Quando gli uomini di Berlusconi patteggiavano con la mafia | ItaliaDall'Estero

Quando gli uomini di Berlusconi patteggiavano con la mafia

Italia, 1992-94: operazione Mani Pulite, assassinio dei giudici Falcone e Borsellino, arresto di Totò Riina. Poi Berlusconi arriva al potere e si chiude questa stagione di violenze. Semplice coincidenza?

Diciassette anni dopo l’assassinio dei giudici antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, delle nuove testimonianze hanno convinto la procura di Caltanisetta a riaprire l’inchiesta. I magistrati siciliani, diretti dal procuratore Sergio Lari, sono convinti che sia stata messa in atto una vera e propria “strategia della tensione” per destabilizzare il paese e che questo piano non sia stato unicamente opera della mafia, che all’epoca era diretta dal “capo dei capi”, Totò Riina.

A partire dal 1992, la mafia ha cominciato a proporre, attraverso eminenti emissari, un patto allo Stato: la fine degli attentati in cambio d’indulgenza. Questa trattativa ha utilizzato canali oscuri, dove troviamo uomini politici e membri dei servizi segreti italiani. E, verosimilmente, una forma di accordo sarebbe stata raggiunta nel 1994, dopo l’arresto di Totò Riina. Bernardo Provenzano era allora diventato il nuovo boss di Cosa Nostra e una nuova forza politica nasceva sotto le macerie della Prima Repubblica. Questa nuova forza politica si chiamava Forza Italia e aveva a capo un uomo d’affari, un uomo d’affari che aveva spostato i suoi interessi dall’immobiliare ai media. Si trattava di un certo Silvio Berlusconi.

Maxi processi e maxi attentati

Cerchiamo di guardare la cosa da vicino. I giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avevano “osato” instruire il “maxi processo”, il più spettacolare processo intentato contro la mafia, 475 imputati, che si concluse definitivamente il 30 gennaio 1992 con 19 condanne all’ergastolo e qualcosa come 2.665 anni di prigione distribuiti tra i vari capi mafiosi. Un mese e dodici giorni più tardi, il 12 marzo 1992, Salvo Lima, deputato europeo della Democraiza Cristiana (DC), ex sindaco di Palermo e devoto di Giulio Andreotti, l’inossidabile uomo forte della DC, viene ucciso a Palermo.

Tutti si rendono conto del vero potere che governa la Sicilia. La mafia ha colpito uno dei suoi principali referenti politici. È la risposta alla sentenza contro i capi mafiosi. Il messaggio indirizzato alla DC di Giulio Andreotti è chiaro: “Se non siete più in grado di garantirci, allora guerra sia”. Due mesi più tardi, il 23 maggio, Giovanni Falcone, il giudice che aveva sfidato la mafia, fu assassinato con sua moglie e i tre membri della sua scorta. Due mesi dopo, il 19 luglio, il giudice Paolo Borsellino fu a sua volta eliminato.

Il 15 gennaio 1993, Totò Riina, il capo di Cosa Nostra, è arrestato a Palermo. “Probabilmente l’uomo più feroce del clan Corleone è stato venduto da qualcuno, in cambio di una nuova ‘politica’ di Cosa Nostra. In cambio di una pace con lo Stato”, spiega il nostro collega Attlio Bolzoni, specialista delle inchieste sulla mafia del quotidiano La Repubblica.

Il capo Provenzano ha venduto il capo Riina?

Il pentito Giovanni Brusca racconta che il generale dei carabinieri Mario Mori, lo stesso che aveva arrestato Totò Riina (verosimilmente venduto da qualcuno), e che fu nominato in seguito capo del SISDE (i servizi segreti civili) da Berlusconi nel 2001, aveva trattato con la mafia. Di fronte a questa accusa il generale Mori si limitò a spiegare che aveva “semplicemente” incontrato, nel 1992, l’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino. Per quale ragione? Per negoziare…Cosa? Con chi?

Secondo il colonnello dei carabibieri Mario Riccio, la ragione della lunga fuga del successore di Totò Riina, Bernardo Provenzano, era dovuta alla copertura che gli veniva appunto fornita dal suo collega, il generale Mario Mori… Scambio di cortesie, dopo che Provenzano aveva venduto Totò Riina?

Mario Riccio disponeva di un informatore all’interno di Cosa Nostra. Si trattava di Luigi Ilardo, “uomo d’onore” della mafia a Catania. Nel febbraio del 1994 l’informatore incontrò il colonnello Riccio a Messina. “Un mese fa le famiglie siciliane si sono riunite”, rivelò Ilardo. “È stato deciso che tutti i rappresentanti delle diverse organizzazioni presenti sul territorio nazionale devono votare Forza Italia. I capi di Palermo hanno un contatto con un membro importante dell’entourage di Berlusconi che ha promesso che, in cambio dell’appoggio elettorale, garantirà nuove leggi in favore degli accusati e anche coperture per lo sviluppo dei nostri interessi economici”. Luigi Ilardo fu assassinato a Catania il 10 maggio 1996.

In questo luglio 2009, i giudici di Palermo Nino Di Matteo e Antonio Ingroia hanno aperto una nuova procedura sulle trattative tra Cosa Nostra e degli “uomini delle istituzioni”. Il nome del senatore Marcello Dell’Utri, braccio destro di Berlusconi, già condannato a nove anni di prigione per concorso [esterno NdT] in associazione mafiosa, appare ufficialmente nell’inchiesta.

Il Patto in questione

Il processo in appello del senatore Dell’Utri è attualmente in corso, ed ecco che lo scorso 10 luglio il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino si autoinvita nel dibattito.

Massimo Ciancimino, già condannato a 5 anni e 8 mesi per aver riciclato il “tesoro” di suo padre, ha dichiarato ai giudici che Marcello Dell’Utri e suo padre, Vito Ciancimino, erano i grandi mediatori nella trattativa con la mafia.

Inizialmente col boss Totò Riina e poi con Bernardo Provenzano, che si faceva chiamare da suo padre “l’ingegnere Lo Verde”. Massimo Ciancimino ha promesso ai giudici di consegnare loro un documento, scritto e firmato da Riina in persona, nel quale il capo di Cosa Nostra avrebbe messo nero su bianco la proposta della mafia: revisione di tutti i grandi processi antimafia, abolizione della legge sulla confisca dei beni dei mafiosi, considerevole alleggerimento del regime penitenziario dei capi già sotto chiave. Questa proposta risalirebbe al 1992. Poi, dopo l’arresto di Totò Riina, Provenzano riprese il comando e indirizzò, secondo Ciancimino junior, almeno tre richieste scritte destinate a Silvio Berlusconi. Suo padre Vito era in contatto con un certo “Franco”, verosimilmente un uomo del SISDE, il Servizio per le Informazioni italiano. Secondo Ciancimino junior questo misterioso “Franco” era incaricato di portare al senatore Dell’Utri le richieste che i capi di Cosa Nostra facevano arrivare a suo padre.

I servizi di sicurezza italiani un po’ troppo implicati

Bisogna ammettere che gli uomini del SISDE sembrano onnipresenti nei meandri oscuri che legano la Sicilia al continente. E questo già da prima della stagione degli attentati mafiosi del 1992-93.

Gli investigatori dispongono in effetti della testimonianza di un collaboratore di giustizia, Angelo Fontana, un mafioso della “famiglia” dell’Acquasanta, che afferma che il 21 giugno 1989, mentre si preparava un primo tentativo di attentato contro il giudice Falcone, gli “uomini d’onore” si sarebbero accontentati di sorvegliare la zona nei dintorni della villa del giudice. Fontana racconta che l’esplosivo, destinato ad uccidere il giudice, era stato trasportato sul luogo da altre persone, persone che non erano uomini di Cosa Nostra.

Gli investigatori dispongono anche della testimonianza di una donna che afferma aver visto “un uomo dal viso molto brutto” nei paraggi della villa del giudice Falcone, quel famoso 21 giugno 1989. Chi è costui? “Nessuno conosce il suo nome. Tutti dicono che ha un viso mostruoso. È un agente del servizio di sicurezza italiano”, afferma il nostro collega Attilio Bolzoni. Luigi Ilardo, l’informatore di Cosa Nostra del colonnello dei carabinieri Mario Riccio, ne aveva parlato anche lui. Ilardo diceva che c’era, appunto, “un agente dei servizi segreti italiani che faceva delle cose strane. Aveva un viso mostruoso. Abbiamo saputo che quest’agente si trovava anche nei paraggi di Villagrazia quando l’ufficiale di polizia Nino Agostino è stato ucciso”, ha rivelato l’informatore dei carabinieri.

L’uomo “dal viso mostruoso”, lo sconosciuto mistero al centro del Patto

Nino Agostino lavorava per localizzare i capi mafiosi in fuga e fu assassinato con sua moglie il 5 agosto 1989. Emanuele Piazza, un amico di Agostino, o più precisamente una delle sue fonti, è stato eliminato anche lui. “Non so per quali ragioni i servizi segreti hanno partecipati a queste azioni…forse per coprire certi uomini politici…”, aveva precisato il mafioso Luigi Ilardo prima di essere assassinato. Il padre di Nino Agostino ha ricordi molto precisi: “Poco prima dell’assassinio di mio figlio, due uomini sono venuti a casa mia. Si sono presentati come poliziotti che lavoravano con mio figlio. Uno di loro aveva un viso orribile”.

Ancora un altro testimone ha parlato di questo agente dei servizi segreti italiani dal viso “mostruoso”. Si tratta del figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino. Massimo Ciancimino ha spiegato che un uomo dei servizi segreti “con un viso sfigurato” era in contatto con suo padre da molti anni. La ragione del contatto? Sempre la stessa, la ricerca di una mediazione, un patto tra la mafia e i rappresentanti dello Stato.

Una cosa è sicura. Nel 1994, quando per la prima volta Silvio Berlusconi arrivò al potere, gli attentati cessarono. Bisogna ammettere che senza la manna elettorale siciliana, mai il Cavaliere sarebbe arrivato alla poltrona della Presidenza del Consiglio italiana. Senza dubbio una semplice coincidenza…