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Discussione: La Stregheria italiana

  1. #11
    Ghibellino
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    Predefinito Re: La Stregheria italiana

    Quando la Dea era dentro tra Sacro e comune.

    Erano donne semplici…Normalissime…
    Questo è il Sentiero della Dea in Italia…
    I Boschi erano il nostro Luogo….”



    “Erano solo semplicemente se stesse e la Dea era dentro

    Sciamanesimo, Antica Religione, l’Italia, la Terra, le campagne, i monti e le colline.
    Scoprire un percorso del tutto italiano, non è stato assolutamente facile poiché è consuetudine trovare attorno a me proposte letterarie atte a porci in contatto con ciò che sono le religioni orientali, indiane e via dicendo.
    Se chiedessimo a qualcuno quali sono le nostre radici religiose, dove attingevano un tempo, le nostre nonne, le nostre ave per accrescere la propria Forza, la Fede quasi sicuramente ci direbbe nella religione cristiana.
    C’era un tempo, però, e c’è ancora in qualche cuore posto in ascolto, una fiducia incrollabile nel Sacro Ciclo della Natura, non nel fatto che sarebbe andato sempre tutto bene, sempre in salute e via dicendo; ma nella Consapevolezza, al di là dell’umana condizione, che ad ogni nascita, segue una crescita, una morte ed una rinascita.
    Anche quest’anno mi sono recata in quello che per me è un Luogo Sacro, di profonda liberazione e Conoscenza: Triora, la Cabotina, il bosco attorno a questo posto incantato e mi viene da sorridere al pensiero che l’anno scorso, in occasione di Striora, visitai il museo di stregoneria e scappai letteralmente per il dolore che provai nello stare in quel posto; quest’anno, invece, vidi l’assurdità del tutto!
    Le donne tacciate di stregoneria oltre al fatto che mai avrebbero pensato di finire incarcerate per essere solo se tesse, di certo ridono a crepapelle nel vedersi addirittura dentro un museo.
    Spiego: il pentolone, le sedie, gli utensili che si trovano in quel museo erano gli utensili di tutti i giorni con cui vivevano; gufi, civette, scenografie particolari servono oggi a ricreare fantasticamente una realtà diversa!
    Se le Donne di Triora fossero oggi qui, userebbero il forno a microonde, la lavatrice e il portatile!
    Ciò che voglio dire è che erano semplicemente donne normalissime, le quali essendo per forza di cose a contatto con la terra (contadine) nel silenzio del bosco, era ovvio che fossero nella Conoscenza!
    Quotidianamente ascoltavano, vedevano le forme delle erbe e ne percepivano la vibrazione, sperimentavano, accudivano, erano a contatto con la vita e con la morte. Le percezioni erano naturali; loro non facevano un corso per dire: sono erborista, loro lo erano!
    Concretamente ritenevano l’acqua un dono prezioso perché pensiamo a noi, dopo una giornata mettiamo in fattoria, in cascina a mungere le mucche, a pulire lo sterco dei maiali e via dicendo…Come minimo ci laveremo col sapone!
    La differenza sostanziale è che per noi oggi è tutto scontato, ovvio…
    Arrivo a casa, apro il rubinetto e via, mi lavo!
    Allora no, non era così.
    L’acqua si andava a prendere e quindi la fatica di andare a prenderla perché non c’era il principe azzurro che col suo destriero bianco giungeva profumato con Acqua di Colonia per aiutare queste donne nel trasporto dell’acqua!
    L’Acqua era Sacra!
    Punto e basta!


    I panni stesi al sole, dopo averli faticosamente lavati da sole, a mano con la cenere, avevano in sé una vibrazione particolare a cui noi oggi pensiamo, ma allora non c’era il tempo di star lì a dire: questo vibra, vedo e percepisco l’energia!
    Le donne di Triora erano l’energia!
    Non dovevano dirsi chi o cosa fossero; lo erano e basta!
    Una rosa non ci dice: sono una rosa!
    Essa è una Rosa!
    Erano donne spesso trattate male; non ricevevano chissà quali coccole dai propri uomini; a volte provavano loro stesse, quando si trovavano alla sera, a darsi un po’ d’Amore con piccole attenzioni: bagnarsi nel ruscello, agghindarsi i capelli con fiori appena raccolti.
    Probabilmente oggi, diremmo che erano unite dalla disperazione, ma allora non era così!
    Sapevano di dover contare solo su se stesse, sulle proprie forze.
    Il loro corpo, così immerso nella natura, vibrava in sintonia con il Ritmo del Sole e della Luna; richiami forti, unici. In alcuni mesi dell’anno, in primavera, in estate il corpo, il sesso vibrava più forte e loro seguivano questo susseguirsi di luce e buio racchiuso anche nei loro bellissimi corpi.
    Sentivano istintivamente che dentro esisteva qualcosa di Sacro, divino che inneggiava alla vita, al rispetto di se stessi, quella vero, completo.
    Sentivano dentro di loro quella forza che nutriva le loro azioni, il loro essere così comunemente Sacre!
    Non esisteva per loro la divisione tra: ora lavoro nel campo, ora ricordo e penso al sacro!
    Le loro azioni erano consapevoli, andavano a colmare vuoti che ritmicamente si generavano.
    Una Danza continua.
    Una Danza dell’Equilibrio Sacro.


    Naturalmente la donna, qualsiasi donna è portata ad ascoltare e imparare dal proprio Sangue Mestruale, a generare ricchezza dalle proprie mani, a fruttificare dal proprio operato.
    I tamburi, l’eco che la terra sprigiona è facilmente udibile dalle stesse ovaie delle donne libere di poter essere solo se stesse!
    Trovarsi tra donne voleva dire poter parlare la stessa lingua, celebrare se stesse per il semplice fatto di esserci, di sentirsi stanche o riposate, confortate e ascoltate.
    Era una condivisione della Consapevolezza della fatica di essere donne sensibili, quel tipo di donne che non si soffermano all’aspetto esteriore, alla forma ma ne ascoltano i significati più reconditi.
    Queste donne sentivano di poter fare e di essere e celebravano questa consapevolezza!
    Accendevano i fuochi perché le notti erano buie e ringraziavano e rispettavano il fuoco perché attraverso esso si scaldavano, cucivano, si proteggevano,
    L’aria le rinfrescava dopo giornate passate sotto il sole cocente e la terra, beh, che dire, la terra sosteneva il loro incedere, condivideva con loro le fatiche, le arsure, i germogli e le morti.
    Essa era celebrata e rigenerata attraverso il Sangue Mestruale, ricchissimo di vita e di nutrimento per la terra stessa.
    Sangue e terra e la vita si plasmava.
    Celebrava i riti sacri, ringraziare gli elementi perché essi stessi domavano la ricchezza, erano la prosperità.
    L’animo sensibile è naturalmente predisposto a ringraziare perché si sente bene, è appagato nel profondo.
    Oggi pensiamo sempre di doversi mettere in mostra: io so fare questo e quello e spesso non è vero.
    Allora penso alla me di Triora e ringrazio per ciò che ho potuto imparare andando quest’anno in questo posto intenso e denso: le donne torturate erano Donne normali, capaci di ascoltare e sentire di essere del tutto e per tutto nella loro vita di tutti i gironi, indaffarate a trovar di che sfamare, curare, e nel dare ciò, conobbero il loro reale Potere, il loro essere creatrici e generatrici, nel rispetto del Ciclo della Natura, infinitamente più grande di loro, di noi tutti.
    L’ignoranza, l’invidia, la paura le uccise.
    La gente sapeva ma non fece nulla; quella stessa gente che veniva curata, amata veramente, Iniziata a se stessa, ebbe paura, tradì come 2000 anni or sono.
    Il perdono?
    No, non credo e non desidero perdonare poiché come Donna ne ho subite abbastanza e tutt’oggi la gente è cieca di fronte alla mancanza totale di rispetto verso noi donne.
    I soprusi, gli insulti, la dissacrazione del corpo della donna divenuto finto, di plastica, sofferente a causa di diete e privazioni costanti a cui questa società sottopone le donne.
    E queste che seguono, imbevute e in trance!
    Che scempio!
    No, non perdono ciò che la Chiesa mi ha fatto.
    Il mio corpo martoriato, il mio sesso umiliato e deriso, violentato.
    Io che, come Donna, attraverso l’unione con un Uomo, creo l’essere divino completo, porto l’essere maschile verso il tutto, verso quella Polvere di Stelle di cui è fatta la Via Lattea. Quella luce a cui alcuni uomini venivano iniziati.
    Il divino, la dea dentro me che scorreva e scorre nel mio sangue non sono riusciti a distruggerla.
    Eccomi sono qua: avete ucciso il mio corpo, stancato, derubato, umiliato, ma sono ancora qua e ho ricordato chi ero, cosa stavo facendo e quale il Messaggio che la mia vita, il mio fare deve perpetuare.
    Onestamente ho vinto su di voi che siete le vere tenebre, quelle che odorano di asciutto, secco, quelle che chiudono le narici, ripugnante.
    Mi avete imprigionata, rinchiusa ma mi sono liberata!
    La morte mi ha liberata e sono rinata e la Mente ha ricordato.
    E’ l’anima, il ricordo a resuscitare quella Luce, quel Messaggio … E nulla l’uomo brutale, la vera bestia può fare!
    Dovrebbe distruggere il Messaggio”
    Ma non ci è riuscito e non ci riuscirà mai!
    Il corpo è il messaggero, è il Tempio Sacro di quel messaggio di pura Vita, Amore e Potere.




    DI TATIANA LONGONI: http://ilritmodelmiocuore.blogspot.it
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

  2. #12
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    Predefinito Re: La Stregheria italiana

    Segnalo questo interessante articolo, tra archeologia e magia nera.
    Archeologia, nel sottosuolo di Alghero un "laboratorio" di magia nera - Sardiniapost.it

  3. #13
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    Predefinito Re: La Stregheria italiana

    Superstizione, fede e medicina popolare in Sardegna

    LA SARDEGNA E LE SUE TRADIZIONI POPOLARI. I SARDI TRA SUPERSTIZIONE, FEDE E MEDICINA POPOLARE: LE PRATICHE, LE PREGHIERE E GLI AMULETI CONTRO IL MALOCCHIO.





    Oristano 30 Novembre 2013
    Cari amici,
    la Sardegna è una terra antica, ricca di consuetudini e tradizioni che si sono conservate durante i secoli, nonostante l’influenza dei popoli che l’hanno colonizzata. L’isolamento dovuto all’insularità, soprattutto della popolazione dell’interno, ha determinato il fiorire di superstizioni e credenze popolari che accompagnano il popolo sardo da secoli. Tra le tradizioni popolari più note quella che riguarda la medicina è indubbiamente quella più particolare e curiosa. In tempi lontani la cultura contadina aveva scoperto i rimedi per curare la gran parte delle malattie attraverso un sapiente uso di erbe medicinali, che venivano somministrate, con il “fai da te”, dalle donne anziane esperte; ma oltre i mali comuni, questa saggia ed antica cultura, era in grado di “trattare” anche malattie più complesse, quelle derivanti da suggestioni, da superstizioni e credenze popolari (sempre in Sardegna largamente diffuse), che richiedevano interventi particolari, “mirati”, come quelli per la cura del Malocchio.
    Dai racconti degli anziani apprendiamo che il malocchio era un male così diffuso nell’Isola da suscitare il massimo interesse da parte della cultura magico-popolare contadina che, nel tempo, aveva metabolizzato tutto quell’immenso corpus di credenze, tradizioni e antichi riti legati al Malocchio, approntando, per contrastarlo, dei rimedi e delle pratiche di buona efficacia, anche se, spesso, molto differenti tra loro. Il malocchio è ritenuto una delle credenze più radicate in quasi tutte le culture del mondo: fonte della sua forza l’invidia, il desiderio della cosa altrui, il successo degli altri. In Sardegna, specialmente nei tempi antichi, la credenza nel malocchio era così forte e radicata da influenzare sia il quotidiano, che gli eventi più importanti della vita stessa di ognuno.
    La pratica di “colpire” persone e cose con l’occhio consisteva nel provocare un danno con lo sguardo, che veicolava il pensiero malevolo della persona; nella sua forma più evoluta il malocchio si estrinseca attraverso dei veri e propri rituali, durante i quali si interagisce con la vittima usando oggetti personali oppure una delle sue unghie, dei capelli o comunque qualcosa strettamente legata al bersaglio da colpire. Secondo la tradizione il malocchio non può essere fatto da un membro della propria famiglia: due persone che hanno lo stesso sangue non ne posseggono la capacità e solitamente sono costrette a ricorrere ad un esterno, quest’ultimo può anche essere un cognato oppure una nuora. Stranamente sembra che le vittime più facili da colpire siano le donne mentre i portatori di malocchio più temuti sono gli uomini di cultura e i preti. Così come è facile riconoscere colui o colei che si trova sotto l’influsso del Malocchio, allo stesso modo è facile riconoscere chi è un operatore: tradizionalmente gli strabici, oppure quelli con un solo occhio oppure che soffrono di cataratta o sguardo fisso; questi, in modo particolare, vengono potenzialmente etichettati come “Occhiatori”, cioè coloro che sono in grado di lanciare il Malocchio.
    La cultura contadina aveva messo in atto dei sistemi di contrasto preventivo contro questo male, costituiti sia da gesti che da oggetti: sono gesti particolari ed amuleti apotropaici, da contrapporre al portatore di malocchio e capaci di contrastarne l’influsso malefico. Toccare ferro, corno o secondo una vecchia usanza, poiché spesso colpiva la sfera sessuale, toccarsi i genitali, metteva al riparo dal malocchio, come bestemmiare al passaggio dello iettatore, tirar fuori velocemente la punta della lingua per tre volte, oppure fare le fiche (sas ficas – pollici delle mani tra l’indice ed il medio chiusi a pugno) di nascosto (a fura) al suo indirizzo, usanza diffusa fra gli uomini e le donne, come pure la consuetudine gestuale di sputare, documentata in Sardegna persino in un manoscritto anonimo del settecento. Oltre ai gesti hanno avuto diffusione tutta una serie di oggetti, che nel tempo hanno acquisito valore socio-culturale, definiti “amuleti”, tutti riconducibili al contrasto del malocchio, costituiti da materiali diversi, sia poveri che ricchi (abbinati spesso a metalli preziosi), diventando così amuleti/gioielli.

    Come si riconosce un soggetto colpito da malocchio? La persona colpita dal maleficio viene identificata da una serie di eventi più o meno inspiegabili e insoliti: malessere improvviso, come uno svenimento, forte mal di testa, febbre alta non giustificata da cause patologiche, cattivo umore, sindrome depressiva, tutti sintomi spesso accompagnati da ulteriori episodi negativi, quali l’abbandono improvviso degli affetti, guasti ingiustificati ai suoi beni, oggetti che si rompono da soli, piante che si seccano, animali che si ammalano. Ad innescare il malocchio è spesso lo sguardo di ammirazione verso una persona o una cosa: uno sguardo di ammirazione/invidia, una lode per un successo ottenuto, lo sguardo pieno di desiderio rivolto verso qualcosa che piace ma non ci appartiene; sono attimi durante i quali lo sguardo lanciato, volontariamente o involontariamente, può causare il Malocchio.
    Anche in questi casi esistono semplici precauzioni per evitare che il malocchio possa essere “gettato” involontariamente; se ad esempio ad una lode fatta per strada si premette l’espressione “Chi Deus du mantengada” (che Dio lo protegga), la lode si dimostrerà sincera, priva di malizia e quindi non rivolta appositamente per mascherare il Malocchio. Se per caso ci si dovesse dimenticare di recitare tale premessa, per evitare il malocchio, il lodatore deve toccare l’oggetto del complimento, spesso un neonato, esclamando “po non ti ponni ogu!” (per non metterti l’occhio). Oltre all’atto del toccare, anche lo sputo possiede una buona valenza contro il Malocchio. Il momento durante il quale bisogna stare molto attenti perché propizio per lanciare il Malocchio è la presentazione del bambino appena nato. La madre, ancora a letto, teme gli iettatori, e, per evitare l’occhio, fa toccare il bambino a tutti i visitatori, magari con la scusa di tenerlo in braccio. Se poi ha motivo di credere che qualcuno abbia posto l’occhio sul suo bimbo, non appena questo le volta le spalle sputa tre volte verso di lui per annullare la sua azione. Per evitare l’azione malevola dell’occhio, la cultura popolare ha previsto, come detto prima, tutta una serie di azioni e studiato degli oggetti (definiti per la loro forza protettiva “amuleti”), capaci – in via preventiva – di annullare l’azione negativa messa in atto. Variegata la serie degli amuleti protettivi utilizzati, così come quella delle azioni messe in atto per contrastarlo, una volta lanciato, in particolare, forse la più importante, è quella de “sa mejina de s’ogu”.
    Fra gli amuleti più utilizzati quelli a forma circolare, proprio per richiamare la forma dell’occhio; essi vengono chiamati “Sabegias” nel Campidano, Cocco in Gallura,Pinnadellu nel Logudoro e ad Orgosolo, Pinnadeddunell’Oristanese, a Desulo e nella Barbagia di Belvì, e sono costituiti da pietre rotonde incastonate in argento (l’oro darebbe un influsso ridotto), per poter essere esibite ed utilizzate come gioielli. Is Sabegias simboleggiano l’occhio buono, che assorbe il flusso negativo del malocchio: essi non possono toccare la terra e nemmeno l’acqua pena la perdita dei loro poteri; sono generalmente costituiti da ossidiana, basalto o corallo, e, in ogni caso,devono essere di colore nero o rosso e molto appariscenti. Secondo la tradizione popolare, infatti, più è ricco e vistoso l’amuleto più aumenta la sua efficacia contro il Malocchio. Uno altro degli amuleti più popolari e conosciuti contro il Malocchio è “l’Occhio di Santa Lucia”,ovvero l’opercolo di un mollusco marino, caratterizzato dalla forma ad occhio, che si trova facilmente sulle spiagge sarde.
    A differenza dei Sabegias, gli occhi di Santa Lucia possono essere sia indossati come gioielli che tenuti nascosti. Si tratta di una pratica molto diffusa tanto da spingere alcune persone a farne addirittura collezione. Anche i Nudus, dei particolari scapolari, sono efficacemente usati contro il malocchio.
    I Nudus sono costituiti da piccoli sacchetti, degli “scapolari”, che al loro interno contengono diversi oggetti: una composizione di tre grani di sale, tre semi di asfodelo, verbena o valeriana, oppure fiori di lavanda e ruta; possono contenere anche pezzetti di palma e di ulivo benedetti, unitamente a tre grani di carbone o di basalto. Questi particolari amuleti vengono chiusi da nastri verdi: questi hanno il potere universalmente riconosciuto di annullare l’occhio e di portare bene. Gli amuleti vengono tramandati generalmente seguendo la linea femminile, oppure vengono regalati dai nonni alla nascita del nipotino; una particolarità: non possono essere venduti ma solo offerti, altrimenti perderebbero le loro facoltà protettive. In Sardegna, patria del matriarcato, anche la pratica e l’insegnamento dei rituali contro il malocchio sono riservati alle donne: con il lento passaggio delle formule dalle più anziane alle più giovani, che vengono addestrate nelle pratiche, e potranno così tramandare, alle generazioni future, i segreti per togliere il Malocchio.

    Gli amuleti, come detto sono solo una parte del problema: essi sono una specie di “medicina preventiva” per contrastare il verificarsi del malocchio: ma è necessario anche provvedere ad annullarlo, il malocchio, quando questo risulta posto in essere. I rimedi a scopo “curativo” sono costituiti da tutta una serie di rituali e preghiere specifiche. La preghiera, l’invocazione ai Santi, è parte integrante di entrambe le medicine, sia preventive che curative. Se i Nudus, mezzo curativo di natura preventiva, sono anch’essi, impregnati di preghiere ed invocazioni, svolte durante la preparazione, queste sono, invece, la parte centrale nella classica preparazione de “sa mejina de s’ogu” (la medicina dell’occhio), rimedio principe per combattere i danni causati dagli strali malefici dell’occhio malvagio.

    Ogni paese della Sardegna aveva in passato almeno una donna che praticava il rito de “sa mejina de s’ogu”; rito questo che veniva praticato più o meno segretamente in quanto avversato dai preti (perché lo ritenevano un rito blasfemo), ma ciò non impediva alla quasi totalità della popolazione, all’occorrenza, di farvi ricorso. Come peri Nudus, le donne che praticavano questo rito non potevano accettare dei soldi per il loro servizio, pena l’inefficacia dello stesso. In entrambi i casi, sia quando si consegnava l’amuleto sia dopo aver fatto “sa mejina de s’ogu”, essi venivano dati con la formula “ti srebada po saludi” (ti serva per salute), e il destinatario rispondeva “Deus ti du paghidi” (Dio ti ripaghi). Se questo rituale non veniva rispettato l’efficacia dell’amuleto era nulla.


    Il rito de “sa mejina de s’ogu”, che aveva diverse varianti nelle diverse zone della Sardegna, aveva però sempre – in comune - la presenza dell’acqua sulla quale, con ripetuti segni di croce sopra il recipiente che la conteneva, veniva ripetuta per tre volte una formula del tipo “Eo, abba, ti battizzo in nomine de Deus e Santu Juanne Battista” (io, acqua, ti battezzo in nome di Dio e di S. Giovanni Battista). Seguivano, da parte della celebrante il rito, la recita di formule segrete dette “oraziones” o “pregadorias” (o anche "brebos"). Nel Campidano l’uso più frequente era quello dell’utilizzo di un bicchiere d’acqua santa, oppure non benedetta ma con sciolti dentro tre grani di sale per purificarla, sostituendo cosi quella benedetta dal prete. Successivamente, dopo ogni segno di croce, venivano gettati, uno ad uno, i tre chicchi di grano nel bicchiere, facendosi tre volte il segno della croce; se i chicchi si gonfiavano o presentavano delle bollicine (in alcuni casi contavano solo le bollicine che si formavano sulle punte dei chicchi) era il segno che era presente il malocchio sul malcapitato. In questo caso era necessario che il colpito bevesse tutta l’acqua, o la buttasse alle spalle; il malocchio poteva essere annullato anche immergendo nel bicchiere un occhio di Santa Lucia. Un’altra versione prevedeva l’uso, anziché del bicchiere d’acqua, dell’olio, che veniva versato lentamente, tracciando una croce, su un piatto o un recipiente pieno d’acqua salata: tre gocce d’olio cadevano dall’indice destro dell’esecutrice e dal comportamento delle gocce si comprendeva il grado di malocchio che aveva colpito il malcapitato. Usi e costumi, analizzati anche da importanti studiosi che visitarono l’Isola.
    Il grande studioso della nostra isola, Max Leopoldo Wagner, nella sua opera "Il Malocchio e Credenze affini in Sardegna", scrisse che il malocchio poteva essere trasmesso sia da uno iettatore che da una iettatrice, ma che la qualità di iettatore è congenita, in quanto non si può acquisire. In genere uno iettatore ha gli occhi fatti a punta come per ferire...infatti una persona colpita da malocchio, in sardo si dice che è "ferta de ogu". Chi invece, sempre secondo Wagner, è predisposto ad essere colpito dal malocchio, è di belle forme, di bel viso, con gli occhi splendidi, e perciò, quando una persona è bella in Sardegna si dice scherzando "e ita timisi, de ti pigai ogu”?

    Cari amici, la credenza dell’influsso malefico chiamato “Malocchio”, ha radici antiche, che affondano nella mitologia classica: lo sguardo delle donne dell’Illiria uccideva, nella leggenda celtica il gigante Balor poteva trasformare l’unico occhio in un’arma mortale e Medusa tramutava in pietra chiunque incontrava il suo sguardo. Nella tradizione popolare sarda questo “potere nefasto” fa parte dei diversi “malefici”, capaci di nuocere a persone o animali, influenzando spesso anche la sfera affettiva ed economica dei colpiti; questo potere malefico risulta affondare le radici nel nostro passato più remoto. I soggetti attivi, particolarmente predisposti a trasmettere questi “strali malefici”, capaci di trasferire attraverso gli occhi la carica negativa interiore, sono soprattutto preti, storpi, guerci, orbi da un occhio e le donne sospettate di stregoneria. La causa scatenante è sempre l’invidia, il desiderio o l’ammirazione invidiosa per le persone o le cose altrui; da notare che questo sentimento malevolo può essere trasmesso, da parte del soggetto predisposto, anche inconsapevolmente, col semplice atto di guardare una persona.
    Cari lettori, i sardi, da tempo immemorabile, si sono cautelati contro questi eventi negativi o con gli amuleti, in via preventiva, o una volta colpiti, con diversi rituali curativi, tipo “sa mejina de s’ogu”. Di questo rito, pensate, sono state contate ben 24 varianti: tutte terapie mirate, studiate per la guarigione dal malocchio!
    Medicina efficace o solo placebo? Difficile rispondere. Le tradizioni popolari in Sardegna riescono indubbiamente a mantenere inalterato nei secoli un sapore misterioso, mistico e seducente.


    Grazie, cari amici, della Vostra attenzione.


    Mario

  4. #14
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    Predefinito Re: La Stregheria italiana

    Il noce di Benevento, i sabba e le streghe



    Sotto lascultura di Pericle Fazzini conservata nel Museo del Sannio, titolata l'albero delle streghe ovvero il noce di Benevento.


    "Unguento unguento, mandame alla noce di Benvento
    supra acqua et supra vento et supre ad omne maltempo...".
    (Formula magica che molte donne accusate di stregoneria avrebbero riferito durante i processi.)

    La città di Benevento è racchiusa tra due fiumi, il Calore ed il Sabato e pertanto, al pari di una piccola Mesopotamia fu abitata sin dai tempi più antichi. L'abitato fu, in origine, denominato Maloenton, nome di origine sannita. Il termine con l'uso fu tramutato in Maleventum e poi in Beneventum dai romani. Fu nel corso dei secoli, una città sannitica, poi romana e infine longobarda.
    Le origini antichissime della città l'hanno legata, indissolubilmente, alla cultura pagana ed ai riti mistici.
    Benevento è stata sempre avvolta in un alone di mistero ed è nota ovunque per la storia dei sabba e delle streghe che avrebbero animato le sue notti.
    Le streghe avrebbero prediletto un albero in particolare intorno al quale svolgere i loro riti. Quest'albero è il noce.
    Fin dall'antichità, all'albero di noce vengono attribuite proprietà benefiche ma anche molto pericolose. Plinio, nella sua Naturalis historia, ammonisce di non sdraiarsi all'ombra dell'albero perché potrebbe essere mortale. Lo stesso Plinio attribuisce all'albero delle proprietà magiche e soprannaturali. In Grecia, l'albero era protetto dalla dea Artemide che era la dea della natura ma anche la dea lunare, protettrice dei boschi e che sarebbe stata, secondo il mito, trasformata in un noce da Dioniso. I romani mutuarono per intero la mitologia greca e posero il noce sotto la protezione della dea Diana che era appunto l'equivalente di Artemide. L'associazione con una divinità magica che si narrava agisse la notte, per favorire lo scorrere della linfa vitale nelle piante infondendo in esse la vita, fece sì che il noce venisse avvolto in questo alone di mistero. Il mistero, il mistico, la ritualità erano tra i romani apprezzati poiché avvicinavano alla divinità, alla natura ed all'avvicendarsi tra vita e morte. Le janare erano le Dianare, appunto le seguaci di Diana, coloro che celebravano i riti legati alla fertilità ed alla madre terra, in poche parole, erano le streghe. Con l'avvento del cristianesimo, tutto ciò che era pagano divenne satanico, negativo, peccaminoso e da estirpare e debellare con ogni mezzo. E poiché molte erano le leggende che narravano dei sabba delle streghe attorno all'albero di noce, questa splendida pianta divenne il simbolo della stregoneria, di quella “peggiore” quella che faceva più paura e che più generava morbosi istinti di curiosità, da un lato e di giustizialismo bigotto, dall'altro.
    Nell'immaginario collettivo, Benevento era il covo delle streghe ed in più era il luogo ove cresceva, maestoso e terribile, un grande noce. E sempre secondo i racconti, il noce di Benevento era quello intorno al quale tutte le grandi e più potenti streghe, provenienti da tutta Europa, si incontravano per celebrare i loro riti demoniaci.
    Pietro Piperno, in un libello del 1640 “Della superstitiosa noce di Benevento”, ci racconta la leggenda di questo noce. La vicenda si svolge durante la dominazione longobarda sulla città. Nel 667, il ducato di Benevento fu cinto d'assedio dall'esercito bizantino guidato da Costante. Il sacerdote Barbato, accusò dell'assedio e della conseguente carestia, morte e distruzione, i cittadini che adoravano un serpente appeso ai rami di un grande noce che distava circa 2km dalla città. Il duca della città, Romualdo, promise che se Benevento avesse resistito all'assedio, avrebbe fatto sradicare l'albero e cessare la tradizione ma, quando l'esercito bizantino fu sconfitto, il duca Romualdo continuò di nascosto ad adorare il serpente in bronzo.
    In questa leggenda si incontrano molti simboli. Da un lato, il serpente che era legato al culto di Iside, un culto mediterraneo giunto fino alla città campane in secoli antichissimi, tanto che molti studiosi ritengono che nell'abitato vi fosse proprio un tempio dedicato alla dea su cui è state, poi, edificate una chiesa.
    Il secondo elemento allegorico è l'albero sacro, di cui abbiamo narrato la simbologia
    Ma c'è di più! Anche i i Longobardi veneravano gli alberi maestosi e, dunque, il noce. Si racconta che essi fossero soliti celebrare i riti in onore di Wotan, padre degli dèi, appendendo ad un albero sacro, la pelle di un caprone che poi i guerrieri strappavano a brandelli, girando a cavallo attorno all'albero in una sorta di sabba. Ed in quel periodo, Benevento era sotto la dominazione longobarda
    L'esistenza del noce non è mai stata dimostrata, anche se in molto lo hanno cercato e hanno ritenuto di averlo individuato in molte contrade.
    Col trascorrere dei secoli, la leggenda del noce si è sempre più arricchita e rafforzata, tanto che ancora nell'ottocento possiamo leggere:
    Vicino alla città di Benevento
    Vi sono due fiumi molto rinomati
    Uno Sabato , l'altro Calor del vento;
    Si dicono locali indemoniati,
    Un gran noce di grandezza immensa
    Germogliava d'estate e pur d'inverno;
    Sotto di questa si tenea gran mensa
    Da Streghe, Stregoni e diavoli d'inferno.
    Così suona l'inizio di un poemetto popolare ottocentesco edito a Napoli e intitolato “Storia della famosa noce di Benevento”, raccolto da Giuseppe Cocchiara , che al noce e alle streghe dedica un intero capitolo del suo Il paese di cuccagna.
    Quel che è certo, al di là dei sabba e delle leggende, è che al noce dobbiamo veramente tanto. Il suo frutto è sicuramente “divino”. Sotto la sua chioma l'erba cresce più rada. Le foglie fresche venivano usate per guarire le piaghe e le ulcere. L'olio di noce ed il mallo, hanno proprietà depurative intestinali. I decotti di foglie erano usati per depurare le mucose, e per guarire le afte delle tonsille. Col mallo acerbo, raccolto rigorosamente a San Giovanni, si prepara ancora oggi, il noto nocino o nocillo, dalle rinomante proprietà digestive. Numerose sono le applicazioni tramandateci dalle antiche guaritrici quali la capacità della pianta di assorbire i veleni.
    Mito o realtà, molti vecchi ancora raccontano, di vedere nelle fredde notti autunnali, quando il vento si solleva sul fiume Calore, le ombre delle janare che danzano sotto le foglie degli alberi di noce.

    #benevento #noce #janare #streghe

  5. #15
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    Predefinito Re: La Stregheria italiana

    Mia nonna faceva riti di stregheria sincretici.

  6. #16
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    Predefinito Re: La Stregheria italiana

    Citazione Originariamente Scritto da Herr Doktor Visualizza Messaggio
    Mia nonna faceva riti di stregheria sincretici.
    Sei in grado, e magari hai voglia, di descriverli, sarebbe molto interessante

  7. #17
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    Predefinito Re: La Stregheria italiana

    Citazione Originariamente Scritto da sideros Visualizza Messaggio
    Sei in grado, e magari hai voglia, di descriverli, sarebbe molto interessante
    Toglieva il malocchio con acqua e olio invocando Cosma e Damiano. Diceva preghiera e segnava la corce con olio, ma nonostante lei dicesse fosse una cosa cristiana era ovvio che fosse stregoneria calabrese. Se l'olio si scioglieva, lo metteva fino a quando si vedevano occho di olio. Diceva Ave Maria e segno della croce.

    Ma era chiaramente un rito pagano cristianizzato, la chiesa non ammette

  8. #18
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    Predefinito Re: La Stregheria italiana

    Tu hai colto il problema: il cristianesimo ha fagocitato gli antichi riti e liturgie pagane, snaturandoli, alteandone il significato profondo e sostituendo gli antichi dei con le divinità cristane (Gesù, Maria, il Padre e lo Spirito Santo) compresi i santi

  9. #19
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    Predefinito Re: La Stregheria italiana

    Cosma e Damiano secondo me rappresentano Apollo e suo figlio Esculapio, gli dei guaritori

  10. #20
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    Predefinito Re: La Stregheria italiana


 

 
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