Breve disquisizione sul futuro del Partito democratico


“La storia della sinistra entra in una terra mai esplorata”: è probabile che Stefano Folli, “Il Sole 24 Ore” di mercoledì scorso, veda bene. Ora che Renzi miete consensi sembra infatti davvero che “i cosiddetti socialdemocratici post-comunsti, che fino a poco tempo fa sembravano padroni del campo, stiano perdendo la partita della leadership”. E non è una novità: prima Prodi, poi, anche se con scarsi successi, Rutelli e dopo i diversi fallimenti di D’Alema, Veltroni e ultimo Bersani ecco tutto un gioco fra ex democristiani o popolari prossimi a surclassarli. Senza considerare che sullo sfondo si staglia la sagoma di Enrico Letta, uno che ricorda commosso quando lo zio Gianni se lo portò dietro a via Caetani, dove fu rinvenuto il cadavere del povero Aldo Moro. Poi, può anche darsi che nel futuro Pd renziano, oramai benedetto anche da Veltroni, ci sarà spazio per gli accordi di vertice e di corrente. Secondo Folli “il compromesso a cui il sindaco di Firenze si va piegando è in questa direzione”. Lo stesso Bersani, “spompato” o meno, si sente già parte di una futura minoranza, preoccupato di stilare intese per tutelare le varie anime del partito. In pratica, come dice Folli, è “una posizione necessariamente subalterna, figlia – è difficile negarlo – di un lungo fallimento”. Tanto è vero che già si levano strali come “non vogliamo morire democristiani”. E pensare che questa battuta era propria dei tempi del compromesso storico. D’altra parte una volta chiuso il Pci, quali prospettive restavano alla vecchia dirigenza comunista, che pur doveva riciclarsi? La prospettiva socialdemocratica, ammettiamolo, era impossibile da recuperare. E non sarebbe nemmeno bastato riconoscere, lo fece D’Alema all’apice del suo splendore, che nella lunga contesa fra Pci e Psi avevano ragione loro, i socialisti, vista la fine toccata a Craxi. Fra “Cosa uno”, “Cosa due”, Pds e quant’altro, il semplice nome “socialista” non se lo si è mai voluto appiccicare addosso, nemmeno incutesse ribrezzo. Meglio il nome democratici, che in America con il socialismo in senso stretto non hanno niente a che fare, ma che in Italia è persino la prima parte di una seconda che comprende “cristiani”. Pensare che noi glielo avevamo anche suggerito a tempo debito di rivolgersi all’Unione democratica di Giovanni Amendola. Ma niente: i vecchi Ds preferivano semmai rifarsi a Don Milani, che stava meglio – chissà mai perché – accanto a Gramsci. Solo che, essendo il secondo un trotzkista ed il primo un prete, va da sé capire chi fra i due avesse maggiori possibilità di rivelarsi attuale. In queste condizioni, tolto l’appassionante dibattito su chi è più antiberlusconiano sollevato da Rosy Bindi, una cresciuta fra Bachelet e Zaccagnini, perché mai non voler morire democristiani? Si è scelto di vivere tra democristiani per tutto questo tempo.

La Voce Repubblicana