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Discussione: Cultura padana

  1. #311
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Non togliete i cartelli Berghem!
    Comitato per la Salvaguardia dei Patrimoni Linguistici
    Lanciata da Comitato per la Salvaguardia dei Patrimoni Linguistici
    Stando a quanto riportato da alcune interviste degli ultimi giorni (per esempio, Passaggio di consegne Gori-Tentorio «Un onore e una responsabilità» - Cronaca Bergamo risulta che il neosindaco di Bergamo Giorgio Gori abbia l'intenzione di rimuovere questi cartelli, che “hanno fatto la loro stagione”, per sostituirli con altri recanti la dicitura “Bergamo città d'Europa”.
    Secondo questa visione, il bergamasco sarebbe un residuo del passato, un simbolo di chiusura verso l'esterno, un ostacolo all'integrazione europea. Ma in che modo il bergamasco precluderebbe l'integrazione europea quando la stessa Europa è a favore della diversità linguistica?
    Viene completamente ignorato l'articolo 10 della della Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie, che incoraggia “l'uso e l'adozione […] di forme tradizionali e corrette della toponomastica nelle lingue regionali e minoritarie”; Consiglio d'Europa - (STE no. 148)).
    Va ricordato, a scanso di equivoci che il bergamasco (variante della lingua lombarda, riconosciuta dall'ISO, dal Consiglio d'Europa, dall'UNESCO come “lingua a rischio di estinzione”) non è una variante dell'italiano, ma è un idioma autonomo meritevole di tutela esattamente quanto lo sono altre lingue regionali d'Europa come il gallese, il bretone, il frisone e il catalano.
    L'idioma orobico, fonte di cultura e di storia che caratterizza la città di Bergamo, è un orgoglio da mostrare al mondo, non una vergogna da nascondere.
    Parlavano in bergamasco gli uomini che hanno fatto grande questa città, quelli che sono dovuti migrare in cerca di fortuna. In questa lingua parlavano grandi artisti di ogni epoca come Andrea Fantoni, Giovan Battista Moroni e Giacomo Manzù, Gaetano Donizetti, il papa Giovanni XXIII, il coraggioso Costantino Beltrami scopritore delle sorgenti del Mississippi. Parlano tuttora in bergamasco molti di quelli che hanno reso celebre in tutto il nostro Paese le virtù di quella terra stretta tra Adda e Oglio: laboriosità, onestà, pazienza, determinazione, passione. Tutte caratteristiche racchiuse nel celebre detto: caràter de la ràssa bergamàsca: fiàma de rar, sóta la sènder bràsca.
    Chiaramente la rimozione dei cartelli non implica l'automatica estinzione del bergamasco, e naturalmente non lo salveranno i cartelli all'ingresso delle città, beninteso; anzi, ci vorrebbe molto di più. Ma essi sono un segno di una sensibilità verso la nostra variegata cultura, la nostra diversità, la nostra storia. Toglierli per rimarcare la discontinuità nei confronti della giunta precedente è un gesto che porta solo rancori che non danno profitto a nessuno, mentre c'è solo una vittima: l'incolpevole bergamasco, trattato come trito strumento di politica partitica.
    Per questo chiediamo al Sindaco di riconsiderare la sua decisione per il bene di Bergamo e dei Bergamaschi.
    Comitato per la Salvaguardia dei Patrimoni Linguistici
    Home page | Comitato per la salvaguardia dei patrimoni linguistici



    Perplessità, gioie ed emozioni
    di Diana Ceriani
    Siamo tra amici. Chi legge questa testata solitamente ha a cuore la propria terra, i suoi valori, le sue peculiarità e caratteristiche. Oggi mi voglio aprire con voi ed esporvi dubbi, perplessità ma anche gioie e emozioni che si insinuano in me da quando ho deciso di dedicare una buona fetta della mia vita all’identità, in tutte le sue facce. Dalla conoscenza di ogni filo d’erba e albero dei nostri boschi, degli animali, all’apprezzamento verso l’arte, le tradizioni, l’alimentazione, la lingua, gli usi, i costumi, la storia, le leggende, il sapere contadino…. Non finisco davvero mai di conoscere, capire, adattare, rielaborare, apprezzare e interiorizzare…pur limitandomi all’approfondimento di una piccola fetta di mondo. La nostra.
    Ora vi chiedo: ne vale ancora la pena? Lo sradicamento oramai è quasi completato. Lo si nota negli sguardi, nei discorsi, nel modo di fare ed essere così impersonale, così generico. Si cerca l’anomalia nel vestire e nel comportarsi senza dare un senso a ciò che si crea con il proprio essere. Ma anche chi spicca per originale e anomala personalità, che obiettivi e finalità ha nell’essere e nell’agire? Una confusione di idee, modi di vivere, di essere. Ognuno fa per se. Ognuno prevarica l’altro per sembrare migliore e avere più fetta di notorietà. Non c’è più collaborazione, unione di intenti, non ci sono più obiettivi comuni. Non c’è più popolo.
    Dico la verità. Guardandomi intorno fosse per me smetterei. Getterei la spugna. Guardandomi dentro però non ce la faccio. E’ come una forza che non so esprimere ne definire, una specie di voce interiore che mi dice che se mi arrendo muoio.
    Vo innanz ammò
    Cunt ur me vestì, ur scussa e ur quazz
    Cunt la testa valta parchè g’ho nagott da scund al mund
    G’ho dumà da cüntà sü ammò tanti rop
    G’ho da regalà a chi vör ammò tante emuziun
    E fa nagott se gh’è gent ca la pasa via senza scultàm, ne vardàm,
    ne cerca de capì ur parchè sunt inscì.
    Chi al vör vardà dentar al me vestì ben cunfeziunaa
    a tröva ra so identità
    E alura sa deslengua
    Se ga fo vidè la so tera ‘me na mama bona e impurtanta, da rispetà e amà
    Alura sa deslengua
    Se varda ur nostar Sacro Munt, ur Lach de Vares, i nostar Paes, i giardit, San Vitur
    Sa deslengua
    Se a sent la so lengua vegni föra da ra boca de un fiö intant che al varda ra so cà
    Vo innanz ammò
    L’è l’ünica manera che a g’ho
    Par viv e amà.
    News - Perplessità, gioie ed emozioni - Centro Studi l'Insorgente



    Harold Bluetooth
    di Giuan Gudjohnsen
    La stirpe dei Brunonsen, emigrata nei pressi di Varese molti anni fa, mi ha segnalato la curiosità, tramite un amico comune, ed allora non ho potuto che approfondire la questione. Molti di noi utilizzando le moderne tecnologie sfruttano la tecnologia Blutooth con cellulari computer o i moderni smartphone. Pochi sanno che il nome è ispirato a Harald Blåtand (Harold Bluetooth in inglese, cioè Dente azzurro), il famoso re Aroldo I di Danimarca, vissuto tra il 901 ed il 985 o986 d.C. Harald (o Harold) fu un abile diplomatico che unì gli scandinavi, e fu colui aprì le porte della regione al cristianesimo. Secondo il pensiero unico, gli inventori della tecnologia Bluetooth dovrebbero avergli dato il nome del Re poichè hanno ritenuto che fosse un nome adatto per un protocollo capace di mettere in comunicazione dispositivi diversi (così come il re unì i popoli della penisola scandinava con la religione). Secondo me non è così.
    Il significato, anche se non no ho le prove, è più profondo: Harald, o Harold che dir si voglia, non è solo l’unificatore, è soprattutto l’eroe dormiente, il Re nella Montagna, colui che si risveglierà quando il suo popolo ne avrà bisogno e lo guiderà alla riscossa. Una delle eredità più importanti lasciateci da questo grande monarca è un monumento fatto erigere a memoria dei propri genitori, rimasto intatto fino ai giorni nostri e che è divenuta una delle più famose attrazioni del nord della Danimarca, contenenti incisioni in caratteri runici. Non a caso il logo della tecnologia unisce infatti due rune nordiche (Hagall) e (Berkanan), analoghe alle moderne H e B. Il soprannome Blåtand, che letteralmente significa dente azzurro, nasce dall'unione delle due parole danesi blå, cioè Blu, e tand, dente, poiché si narra che il sovrano, in battaglia, fosse solito colorarsi i denti d'azzurro, così come i suoi soldati. Che Harold, conduce la Danimarca alla riscossa.
    Alla prossima, fratelli consanguinei.
    Giuan Gudjohnsen
    News - Harold Bluetooth - Centro Studi l'Insorgente






  2. #312
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Mentalità padana VS mentalità terronica.....

    Brescia: chiesto il "pizzo" a un negoziante di via San Faustino
    "Se non ti adegui come tutti gli altri, torniamo a farti visita con una pistola". L'estorsore, un salernitano di 44 anni, è stato arrestato dalla polizia
    BRESCIA. Lunedì mattina verso le 11.30, un uomo di origini salernitane (R.G, classe 1970) si è introdotto in un negozio di via San Faustino e, avvicinato il titolare, gli ha intimato di consegnargli la somma di 500 euro, quale corrispettivo del "pizzo" per poter continuare a lavorare.
    Al diniego del negoziante, il malfattore lo ha avvertito che tutti gli altri commercianti della via già lo facevano regolarmente e che, se anche lui non si fosse adeguato, il giorno dopo avrebbe ricevuto la visita di "un amichetto armato di pistola”.
    Non ottenendo nulla dalla vittima, il 44enne si è allontanato velocemente dal negozio. Una volta solo, il commerciante ha chiamato il 113, seguendo a distanza l’estorsore e comunicando i suoi spostamenti alla Volante. Gli agenti lo hanno rintracciato in pochi minuti. Riconosciuto dalla vittima, è stato arrestato per tentata estorsione e rinchiuso nel carcere di Canton Mombello.
    Brescia: chiesto il "pizzo" a un negoziante di via San Faustino

    Sapete perché negli Stati Uniti hanno i negri e noi abbiamo i terroni?
    Perché loro hanno scelto prima!

    Un contadino padano vede un uomo bere da una fontana e urla: "E’ avvelenata!!!"
    Ma l'uomo non sente, allora si avvicina correndo e urlando: "E’ avvelenata!!!"
    Ancora niente!
    Quando è a un metro grida: "E’ avvelenata!!!".
    Allora l'uomo si gira e dice: "Ccche minchia vuoi?"
    “Volevo dirle…beva lentamente, che è fresca...".

    "L'Italia pluriculturale. Regionalismi, minoranze, migrazioni"
    Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo, da parte del Professor Alessandro Vitale (Università degli Studi di Milano), la recensione del volume polacco Wochy wielokulturowe. Regionalizmy, mniejszoœci, migracje. (L’Italia pluriculturale. Regionalismi, minoranze, migrazioni), curato dalla studiosa Karolina Golemo e pubblicato per i tipi di Ksiêgarnia Akademicka lo scorso anno. Come potrete leggere, il volume dimostra che anche in Europa il punto di vista sulle vicende peninsulari sta mutando. La vulgata risorgimentale e nazionalfascista, fortunatamente, non è più un dogma.
    * * *
    L’immagine e l’immaginario che da centocinquant’anni l’Italia ha lasciato di sé nell’Europa Centrale e Orientale sta gradualmente cambiando. A poco a poco, il diradarsi delle nebbie lasciate dalle mitologie unitariste e risorgimentali, con tutti i loro strascichi parareligiosi lascia spazio a ben altre analisi e considerazioni, soprattutto sul piano accademico. Ne è testimonianza, fra gli altri, questo bel volume - di notevole valore e profondità - scritto quasi interamente da Karolina Golemo dell’Università Jagiellonica di Cracovia, con la collaborazione di specialisti di pregio (quali Agnieszka Maek e Piotr Sternalski).
    L’Autrice, una delle più profonde conoscitrici della penisola italiana nell’Europa Centrale, scavalca a piè pari le abituali letture dell’Italia (spesso ancora diffuse anche nel mondo anglosassone), basate sulla visione acritica e semplicistica di un Paese monolitico, dalla storia uniforme e privo di profonde e irriducibili differenze interne. Il Paese che emerge da questa approfondita analisi del caso italiano è, infatti, un conglomerato di convivenze, di differenze e di pluralità, sempre difficile da afferrare nella sua complessità. Il libro rivela così, innovando rispetto alla storiografia polacca sull’Italia, spesso ancora ferma alla piatta ricezione di quelle mitologie, l’emergere di una sensibilità diversa rispetto a quella a lungo prevalsa, sia in campo storico che sociologico e basata sul riverberarsi dell’esperienza italiana sulla storia dell’Europa Centrale e Orientale.
    Il libro ha il pregio di andare ben al di là degli stereotipi storici, geografici e politici sull’Italia - ancora diffusi e molto influenti in questa parte d’Europa (si pensi all’influenza distruttiva esercitata sulla cultura politica serba o su quella dei vari risorgimenti e irredentismi nazionali: polacco, ungherese, ecc.) - speculari a quelli, rigidi e infondati, esistenti in Italia, sulla Polonia e sugli altri Paesi dell’area. Queste pagine sanno cogliere, come raramente è stato fatto in passato, l’esistenza e la multiformità, nella penisola e nelle regioni settentrionali, di una composita pluralità di realtà regionali, linguistiche, culturali e di microcosmi, di mondi a parte basati su regole storiche e culturali, consolidatesi nel corso di secoli sotto differenti dominazioni e diverse forme politiche, che influenzano ancora oggi il modo di vita alla base del tessuto, tutt’altro che uniforme, delle convivenze locali italiane - nonostante i brutali tentativi di omogeneizzazione, esasperati sotto il fascismo (P. Sternalski).
    Grazie alla metodologia sociologica, molto attenta al dato storico e utilizzando come solido punto di partenza il classico di Robert D. Putnam, Making Democracy Work, Civic Traditions in Modern Italy (1994), in queste pagine risaltano la diversità etno-linguistica esistente in Italia, l’incompletezza dell’unificazione italiana e i suoi problemi, il divario Nord-Sud, i microcosmi sociali esistenti nelle regioni di confine e nelle valli alpine, le diversità e le tensioni, viste come potenziali motori di innovazione e non più come fenomeni “attardati” o “regressivi”.
    Oltre a questa solida base teorica va sottolineata l’attenzione, autentica rarità, che l’Autrice rivolge all’opera di Gianfranco Miglio e alle sue spietate analisi dell’unificazione, nonché a quella di Luigi Marco Bassani e di molti altri studiosi italiani su questo tema, largamente ignorati o censurati in Italia. Si tratta di un vero e proprio cambiamento di paradigma, che sa trarre dall’esperienza italiana non più l’esempio da seguire dell’omogeneità e dell’unificazione risorgimentale, ma le potenzialità date dalla diversità e dalla pluralità, dal policentrismo di origine comunale (nella sua parte settentrionale e centrale), dal municipalismo irriducibile, dai casi paradigmatici di realtà come quella sudtirolese, valdostana, friulana, siciliana e sarda (descritte in modo molto obiettivo) e dalla capacità di ridisegnare le convivenze e di soddisfare in modo nuovo i bisogni emergenti.
    Questo aspetto centrale del volume rivela in tal modo indirettamente un nuovo approccio (tipico ormai di intellettuali giovani e intelligenti dell’area centroeuropea e dell’Europa orientale, liberi da stereotipi e pregiudizi obsoleti) nel concepire le convivenze. Infatti, queste analisi dedicate all’Italia contengono in filigrana anche la scelta di temi specifici, analizzati mediante una lente d’ingrandimento posata su determinati oggetti di studio, che rivelano inevitabilmente sensibilità e scelte, influenze e attenzioni del tutto nuove, preziose per comprendere come - attraverso la ricezione del caso storico e contemporaneo italiano nella sua realtà delle sue strutture politiche e sociali e non più nella sua mitologia, sparsa a piene mani anche in questa parte d’Europa - può cambiare pure il modo di vedere anche il proprio Paese, in quest’area europea caratterizzato inevitabilmente da un composito e ricchissimo tessuto plurietnico, nel quale occorre trovare modi nuovi di ridisegnare la convivenza. In questo senso l’esempio della pluralità delle etnie presenti nell’Italia-Stato e irreggimentata a lungo nel letto di Procuste dello Stato unitario di stampo francese giacobino, viene studiata con occhi nuovi, obiettivi, attenti alla realtà e ormai liberi dai veli di ideologie che con ogni evidenza hanno fatto il loro tempo.
    "L'Italia pluriculturale. Regionalismi, minoranze, migrazioni" - diritto di voto

    1914-1918: così finirono quattro imperi
    di Angela Pellicciari
    Quando, il 28 luglio 1914, scoppia la guerra, a spalleggiare il Re d'Italia e la sua volontà di partecipare allo scontro dalla parte dell’Intesa ci sono i nazionalisti, la destra liberale massonica, Albertini col Corriere della Sera, Mussolini più alcuni socialisti. Cattolici, parlamento e Giovanni Giolitti sono contrari anche perché, senza tener conto della totale impreparazione militare, è palese per dirla con Giolitti che la neutralità ci avrebbe portato molto frutto.
    Ma l’Italia si accoda alla Francia. A quella Francia che dall’inizio del secolo fa dell’odio anticattolico l’asse portante della sua politica interna ed estera. Il 26 aprile 1915, a parlamento sciolto oltre che contrario, quando l’Italia è ancora ufficialmente membro della Triplice Alleanza, per volontà del Re e del capo del governo Antonio Salandra l’Italia firma il Patto di Londra. Inquietanti, in una situazione che peraltro è da colpo di stato, gli articoli 14 e 15: Francia, Gran Bretagna e Russia “si impegnano a sostenere l’Italia nella questione della non ammissione dei rappresentanti della Santa Sede a qualsiasi iniziativa diplomatica, concernente una conferenza di pace o una regolamentazione delle questioni riferentesi alla presente guerra”, così l’art. 14, mentre il 15 prescrive: “Il trattato presente deve essere tenuto segreto”.
    L’esito della guerra, si sa, è catastrofico per l’Italia. In ogni caso gli stati belligeranti, a parte la Russia che diventata comunista si ritira precipitosamente dal conflitto, non sono più in grado di sostenere le enormi spese militari. Non fosse stato per l’America e i suoi massicci finanziamenti, la stessa Gran Bretagna già nel 1917 non avrebbe più avuto modo di continuare a combattere. Ma la Francia si oppone a qualsiasi trattativa di pace perché ha un obiettivo: la distruzione dell’Austria e di quell’impero federalistico che, anche se non più sacro, è purtuttavia da secoli un baluardo per la popolazione cattolica. Solo dopo la disintegrazione dell’impero asburgico si sarebbe potuta formare la Società delle Nazioni egemonizzata da Francia e Inghilterra(a decidere così è il Congresso delle Massonerie delle Nazioni Alleate tenuto a Parigi nel giugno del 1917, circa due anni prima dell’effettiva firma dei trattati di pace).
    Bilancio dell'immane massacro bellico? Fine di quattro imperi secolari: russo, ottomano, austro-ungarico, tedesco. Al momento delle trattative di pace la delegazione italiana, sdegnata dalla mancata considerazione che ritiene le sia riservata, fa il gran gesto di sbattere la porta e tornarsene in Italia. Il rientro a Parigi avviene a cose fatte e si comincerà a parlare di vittoria mutilata. L’insipienza, lo spirito di rivalsa e l’ideologia la fanno da padrone nei trattati di pace, con la conseguenza che nel giro di venti anni scoppia una nuova guerra: ancora una volta mondiale.
    1914-1918: così finirono quattro imperi


  3. #313
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Quando si parla di prima guerra mondiale senza averne le conoscenze

  4. #314
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Tanto di cappello al più che centenario junior che ancora è qui a scrivere.
    Complimenti vivissimi!
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  5. #315
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Citazione Originariamente Scritto da plebs Visualizza Messaggio
    Quando si parla di prima guerra mondiale senza averne le conoscenze

    magari argomentando un po' ...

  6. #316
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    Predefinito Re: Cultura padana

    "VÈSS ON GIAVAN" “ESSERE UNO SCIOCCO”.
    Da dove ha origine?
    Alessandro Manzoni trascorreva buona parte dell’anno con la sua famiglia nella villa di Brusuglio. Qui, durante le vacanze, era solito incontrare gli amici più cari e quando le rispettive signore si ritrovavano in salotto a conversare, il Manzoni con i suoi amici si ritirava in una stanza appartata dove si discuteva di argomenti poco impegnati e ci si concedeva la libertà di dire anche sciocchezze. Tale stanza l’aveva soprannominata “l’isola di Giava” così come il Porta chiamava la “cameretta” il luogo di incontri con i suoi amici più intimi. Sarebbe bello ricordare qualche nome dei frequentatori: Ermes Visconti, Giovanni Berchet, Tommaso Grossi, Carlo Porta, Massimo d’Azeglio, Gino Capponi, Giuseppe Giusti.
    Frequentemente nella camera “isola di Giava”, si accendevano discussioni, si rideva e si scherzava utilizzando il dialetto milanese. Vorrei ricordare che il Manzoni assieme a Luigi Rossari collaborò alla revisione del monumentale vocabolario “milanese-italiano” di Francesco Cherubini e che, quando scriveva in dialetto, si firmava “Manzalèss” le prime lettere del suo cognome e nome ma che in dialetto milanese significa “manzo a lesso”. Dal fatto che in quella stanza si dicevano spesso “Giavanate = Sciocchezze” nasce il modo di dire, in forma benevola “te seet on giavan = sei una persona sciocca”.






    Alla Centrale idrodinamica si inaugura lunedì un'articolata esposizione sulla Marina austroungarica
    di Claudio Ernè
    Trieste
    Erano veneti, istriani, fiumani, triestini, dalmati. Si esprimevano nelle varie declinazioni della lingua veneta e costituirono per secoli l’asse portante della Marineria austriaca i cui ufficiali fino alla metà dell’Ottocento aveva adottato, anche nella trasmissione degli ordini, la parlata dei loro equipaggi. All’epopea e al sacrificio di tante generazioni di marinai “sudditi” degli Asburgo è dedicata la mostra che sarà inaugurata alle 17 nella sala grande della Centrale idrodinamica del Porto Vecchio. Resterà aperta ogni giorno dalle 9.30 alle 12.30 fino a novembre.
    La rassegna è stata realizzata in mesi di lavoro certosino dai soci del Centro regionale di storia militare con la preziosa collaborazione dell’Associazione marina Aldebaran. Sui pannelli si alternano immagini di velieri, corazzate, idrovolanti, monitori, sommergibili, battaglie e comandanti. Nomi, cognomi, incarichi, imprese tra cui spicca la spedizione polare di Julius von Payer che a bordo della nave Tegethoff scoprì ed esplorò tra il 1872 e il 1874 quella che sarebbe poi stata denominata la “Terra di Francesco Giuseppe”.
    La ricerca iconografica è stata imponente così come i dati tecnici e anagrafici raccolti. La massa di queste informazioni fornite ai visitatori potrebbe riempire centinaia e centinaia di pagine di un libro di grandi dimensioni. L’averle disposte su un numero limitato di pannelli costringe a uno sforzo di lettura che al termine del percorso ricompensa però il visitatore della sua fatica. Le Marine degli Asburgo, come dice il titolo della rassegna, si svilupparono a partire dal 1382 e conclusero il loro percorso nel 1918, quando nella base militare di Pola fu ammainata la bandiera della corazzata Viribus Unitis.
    «Il percorso espositivo - spiega Guido Guerin, presidente del Centro regionale di storia militare, già ufficiale della Capitaneria di porto - ricostruisce tutte le fasi di gestazione, nascita e sviluppo della Marina asburgica: si parte del 1382, l’anno della dedizione di Trieste all’Austria e si giunge, attraverso sedici stazioni, all’attentato di Sarajevo e alla Grande Guerra». Torpedini, siluri, sommergibili, monitori fluviali, corazzate, cantieri, arsenali, stabilimenti in cui venivano costruiti gli apparati motore. Molte le immagini inedite, tra cui un paio scattate all’inizio del Novecento all’interno della Fabbrica macchine Sant’Andrea. Altre sono state realizzate al cantiere San Rocco, altre ancora a pochi metri dalla Torre del Lloyd da dove operava a protezione della città Gottfried de Banfield con la sua squadriglia di idrovolanti. Un capitolo spiega quale fosse il ruolo della piazzaforte di Pola e come all’interno del porto erano ancorate le corazzate, gli incrociatori e le torpediniere. La ricerca degli autori è stata così approfondita che nella mostra sono esposti numerosi ritratti dei comandanti dei sommergibili imperiali assieme ai loro dati anagrafici. Alcuni erano triestini e riposano nel cimitero militare cittadino.





    Luigi Einaudi parlava chiaro: “Via il prefetto!”
    di ETTORE BEGGIATO
    Recentemente la “Gazzetta Ufficiale” ha pubblicato un bando di concorso di 30 posti per l’accesso alla qualifica iniziale della carriera prefettizia. E così, come scrive “Il Fatto”, si incrementa la “casta” prefettizia che conta ancor oggi 1.400 aderenti. E allora, come non riproporre alcune parti di un articolo pubblicato sulla “Gazzetta Ticinese” del 17 luglio 1944 a firma Luigi Einaudi, il grande statista piemontese poi Presidente della Repubblica Italiana dal 1948 al 1955; un articolo di straordinaria attualità con il quale l’illuminato uomo politico denunciava l’anomalia e l’estraneità al sistema politico italiano di una figura che rappresentava e rappresenta la quintessenza del centralismo; il titolo era “VIA IL PREFETTO !”.
    Vediamo insieme alcuni passaggi particolarmente significativi: ”In verità il prefetto è una lue che fu inoculata nel nostro corpo politico da Napoleone”, e più avanti “L’Italia estese il sistema prefettizio anche a quelle parti del paese, come le province ex austriache, nelle quali la lue erasi infiltrata con manifestazioni attenuate. Si credette di instaurare libertà e democrazia e si sfoggiò lo strumento della dittatura. Democrazia e prefetti ripugnano profondamente l’una e l’altro.”
    E più avanti: ”Perciò il delenda Carthago della democrazia liberale è: Via il prefetto! Via con tutti i suoi uffici e le sue dipendenze e le sue ramificazioni! Nulla deve più essere lasciato in piedi in questa macchina centralizzata; nemmeno lo stambugio del portiere”.


  7. #317
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Citazione Originariamente Scritto da Erlembaldo Visualizza Messaggio

    i prefetti sono i controllori del gobierno central sui territori, se lo ritengono possono bloccare il lavoro di sindaci e governatore regolarmente eletti, questa mappa è la prova che il centro nord è una colonia del sud.

    Questa mappa è una vergongna, e dimostra come lo stato itagliano mafioso e borbonico intenda avere nelle mani tutto il potere possibile per perpetuare il più massiccio sfruttamento che un territorio (Padania) abbia mai subito nella storia, dimostra anche quanto razzista e privo di etica morale sia il levantino italiano.

    Non dimentichiamoci che il Piemonte e la Lombardia sono pesantemente meridionalizzati e i 3 prefetti sicuramente sono importati.



  8. #318
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Truppe d'occupazione.
    Ovunque dove serve.
    E noi schiavi.
    Ma se siamo un popolo che accetta benevolo e tace, cosa vuoi fare oltre a farti venire gli attacchi di bile?
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  9. #319
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Marc Tamburell
    Scoverta d'incœ: la parolla lombarda "topia" e quella francesa "toupet" i g'hann probabilment l'istessa radix jermanega, ligada a l'ingles "top".
    I like, very much.

    Marc Tamburell
    Davide Filié, dite "topia" anche in Piemonte, per dire la tettoia formata da una pianta rampicante, solitamente dalla vite?

    Stevo R. Poncin
    Confermo: tòpia in Piemonte ha proprio quel significato. Interessante!








    La storia e l’opera di Gianni Brera, giornalista sportivo dalle incredibili risorse linguistiche ed inventive.
    Daniele Ciacci
    «Io sono padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni. E mi sono scoperto figlio legittimo del Po». Non sono le parole di un nostalgico leghista, è così che si definisce Gianni Brera, al secolo Giovanni Luigi Brera, scrittore e giornalista sportivo nonché inventore di larga parte del vocabolario adottato oggi quando si scrive di calcio: catenaccio, centrocampista, incornata, melina, goleador. Termini di comune utilizzo oggi, ma che all’epoca dimostravano la grande attenzione di Brera per il linguaggio, insieme a un’inventiva fuori dal comune impiegata negli ambiti più diversi.
    IN GUERRA SENZA MAI SPARARE. Gianni Brera nasce a San Zenone al Po, che all’epoca contava 1500 abitanti e oggi ne ha solo cinquecento. Un paesino sulle rive del fiume Olona, nella bassa pavese al confine con l’Emilia, sconosciuto ai più ma ricco di fecondi talenti: è di San Zenone al Po anche Gualtiero Marchesi, il più famoso chef al mondo. È un borgo capace di eccellenze quello che dà i natali a Gianni Brera, che dopo la laurea in Scienze politiche a Pavia si arruola nella Divisione Folgore come paracadutista. Dopo l'8 settembre diventa partigiano in Val d'Ossola e sventa la distruzione del traforo del Sempione da parte delle truppe tedesche in ritirata. Si è sempre vantato, Gianni Brera, di non aver mai sparato ad un uomo per tutta la durata della seconda Guerra mondiale.
    SIGARO SULLA TOMBA. Nel ’45 entra alla Gazzetta dello sport, fortemente voluto dall’allora direttore Bruno Roghi, al quale succede proprio il pavese nel ’49. Direttore del maggiore quotidiano sportivo a soli trent’anni, ha proseguito la sua carriera giornalistica collaborando con diverse testate. Una vita dedita alla scrittura e alla sua Lombardia, prima di morire nel ’92 in un incidente stradale tra Codogno e Casalpusterlengo. Sulla sua tomba, ogni mese, viene depositato come omaggio un sigaro toscano.
    PIANARIVA. È stato anche un grande autore, Gianni Brera, e tutta la sua scrittura deriva per ispirazione dalla terra d’origine: le sterminate e nebbiose pianure della campagna pavese. Insieme ai racconti e alle biografie romanzate di ciclisti e calciatori, Brera si è dilettato pure nella narrativa di invenzione, con buoni risultati – benché di nicchia –. La “Trilogia di Pianariva” è l’opera principe di questo lombardo verace, che trae il nome da un paesino di fantasia accostabile al borgo natio. Ed è qui che si giocano le sorti di un popolo semplice, che cerca di sbarcare il lunario nella massacrata Italia del primo dopoguerra.
    LE OPERE. Il corpo della ragassa, con cui si apre la trilogia, è un My fair lady nostrano. Tirisin è una bella ragazza abusata dal potente Ulderico Quadrio in cambio di un posto nella società che conta. Ma con le sue doti seduttive, la piccola Teresa saprà tenere al guinzaglio Ulderico, invertendo il rapporto di sottomissione. Non meno sanguigno è il secondo volume, Il vescovo e le animalesse. Tra il Po e l’Olona si trova un sinistro podere, la Speziana, dove il Male ha preso residenza. Il vescovo Rovati dovrà fronteggiare la pioggia di perversioni e di sacrilegi che la potenza distruttiva del demonio emana. Per concludere, La ballata del pugile suonato. Claudio Orsini e la sua lotta a colpi di ganci e diritti in una bassa percorsa da fascisti e partigiani.







    Legge promulgata dalla Quarantia a protezione dei fanciulli e delle fanciulle nelle officine, Venezia 1396
    Questa Legge della Repubblica Veneta, segnalatami da Carlo De Paoli ma per lo più sconosciuta, è un documento molto importante per dimostrare come Venezia sia stata spogliata da Napoleone non solo di Opere d'Arte e oro.
    Il nucleo più importante del bottino Napoleonico sono i primati sociali e civili Repubblicani detenuti da Venezia, poi distribuiti in giro per il mondo quando fu il turno di Napoleone, di diventare bottino.
    Questa è probabilmente la prima Legge scritta che si occupa di tradurre in Diritto il messaggio cristiano del "Lasciate che i fanciulli vengano a me". Si noti l'esplicito riferimento, ripetuto nel testo, che il non rispettare l'infanzia è un crimine contro Dio e la Giustizia.
    Questa Legge corrobora la tesi esposta in Strategia di Lavoro per la Repubblica (Il Modello Veneziano di Governo) che quello Veneziano fu il primo tentativo politico-sociale attuato in applicazione dei Principi della nuova Religione Cristiana.
    Per la media cultura scolastica degli Italiani, lo sfruttamento minorile diviene effettivo oggetto di Leggi di tutela solo con l'unità. Pur non essendo ancora riuscita a estirpare la piaga dello sfruttamento minorile dal suo stesso territorio, la sedicente repubblica italiana arroga oggi a merito dei partiti (quello fascista prima, quelli "democratici" poi) l'"invenzione" di queste Leggi....
    1396 Marzo 10, in Consiglio dei Quaranta.
    Sempre e più frequentemente si presentano molte persone all'Ufficio della Giustizia Vecchia per chiedere di essere autorizzate a collocare fanciulli e fanciulle di ambo i sessi presso artigiani di questa città di vari mestieri ed arti.
    Non di rado sono gli stessi fanciulli e fanciulle che si presentano al detto Ufficio, incaricato per legge del controllo dell'avviamento al lavoro, per omologare i patti e gli accordi di lavoro conclusi, con la determinazione del salario e degli obblighi di frequenza della bottega, per poter così conseguire l'iscrizione allo speciale albo degli artigiani ed artieri.
    Spesso accade anche che, volendo quel nostro Ufficio introdurre specifiche limitazioni alle prestazioni lavorative troppo pesanti imposte ai predetti fanciulli e fanciulle, che come tali offendono Dio e la Giustizia, i maestri aggirano il controllo legale e si fanno omologare i contratti di istruzione professionale da notai liberi professionisti, ponendo a carico dei predetti fanciulli le imposizioni che loro aggrada, che spessissimo sono contro Dio e la sua Giustizia.
    Gli stessi genitori di tali ragazzi spesso non hanno alcun rispetto dei loro figli e nessuna considerazione del loro vero profitto.
    Il predetto nostro Ufficio della Giustizia Vecchia a unanimità dei suoi componenti dispone che il Senato ponga un preciso divieto ai notai di rogare simili atti e patti, a tutela e difesa di quei fanciulli e per amore della Giustizia.
    Chiede altresì che sia introdotto nello Statuto dei pubblici notai tale divieto, affinché non abbiano a ripetersi simili disordini.
    Così ed in tal senso resta deliberato.
    Tale Legge viene perfezionata il 25 settembre 1402 con la seguente dichiarazione:
    E per altro nessun notaio, in qualunque modo costituto, sia per incarico imperiale che dei Veneziani, osi o presuma di intraprendere o far intraprendere in qualunque modo o stratagemma Parti o comporre Strumento alcuno tra alcun bambino e bambina, tanto piccolo che grande, famigli, servitori, artigiani, e tra familiari di qualunque grado, con maestri, mercanti, funzionari e quante altre condizioni esistano, abitanti nello Stato di Terra e in Quello di Mare della città di Venezia, che comporti un qualsiasi utilizzo dei bambini e delle bambine in attività lavorative, di servizio o di accompagnamento.
    Affinché nessuna grazia sia concesso al notaio che contravvenga al dominio della Giustizia Vecchia in questo campo, se i notai vorranno stilare simili contratti, si ordina che scrivano i patti secondo i dettami della Giustizia Vecchia e li convalidino presso i Suoi Uffici.
    Legge a protezione dei fanciulli e delle fanciulle nelle officine, Venezia 1396


  10. #320
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Citazione Originariamente Scritto da Erlembaldo Visualizza Messaggio


    che bello ... la mia città natale

 

 
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