La città teme lo scippo: senza uffici regionali rischia di svuotarsi: "Siamo pronti a insorgere, nessuno potrà speculare sul sisma"
FRANCESCO GRIGNETTI
INVIATO A L’AQUILA
L’Aquila teme di morire non una ma due volte. La città sta facendo i conti con un doppio incubo. Il primo si chiama Sciame sismico ed è davanti agli occhi del mondo. Il secondo è il Grande Scippo ed è impalpabile, misterioso, sottotraccia, attanaglia la classe dirigente. Si dorme nelle tende e si vive nel terrore di non risvegliarsi più, come città di rango. La paura è rinascere al massimo sotto forma di museo. Gli aquilani, salvata la vita, hanno paura di perdere il futuro. Quale ruolo, status, leadership può rinascere da queste macerie? Sentono che c’è il pericolo concreto di perdere gli uffici, l’alta burocrazia, i posti di lavoro, il vero business di questa città. «Il disegno - sibila Stefania Pezzopane, presidente della Provincia - da parte chi non ha mai amato davvero questo capoluogo, c’è. Ma ci provassero soltanto... la gente uscirebbe dalle tende con i mitra». Il sindaco, Massimo Cialente, è più diplomatico: «Siamo qui a vigilare che la città non venga snaturata». Il problema esiste. L’Aquila, intesa come motore della regione, è in ginocchio. L’economia è distrutta, gli uffici inagibili, la gente sfollata. Il primo a rendersi conto di quanto sia esplosiva la materia è Berlusconi, che soppesa le parole: «Gli edifici pubblici erano tutti in centro, le lesioni sono tali da comportare lavori lunghi. Un preventivo dei tempi si potrà fare solo dopo un accurato studio palazzo per palazzo».

E’ scosso, il premier, da quello che ha visto in questi giorni. «L’Aquila è una città morta, di fantasmi. Tutti gli uffici pubblici sono fuori gioco». E naturalmente non si possono sospendere per troppo tempo le funzioni dirigenti di una Regione. In presenza di un terremoto, poi. A Pescara c’è un enorme palazzo di Giustizia semivuoto che potrebbe accogliere fascicoli e personale. Ma un trasloco anche parziale di funzioni fu sospeso per l’insurrezione degli aquilani. E ora che il carcere è stato sgomberato e che il palagiustizia è lesionato? Soltanto ipotizzare questi scenari fa rabbrividire gli avvocati. «Abbiamo garantito che si possono tenere le udienze di convalida anche in un container», spiega Maurizio Capri, consigliere comunale e membro del consiglio dell’Ordine degli avvocati. E appoggiarsi temporaneamente altrove? «Non esiste». Ne hanno parlato col ministro Alfano, ieri qualcosa si è mosso. E’ stato attivato un presidio presso il tribunale per i Minorenni e un’unità di crisi, con 2 magistrati e 4 funzionari, per gestire il personale, recuperare i fascicoli urgenti e programmare le prime udienze. Segnali ottimi. Eppure in cuor loro gli avvocati aquilani temono. Il presidente dell’ordine provinciale, Antonello Carbonara, due giorni fa è stato durissimo in una riunione allargata che si è tenuta sulla costa tra magistrati, legali e politici, contro ogni tentazione di sottrarre alla città le funzioni più importanti.

C’è insomma da fare i conti con questo fantasma. Il segretario generale della Regione Abruzzo, Erasmo Mazzarelli, garantisce che quanto prima, in camper e in container, alcuni uffici ripartiranno. E’ stato riattivato il trasferimento di fondi dalla Regione alle Asl. «E questa era una assoluta priorità». Ma si rende conto che il problema è titanico. E c’è una sede alternativa pronta. Così dice: «Dobbiamo far ripartire la macchina. Alcune funzioni le sposteremo nelle strutture di Pescara». Appunto. Un altro trasferimento significativo è stato appena deciso: l’archivio di Stato trasloca a Sulmona. Il palazzo dov’era è a rischio di crollo. E dunque 5 chilometri di scaffali, 14 mila libri, migliaia di documenti quanto prima saranno messi al sicuro nella sede distaccata. Il sindaco è preoccupato: «Non possiamo pensare solo alle case, c’è da rimettere in moto l’economia. Senza lavoro, la città non rinasce». Una risposta fondamentale può venire dalla Ue. «Sarebbe bene che qualche commissario europeo venisse a vedere in che condizioni siamo. Che ci attendiamo? Far rientrare la città negli Obiettivi Uno».

Il che significa incentivi da area depressa. «Poi ci potrebbe essere qualche defiscalizzazione. Ne ho parlato con Tremonti e l’ho trovato attento. Ma anche qui la risposta deve venire da Bruxelles». «L’incubo c’è e non lo nascondo - conferma il sindacalista della Cgil, Gianni Di Cesare - le nostre attività industriali erano già in grave crisi, il terremoto ha messo a terra tutto il terziario. L’università era un volano economico eccezionale: per numero di studenti fuorisede in rapporto alla popolazione era seconda solo a Siena. Almeno 13 mila studenti venivano a vivere da noi». Immaginabile l’indotto per una città di 50 mila abitanti. «Ora il rischio è la fuga dall’Aquila. Se non sopravviveranno le funzioni dirigenziali, la città resterà un fantasma e noi diventeremo un dormitorio per gente che lavora altrove».
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