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Discussione: Paracelso

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    Predefinito Paracelso

    Paracelso

    Il principe dei medici e dei filosofi del fuoco
    Grande fisico paradossale
    il trismegisto della Svizzera
    Primo riformatore della filosofia alchemicha
    adepto in alchimia, Cabala e Magia
    fedele naturalista
    maestro dell'elisir della vita e della pietra filosofale
    grande sovrano dei segreti alchemici

    Philippus Aurelius Teophrastus Bombastus von Hoenheim nacque in Svizzera nel 1493, medico eccelso ed alchimista di prim'ordine, dotato di una forte personalità e di un'altrettanto forte arroganza. Era talemente pieno di sé che gli inglesi inventarono il termine bombastic per definire le persone arroganti. Si autodefinì Paracelso, ovvero più grande di Celso (massima autorità medica nel 1° secolo dC.)

    Tuttavia tale pomposità trovava valido motivo di essere nei suoi studi, tra i tanti scritti lasciati troviamo appunti che tuttora lasciano sorpresi e perplessi. Il suo libro Chirurgia minore è il precursore della moderna medicina, e su molti dei suoi libri troviamo concetti ed insegnamenti innovativi.

    Paracelso era figlio di un gran maestro dell'ordine Teutonico e valente medico, tanto che Paracelso avrà sempre parole di grande rispetto nei suoi confronti. Dopo un primo periodo di studi con il padre, fu seguito da Tritemius, abate di Spanheim, e grande Cabalista, per poi imparare la medicina e la chimica da Sigismund Figger. Per tutti i suoi maestri Paracelso avrà sempre parole di lode. Si recò poi in Germania ed Ungheria per imparare i segreti dei metalli dai minatori. Nonostante le difficoltà perseguì il suo scopo con tenacia. La sua ricerca lo porterà in russia alla ricerca delle miniere dei Tartari. Sarà fatto prigioniero dal Khan dove apprenderà altri segreti. Sarà inviato da quest'ultimo al seguito di una spedizione diplomatica a Costantinopoli dove incontrerà un Arabo che gli insegnerà i segreti della pietra filosofale, all'epoca aveva 28 anni. Nonostante la moltitudine di libri non vi è nessuno scritto di Paracelso su questo viaggio, documentato però da Van Helmont.

    In Turchia Paracelso esercitò come chirurgo presso l'armata Imperiale eseguendo operazioni straordinarie, il suo libro la Grande Chirurgia stampata in folio ne è una prova schiacciante.

    In Europa all'epoca si usavano le pratiche Galvaniche e Arabiche, i metodi usati erano quelli del salasso, lo spurgo, il rigurgito, i lavaggi, ecc. Nulla potevano queste pratiche contro un disturbo venereo che colpì l'Europa. A Bologna Jon Carpus, illustre chirurgo e anatomista, eccelleva nella tecnica della salivazione indotta col mercurio. Paracelso apprese le proprietà del mercurio e riuscì a preparare delle pillole. La cura diveniva meno aggressiva di quella usata da Carpus, in questo modo fu in grado di curare la scabbia, la lebbra, le ulcere, il morbo Napoletano e persino la gotta.

    La sua fama aumentò rapidamente, tanto che gli fu offerta la cattedra di medicina all'università di Basilea. Al suo discorso pubblico di fronte all'università disse "Sappiate dottori, che la mia barba ha più esperienza di tutte le vostre unviersità, il più sottile capello della mia nuca ne sà più di tutti voi, le fibbie delle mie scarpe sono più sapienti dei vostri sapienti più famosi." E' facile immaginare l'indignazione che provocò, alla sua prima lezione si fece portare un vaso in ottone e dopo averlo riempito di zolfo e salnitro vi appicò il fuoco bruciando i libri di Galeno e Avicenna. A causa del suo carattere focoso, le sue lezioni pian piano furono disertate dagli studenti, e Paracelso iniziò a bere, tanto che ben presto lo additarono come ubriacone. Dopo tre anni lasciò la cattedra per riprendere i suoi vagabondaggi. Non smise mai di bere, eppure pur essendo ubriaco riusciva a compiere operazioni chirurgiche di tale bravura e precisione da rasentare l'impossibile.

    Morì a Salisburgo, vicino al caminetto dell'ostera il Cavallo Bianco. In tutta la sua vita aveva pubblicato si e no quattro libri. Il suo servitore Oporinus rimase al suo fianco per anni nella speranza di carpirne i segreti, ed alla morte di Paracelso fu sorpreso di trovare tanti manoscritti, poichè non lo aveva mai visto scrivere una parola. E la sorpresa fu ancora maggiore quando si rese conto che tali scritti avevano un'eleganza ed una forma di linguaggio che non sembrava possibile fossero stati scritti da un ubriacone.

    Eppure nell'Archidoxa Medicinae tratta dei fondamenti e delle massime che riguardano la chimica, tanto che sono considerate a tutt'oggi tra le più illuminanti nel campo chimico. Nella prefazione si legge "Era mia intenzione pubblicare tutti e dieci i volumi dell'Archidoxa, ma poichè ritengo che il genere umano non sia ancora maturo a sufficienza per i tesori offerti nel decimo libro, ho pertanto deciso di tenerlo nascosto nel mio occipite e di non riportarlo alla luce finché non vi decidiate ad abiurare Aristotele, Avicenna e Galeno e giurare fedeltà al solo ed unico Paracelso"

    La grandezza di Paracelso fu quella di affrontare la ricerca della conoscenza con mente aperta e spirito indagatore, rifuggendo quelle che erano le schematiche dell'epoca. Usava l'oppio in alcune delle sue terapie somministrando pastiglie che lui chiamava laudanum, ovvero la sua medicina più lodevole.

    Si narra che fosse riuscito a concepire la vita in vitro, i suoi studi erano un misto di scienza e alchimia, come si evince dai suoi appunti "Se la fonte di vita, chiusa in un'ampolla di vetro sigillata ermeticamente, viene seppellita per quaranta giorni in letame di cavallo e opportunamente magnetizzata comincia a muoversi e a prendere vita. Dopo il tempo prescritto assume forma e somiglianza di essere umano, ma sarà trasparente e senza corpo fisico. Nutrito artificialmente con arcanum sanguinis hominis per quaranta settimane e mantenuto a temperatura costante prenderà l'aspetto di un bambino umano.Chiameremo un tale essere Homunculus, e può essere istruito ed allevato come ogni altro bambino fino all'età adulta, quando otterrà giudizio ed intelletto."

    Nei resoconti di Oporinus spiega che il suo padrone era un giorno senza un soldo ed il giorno successivo ne aveva in grande abbondanza. Si faceva prestare i soldi da amici e conoscenti per restituirli il giorno dopo con l'aggiunta di stravaganti interessi. Nella sua conoscenza di alchimia e chimica sembra difatti che vi fosse anche la pietra filosofale, sicuramente era in grado di trasmutare gli elementi, pur senza avere cognizione dei numeri atomici che accompagnano le formule chimiche moderne. Nel suo Theatrum Alchemiae fa riferimento ad un tesoro nascosto sotto un albero.

    A ucciderlo più che la sua passione per l'alcool fu la delusione di aver incontrato una platea di menti ottuse tra i grandi dottori e i grandi sapienti dell'epoca. Forse lo consolerebbe sapere che a distanza di 500 anni non è cambiato nulla.

    Paracelso
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 14-10-09 alle 11:39
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    Gli umori corrodono il marmo

  2. #2
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    Predefinito Rif: Paracelso

    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 10-08-09 alle 13:23
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    Gli umori corrodono il marmo

  3. #3
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    Predefinito Rif: Paracelso

    Paracelso (Bombast von Hohenheim), Theophrastus Philipp Aureolus (1493-1541)

    La vita

    Il celebre medico e riformatore della terapia medica (soprannominato il Lutero della medicina) Theophrastus Philipp Aureolus Bombast von Hohenheim nacque ad Einsiedeln, nel cantone svizzero di Schwyz, in una data non meglio precisata compresa tra il 1490 ed il 1494: la maggior parte degli autori propende per il 10 (o forse 11) novembre 1493, ma non c'è comunque certezza sull'esatta data.

    Il padre, Wilhelm Bombast von Hohenheim de Riett (m. 1534), era figlio naturale di Georg Bombast von Hohenheim, Gran Maestro dell'ordine dei cavalieri di Malta e discendente di un'antica e nobile famiglia sveva. Tuttavia la sua nascita illegittima lo aveva costretto ad una vita di povertà e a lavorare per mantenere la famiglia: fece il medico dapprima per il monastero di Einsedeln, quindi, dal 1502, si trasferì con il figlio a Villach, nella regione austriaca della Carinzia, dopo la morte della moglie, ex sovrintendente dell'ospedale di Einsedeln.

    Il piccolo P. ebbe quindi i primi rudimenti di cultura dal padre ed in seguito studiò con due alti prelati: Eberhard Paumgartner, vescovo di Lavant (1487-1508) e Matthaeus Schacht, vescovo di Freising, ma il tutore che esercitò la maggiore influenza sulla sua formazione fu certamente Johannes Trithemius (Heidenberg) (1462-1516), abate di Sponheim, eccellente esempio rinascimentale di studioso eclettico di Cristianesimo, filosofia ermetica e scienze occulte (magia, astrologia, alchimia e cabala) e mentore di un altro famoso occultista dell'epoca: Agrippa di Nettesheim.

    In seguito P. s'iscrisse alla Bergschule, la scuola mineraria di Hutenberg, vicino a Villach, fondata dai famosi banchieri Fugger, dove i giovani venivano istruiti a diventare esperti minerari in oro, stagno, mercurio, ferro e rame. P. fece anche un apprendistato specifico presso la miniera di Siegfried Fugger a Schwaz e poté impratichirsi sui primi rudimenti di alchimia.

    Ma, nel 1507, P. abbandonò Villach per viaggiare per cinque anni da un'università all'altra in cerca di conoscenza e sapere: si dice abbia frequentato gli atenei di Basilea, Tübingen, Vienna, Wittenberg, Lipsia, Heidelberg e Colonia, ma che non fosse stato particolarmente impressionato dalla preparazione dei professori, soprattutto considerando che, in seguito, si era domandato come "i più nobili collegi riuscissero a sfornare così tanti nobili asini!" In ogni caso all'università di Vienna egli ottenne il baccalaureato in medicina nel 1510.

    Tra il 1513 ed il 1516 P. viaggiò per motivi di studio in Italia, in particolare a Ferrara, dove s'iscrisse ai corsi di medicina, abbastanza fuori degli schemi tradizionalmente galenici e aristotelici, degli umanisti Nicolò Leoniceno (1428-1524) e Giovanni Manardo (1462-1536) e dove si laureò in medicina nel 1516, ma di questo fatto non ci sono testimonianze scritte (purtroppo mancano gli annali universitari di quell'anno), eccetto la sua parola. Alcuni autori ipotizzano, durante il suo soggiorno in Italia, anche un incontro tra P. e Agrippa di Nettesheim, all'epoca docente di scienze occulte a Pavia.

    Fu comunque in questo periodo che Theophrastus Bombast adottò il nome di Paracelso, poiché, probabilmente, intendeva significare che il suo obiettivo era di superare il pensiero del famoso medico dell'antichità, Aulo Cornelio Celso (I secolo d.C.).

    In seguito P. lavorò come chirurgo militare durante varie guerre svolte in Olanda, in Russia (fu catturato dai tartari, ma riuscì a fuggire in Lituania), in Ungheria ed infine, dal 1521, al servizio della Repubblica di Venezia, per conto della quale viaggiò nei vari possedimenti della Serenissima, ma anche in Egitto, Arabia e Costantinopoli.

    Finalmente, nel 1524, egli tornò a Villach, ma in seguito si recò, nel 1526, a Strasburgo, dove entrò nella gilda dei chirurghi, ma non in quella, più prestigiosa, dei medici (il che fa ipotizzare ad alcuni autori che P. non si fosse mai laureato a Ferrara).

    Nel 1527, P. fu chiamato a Basilea per curare, con successo, la gamba del famoso editore di testi umanisti Johannes Frobenius (1460-1527). Il risultato positivo delle sue cure gli procurò potenti appoggi da parte di Erasmo da Rotterdam, dello stesso Frobenius e di Johannes Ecolampadio, pastore della Chiesa di San Martino e principale riformatore della città, che lo fece nominare medico cittadino e docente universitario.

    Tuttavia la sua presenza in città provocò malumori, invidie e perfino odio tra i medici e i farmacisti, specialmente quando il 24 giugno 1527, quasi imitando una simile azione dimostrativa di Martin Lutero del 1520, P. bruciò in pubblico i testi di Abu Ali Al-Hussain Ibn Abdallah Ibn Sina (Avicenna) (981-1037) e di Galeno (129-199) davanti all'università locale.

    Nelle sue lezioni, tenute in tedesco, e non in latino, contro ogni usanza universitaria, egli tuonò contro i metodi empirici di curare le ferite con muschio o, peggio, letame secco, intuendo, primo fra tutti, che, una volta scongiurato il pericolo di infezioni, fosse la stessa Natura a cicatrizzare le ferite.

    Similmente P. attaccò le assurde pratiche dei medici dell'epoca, basate su salassi, infusi, suffumigi, prescritti senza una minima conoscenza, ma questi suoi attacchi lo convinsero a fuggire da Basilea nottetempo, nella primavera del 1528, soprattutto dopo due episodi: la morte del suo protettore Frobenius e l'episodio della causa legale che aveva perso contro il canonico Cornelius von Lichtenfels, che si era rifiutato di pagargli una parcella: P. aggravò la sua situazione, insultando pesantemente i giudici favorevoli al prelato.

    P. si rifugiò ad Esslingen, poi a Colmar, in Alsazia, presso alcuni amici. Da qui, P. riprese il suo eterno pellegrinare fra la Germania, Svizzera e Austria, dove, nel 1538, si recò a Villach per trovare suo padre, salvo scoprire che l'anziano genitore era già morto quattro anni prima.

    Lo stesso P., chiamato nel 1541 dal vescovo vicario di Salisburgo, Ernst di Wittelsbach (o di Baviera) (vescovo: 1540-1554), morì improvvisamente, a soli 48 anni, nella città austriaca il 24 settembre dello stesso anno. Sulle cause della sua morte le notizie sono purtroppo scarse e le ipotesi tante: morte naturale, collasso dopo una libagione esagerata, gravemente ferito dopo una colluttazione con sicari inviati dai suoi nemici.

    Dal 1725 le sue ossa sono state riesumate e sepolte nel porticato della chiesa di San Sebastiano a Salisburgo.
    Il pensiero medico filosofico

    Il giudizio dei posteri delle capacità di P. come medico è variabile a causa del suo approccio molto singolare verso la medicina, di cui egli rifiutò il pensiero ufficiale aristotelico e galenico del tempo, rivolgendosi di più verso un concetto neo-platonico, ispirato da Marsilio Ficino (1433-1499).

    Infatti il complesso mondo medico-filosofico di P. non poteva non tenere conto che l'uomo era parte dell'universo e che le sue malattie erano solo una parte della sua vita. Per poter conoscere quindi questo mondo, P. si dedicò allo studio della Cabala cristiana, leggendo le opere di Johannes Reuchlin, e allo studio dell'alchimia, ma fece anche tesoro delle sue esperienze pratiche di medicina e di chimica farmaceutica.

    Da tutto ciò, egli sviluppò una complessa cosmogonia, il cui principio era l'yliaster o hyaster, [da hýle (materia) e astrum (astro)], una forma di materia cosmica, popolata di entità, come ens astrorum (influenze cosmiche), ens veneni (sostanze tossiche), ens naturale et spirituale (difetti fisici o mentali) ed ens deale (malattie inviate dalla Provvidenza).

    Eppure le sue intuizioni mediche rimasero insuperate per secoli, come l'uso rivoluzionario dei composti di mercurio, al posto del guaiaco, per combattere la sifilide (per questo, il suo studio in otto volumi sull'argomento fu messo all'Indice per anni), l'impiego di minerali contro la gotta, la descrizione ed eziologia esatta della silicosi, il valore curativo delle acque minerali, l'uso di tinture di erboristeria e di metodi omeopatici ante litteram.
    Il pensiero religioso

    Benché P. si mantenesse, almeno ufficialmente, cattolico per tutta la sua vita, egli tese verso un concetto d'illuminazione interna, cara ai mistici di tutte le correnti cristiane. I misteri di Dio nella creazione del mondo potevano, secondo P., essere utilizzati dal mago veramente pio. Era inoltre un millenarista e credeva inoltre nel miglioramento dell'uomo e nell'incremento della conoscenza, attraverso l'aiuto divino e la riscoperta della pietra filosofale, cosicché il mondo avrebbe potuto prepararsi per il Regno dei Santi dei Mille Anni (la cosiddetta quarta monarchia). Simili convinzioni le espresse il suo seguace Heinrich Khunrath.
    Le opere

    La maggior parte delle sue opere fu da lui dettata al pupillo preferito Johannes Oporinus (1507-1568) e pubblicata dopo la sua morte. Esse comprendono:

    * Archidoxae medicinae libri (1524), sull'alchimia.
    * Drei bücher von den Franzosen [Tre (diventati poi otto) libri sulla malattia francese (sifilide)] (1528).
    * Practica Theophrasti Paracelsi (1529), il primo libro pubblicato.
    * Das buch Paragranum (1529), sulla scienza magica.
    * Opus paramirum (1531), sull'uso magico e per scopi medici di erbe medicinali e farmaci.
    * Der grossen Wundartznei (Il grande libro della chirurgia)(1536), la sua opera più famosa.
    * Prognosticatio eximii doctoris Theophrasti Paracelsi (1536), contenente una serie di 32 profezie.

    www.eresie.it - Paracelso (Bombast von Hohenheim), Theophrastus Philipp Aureolus (1493-1541)
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    I contemporanei lo hanno insultato e perseguitato, i colleghi lo hanno odiato, i poveri lo hanno esaltato. Personalità contradditoria, carattere orribile e terribile, polemista di tempra eccezionale, lavoratore furibondo: quarantotto anni trascorsi in vagabondaggi, in ricerche, in lotte penose senza fine. Ma soprattutto – nei discorsi, nei consulti, negli scritti – invettive e proteste, parolacce e odio contro i detrattori. Contestatore impenitente: lezioni universitarie tenute in “lingua volgare”, abiti sporchi, disprezzo per i “classici della medicina”. Orgoglioso e presuntuoso: Paracelso, personaggio scomodo e irritante.

    Di statura misera (150 centimetri), di carnagione flaccida, goffo con quella enorme spada che gli serve quasi da sostegno (spesso girava munito di una spada imponente dalla quale difficilmente si separava, anche perché in una apertura dell'elsa celava le sue pillole di laudano – nota mia), Paracelso perde spesso la pazienza quando si rivolge ai nemici veri o immaginari: "Io vi dico che il mio cappello ha più esperienza di tutte le vostre Università e che i peli della mia barba sono più sapienti di voi e dei vostri autori; le fibbie delle mie scarpe sono più dotte di Galeno e Avicenna, la mia barba ha più esperienza delle vostre accademie. O Greci, Latini, Francesi, Italiani, io sarò il vostro Re."
    Volevano discutere le sue tesi rivoluzionarie? Risposta: "Non posso dunque dare la pappa in bocca a ogni somaro rustico…". Figuratevi con che gioia avrà buttato alle fiamme i libri di Avicenna e Galeno, pronunziando le solenni parole: "Si disperda nel fumo ogni mala cosa!".

    Paracelso, come medico, non temeva rivali. Poteva essere calunniato ma, nei momenti gravi, tutti bussavano alla sua porta. Come chirurgo si rivelò abilissimo e come manipolatore di farmachi probabilmente non fu superato da alcuno dei contemporanei. Ma questo stesso grande medico non rinuncerà mai alla magia e alla meditazione occulta. Combatterà la gretta superstizione, ma si invischierà in tesi e affermazioni incredibilmente ingenue: metterà in rapporto le malattie con le calamità, cercherà nella forma delle piante l'immagine corrispondente dell'organo da curare, parlerà di vampiri e incubi-succubi come di enti provenienti dallo sperma sparso nei conventi e nei postriboli. Scruterà le costellazioni nefaste, converserà con le streghe e con il demonio, ma giurerà sull'efficacia della terapia chimica, osservando il malato con assoluto rigore.

    Nell'ambito della psico-patologia avrà intuizioni mirabili, e basti il riferimento alla motivazione inconscia nella genesi dell'isterismo, ma – meditando sul furore maniacale – approverà l'intervento orribile: tagliare al malato le dita dei piedi o delle mani per permettere all'aria fresca di temperare il fuoco degli umori.[…]

    E poi insorgono altre difficoltà. Ricostruire la vita e gli itinerari di Paracelso è faccenda problematica, collegare le fasi del suo pensiero è fatica improba, capire il legame tra lo spirito scientifico e l'atteggiamento magico diventa spesso impossibile. Quasi quattrocento scritti, un miscuglio inaudito di tesi mediche e di speculazioni occulte, pagine contradditorie e volutamente provocatorie. […] Scrive, scrive come un forsennato. Ma anche qui avrà poca fortuna: troppo spesso le autorità proibiranno la pubblicazione e la diffusione delle sue opere (la gran parte sarà pubblicata dopo la sua morte).

    Come prendere-afferrare-definire questo personaggio, come e dove "collocarlo"? Ma, in fondo, forse è sterile voler dividere con un taglio netto, nel Cinquecento, l'atteggiamento magico dall'atteggiamento tecnico-scientifico, perché (osserva Geymonat) la ricerca in quei tempi si svolgeva veramente così, nella continua oscillazione di motivi razionali e irrazionali. E forse l'originalità di Paracelso è tutta qui, nel suo essere un uomo tragico che si dibatte tra due strade, che si agita tra due mondi: è furioso nell'entusiasmo occultistico, è iconoclasta nell'entusiasmo scientifico. Si impegna sempre a fondo, con assoluta generosità, pagando di persona. Uomini come Paracelso non possono essere felici. Essi sono in tutto e per tutto degli "irregolari" e la loro esistenza è come una corsa affannosa. E, per quanto possa sembrare strano, sono in fondo delle anime fragili, perché eternamente sensibili ai più disparati richiami. Paracelso occultista, medico, predicatore insonne: ogni tappa sembra quella decisiva, ma in realtà non è altro che il preludio di cambiamenti successivi.

    E la condizione umana di Paracelso è dura: egli è l'uomo della solitudine più desolata. Nessun amico a sostenerlo fino in fondo, nessun discepolo fidato, non un solo sorriso femminile in tutta la vita. Nel testamento si dichiarerà miserabile creatura e implorerà perdono e, alla morte, nonostante le cure prodigiose che avevano suscitato tanto entusiasmo e tanta invidia, non gli rimarranno che due soldi da distribuire ai poveri.

    Da Paracelso, medico e mago – Antonio Miotto (Ferro edizioni, Milano - pagg. 13 e seguenti)



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    Massimo Centini

    ESPERIENZE DI… CREAZIONE

    La creazione della vita fu per Paracelso un argomento di grande fascino, che lo impegnò a fondo, fino a concretizzarsi nel mito dell’Homunculus, prodotto in vitro attraverso un articolato processo chimico-biologico, non indenne dalle condizionanti simboliche dell’alchimia. A differenza del Golem, in cui l’atto creativo si basa sulla magia della parola, nell’Homunculus la vita è prodotta da un’azione in cui possono essere scorti concreti riferimenti al meccanismo alchemico.

    Infatti, per la realizzazione dell’Homunculus è indispensabile un vaso, che può essere simbolicamente posto in relazione con l’Athanor degli alchimisti, entro cui erano effettuate le procedure relative alla trasmutazione degli elementi, per mezzo delle quali il piombo si sarebbe trasformato in oro. Così il meccanismo simbolico si amplia ulteriormente: il recipiente in vetro sarebbe metafora della placenta. In realtà, nei trattati anatomici tardomedievali, la membrana è spesso raffigurata come un’ampolla entro la quale si forma la vita.



    In genere, si attribuiva ad Arnaldo da Villanova (1240 – 1313) una prima riflessione teorica sull’Homunculus, anche se fu Paracelso ad affrontare l’argomento con un atteggiamento razionale, giungendo ad elaborare i metodi scientifici per la creazione del misterioso essere: ”… Ora mi preme di parlare soprattutto della generazione dell’omuncolo. Argomento conservato sinora con grande segretezza. Fu dubbio e problema non piccolo tra gli antichi filosofi se l’arte e la natura fossero capaci di generare un uomo dal corpo di una donna, senza una madre naturale. Io rispondo a questo che ciò non è per niente contro all’arte spagirica e alla natura, ma anzi che è ben possibile. Ed ecco il procedimento di come ciò avviene: il seme di un uomo viene fatto putrificare in un alambicco sigillato, al calore di un ventre equino, con la massima putrificazione e per quaranta giorni o anche più a lungo, finché non diventa vivo e mobile, ciò che si può constatare facilmente. Dopo questo tempo comincerà a somigliare all’uomo in certo modo, ma sarà trasparente in un corpo. Se dopo di ciò lo si nutrirà abbondantemente con l’arcano del sangue umano per quaranta settimane e se lo si conserverà nel calore uniforme del ventre equino, ne nascerà un vero e vivo fanciullo umano provvisto di tutte le membra come un qualsiasi neonato generato da donna, ma molto più piccolo, e noi lo chiameremo omuncolo ed esso sarà educato con molta cura e diligenza non diversamente da qualsiasi altro fanciullo, finché non terminerà la sua crescita e non giungerà all’età dell’intelligenza…” (Paracelso- De rerum natura, I libro).

    Nella pratica alchimistica proposta da Paracelso, è evidente in primis l’intenzione dell’uomo di appropriarsi del potere femminile della creazione, attraverso la metafora del “ventre equino” e, soprattutto, senza una madre naturale. Nell’esperienza di Paracelso è lo sperma a essere il soggetto principale della formazione dell’Homunculus, che aliena ogni ruolo della donna, in misura ancora maggiore rispetto al mito maschilista del Golem, in cui però vi è comunque un riferimento al femminile attraverso l’elemento terra che partecipa alla formazione della creatura.

    Massimo Centini su Hera n° 35 (novembre 2002)

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    La figura di Paracelso si colloca nel territorio di confine tra scienza e magia, situazione abbastanza usuale per quel tempo. Eppure i giudizi sul suo ruolo furono tutt'altro che generosi. Colpa, probabilmente, del suo carattere arrogante e ribelle, che nulla fece per accattivarsi la simpatia e la considerazione di chi deteneva il potere culturale e sociale.




    Pierangelo Garzia

    IL MEDICO ERRANTE


    Stralcio da un articolo di Abstracta n° 52 (ottobre 1990)


    […] Gli storici del passato hanno volentieri fissato la propria attenzione sugli aspetti disdicevoli di Paracelso, trascurando, o ignorando completamente, quanto egli avesse introdotto di interessante nella storia medica. Walter Pagel, che è stato il più autorevole studioso di Paracelso dei tempi moderni, ha invece compiuto un imponente lavoro di decifrazione e di collocazione filosofico-scientifica degli scritti paracelsiani, senza mai abbandonarsi alla facile seduzione del Paracelso anticipatore, né alla altrettanto semplice denigrazione del Paracelso sbruffone, ma piuttosto mantenendosi in accorto equilibrio tra i due aspetti.
    Come giustamente mette sull'avviso Pagel, è tendenza comune della nostra epoca esaltare gli aspetti di un personaggio del passato che si conciliano con le nostre vedute attuali, scartando invece quelli che sono frutto di credenze e di superstizioni oggi inaccettabili. Ma l'errore sta proprio in questo procedimento di selezione. perché così facendo ci si dimentica che l'opera di Paracelso va vista come un tutto, una cosa unica, con una sola anima. Charles Webster, un altro storico contemporaneo che si è occupato di Paracelso. sostiene che dovremmo ormai essere in grado di comprendere «un'età in cui le questioni religiose e quelle scientifiche costituivano un tutto inscindibile» (1). È quindi impossibile estrapolare dall'opera di Paracelso delle concezioni strettamente mediche che non abbiano le proprie radici saldamente affondate nel terreno di una visuale più ampia e complessa dell'uomo e della natura, che investe a dir poco la filosofia neoplatonica, lo gnosticismo, l'alchimia, l'astrologia e la religione. Sarebbe come estrarre un frammento dal corpus paracelsiano senza rendersi conto dei filamenti che da esso si dipartono, verso tali e tante direzioni che nessuno storico del pensiero, per ammissione dello stesso Pagel, è riuscito totalmente a chiarire.

    Fatte salve queste premesse e oggettive difficoltà, che renderebbero ridicolo qualsiasi tentativo di semplificare il pensiero paracelsiano, vi sono sicuramente alcune linee guida nella medicina filosofica di Paracelso, che si possono utilizzare come chiave di interpretazione complessiva della sua opera e delle sue scoperte. Innanzitutto per Paracelso la medicina rappresenta la massima conoscenza raggiungibile, che compendia in sé tutto ciò che è possibile sapere sulla natura e sull'uomo. Ed è a favore di questa conoscenza, summa suprema di tutte le altre, che Paracelso dà libero sfogo all'immaginazione, al pensiero analogico, coniugando tra loro gli spunti più vari, tratti dall'esperienza medica quotidiana, a fianco di quelli provenienti dalla cosmologia, dalla religione, dall'alchimia, dalla chimica. Del resto, soltanto una medicina così concepita può occuparsi dell'uomo, un microcosmo che è sintesi di tutte le cose, situato in una posizione intermedia tra il mondo materiale e quello spirituale. Il sistema medico paracelsiano è fondato sulla fede nel parallelismo tra l'uomo e il cosmo. E in questa concezione si frammischiano inestricabilmente, ad esempio, le esperienze di terapeuta pratico acquisite a fianco del padre medico, che si recava a curare i lavoranti delle miniere, con gli insegnamenti di ecclesiastici e alchimisti, come quelli del famoso Giovanni Tritemio di Sponheim, che gli vennero impartiti in gioventù, prima di recarsi all'università di Ferrara, dove però non è certo che si sia mai addottorato in medicina (2).





    E per questa via di analogie, tra insegnamenti diversi, che Paracelso vede il corpo umano come una miniera, e perciò curabile con i prodotti della miniera, che concepisce una base chimica per le malattie, prevedendo dei rimedi chimici per allontanarle. E il suo famoso motto rivolto ai colleghi, suona alle nostre orecchie come una delle più azzeccate profezie: «Al di fuori della chimica brancolrete nelle tenebre» (3). E' singolare che tre secoli dopo questa affermazione di Paracelso, proprio un chimico, Louis Pasteur, rivoluzionerà da cima a fondo la medicina, trovandosi anch'egli osteggiato e venendo anche lui definito un riformatore.
    Sono molte le intuizioni di Paracelso che oggi ci lasciano esterrefatti per la loro esattezza, e nel contempo ci danno la sensazione che le sofferenze dell'umanità sarebbero state anticipatamente alleviate rispetto ai tempi, se tali intuizioni avesseri trovato subito la debita considerazione e il giusto seguito (quasi tutti i libri di Paracelso cominciarono a circolare soltanto 20 anni dopo la sua morte). Di Paracelso è ad esempio la prima segnalazione di una malattia professionale, e per questo lo si potrebbe senz'altro ritenere il progenitore della medicina del lavoro: nel suo libro sulle Malattie dei minatori egli descrive sintomi riferibili all'avvelenamento di certi metalli, che non manca di elencare. E inoltre non è soltanto l'iniziatore riconosciuto della iatrochimica. ma addirittura concepisce una terapia mirata per ogni distretto dell'organismo. A proposito del farmaco, commentando Paracelso, Pagel scrive: «Dal medico ci si deve aspettare che dia ad esso una direzione, per la testa, per il cervello, per il fegato» (4).

    Accanto alle sue intuizioni sul ruolo giocato dall'emotività nella manifestazione di certe malattie psicosomatiche, sul valore terapeutico delle acque termali, sui sintomi che annunciano l'epilessia, non vi è oggi alcun dubbio storico sul fatto che egli sia stato il primo sperimentatore degli effetti narcotici dell'etere (anche se tale preparato era già noto dall'antichità), che Paracelso provò prima in una sperimentazione animale, condotta sui polli, e successivamente sull'uomo. Molti dei prodigi terapeutici che gli vennero attribuiti, andrebbero in realtà fatti risalire all'impiego di sostanze sedative, come il laudano, di cui portava sempre con sé una certa quantità. e che gli consentivano di lenire al momento il dolore più urente. Sua è infine l'idea che il medico debba viaggiare, apprendere quanto più possibile dall'esperienza pratica a contatto con la gente, perché: «Si apprende assai di più peregrinando che rimanendo accanto al camino» (5). Massima che oggi potrebbe campeggiare nelle sale di qualche convegno scientifico, che ogni ricercatore è costretto a seguire da un capo all'altro del mondo. Direi che sta proprio in questo peregrinare da un luogo all'altro, della mente e dello spazio geografico, che è possìbile rintracciare una chiave di lettura di Paracelso. Paracelso è una figura di studioso che ricerca l'intimo connubio con l'oggetto della sua ricerca, tanto da suggerire che si «origli» per cogliere da una malattia la conoscenza che possiede.




    Per capire una malattia, dice Paracelso, non bisogna ragionare da uomo, ma bensì farlo come se si fosse lo stesso agente patogeno che la provoca. Un'idea attualissima, che anticipa il pensiero di molti ricercatori contemporanei, i quali sostengono che per decifrare malattie complesse come ad esempio l'Aids, bisognerebbe riuscire a «pensare» come il virus che ne è la causa. Per progredire, la medicina è effettivamente passata dal cosmo di Paracelso alle molecole dei moderni laboratori, tuttavia la capacità di utilizzare l'immaginazione come un sole interno che rischiari tra le tenebre di fenomeni complessi, rimane di fondamentale importanza. «Cos'altro è», si chiede Paracelso, «l'immaginazione se non un sole nell'uomo che agisce attraverso il suo circolo?» (6).
    In tutta la storia dell'umanità il ruolo del medico, o comunque di colui che per scelta e professione presta le sue cure alla gente sofferente, è stato investito di attese quanto mai varie e complesse, che vanno dalla restituzione della salute al significato da conferire alla vita e alla morte. Il medico attuale, che ne sia consapevole o meno, è una figura alquanto sfaccettata, un impasto psicologico in cui convergono tendenze antichissime e acquisizioni moderne. Figure come quella di Paracelso costituiscono delle presenze ingombranti per chi vorrebbe vedere il cammino umano come tracciato su un'unica strada, che non devia mai dal corso della razionalità. Fu Bacone, uno dei più accesi critici dì Paracelso, a sostenere che «gli storpi sulla strada superano le persone agili che camminano fuori di essa» (7), con chiaro ed efficace riferimento alle vie della ragione in contrasto con i sentieri tortuosi della fantasia sfrenata.

    Una mente errante come quella di Paracelso forse non ci condurrà verso una meta ben definita, ma ci farà intuire che il rinascimento è una esigenza profonda dell'umanità, che la ricerca è un processo in continuo rinnovamento, la quale, pur utilizzando la strada già tracciata, ha contemporaneamente l'esigenza di avventurarsi in territori ignoti. E ciò è tanto più vero se si pensa che per Paracelso non esiste una medicina che sia eterna, valida per gli uomini di qualsiasi epoca storica. I problemi cambiano, le malattie che colpiscono l'uomo anche, e dunque la medicina deve modificarsi se vuole seguitare ad essere efficace. Il medico errante, l'uomo che voleva rompere con la stasi imposta dal passato, a dispetto della sua follia, o forse anche in virtù di essa, aveva ragione da vendere.



    NOTE

    (1) Charles Webster, Magia e scienza da Paracelso a Newton, Il Mulino, Bologna 1984, p. 149
    (2) La questione è controversa, ma attraverso ricerche condotte nei registri dell'università di Ferrara e altrove, non si è mai giunti alla prova che Paracelso abbia realmente conseguito la laurea in medicina. «Probabilmente Paracelso conseguì solo uno dei gradi minori in medicina allora conferiti a Ferrara» (W. Pagel, Paracelso, II Saggiatore, Milano 1989, pp, 281, 361-362). Si potrebbe pensare che l'assenza di una reale investitura accademica di Paracelso sia un motivo della sua ribellione all'ambiente universitario del tempo.
    (3)Kos 27, F. M. Ricci, Milano 1986, pag. 23
    (4) Walter Pagel, Paracelso, II Saggiatore, Milano 1989, p. 63.
    (5) Kos fasc. cit. p. 10 - W. Pagel, op .cit. p. 52: «Colui che desidera esplorare la natura deve calpestarne i libri coi piedi. A scrivere si impara dalle lettere, la Natura, invece, la si conosce (viaggiando) di paese in paese: gni paese una pagina».
    (6) W. Pagel, op. cit. pp. 99, 183, 367
    (7) Cit. in W.I.B, Beveridge, L'arte delta ricerca scientifica, a cura di F. Voltaggio, Armando Armando, Roma 1981, p. 13


    Stralcio da un articolo di Abstracta n° 52 (Stile Regina Editrice - ottobre 1990)

  7. #7
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    Predefinito Re: Paracelso

    Giuseppe Cosco

    LA MEDICINA A MISURA D'UOMO DI PARACELSO





    Scriveva il medico Luigi Oreste Speciani: "le malattie che la medicina attuale non sa curare - cancro compreso - vengono... da un turbamento dell'Id (cioè dell'anima vegetativa, Nefesh ebraico, forma corporis tomasiana, aura di Kirljan, orgone di Reich, prahna) da non confondersi con l'anima sopravvivente, cioè il Ruak-sheol ebraico, la substantia spiritualis di San Tommaso, oggetto delle speculazioni metafisiche e teologiche".

    Nell'individuo l'unità mente-corpo è inscindibile. La medicina sintomatica si affanna inutilmente a curare l'organo perdendo di vista l'insieme, la totalità dell'individuo, sintesi di anima e soma, che è la comprensione di tutto.

    Oreste Speciani questo lo aveva ben compreso e affermava che: "La chiave del mistero è la natura psicosomatica dell'uomo" e che "l'uomo è l'unica medicina di se stesso, e che nessuno dei nostri superbi interventi è capace di guarire, ma solo di aiutare l'uomo a farlo".

    Cinque secoli addietro Theophrastus Paracelsus (1493-1541) insegnava i principi di una medicina a misura d’uomo. Egli, nel corso della sua vita travagliata, si occupò anche di psicologia e di malattie mentali. Trattò e spiegò gli stati di mania, il ballo di San Vito, l’epilessia e le nevrosi nel De Morbis e nei Libri Philosophiae (I, De Lunaticis).
    Si occupò delle ossessioni e dei sogni nei Fragmenta Librorum Philosophiae (II, De Daemoniacis et Obsessis; III, De Somniis et Euntibus in somno; VI, De Virtute Imaginationis), dell’isteria e di psicoterapia nel De Caduco matricis. Egli fu medico dell’anima e del corpo.

    Insegnò ai suoi studenti che "...è la virtù che dovrà sostenere il medico fino alla morte" e cioé l’assenza di venalità e di presunzione. Non seguì affatto l’esempio dei suoi colleghi, sempre pronti ad inginocchiarsi davanti ai potenti dell’epoca, per supplicare qualche favore. Egli non si sottomise ad alcuno, coerente al suo motto: "Non sia di altri chi può esser di se stesso".
    Ignoranti e invidiosi dei suoi successi in medicina gli resero, veramente, la vita impossibile; lo attaccarono senza ritegno accusandolo di essere solo un fanatico millantatore. Paracelso, esasperato, aggredì la classe medica del suo tempo con estrema durezza: "La vostra arte non consiste nel curare il malato, ma nel carpire il favore dei ricchi, nell’imbrogliare il povero... Voi appartenete alla stirpe dei serpenti, e io non aspetto da voi altro che veleno. Voi non risparmiate il malato: come potrei aspettarmi che vogliate rispettare me, che sto intaccando le vostre entrate mettendo in pubblico le vostre pretese e la vostra ignoranza?" .

    Fu accusato di tutto e perseguitato. Si disse che era un mago, uno stregone, lontano da Dio, che apparteneva alla chiesa riformata e quasi tutti i suoi biografi questo scrissero di lui; ma non è vero. Scrive Antonio Miotto che "negli ultimi anni della sua vita errabonda Paracelso si sia accostato alla chiesa di Roma. ...Paracelso volle essere sepolto nella chiesa di San Sebastiano e sappiamo che il suo desiderio fu esaudito. ...Sappiamo, inoltre, che fu proprio il Vescovo di Colonia che incaricò Giovanni Huser a curare la prima edizione delle opere di Paracelso".
    In un altro documento... a proposito della fede religiosa di Paracelso - Miotto cita il Labirinto dei Medici erranti del 1538 e spiega: "Perché, in verità, chi non conosce Dio, non lo ama e non ne sa nulla; chi non sa nulla della Trinità, non vi crede e perciò non l’ama; chi non conosce Maria, non l’ama; chi non conosce i santi, non li ama" (A. Miotto, Paracelso il medico stregone, Fratelli Melita Editori, Genova 1988). Questo fu il vero Paracelso.

    Egli affermò che siamo "Angeli che dormono ancora il greve sonno della carne. Se continueremo a dormire, rimarremo sordi all’appello del Signore. L’uomo deve destarsi, aprire gli occhi alla verità se non vuole correre il rischio di attraversare la vita come un bruto incosciente". E - dice Antonio Miotto - questa era la missione di Paracelso negli anni del vagabondaggio nelle zone montane, quando egli affrontò la miseria e la fame.


    Di seguito riporto alcuni aforismi medici tratti dagli scritti di Paracelso (F. Hartmann, Il mondo magico di Paracelso, Mediterranee, Roma 1982):

    "L'ambiente fisico del paziente può avere una grande influenza sul corso della sua malattia. Se è assistito da persone che sono in simpatia con lui, sarà per lui tanto meglio che se sua moglie o chi gli è intorno desiderano la sua morte".

    "Io apprezzo i medici spagirici
    (spagirica è detta la medicina praticata da Paracelso e spagirici i suoi seguaci, N.d.A.) , perché non vanno in giro oziosamente e dandosi delle arie... ma sono pazientemente occupati giorno e notte nel loro lavoro... Non fanno chiacchiere né lodano le loro medicine...".

    "La natura causa e cura le malattie, ed è quindi necessario che il medico conosca i processi della Natura, l'uomo invisibile al pari dell'uomo visibile".

    "Vi è nell'uomo un duplice potere attivo: l'uno che agisce invisibilmente, o potere vitale, e l'altro che agisce visibilmente o forza meccanica. Il corpo visibile ha le sue forze naturali, e il corpo invisibile ha le sue forze naturali egualmente; i rimedi di tutte le malattie o lesioni che possono colpire la forma visibile sono contenuti nel corpo invisibile...".

    "L'Anatomia del Microcosmo è duplice: 1) l'anatomia locale, che insegna la costituzione del corpo fisico, le ossa, i muscoli, i veicoli del sangue ecc.; 2) la più importante anatomia materiale, ossia l'anatomia dell'uomo interiore vivente. Quest'ultima è il più importante genere di anatomia che il medico deve conoscere... Se conosciamo l'anatomia dell'uomo interiore, conosciamo la prima materia, e possiamo vedere la natura delle sue malattie al pari dei rimedi. Ciò che vediamo con gli occhi esterni è l'ultima materia. Dividendo e sezionando il corpo esterno, non possiamo imparare nulla sull'uomo interno e distruggiamo semplicemente l'unità del tutto".

    "Coloro che si limitano a studiare e a trattare gli effetti della malattia sono come persone che si immaginano di poter mandar via l'inverno spazzando la neve sulla soglia della loro porta. Non è la neve che causa l'inverno, ma l'inverno che causa la neve".

    "L'origine delle malattie è nell'uomo e non fuori di esso; ma le influenze esterne agiscono sull'intimo e fanno sviluppare le malattie... Un medico... dovrebbe conoscere l'uomo nella sua interezza e non solo nella sua forma esterna".

    "Un uomo adirato non è adirato solo nella sua testa o nei suoi pugni, ma dappertutto; una persona che ama non ama solo con l'occhio, ma con tutto il suo essere; in breve, tutti gli organi del corpo, e il corpo stesso, sono solo forme-manifestazioni di stati mentali...".

    "La vita che è attiva negli organi è l'anima vegetativa (l'anima animale). E' un fuoco invisibile (zolfo), che può facilmente divampare in fiamma per il potere dell'immaginazione".
    "Chi vuole conoscere l'uomo deve guardarlo nel suo complesso e non come una struttura messa su alla meglio. Se trova malata una parte del corpo, deve cercare le cause che producono tale malattia e non limitarsi a trattare gli effetti esterni".




  8. #8
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    Predefinito Re: Paracelso

    Mi colpisce molto non solo la gran quantità di scritti prodotti da Paracelso nell'arco della sua movimentata vita, ma anche e soprattutto il fatto che la gran parte di essi non siano stati mai tradotti in italiano (sono rimasti in latino oppure in tedesco). Eppure non dovrebbe essere troppo complesso per degli specialisti di latino o tedesco antico darsi da fare in questa direzione, anche perché gli argomenti trattati sono davvero molto interessanti.

  9. #9
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    Predefinito Re: Paracelso

    Paracelso - Aforismi


    "Siamo angeli che dormono ancora il greve sonno della carne. L'uomo deve destarsi, aprire gli occhi alla verità se non vuole correre il rischio di attraversare la vita come un bruto incosciente."

    "Non vi è da temere alcuna morte che non sia quella che risulta dall'essere inconscio della presenza di Dio."

    "Un uomo adirato non è adirato solo nella sua testa o nei suoi pugni, ma dappertutto; una persona che ama non ama solo con l'occhio, ma con tutto il suo essere; in breve, tutti gli organi del corpo, e il corpo stesso, sono solo forme-manifestazioni di stati mentali."

    "Nel mondo c'è un ordine naturale di farmacie, poiché tutti i prati e i pascoli, tutte le montagne e colline sono farmacie."

    "Tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto."

    "Non sia di altri chi può esser di se stesso"

    "Vi è nell'uomo un duplice potere attivo: l'uno che agisce invisibilmente, o potere vitale, e l'altro che agisce visibilmente o forza meccanica. Il corpo visibile ha le sue forze naturali, e il corpo invisibile ha le sue forze naturali egualmente; i rimedi di tutte le malattie o lesioni che possono colpire la forma visibile sono contenuti nel corpo invisibile..."


    "Colui che non sa niente, non ama niente.
    Colui che non fa niente, non capisce niente.
    Colui che non capisce niente è spregevole.
    Ma colui che capisce, ama, vede, osserva...
    La maggiore conoscenza è congiunta indissolubilmente all'amore...
    Chiunque creda che tutti i frutti maturino contemporaneamente come le fragole, non sa nulla dell'uva."

    "Nella natura tutto il mondo è una farmacia che non possiede neppure un tetto."

    "Ho osservato tutti gli esseri: pietre, piante e animali e mi sono sembrate come lettere sparse rispetto alle quali l'uomo è parola viva e piena."

    "Non sono né il diavolo né il medico a guarire, ma solo Dio attraverso la medicina."

    "Ma è proprio vero che nella terra ci sono ancora molte cose che non conosco [...] che Dio farà manifestare cose mai viste e mai rivelate che non abbiamo mai saputo. Perciò qualcuno verrà dopo di me [...] e le spiegherà."

    "Tutte le cose sono un ente, doppio, perché divine e umane, triplo perché spirituali, e dotate di anima e di corpo: un olio (=zolfo), una pietra (=pietra filosofale =mercurio), un carvunculus (=sale)."

    "Bisogna fare una distinzione tra i medici che procedono secondo la legge di Dio e quelli che procedono secondo la legge degli uomini; gli uni sono al servizio della carità, gli altri dell'utile privato."

    "Un medico che, sul suo paziente, non sa altro che quanto questi gli dice, conosce in realtà molto poco. Egli deve saper giudicare dalle sue apparenze esterne le sue condizioni interne. Deve saper vedere l'intimo dell'uomo esterno."

    "Chi vuole conoscere l'uomo deve guardarlo nel suo complesso e non come una struttura messa su alla meglio. Se trova malata una parte del corpo, deve cercare le cause che producono tale malattia e non limitarsi a trattare gli effetti esterni."

    "Coloro che si limitano a studiare e a trattare gli effetti della malattia sono come persone che si immaginano di poter mandar via l'inverno spazzando la neve sulla soglia della loro porta. Non è la neve che causa l'inverno, ma l'inverno che causa la neve."

    "Il ciarlatano studia le malattie negli organi colpiti, dove non trova altro che effetti già avvenuti, e [resta] sempre un ignorante per quello che riguarda le cause. Il vero medico studia le cause delle malattie studiando l'uomo universale."

    "L'origine delle malattie è nell'uomo e non fuori di esso; ma le influenze esterne agiscono sull'intimo e fanno sviluppare le malattie. Un medico [...] dovrebbe conoscere l'uomo nella sua interezza e non solo nella sua forma esterna."


    AFORISMI DI PARACELSO (Philippus Theophrastus Bombast von Hohenheim, detto Paracelsus)
    Ultima modifica di GNU-GPL; 20-08-13 alle 20:27

 

 

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