tali scritti). Il lato più curioso di questo episodio è che il sermone Cogitis me, sotto il nome di san Gerolamo, passò presto nelle lezioni del Breviario lungo l'ottava dell'Assunzione e ci volle la riforma di san Pio V, per eliminare dal Breviario un testo, che si allontanava dalla dottrina comune della Chiesa in un punto molto importante.
    Nei due secoli che seguirono l'apparizione del Cogitis me, gli spiriti furono esitanti e san Bernardo, ad esempio, non afferma mai espressamente l'Assunzione corporale di Maria, sebbene non vi sia indizio che l'insieme del clero e del fedeli abbia condiviso gli scrupoli degli eruditi. La liturgia romana, in uso in tutto l'occidente, celebrava l'Assunzione di Maria, e, per il popolo cristiano, si trattava di Assunzione corporale, sicché la Colletta Veneranda affermava sempre chiaramente la fede comune, senza vincolarla ai documenti apocrifi.
    Lo pseudo Agostino.
    Sul finire del secolo X, o all'inizio dell' XI, ebbe un influsso decisivo sul pensiero teologico un nuovo libro sull'Assunzione, il cui autore è ancora ignoto, anche se fu molto presto attribuito a sant'Agostino. Non si trattava di riabilitare le leggende apocrife, ormai squalificate, ma di poggiare la verità dell'Assunzione di Maria su basi scritturali e dottrinali sicure e questo piccolo trattato sull'Assunzione è un capolavoro di chiarezza e di profondità. Procede con metodo scolastico, con ordine, senza digressioni e l'esposizione, in apparenza austera, è animata da sana e solida devozione mariana, tanto da rivelare la mano di un grande maestro e di un uomo di fede. È il miglior trattato sull'Assunzione che possieda la tradizione cristiana e bisogna citarne almeno le ultime righe.
    "Nessuno nega che Cristo poté concedere a Maria questo privilegio (l'Assunzione corporale). Se Egli lo poté, lo volle, perché vuole tutto quello che è giusto e conveniente. Pare dunque che si possa, con ragione, concludere che Maria godette nel corpo, come nell'anima, una felicità inenarrabile nel Figlio e con il Figlio; che sfuggì alla corruzione della morte colei la cui integrità verginale fu consacrata, dando alla luce un Figlio così grande. Vive tutta intera colei dalla quale noi abbiamo la vita perfetta, è con Colui che portò nel suo seno, presso Colui che concepì, generò, nutrì della sua carne. Madre di Dio, nutrice di Dio, domestica di Dio, compagna inseparabile di Dio. Io non ho la presunzione di parlare di lei in modo diverso, perché non oso pensare in modo diverso" (Liber unus de Assumptione Virginis, PL 40, col. 1148).
    Il trattato, riportando la questione dell'Assunzione corporale di Maria sul vero terreno dogmatico, esercitava un'influenza grandissima sui predicatori e sui teologi e, nel secolo d'oro della Teologia, il consenso era unanime: sant'Alberto Magno, san Bonaventura, san Tommaso d'Aquino parlano dell'Assunzione corporale di Maria come di verità accettata da tutta la Chiesa. La causa ormai è vinta.
    Eruditi umanisti francesi sollevarono qualche dubbio nel secolo XVII, ma non si tratta della negazione del fatto dell'Assunzione, bensì della discussione delle sue basi storiche e, avvelenata da malignità, la battaglia termina presto, per mancanza di combattimenti.
    L'Immacolata Concezione e l'Assunzione.
    La dottrina dell'Assunzione tornò di attualità dopo la definizione del dogma dell'Immacolato Concepimento di Maria, nel 1854. I due privilegi si sostengono vicendevolmente e si basano su fondamenti comuni e non desta stupore il fatto che, quindici anni dopo, al Concilio Vaticano, un numero considerevole di vescovi indirizzi al Sommo Pontefice una supplica volta ad ottenere la definizione dogmatica dell'Assunzione corporea di Maria.
    L'impulso magnifico dato agli studi mariani dal Sommo Pontefice Leone XIII, continuato da san Pio X, sviluppò e consolidò il pensiero cristiano, ma la Santa Sede restava in prudente attesa. San Pio X rispondeva, ad una domanda prematura, che la questione doveva essere ancora studiata lungamente.
    L'opera di Pio XII.
    Era serbato a Pio XII l'onore di coronare questa lenta penetrazione della verità dogmatica. Agli inizi del suo Pontificato, fissando la festa del Cuore Immacolato di Maria nel giorno ottavo dell'Assunzione, il Sommo Pontefice incoraggiava una devozione, che è condizionata all'attuale esistenza nella gloria del Corpo glorioso della Madonna. Il passo decisivo fu compiuto nel 1946, quando Pio XII inviò a tutti i vescovi del mondo cattolico un questionario sulla fede nell'Assunzione corporale di Maria e sulla opportunità di una definizione. Le risposte furono quasi tutte favorevoli e costituivano una testimonianza moralmente unanime della Chiesa universale in favore della verità dogmatica dell'Assunzione. Il 14 agosto 1950, il Sommo Pontefice annunciava che, per coronare l'anno giubilare, avrebbe solennemente proclamato il dogma mariano e fissava la cerimonia al primo novembre, nella festa di Ognissanti. Pensiero ammirabile, che associava la Chiesa trionfante alla gioia dei cattolici del mondo intero, accorsi in folla, per applaudire al trionfo di Maria.
    L'ammirabile continuità nell'attaccamento della Chiesa alla dottrina dell'Assunzione è una delle testimonianze più belle della sua vita collettiva, e degno di nota è il fatto che tale attaccamento fu mantenuto, nelle ore più critiche, nell'affermazione discreta ma equilibrata della Liturgia Romana. Dopo il secolo VII, la Chiesa d'Occidente celebrò sempre l'Assunzione corporale di Maria e tale celebrazione fu lo strumento provvidenziale che fissò sempre maggiormente la luce divina nello spirito dei Pastori e dei fedeli. Cantando nell'allegrezza Assumpta est Maria in coelum il loro pensiero correva d'istinto alla gloria totale di Maria. Essi non si ponevano questioni critiche, né si chiedevano se il trionfo era dell'anima soltanto; essi vedevano levarsi nella gloria Maria, la Madre di Dio, Madre nel suo Corpo e Madre nella sua Anima.
    MESSA
    In occasione della definizione del dogma, che rivestì di splendore particolare e nuovo la festa dell'Assunzione, l'antica Messa del 15 agosto lasciò il posto ad una nuova Messa resa obbligatoria dal 1951.
    EPISTOLA (Gdt 13,22-25; 15,10). - Il Signore t'ha benedetta nella sua potenza, perché per mezzo di te ha annientati i nostri nemici. O figlia, tu sei benedetta dal Signore Dio altissimo a preferenza di tutte le altre donne della terra. Benedetto sia il Signore, creatore del cielo e della terra, che diresse la tua mano nel troncare la testa del principe dei nostri nemici. Oggi Dio esaltò il tuo nome da essere lodato per sempre dagli uomini, che si ricorderanno in eterno della potenza del Signore. Per essi tu non hai risparmiato la tua vita, e, viste le angustie e le tribolazioni del tuo popolo, ne hai impedita la rovina davanti a Dio. Tu sei la gloria di Gerusalemme, la letizia d'Israele, l'onore del nostro popolo.
    Le vittorie di Maria.
    Abbiamo qui gli stessi versetti del libro di Giuditta, che leggiamo nella festa dei Dolori di Maria. La vocazione della Vergine Santa somiglia a quella del Signore: Era necessario che il Cristo soffrisse, per entrare nella gloria (Lc 24,26) ed era necessario, allo stesso modo, che una spada di dolore penetrasse l'anima di sua Madre, perché fosse associata al trionfo e alla gloria di Gesù.
    Maria ci appare, oggi più che mai, Regina vivente e trionfante nel cielo e i nostri canti di gioia si uniscono alla lode di santa Elisabetta, per salutarla benedetta fra tutte le donne e possiamo e dobbiamo rivolgere le parole, che il Sommo Sacerdote Onia diceva a Giuditta, molto tempo prima della Incarnazione, a Colei che per il demonio è più temibile di tutta l'armata dei cristiani e che sul Calvario, unita al Figlio immolato, schiacciò il capo al serpente.
    Da quel giorno le vittorie di Maria non sono cessate e, come non c'è grazia che a noi non giunga per Maria, così per Maria si conseguono tutte le vittorie della Chiesa, tutte le vittorie del cristiano su Satana. Non abbiamo dubbio alcuno che il trionfo offerto da S. S. Pio XII alla Regina del cielo e della terra sia il segno di una serie di vittorie per la Santa Chiesa, come lo fu, un secolo fa, la proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione.
    VANGELO (Lc 1,41-50). - In quel tempo: Elisabetta, ripiena di Spirito Santo, esclamò ad alta voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno. Come mai m'è concesso che venga a me la madre del mio Signore? Ecco, infatti, appena il suono del tuo saluto mi è giunto all'orecchio, il bambino ha esultato di gioia nel seno. E te beata che hai creduto, perché s'adempiranno le cose a te predette dal Signore. E Maria disse: L'anima mia glorifica il Signore; ed il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore; perché egli ha rivolto lo sguardo all'umiltà della sua serva; ecco, fin d'ora tutte le generazioni mi chiameranno beata: poiché grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente, e santo è il suo nome. E la sua misericordia si stende in ogni età su quanti lo temono.
    La preghiera di Maria.
    Sebbene sgorgati dalle labbra della Vergine nella casa della cugina Elisabetta, i versetti del Magnificat sono, nel loro senso profondo, l'espressione della preghiera abituale di Maria. Raccolte le parole nella Scrittura, se le era applicate, contemplando nel silenzio le meraviglie che Dio operava in Lei e per Lei.
    Furono senza dubbio la preghiera di tutta la vita della Santa Vergine e la Chiesa, cantando il Magnificat ogni giorno, in tutte le solennità vi trova sempre un senso nuovo e più profondo. Maria lo ripeté a Nazaret, a Cana, dopo la Risurrezione, sul Monte degli Ulivi, quando Gesù salì al cielo e molti autori spirituali pensano che lo cantasse, nel suo cuore colmo di dolore, il Venerdì santo a sera, mentre discendeva dal Calvario.
    Più ancora il Magnificat è la preghiera della Vergine Santa nel giorno in cui Dio colma la misura delle grazie e dei favori verso la Madre del suo Figlio, elevandola corporalmente al cielo e coronandola Regina dell'universo.
    Magnificat.
    La sua anima, giunta alla pienezza della perfezione e il suo spirito illuminato dalla visione beatifica glorificano il Signore e godono la salvezza data a lei, più che a tutte le altre creature.
    Ricorda che era una piccola creatura, l'ancella del Signore, e che, per sua bontà, senza meriti da parte sua, Egli ha rivolto a lei i suoi occhi.
    Ed ecco che tutti i secoli la proclameranno beata e bene lo sappiamo noi, che, interrogando la storia, vediamo le vestigia lasciate dal culto e dall'amore per la Vergine Immacolata; noi che, presenti realmente o presenti attraverso le onde sulla piazza di san Pietro in Roma il mattino della festa di Ognissanti del 1950, abbiamo cantato la Vergine salita al cielo con acclamazioni entusiastiche e interminabili.
    Sì, Egli fece in Maria cose grandi, Colui che può tutto e queste cose grandi noi non sapremmo ricordarle tutte, ma in questa festa noi ne vediamo il coronamento nella Assunzione al cielo.
    E questa felicità non è felicità di Maria soltanto, perché noi pure esultiamo, non solo perché sappiamo felice presso Dio la nostra Madre, ma perché crediamo che un giorno la raggiungeremo, essendo la misericordia divina per tutti coloro che temono il Signore, per coloro che lo servono con fedeltà.
    Come è vile il mondo! I grandi, i potenti, coloro che si gonfiavano di orgoglio nella loro potenza, nella loro scienza, nelle loro ricchezze, sono cancellati dalla memoria dei popoli. Erano sazi, non avevano bisogno della salvezza portata dal Messia. La Vergine umilissima, ignorata da tutti, e con lei i discepoli di Gesù sono ora saziati dei beni veri e la loro potenza, la loro felicità sono eterne.
    Tutto questo è opera della fedeltà e della tenerezza di Dio al quale sia onore e gloria nei secoli dei secoli.
    PREGHIAMO
    O Dio onnipotente ed eterno che hai assunto alla gloria celeste, in corpo ed anima, l'Immacolata Vergine Maria, Madre del tuo Figliolo, concedici di essere sempre protesi verso le cose celesti, onde meritare di essere partecipi della sua gloria.
    PREGHIERA DI S. S. PIO XII A MARIA SANTISSIMA ASSUNTA
    O Vergine Immacolata, Madre di Dio e Madre degli uomini!
    1. Noi crediamo con tutto il fervore della nostra fede nella vostra assunzione trionfale in anima e corpo al cielo, ove siete acclamata Regina da tutti i cori degli Angeli e da tutte le schiere dei Santi;
    e noi ad essi ci uniamo per lodare e benedire il Signore, che vi ha esaltata sopra tutte le altre pure creature, e per offrirvi l'anelito della nostra devozione e del nostro amore.
    2. Noi sappiamo che il vostro sguardo, che maternamente accarezzava l'umanità umile e sofferente di Gesù in terra, si sazia in cielo alla vista della umanità gloriosa della Sapienza increata, e che la letizia dell'anima vostra nel contemplare faccia a faccia l'adorabile Trinità fa sussultare il vostro cuore di beatificante tenerezza;
    e noi, poveri peccatori, noi a cui il corpo appesantisce il volo dell'anima, vi supplichiamo di purificare i nostri sensi, affinché apprendiamo fin da quaggiù a gustare Iddio, Iddio solo, nell'incanto delle creature.
    3. Noi confidiamo che le vostre pupille misericordiose si abbassino sulle nostre miserie e sulle nostre angosce, sulle nostre lotte e sulle nostre debolezze; che le vostre labbra sorridano alle nostre gioie e alle nostre vittorie; che Voi sentiate la voce di Gesù dirvi di ognuno di noi, come già del suo discepolo amato: Ecco il tuo figlio;
    e noi, che vi invochiamo nostra Madre, noi vi prendiamo, come Giovanni, per guida, forza e consolazione della nostra vita mortale.
    4. Noi abbiamo la vivificante certezza che i vostri occhi, i quali hanno pianto sulla terra irrigata dal sangue di Gesù, si volgano ancora verso questo mondo in preda alle guerre, alle persecuzioni, alla oppressione dei giusti e dei deboli;
    e noi, fra le tenebre di questa valle di lacrime, attendiamo dal vostro celeste lume e dalla vostra dolce pietà sollievo alle pene dei nostri cuori, alle prove della Chiesa e della nostra patria.
    5. Noi crediamo infine che nella gloria, ove Voi regnate, vestita di sole e coronata di stelle, Voi siete, dopo Gesù, la gioia e la letizia di tutti gli Angeli e di tutti i Santi;
    e noi, da questa terra, ove passiamo pellegrini, confortati dalla fede nella futura risurrezione, guardiamo verso di voi, nostra vita, nostra dolcezza, nostra speranza; attraeteci con la soavità della vostra voce, per mostrarci un giorno, dopo il nostro esilio, Gesù, frutto benedetto del vostro seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria (Pio Pp. XII).
    Santità e gloria di Maria
    Solo chi conosce la santità di Maria può valutarne la gloria, ma la Sapienza, che ha colmato gli abissi (Prov 8,27), non ci rivelò la profondità di questo oceano al cui confronto le virtù dei giusti e le grazie da essi ricevute non sono che un ruscello. L'immensità della grazia e del merito, che costituisce la soprannaturale perfezione della Vergine benedetta, ci porta a concludere che, nella gloria, che consacra la santità degli eletti, deve avere altrettanta superiorità.

    Mentre i predestinati si scaglionano nei diversi gradi della celeste gerarchia, la Madre santa di Dio si eleva oltre tutti i cori dei beati (Liturgia della festa) formando da sola un ordine distinto, un cielo nuovo, in cui le armonie angeliche ed umane sono superate. Dio è in Maria più glorificato, meglio conosciuto e più amato che in tutto l'universo e per questo, secondo l'ordine della Provvidenza creatrice, che subordina il meno perfetto al più perfetto, Maria doveva essere Regina della terra e del cielo.
    Il mondo fatto per Cristo e per Maria.
    Tenuto presente questo, il mondo esiste per l'Uomo-Dio e per Maria. Il grande teologo Card. Lugo, spiegando le parole dei santi dice: "Come Dio, compiacendosi di tutto creare per il suo Cristo, fece di lui il fine delle creature, così si può dire che, nell'amore per la Vergine Madre, creò tutto il resto, facendo sì che giustamente meritasse di essere chiamata fine di tutte le cose" (De Lugo, De Incarn. Disput. vii, sect. 2).
    Maria, Madre di Dio e sua primogenita (Eccli 24,5) aveva titolo e diritto ai beni di Dio e, come sposa, doveva dividerne la corona. "La Vergine gloriosa, dice san Bernardino da Siena, ha tanti sudditi quanti ne ha la Trinità. Tutte le creature, non conta la posizione che hanno nel creato, sono sottomesse alla Vergine: le creature spirituali come gli Angeli, le ragionevoli come l'uomo, le materiali come i corpi celesti o gli elementi, il cielo, la terra, i reprobi, i beati, tutto quanto dipende dalla potenza di Dio. Infatti il Figlio di Dio e della Vergine benedetta, volendo, per così dire, uguagliare in qualche modo all'autorità del Padre quella di sua Madre, si fece, Egli che è Dio, servitore di Maria e, se è esatto dire che tutto, anche la Vergine, obbedisce a Dio, si può rovesciare la proposizione e affermare che tutto, anche Dio, obbedisce alla Vergine" (Discorso per la festa di Maria, c. 6).
    Lo Spirito Santo ci dice che il dominio dell'eterna Sapienza comprende cielo, terra e abisso (Eccli 24,7-11) e tutto questo è appannaggio di Maria nel giorno della sua incoronazione e, come la Sapienza divina, Maria può glorificarsi in Dio (ivi 1). Colui, del quale cantò un giorno la magnificenza, oggi esalta la sua umiltà (Lc 1,46-55). La Beata per eccellenza (ivi 48) è ora l'onore del suo popolo, l'ammirazione dei santi, la gloria degli eserciti dell'Altissimo (Eccli 24,1-4). Nella sua bellezza, vada con lo Sposo alla vittoria (Sal 44,4-6) e trionfi dei cuori dei potenti e degli umili (Eccli 24,11). La consegna dello scettro del mondo nelle sue mani non è solo onore, ma realtà e, infatti, da quella consegna, Maria comanda e combatte, protegge la Chiesa, ne difende il capo, tien salde le schiere delle sacre milizie, suscita i santi, dirige gli apostoli, illumina i dottori, stermina l'eresia, ricalpesta l'inferno.
    Regina e Madre.
    Salutiamo la nostra Regina, cantiamo le sue imprese, siamo docili al suo comando, soprattutto amiamola e confidiamo nel suo amore. Non abbiamo paura che, per le sollecitudini enormi che richiede la diffusione del regno di Dio, dimentichi la nostra piccolezza e le nostre miserie: nulla a lei sfugge di quello che avviene nel più oscuro ridotto sul più lontano confine del suo immenso dominio. Dal suo titolo, in effetto di causa universale, al di sotto di Dio, a buon diritto si deduce l'universalità della sua provvidenza; e i maestri di dottrina (Suarez, 3.a Pars, qu. XXXVII, art. 4; Disp. XXI, sez. 3.a) ci presentano Maria associata nella gloria alla scienza detta di visione, per la quale tutto ciò che è, fu e sarà davanti a Dio è presente. La sua carità non ha imperfezioni e, come il suo amore per Dio sorpassa quello di tutti gli eletti, la tenerezza di cui circonda il più piccolo, il più dimenticato e derelitto figlio di Dio, che è anche suo figlio, supera l'amore di tutte le madri concentrato sopra un figlio solo. Ci previene con le sue sollecitudini, ascolta in qualsiasi momento le umili preghiere, ci segue nelle colpevoli fughe, sostiene nelle debolezze, compatisce nei malanni del corpo e dell'anima, largisce le grazie delle quali è tesoriera. Con le parole di uno dei suoi grandi servi, diciamole dunque:
    Preghiera.
    O santissima Madre di Dio, che abbellisci la terra e il cielo, tu, lasciando la terra non hai abbandonato gli uomini e, se quando eri quaggiù vivevi in cielo, ora che sei in cielo dimori con noi. Veramente felici quelli che ti contemplarono e vissero con la Madre della vita! Ma, come tu abitavi in carne con gli uomini dei primi tempi, ora abiti spiritualmente con noi. Noi ascoltiamo la tua voce, la voce dì noi tutti giunge alle tue orecchie e la protezione continua con cui ci segui è prova della tua presenza. Tu ci visiti, il tuo occhio è su ciascuno di noi e, se anche non possiamo vederti, tu sei in mezzo a noi e ti mostri in modi diversi a chi è degno di vederti. La tua carne, uscita dal sepolcro, non arresta la immateriale potenza, l'attività purissima dell'anima tua, che, inseparabilmente unita allo Spirito Santo, si fa sentire dove vuole (Gv 3,8). Ricevi, o Madre di Dio, l'omaggio riconoscente della nostra allegrezza e parla dei tuoi figli a Colui, che ti ha glorificata e, con la sua potenza divina, egli accoglierà qualsiasi tua domanda. Sia egli benedetto nei secoli (san Germano di Costantinopoli: Sulla Dormitio 1).


    [1] Il responsorio Ascendit Christus e l'antifona Hodie gloriosa Virgo caelos ascendit sembrano tolte dal sermone Cogitis me, e tuttavia è certo che Pascasio Radberto non ha riprodotto, né commentato queste parti liturgiche. Sarebbero allora anteriori all'anno 850? Il Pascasio stesso afferma che egli riporta testi liturgici precedenti.




    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. , trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 971-987 Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste
    Ultima modifica di Luca; 15-08-13 alle 01:39

  5. #25
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    Predefinito re: 31 agosto 2013: San Raimondo Nonnato, confessore

    16 agosto 2013: San Gioacchino, padre della Beata Vergine Maria

  6. #26
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    Predefinito re: 31 agosto 2013: San Raimondo Nonnato, confessore

    17 agosto 2013: San Giacinto, confessore

    [* 1183 Kamien + 1257 Cracovia]
    Il Santo Patriarca Domenico nel breve tempo che fu conservato alla sua religiosa famiglia ebbe la gioia di vestire personalmente col bianco Abito uno splendido stuolo di santi e di beati, tra cui brilla di luce unica San Giacinto. Giacinto nacque a Kamien nel 1183 dalla famiglia degli Odrowaz, che già allora vantavano un antica tradizione di servizio alla Chiesa, venendo battezzato col nome di Jacko. Il filo d’oro della Provvidenza condusse ai piedi di San Domenico questo nobile figlio del settentrione, mentre egli si trovava a Roma nel 1220. Adorno di scienza e di virtù non comune, dal cuore generoso, e di una resistenza fisica capace d’incredibili fatiche e delle più incredibili austerità, il novello discepolo, sotto il Santo Patriarca, in brevissimo tempo fu in grado di ripartire per la sua terra, per fondarvi alcuni Conventi e propagare la buona novella. Nel 1223 assieme a Padre Enrico di Moravia, fondò a Cracovia il Convento della Trinità, donato loro dal Vescovo, mentre l’anno prima avevano dato consistenza ad una precedente fondazione. Nel 1225 è a Danzica e successivamente a Kiev, dove vi resta per quattro anni. Ritornato a Danzica, nel 1238, si stabilisce nuovamente a Cracovia. In tutti questi spostamenti, confortato dalla taumaturga benedizione del Padre Domenico, forte della tutela di Maria, Giacinto si mise sempre in cammino in assoluta povertà, per dare principio a quella grandiosa opera di evangelizzazione che forse rimarrà più unica che rara nella storia della sacra predicazione. Sempre, sul suo cammino, si risveglia la fede nei cristiani. Converte gli idolatri e fonda chiese e Conventi fra un susseguirsi di miracoli strepitosi. La Madonna lo portò in cielo nella festa della sua Assunzione nel 1257. Il suo corpo riposa a Cracovia. Papa Clemente VIII il 17 aprile 1594 lo ha proclamato Santo.


    [ Testo di Franco Mariani - Addetto Stampa Congregazione Suore Domenicane dello Spirito Santo ]

  7. #27
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    Predefinito re: 31 agosto 2013: San Raimondo Nonnato, confessore

    17 agosto 2013: Ottava di San Lorenzo, diacono e martire

  8. #28
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    Predefinito re: 31 agosto 2013: San Raimondo Nonnato, confessore

    17 agosto 2013: infra l'Ottava dell'Assunzione

  9. #29
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    Predefinito Re: 17 agosto 2013: San Giacinto - infra l'Ottava dell'Assunzione - Ottava di San Lor

    18 agosto 2013
    DOMENICA TREDICESIMA

    DOPO LA PENTECOSTE
    La serie domenicale, che cominciava una volta con la festa di san Pietro, o degli Apostoli, non superava mai questa domenica e la festa di san Lorenzo dava il nome alle domeniche seguenti, ma tale denominazione designava le domeniche dalla nona in poi negli anni in cui la Pasqua sorpassava l'equinozio di Primavera. Quando la data della Pasqua risaliva verso il suo termine più alto, si contavano da oggi le domeniche del settimo mese, cioè di settembre.
    Le quattro tempora di autunno possono cadere in questa settimana, ma possono tardare anche fino alla decimottava e noi ne parleremo seguendo l'ordine del Messale, che le colloca dopo la decimasettima. [infra]
    La domenica decimaterza in occidente prende ora il nome dal Vangelo dei dieci lebbrosi, che si legge nella Messa. I Greci, che la chiamano decimaterza di san Matteo, leggono invece oggi la Parabola della vigna nella quale gli operai, chiamati al lavoro ad ora diversa del giorno, ricevono tutti la stessa mercede (Mt ,20).
    MESSA
    Richiamo al tempo trascorso.
    La Chiesa, essendo in possesso delle promesse attese per tanto tempo dal mondo, ritorna volentieri sopra l'espressione dei sentimenti, che riempivano l'anima dei giusti attraverso i secoli desolati durante i quali il genere umano non visse, ma vegetò in ombre di morte, perché teme che i suoi figli, per l'attuale ricchezza, dimentichino la condizione miserabile che la Sapienza divina loro ha risparmiato, chiamandoli a vivere dopo il compimento dei misteri della salvezza. Tale dimenticanza porterebbe naturalmente con sé l'ingratitudine che il Vangelo di oggi giustamente condanna e perciò l'Epistola e, prima ancora, l'Introito ci riportano al tempo in cui l'uomo viveva di sola speranza, pur avendo la promessa di una sublime unione che si sarebbe poi compiuta e restava, spogliato di tutto, in balia di Satana, esposto alle rappresaglie della giustizia divina, in attesa di ritrovare l'amore.
    Le virtù teologali.
    Vedemmo otto giorni fa quale sia il compito della fede e quale importanza abbia la carità per il cristiano, che vive sotto la legge della grazia. Gli è però necessaria anche la speranza perché, pur possedendo sostanzialmente i beni, che saranno poi la sua felicità eterna, restano tali beni sottratti alla sua visione, per la oscurità di questa terra di esilio, la vita presente resta per tutti un tempo di prova nel quale ciascuno deve meritare la sua corona (1Cor 9,25) e la lotta vi fa sentire le sue incertezze e le sue amarezze anche ai migliori. Imploriamo perciò con la Chiesa l'accrescimento delle tre virtù fondamentali della fede, della speranza e della carità, per. meritare di raggiungere in cielo il bene che ci è promesso, e chiediamo di aderire di cuore ai comandamenti di Dio, che nel cielo ci devono condurre e che il Vangelo di domenica scorsa riassumeva tutti nell'amore.
    EPISTOLA (Gal 3,16-22). - Fratelli: le promesse furono fatte ad Abramo e a quello che doveva nascere da lui; non dice a quelli che nasceranno come dicesse a molti; ma, come se li compendiasse in uno, dice: e a quello che deve nascere da te e questo è Cristo. Or io così ragiono: il testamento autenticato da Dio non può essere una legge venuta quattrocentotrent'anni dopo annullato in maniera da rendere vana la promessa. Ma se l'eredità venisse per la legge, non verrebbe più per la promessa: invece è in virtù della promessa che Dio l'ha donata ad Abramo. A che dunque la legge? A motivo delle trasgressioni fu aggiunta, sino a che non fosse venuta la progenie a cui era stata fatta la promessa, e fu promulgata per ministero degli Angeli in mano d'un mediatore. Ma il mediatore non è mediatore d'uno solo, Dio invece è uno solo. È dunque la legge contro le promesse di Dio? Non può essere. Se davvero fosse stata data una legge capace di produrre la vita, allora sì che dalla legge verrebbe la giustizia; ma la Scrittura tutto chiuse sotto il peccato, affinché la promessa fosse largita ai credenti mediante la fede di Gesù Cristo.
    La libertà del cristiano.
    In questo lungo periodo del tempo dopo Pentecoste, consacrata a glorificare l'azione dello Spirito Santo, che santifica il mondo, la Chiesa nella Liturgia torna volentieri sugli avvenimenti memorabili, che liberarono l'uomo dal giogo della legge della paura, per sottoporlo al giogo dolce e leggero dell'amore. L'epistola ricorda oggi che l'opera divina di liberazione fu preparata lungamente.
    I Giudei, per considerarsi ancora un popolo privilegiato, pretendono che la salvezza non si possa ottenere che attraverso l'osservanza della legge mosaica, che è legge di schiavitù, ma san Paolo ricorda loro che la salvezza fu promessa molto tempo prima di Mosè e fu posta in relazione non con la legge di Mosè, ma con la fede del Messia, che doveva venire a riscattare tutti gli uomini. Compiuta la promessa, la vecchia legge resta abrogata per sempre.
    La promessa del Messia.
    I Giudei possono meno di qualsiasi altro ignorare questa promessa e le sue particolari condizioni, perché, fatta un giorno ad Abramo, fu rinnovata ai patriarchi e confermata con divino giuramento, assicurando alla discendenza di Abramo colui che doveva essere sorgente di ogni benedizione. Il testo sacro non dice che le promesse siano dirette ad Abramo e ai suoi figli, ma al suo figlio, al suo rampollo, al solo del quale, storicamente, sarebbe stato possibile dire che è la benedizione del mondo.
    Un uomo che promette può ritornare sulla sua promessa e questa non diventa definitiva che alla morte. La promessa divina è assicurata in altro modo, perché Dio non può morire, essa è garantita con la solennità, la ripetizione e il giuramento. Stabilita così fermamente la disposizione di Dio, non poteva essere annullata, né mutata dalla legge di Mosè, venuta 430 anni dopo, e perciò ci si impone necessariamente una domanda: la giustificazione e l'insieme dei legami soprannaturali, l'affigliazione divina e l'eredità celeste ci vengono dalla legge di Mosè o dalla promessa fatta ad Abramo? Non vi è posto per un dubbio: tutto ci venne non in forza della legge, bensì della promessa fatta ad Abramo.
    La legge e la promessa.
    Quale funzione ebbe allora la legge ? Fu istituzione divina senza scopo? No, ma la distanza tra la promessa e la legge è immensa. La promessa è frutto della bontà di Dio, la legge fu esigenza del peccato, mezzo curativo e provvisorio. Avendo il mondo dimenticato i precetti della legge di natura, cadendo in una crescente depravazione, Dio li promulgò. Volendo poi venire sulla terra, si scelse un popolo, lo separò dagli altri, lo costituì custode della promessa fino al giorno in cui si sarebbe compiuta, cioè fino al giorno in cui sarebbe apparso il rampollo, nel quale dovevano essere benedette tutte le nazioni.
    Tale carattere della legge, distinta dalla promessa, è manifestato dal processo di promulgazione. La legge non è, come la promessa, una disposizione del tutto spontanea e proveniente dal cuore di Dio: è invece istituzione dovuta alle circostanze, ed è stabilita per mezzo di Angeli, perché Dio si riserba di intervenire direttamente più tardi, è affidata ad un mediatore, che è Mosè. Per la legge vi è un mediatore, perché vi sono due che trattano: le parti contraenti, ed è infatti un patto tra Dio e il suo popolo. Per questo la legge è caduca: essendo patto, è subordinata alla fedeltà delle parti e, se una non è fedele al patto, l'altra resta libera. Per quanto riguarda la promessa, Abramo ha invece davanti Dio solo, l'impegno di Dio è affatto gratuito, non vi è intermediario, non vi sono condizioni e la promessa è assoluta ed eterna.
    La legge e la fede.
    Vi sarà dunque opposizione tra la promessa e la legge e avrà la legge potuto smentire e annullare per molti secoli la promessa? No affatto. Senza dubbio il Signore è onnipotente e avrebbe potuto dare alla legge il potere di conferire vita e giustificazione; ma, esterna a noi da molto tempo, essa resta impotente e non fa che ricordare quel peccato che proibisce. Deve entrare nella nostra vita, essere scolpita nel cuore, per essere efficace e, senza dubbio, Dio avrebbe potuto assegnare alla legge tale privilegio, ma la Scrittura, che ci rivela il pensiero di Dio, ci insegna che vi fu una promessa e che, fino al giorno del suo compimento, volle Iddio che l'umanità giacesse prigioniera sotto il giogo del peccato, perché avesse la possibilità di conoscere, nella sua impotenza, che la giustizia è il frutto evidente non della legge, ma della promessa e si ottiene per mezzo della fede in Gesù Cristo (Dom Delatte, Epistola di San Paolo, I, 516).
    VANGELO (Lc 17,11-19). - In quel tempo: Andando Gesù a Gerusalemme, passava per mezzo alla Samaria e alla Gallica. E stando per entrare in un certo villaggio, gli andarono incontro dieci lebbrosi che, fermatisi da lontano, gridarono; Gesù Maestro, abbi pietà di noi. Ed egli, vedutili, disse loro: Andate, mostratevi ai sacerdoti. E mentre andavano furono mondati. E uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro glorificando ad alta voce Dio, e gli si prostrò dinanzi a ringraziarlo; e questo era un samaritano. E Gesù prese a dire: Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri dove sono? Non s'è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio se non questo straniero? Poi gli disse: Alzati e va, la tua fede ti ha salvato.
    I due popoli.
    Il lebbroso Samaritano, guarito dalla sua schifosa malattia, figura del peccato, insieme ai nove lebbrosi di nazionalità giudaica, rappresenta la stirpe disprezzata dei gentili ammessa, da principio quasi furtivamente e per aggiunta, alla partecipazione delle grazie destinate alle pecorelle smarrite della casa di Israele (Mt 15,24). La diversa condotta di questi dieci uomini di fronte al miracolo che li riguarda, risponde all'atteggiamento dei due popoli, dei quali essi sono figura, verso la salvezza portata al mondo dal Figlio di Dio. Dimostrano cioè, una volta ancora, il principio stabilito dall'apostolo: "Non sono Israeliti tutti quelli che sono nati da Israele, non sono figli di Abramo tutti coloro che discendono da lui, ma in Isacco, dice la Scrittura (Gen 21,12), è stabilita la stirpe, che porterà il suo nome, ed è come dire che non sono i figli nati dalla carne i figli di Dio, ma i figli della promessa, nati dalla fede di Abramo, i quali formano davanti al Signore la sua vera discendenza" (Rm 9,6-8).
    La Chiesa ama ritornare sul confronto dei due testamenti e sul contrasto evidente fra i due popoli e perciò, prima di andare oltre, occorre rispondere alla meraviglia che tale insistenza desta nelle anime poco abituate alla santa Liturgia. La forma di spiritualità, che oggi sostituisce in molti l'antica vita liturgica dei nostri padri, dispone molto mediocremente ad entrare in questo ordine di idee. Abituati a vivere soltanto di fronte a se stessi e alla verità, come essi la concepiscono, riducendo la perfezione all'oblio di ogni altra cosa, non sorprende che non possano capire questo continuo ritorno al passato, che essi credono scontato da secoli.
    Però la vita interiore degna davvero di questo nome non è quello che essi pensano; nessuna scuola di spiritualità, né oggi né mai, considerò virtù la dimenticanza dei grandi eventi della storia che interessano la Chiesa e Dio stesso. Che cosa avviene, anche troppo spesso, da questo abbandono della Madre comune da parte dei suoi figli? Per giusta punizione, nell'isolamento creato dalle loro preghiere private, essi perdono di vista lo scopo principale della preghiera, che è l'unione nell'amore. In essi la meditazione si spoglia del carattere di conversazione con Dio, che tutti i maestri di vita spirituale le assegnano, diventa sterile esercizio di analisi, di ragionamento in cui l'astrazione regna sovrana.
    Dopo il grande evento dell'Incarnazione del Verbo, venuto sulla terra per manifestare Dio nella successione dei tempi, per mezzo del Cristo e dei Suoi membri (2Cor 4,10-11), nulla è più importante, nulla che abbia interessato e interessi il cuore di Dio quanto la scelta dei due popoli chiamati da Lui successivamente a godere della sua amicizia. I doni e le chiamate di Dio non conoscono pentimenti e i Giudei, oggi nemici, perché respingono il Vangelo, non sono meno amati e carissimi, per merito dei loro padri (Rm 11,28-29). Verrà perciò il tempo, che il mondo aspetta, nel quale, ritirata la condanna di Israele, cancellate le sue iniquità, avranno pieno compimento (Rm 11,25-27) le promesse fatte ad Abramo, Isacco e Giacobbe e allora apparirà l'unità divina dei due testamenti: i due popoli si fonderanno in uno solo, sotto il Cristo loro capo (Ef 2,14).
    Compiuta allora in modo perfetto l'alleanza di Dio, come Egli la volle nei suoi eterni disegni, avendo la terra dato il suo frutto (Sal 66,7), avendo il mondo raggiunto il suo fine, le tombe restituiranno i loro morti (Rm 11,15) e la storia terminerà quaggiù, per lasciare che l'umanità glorificata sbocci alla pienezza della vita, sotto lo sguardo eterno di Dio.
    Insegnamento di questo miracolo.
    Riprendiamo brevemente la spiegazione letterale del Vangelo. Il Signore preferisce istruirci con simboli, invece di manifestare la sua potenza, e perciò non restituisce prontamente la salute a quelli che la invocano, come fece in circostanze simili altra volta. "Lo voglio, sii guarito" disse un giorno ad uno di quegli sventurati che, all'inizio della sua vita pubblica, invocava il suo soccorso, e la lebbra era sparita (Mt 8,3). I lebbrosi del Vangelo di oggi sono invece liberati soltanto mentre vanno a presentarsi ai sacerdoti. Come aveva fatto con il primo, Gesù li invia ai sacerdoti, dando, dall'inizio al termine della Sua vita mortale, esempio del rispetto dovuto alla legge antica, fino a quando non sarà abrogata. La legge infatti dava ai discendenti di Aronne il potere non di guarire, ma di costatare la lebbra e di affermarne la guarigione (Lv 13), quando fosse avvenuta. È però giunto il tempo di una legge più augusta di quella del Sinai, di un sacerdozio che non giudicherà dello stato dei corpi, ma che, con sentenza di assoluzione, cancellerà la lebbra delle anime. La guarigione, che i dieci lebbrosi ottengono prima di incontrare i sacerdoti che cercano, dovrebbe bastare per rendere loro evidente che nell'Uomo-Dio è la potenza del nuovo sacerdozio annunziato dai Profeti.
    PREGHIAMO
    O Dio onnipotente ed eterno, aumenta in noi la fede, la speranza e la carità e fa' che noi amiamo i tuoi comandamenti per meritare il premio che ci hai promesso.
    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 478-484

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    Predefinito Re: 17 agosto 2013: San Giacinto - infra l'Ottava dell'Assunzione - Ottava di San Lor

    18 agosto 2013: Sant'Agapito, diacono e martire

    Agapito diacono subì il martirio a Roma insieme al compagno Felicissimo, ai subdiaconi Gennaro, Magno, Vincenzo e Stefano, al Pontefice Sisto e al beato Quarto. Tutti furono decapitati e sepolti nel cimitero di Prestato.




    Agapito, diacono, santo, martire di Roma, fu sepolto unitamente a Felicissimo nel cimitero di Pretestato. Nel IV secolo si rese necessario un ampliamento del luogo della loro sepoltura, per il gran numero di pellegrini che lo visitavano. I suddiaconi che patirono il martirio con Gennaro, Magno, Vincenzo e Stefano furono inumati nella cripta dei papi. Nel 1049 le ossa d'Agapito vennero traslate in S. Maria in Via Lata da S. Leone IX. Le sue reliquie si rinvennero il 24 agosto 1491 e con esse molte altre tra le quali quelle dei martiri Ippolito e Dario; tutte furono temporaneamente portate nella chiesa di S. Ciriaco. In S. Maria in Via Lata, l'8 maggio 1639, furono ritrovate nell'altare maggiore, in una cassetta di piombo, alcune sue ossa con la dicitura: Corpus S. Agapiti Martyris. La reliquia della testa risulta in questa chiesa da un inventario del 1454. Una parte di questa fu adoperata nel XVII secolo per la consacrazione dell'altare maggiore di Santo Spirito in Sassia e qui riposta da Monsignor Francesco Febei. Alcune reliquie dei martiri Agapito, Felicissimo e Vincenzo sono nell'altare della cappella maggiore di S. Maria della Consolazione.


    [ Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ]

 

 
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