Solo nell'81 a. C. fu promulgata una legge specifica contro la magia: la "Lex Cornelia de sicariis et veneficiis", che prese il nome da Lucio Cornelio Silla. Si cercava così di porre rimedio ad una situazione molto problematica: le pratiche di bassa magia, portate a Roma dai popoli conquistati, avevano avuto un successo spropositato. Aveva destato un enorme scandalo un caso, appena avvenuto, di un gruppo di insospettabili matrone, alcune delle quali erano da poco rimaste vedove, scoperte a bollire alcuni misteriosi liquidi; essendosi rifiutate di rivelarne la natura e l'uso che stavano per farne, furono costrette a berli: morirono tutte avvelenate. La legge proibì le pratiche magiche in genere, l'avvelenamento, l'aborto e l'assassinio per stregoneria, condannando i colpevoli alla crocifissione o a finire nell'anfiteatro con i leoni a divertimento del popolino.
Da allora abbiamo numerose testimonianze letterarie su riti magici; infatti quasi tutti gli scrittori parlano di magia o di stregoneria, alcuni dimostrando di conoscere fin troppo bene l'argomento. Cicerone definisce i maghi come "preti persiani", senza connetterli a pratiche occulte; ma cita anche non ben identificati "notturni riti di donne", lasciando intendere che non si tratta affatto di cose lecite, come quelle che i sacerdoti compiono davanti a tutti, alla luce del sole, secondo il decreto del popolo. Catullo spiega che le doti magiche innate derivano dal tipo di nascita: un incesto tra madre e figlio, teoria sostenuta anche da Euripide, Strabone e Diogene Laerzio. E' Virgilio, nella VIII delle Bucoliche, il primo a collegare la parola "mago" ad un vero e proprio rito di magia simpatica, in cui la donna innamorata ed abbandonata cerca di riportare a sé l'amante con tre bende strette da tre nodi. Tibullo e Properzio parlano di magia nera; Seneca, nella sua Medea, ci presenta la maga mentre "sminuzza le erbe micidiali, spreme la bava velenosa dei serpenti, vi mescola uccelli sinistri, il cuore di un tetro gufo, le viscere di stridula strige sventrata viva". Manipolando questi ingredienti, borbotta incantesimi che fanno tremare il mondo.
Anche Ovidio, nei Fasti, parla delle striges, donne-uccello originarie della Marsica, che dissanguano i bambini, dopo averli aggrediti nelle culle. La sua Dipsade, una vecchiaccia maligna, orrida e imbrogliona, che evoca spiriti ed ama tramutarsi in corvo, è la figura più "stregonesca" tra quelle viste fino ad ora. Il più informato sulla magia nera è però Orazio, cui spetta il dubbio merito di aver creato, con Canidia, lo stereotipo letterario della strega che in seguito sarebbe diventata la preda preferita dell'Inquisizione: una vecchia brutta, malvagia, sessualmente assatanata, manipolatrice di veleni e di sostanze disgustose, assassina e perversa. Nella VIII delle sue Satire narra di un rituale fatto da due streghe, Canidia e Sagana, con due pupazzi, uno di lana e uno di cera. Per richiamare gli spiriti infernali, le due donne sbranano a morsi un'agnella bruna, versandone il sangue in una fossa. Il rituale si svolge sull'Esquilino, appena fatto ripulire e sistemare a giardino da Mecenate; il luogo è stato scelto in quanto ex-cimitero plebeo. Canidia e Sagana evocano Ecate e Tesifone, facendo comparire serpenti e cagne infernali, uno spettacolo tanto spaventoso che perfino la luna cerca di nascondersi dietro i grandi sepolcri per evitare di assistere a tali orrori.
Canidia, in una precedente opera di Orazio, gli Epodi, veniva accusata di aver mescolato erbe magiche a sangue di vipera per offrire il cibo nefasto al poeta; raffigurata con un aspetto disgustoso, con le chiome attorte da viperette, con la sua amica Sagana ed altre streghe si appresta ad uccidere per fame un bambino, allo scopo di procurarsi parti del suo cadavere per farne potenti filtri d'amore. Apuleio, nelle Metamorfosi, descrive il laboratorio della strega Panfila, lugubre soffitta aperta ai quattro venti, dove fanno bella mostra di sé pezzi di corpi sottratti alla sepoltura, fiale contenenti il sangue di giustiziati, placche metalliche sulle quali sono incisi alfabeti sconosciuti, incensi, erbe, profumi ed unguenti che la trasformano in animale. Lucio, il protagonista, prova un unguento; ma invece di trasformarsi in un uccello e provare l'ebbrezza del volo, diventa un asino ed è costretto a subire mille traversie prima di essere liberato e diventare un iniziato al culto di Iside.
Gli imperatori che si successero sul trono dell'Impero Romano passarono dall'amore sviscerato per la magia ad un cauto interesse, dall'aperta derisione allo scetticismo, fino ad un atteggiamento estremamente intollerante. Ma i veri problemi, per i maghi e gli stregoni, cominciarono quando il Cristianesimo fu imposto come unica religione ufficiale da Teodosio; insieme ai culti pagani, ai sacrifici agli dei, all'ingresso nei templi, furono proibite anche la divinazione, la necromanzia e la magia.
Diffuso in tutto l'Impero a norma di legge, il Cristianesimo dovette fare i conti con le divinità, i riti e le usanze locali, in particolare nelle aree rurali, dove credenze popolari e tradizioni magiche esistevano da secoli. Nessuna legge, per quanto severa e restrittiva, può abolire di colpo tradizioni consolidate, per cui i contadini non trovavano affatto strano recarsi alla messa domenicale e, sul sagrato, girarsi e fare un inchino al dio Mithra; e contemporaneamente pregare Cristo ed erigere piccoli altari di legno con idoli di pietra nelle campagne, per favorire buoni raccolti, ed ai crocicchi, per proteggere dai pericoli i viandanti. La Chiesa, costretta a venire a patti con questa sgradita, ma innegabile realtà, corse ai ripari canonizzando molte divinità pagane, allungando a dismisura la lista dei santi. La gente del popolo considerava il Cristianesimo un miscuglio di religione e magia, cosa che si rivelava nelle festività, dove Dio, antichi dei e santi ricevevano democraticamente ciascuno il proprio culto.
Nell'Europa del primo Medioevo, contrariamente all'opinione comune, il problema della stregoneria non era particolarmente sentito. C'erano da risolvere problemi più urgenti, tra i quali le eresie interne al Cristianesimo, i legami tra Chiesa, papato e governo secolare, l'eliminazione del paganesimo da tutte le aree dell'Europa. Sulle streghe si era espresso chiaramente sant'Agostino, che nel De vera religione aveva affermato che credere nella stregoneria era una forma di superstizione puerile; la superbia e la vana curiosità spingevano streghe e stregoni verso l'errore ed impedivano loro di vedere la veritˆà. Erano quindi dei poveri sciocchi, e come tali dovevano essere compatiti, in attesa del loro ravvedimento.
In seguito, la sua opinione fu ratificata dal Canon Episcopi, che analizzava un'antica credenza, quella della "Compagnia di Diana", una congrega composta da donne che la notte volavano su demoni trasformati in bestie alate, per recarsi a riunioni con altre donne seguaci di Diana, Herodiana o Erodiade Il Canone le definì delle poverette, vittime di illusioni diaboliche; dar loro credito voleva dire cadere nello stesso errore, favorendo la sopravvivenza dei loro culti, per cui il compito dei sacerdoti doveva essere quello di aiutarle a pentirsi e ravvedersi. Il famoso vescovo Burcardo di Worms scrisse che nessuno poteva essere tanto sciocco da credere che le cose che le streghe immaginavano di fare e vedere durante le loro riunioni fossero autentiche; anzi, chi ci credeva doveva espiare le proprie colpe, perché commetteva un peccato anche solo nel pensare che ci fosse un potere diverso da quello di Dio. L'arcivescovo di Chartres, Giovanni di Salisbury, disse che "il miglior rimedio contro la stregoneria è il rifugiarsi nella fede, senza dare ascolto a queste menzogne e senza far caso a così lamentevoli follie".
Ma i tempi, purtroppo, stavano cambiando. Il Canone ed altre leggi similari furono inseriti nel "Decreto di Graziano", un'importante raccolta di leggi ecclesiastiche compilata dal monaco Graziano di Camaldoli tra il 1140 ed il 1150; nella seconda parte dell'opera egli mise tutti i testi di condanna alla stregoneria e tutte le decisioni prese nei vari concili contro maghi e streghe, come il vietare la comunione sul letto di morte a coloro che avevano ucciso mediante magia nera, oltre alle varie penitenze riservate a streghe, stregoni e procuratrici di aborto; questi se l'erano spesso cavata con piccole multe o lunghi periodi di digiuno a pane e acqua. Graziano sostenne che le credenze e le pratiche magiche non erano innocue superstizioni, ma deviazioni dalla fede, che la Chiesa doveva impegnarsi ad estirpare assolutamente, in ogni modo. Pochi decenni dopo, l'estendersi dell'eresia albigese avrebbe portato alla cancellazione dell'atteggiamento moderato auspicato dal Canone e messo le basi per le stragi dell'Inquisizione.
Facciamo un po' di chiarezza nei termini...
La nostra parola "Strega" deriva dal latino strix, strige; indicava un uccello dall'aspetto orrendo, con artigli taglienti, becco affilato a forma di uncino e seni simili a quelli femminili, contenenti una sostanza velenosa che i mostri davano ai neonati per ucciderli. Una variante del loro comportamento, che abbiamo citato parlando di Ovidio, era di succhiare il sangue dei bambini.
"Lamia" deriva invece dalla mitologia greca; si rifà al mito di Lamia, una bellissima fanciulla, la cui avvenenza destò l'interesse di Zeus, che le diede molti figli. Questo provocò in Hera, legittima consorte di Zeus, una gelosia furiosa: ella uccise tutti i figli di Lamia e la tramutò in un mostro con testa di donna e coda di serpente. La poveretta, folle di dolore, gir˜ò per il paese, uccidendo e divorando tutti i bambini che trovava da soli. Presero quindi il nome di Lamie le streghe che rapivano i bambini per cuocerli e mangiarseli.
"Masca" viene dal longobardo "maska", che indicava uno spirito del regno dei morti, impegnato in una strenua lotta per tornare nel mondo dei vivi. Divenne poi sinonimo di strega. Per altri deriverebbe dalla maschera che copriva il volto degli officianti durante le cerimonie sacre. Per altri ancora dall'antico provenzale mascar, che significava biascicare, borbottare, nel senso di borbottare incantesimi.
Il termine francese "Sorcier" derivava invece da sortilegus, leggere le sorti; si riferiva quindi a coloro che facevano divinazioni. Gli attuali termini inglesi "Wizard" e "Witch", mago e strega, derivano dal sassone "wicca", che indicava una persona saggia, sapiente; sono forse i termini più completi e più vicini a quello che dovrebbe essere un mago. Il tedesco "Hexer" ha, come in inglese, il significato di sapienza.
Maga e mago dovrebbero essere usati solo per il livello più elevato, cioè per chi usa l'Alta Magia Cerimoniale.
La strega veniva considerata come un essere in combutta con le forze del male, e nella migliore delle ipotesi una povera pazza visionaria; in realtà la strega è passata attraverso una trasformazione molto complessa, ed in questa evoluzione ha cristallizzato alcune forme esteriori e di comportamento che si sono mantenute nei secoli, e che sovrapponendosi le une alle altre hanno finito per creare una figure dalle mille sfaccettature.
Così si ritrova in lei l’antica sacerdotessa di culti pagani pre-cristiani, legati all’adorazione della natura in tutte le sue forme; si ritrova l’esperta erborista le cui nozioni non avevano un fondamento teorico ma erano il risultato di centinaia di anni di esperimenti e prove tramandate per via orale (da cui la necessità del rito, che aiuta, tramite il gesto ed il suono delle parole, a meglio memorizzare le parole stesse); si ritrova la bàlia del villaggio che aiuta le donne nelle loro pene e sofferenze tipicamente femminili, ne diventa l’amica e confidente al punto da erigersi a loro difesa contro le prepotenze dei mariti; ma si ritrova anche la serva pasticciona che per compiacere la padrona si inventa filtri d’amore, il cui risultato, quando è positivo, è più dovuto agli intrighi della serva stessa che all’efficacia del filtro; ed anche la povera pazza, che odia il mondo intero, ne è ricambiata, e tenta di provocare sofferenze e morte di tutti quelli che odia mediante sortilegi, ed ancora la ragazza sveglia ed emancipata che utilizza le sue arti per il soddisfacimento dei propri capricci, o semplicemente per desiderio di protagonismo o di voglia di libertà.
La strega aveva quindi in sè un po’ tutti questi aspetti, più o meno pronunciati; di volta in volta uno di questi aspetti era prevalente rispetto agli altri, ma fondamentalmente tutti erano sempre presenti perchè tutti erano espressione di una filosofia di vita ben precisa: innanzitutto il desiderio di vivere la vita secondo regole proprie, regole scelte secondo la propria logica ed esperienza e non secondo principi imposti, con autorità, da altri; in secondo luogo il desiderio di rendere partecipi di questa scelta anche altre persone.
La volontà, il desiderio della conoscenza, il trascendere e passare al di là dei limiti usuali imposti dalla cultura del momento è il significato più profondo della figura della strega.
Tornando alla strega medioevale ci rendiamo conto che la differenziazione dei ruoli maschile e femminile viene alimentata quindi anche dal fenomeno appena ricordato, ossia dall’affiorare alla memoria di un antico importante ruolo delle donne, soprattutto in quelle cultura, come quella celtica, dove il ricordo di questo ruolo non si era mai sopito.
L’ultima ragione che alimenta la differenziazione dei ruoli dipende da un fatto più pratico ed umano. La necessità del sottoporsi a pratiche mediche spinge le donne che ne hanno bisogno a preferire guaritrici piuttosto che guaritori, soprattutto quando la necessità delle cure è dovuta a problemi legati alla natura femminile (problemi di parto, aborto, dolori mestruali).
La differenziazione dei ruoli è tale che ad un certo punto la strega è solo donna.
Non a caso quando la chiesa cercherà delle persone che portino aiuto a chi era rimasto vittima di malefici mediante la sottoposizione a riti che dovevano annullare i risultati delle arti malefiche, si rivolge solo a uomini. E questo non solo perchè la classe sacerdotale importante a quel punto è formata da soli uomini. Infatti usa i sacerdoti, come esorcisti, solo nelle città. Nelle campagne si rivolge ad uomini comuni, ad una sorta di “stregoni buoni” che, con il beneplacito della chiesa, girano la campagna con lo scopo di cui si è detto.
In Italia questi personaggi sono noti come “benandanti”.
Il quadro è ora abbastanza chiaro. In giro per l’Europa ci sono donne che, in mancanza di potere istituzionali, tentano di far sopravvivere il proprio gruppo sociale mediante nozioni che sono state loro tramandata da tempi ancestrali, e quindi utilizza il buon senso per risolvere liti, usa erbe e decotti per curare le malattie, ed il tutto alimentato e tenuto vivo dalla fede in antichi dei, molto spesso identificabili con la natura stessa, con il mondo delle piante e degli animali.
Ma le guaritrici non si limitano ai consigli ed alle cure. A forza di dialogare con le proprie assistite cominciano a rendersi conto che la malattia della moglie del mugnaio non è dovuta al sangue che, a detta del medico ufficiale, è stato infettato dalla vicina palude, ma più probabilmente dai patimenti che la poveretta ha subito a causa dei quindici parti, e che la pazzia della moglie del contadino si deve forse alle botte che subisce dal marito quando questo torna ubriaco dalla taverna, dove è andato a spendere i pochi soldi lasciando senza mangiare la propria famiglia.
Queste donne cominciano a rendersi conto di un disagio di tutta una classe sociale e ne diventano i difensori, le portatrici di una richiesta di cambiamento di uno stato sociale di inferiorità.
Se esse non avevano sufficienti nemici oltre ai preti ed ai medici, che nel tentativo di recuperare il loro ruolo le osteggiavano ferocemente, con questa nuova funzione sociale vengono a scontrarsi con tutti gli uomini.
Sarà proprio l’odio feroce degli uomini, che si vedevano derubati del loro potere di padroni nei confronti delle proprie mogli, a far sì che la lotta portata alle guaritrici dai preti e dai medici avesse successo, ed i risultati saranno l’inquisizione, i processi sommari, le torture ed i roghi.
Da questo momento in poi non si contarono i notabili, fossero essi religiosi o laici, che si lanciarono in queste azioni con fervore da “santa crociata” creando una strategia e gli strumenti metodologici per combattere le streghe.
E’ questo il periodo della demonizzazione generalizzata di tutto ciò che non era cristiano, già iniziata nei primi secoli dopo Cristo con la creazione della definizione teologica del demonio da parte degli scrittori patristi e continuata fino ai giorni nostri; questa operazione identificava con le pratiche demoniache tutto ciò che non ricadeva nei canoni della cristianità ufficiale, dagli scritti fino alle attività più comuni ed usuali, con degli eccessi tali che alla luce delle moderne conoscenze di psichiatria si potrebbe benissimo interpretare l’operazione come una patologia identificata con il nome di “pratica ossessiva”: così diventavano simboli demoniaci le lettere dall’alfabeto runico, o altri legati alle tradizioni ermetiche o numerologiche, come il pentacolo (anche oggi, nei filmetti “horror” di quart’ordine, gli appartenenti a sette sataniche vengono sempre mostrati nell’atto di utilizzare le rune per scrivere le formule magiche).
E’ in questo stesso periodo che nasce una nuova interpretazione di un antico termine che tanto spesso verrà legato alla figura delle streghe: “paganesimo”.
Il termine discende dal latino “pagus”, che significa molto semplicemente “villaggio”, e che pertanto veniva utilizzato per identificare gli abitanti dei villaggi in contrapposizione a quelli che vivevano nelle città (“civitas”); data la maggiore diffusione e persistenza di culti animisti (comunque non cristiani) nelle zone rurali e montane, quindi fuori dalle città, il termine cominciò ad essere usato per indicare tutti quelli che aderivano a tali culti, ed il suo significato si caricò pertanto di una connotazione negativa.
Il termine venne utilizzato per indicare tanto le streghe che gli eretici (non bisogna dimenticare infatti che l’Inquisizione nasce innanzitutto come strumento per combattere gli eretici, catari ed albigesi in particolare) è si è portata dietro questa connotazione negativa fino ai nostri giorni (chi scrive ricorda una definizione dialettale romagnola per indicare una donna vecchia e brutta : “brota com una paghéna”, ed il termine sottointendeva che oltre ad essere brutta questa persona dovesse essere anche cattiva).
Giunti a questo punto della nostra analisi se dovessimo giudicare le streghe da quanto abbiamo visto non possiamo fare altro di ammettere che si tratta perlomeno di persone che esprimono un desiderio legittimo: vivere la propria vita senza costrizioni.
In realtà la loro filosofia è ancora più complessa e profonda; se si limitassero alla ricerca di una “vita senza costrizioni” questa non sarebbe diversa da quella ricerca edonistica di tanti gruppi sociali che si sono visti nel corso della storia; il loro modo di intendere la vita è anche più interiore, è una ricerca di unione profonda tra il vivere la propria vita ed il viverla secondo una coscienza che porti alla felicità; la felicità quindi come un bene da perseguire ad ogni costo, anche se ciò può apparire sconveniente a qualcuno, una felicità da perseguire purchè non crei danno ad altri.
Le stesse streghe cercano, attraverso i loro scritti, di mostrarsi scevre da interessi che non siano nobili, cercano di far capire che dedicarsi alla stregoneria è dedicarsi alla ricerca della verità e della conoscenza, e cominciano sconsigliando questa scelta se deve essere considerata una moda o una “voglia” passeggera. Vogliono cioè far capire che questo modo di essere deve essere inteso come una ricerca spirituale.
STREGA MORELLA.it |
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