Persino Cazzullo si atteggia a venetista...
Basta ridurre i veneti a caricature di se stessi
risponde Aldo Cazzullo
Caro Aldo,
il grande sviluppo del Veneto nel dopoguerra ha portato imprenditorialità diffusa, cultura, buon gusto ed etica sociale del lavoro e della solidarietà. Per questo è irritante per noi la cattiva immagine accreditata nei media e in particolare in tv. Il Veneto viene dipinto come grossolano e avido e il nostro dialetto dileggiato come idioma di gente sempliciotta. Ma ci sono fior di trattati internazionali in lingua veneta! Perché siamo ancorati a queste mistificazioni che aumentano il senso di distacco e quindi il desiderio di autonomia? Già siamo scarsamente rappresentati a livello politico, forse perché il carattere veneto è individualista...
Renato Guarniero renato.guarniro@ gmail.com
Caro Renato,
Lei ha perfettamente ragione. Le esprimo solidarietà da piemontese: la tv e il cinema sono insopportabilmente romanocentrici; se devono mettere in scena un veneto o un piemontese, è sempre un mona, o comunque una caricatura (pensi, se può consolarla, ai bersaglieri di «Noi credevamo» di Martone, o agli juventini di «Vacanze in America» dei Vanzina).
Ovviamente la cattiva rappresentazione dei media è solo la superficie del problema. Considero il Veneto, insieme con la Toscana, la regione più bella d’Italia. Ha tutto: il mare, la pianura, le colline, le montagne — e che montagne: le Dolomiti —, le città d’arte. E Venezia.
Certo lo sviluppo di cui lei parla ha portato anche distruzione del territorio e traffico impossibile. Ma il Veneto è una terra ampiamente sottovalutata dal punto di vista politico e culturale. È raffigurato — forse perché da sempre orientato verso il centrodestra — come una landa di buzzurri egoisti; invece il Veneto esprime una fortissima domanda di cultura, di teatro, di musica, di buoni libri. Così come è forte la rete di solidarietà sociale, il volontariato laico e cattolico. Purtroppo la classe dirigente, non solo tra i politici ma anche tra gli imprenditori, non è riuscita a esprimere una leadership in grado di pesare a livello nazionale: consideri ad esempio la delusione dei Galan e degli Zonin. Ma la ripresa nel Nord-Est c’è. Se rimane un buco nero, è proprio Venezia, che non ha confermato i segnali di risveglio intravisti dieci anni fa, e continua a perdere abitanti e identità.
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Scusatemi in anticipo se questo mio post sarà un po' prolisso, ma sento che ne vale la pena.
Sto leggendo "L'Austria era un paese ordinato", di Carpinteri e Faraguna. Un libro di storielle divertenti, le cosiddette "Maldobrie".
Vorrei pero' farvi leggere il preambolo, che di comico non ha nulla, anzi.
"C'è un proverbio ligure che dice: in tempo di guerra, più bugie che terra; forse non è un proverbio ligure, è di tutti; ma nel mio dialetto è detto con parole volgari, fa più effetto. Quando si combatte, non si sa mai contro chi si combatte; il nemico è un fantasma; lo hanno fatto diventare un fantasma grande, potente, pieno di virtù di tutte le specie; oppure piccolo, meschino, trascurabile, pieno di vizi e corruzioni, fragile, da battere in pochi giorni, forse in poche ore.
Noi, nella nostra storia ci siamo sempre fabbricati nemici vermi, da schiacciare con un piede; per questo sono state più le volte che le abbiamo prese, che non le volte che le abbiamo date.
Quando sbarcai a Trieste scoppiavo dalla gioia: la guerra era finita; avevamo vinto; Trieste era nostra; io ero a Trieste, e avevo gli anni che allora bastava averli per scoppiare dalla gioia; adesso non basta più niente per scoppiare dalla gioia.
Dalla natura ho avuto alcuni regali importanti e uno è quello di vedere le cose come fossero cose semplici. cosi' nel mio mestiere posso capire quasi subito dove sono, e quello che mi sta succedendo intorno. Allora facevo un altro mestiere: facevo il guerriero di mestiere, ma quello di vedere le cose come se fossero semplici era un bel regalo anche facendo quel mestiere.
Dopo qualche giorno che ero sbarcato a Trieste capii qualcosa che mi fece vergognare fino alla radice dei capelli. Mi sentii ridicolo storicamente; io non c'entravo, o pochissimo, non avevo fatto quasi niente per essere diventato storicamente ridicolo.
Noi abbiamo sempre fatto la storia con le canzonette, e quando uno è dentro la storia che si sta facendo, è come dentro un'epidemia, è travolto; la storia è un'epidemia che riguarda tutti, nessuno puo' sottrarsi.
Credevo non di fare una piccola correzione alla geografia, ma di portare a Trieste una cesta di primizie di un frutto mai visto da nessuno, mai mangiato da nessuno.
Poi, sbarcando a Trieste, avevamo trovato una città con una civiltà molto più moderna della nostra, e molto più colta, più volenterosa di cultura, più dentro l'Europa, più mescolata con essa, più fornita di buona educazione, e la buona educazione è una cosa di cui non si parla mai nella storia. Come se la storia fosse fatta solo dai maleducati; invece la buona educazione è molto più importante di tante altre cose di cui si parla nella storia.
Ci avevano fabbricato un'Austria marcia, pronta a sfasciarsi al primo urto nostro, governata da un vecchio imbecille, chiamato per dispregio Checco Beppe.
Avevamo trovato, e distrutto, un'amministrazione della cosa pubblica ammirabile, pedante come le poche amministrazioni pubbliche ammirabili che ci sono nel mondo, scrupolosamente onesta, scrupolosamente rispettosa del cittadino e dei suoi diritti scritti. Rispettata da tutti appunto per questo, cioè non per paura ma per fiducia e spontanea riverenza. Un'amministrazione della giustizia piena di giustizia per tutti, il pagatore di tasse considerato non come un limone da spremere e un delinquente, ma uno che lavora, anche per mantenere lo Stato, con la sua dignità di uomo.
In un altro eccellente libro Di Carpinteri e Faraguna c'è una frase che dice tutto quello che sto dicendo io con molte parole: e la dice personaggio del popolo minuto, cioè uno che non ha niente da perdere a dire un'altra cosa, e la frase è questa: "Sotto l'Austria guai a scriver storto".
Qui dentro c'è tutto il segreto di quell'Austria che in quella Europa con l'orticaria cronica era l'ordine costruito come una casa ben costruita; cioè l'ordine non come idea dei fabbricanti di idee, ma come pratica di vita felicemente raggiunta, qualcosa come una una bella musica suonata bene. E quell'ordine cominciava dallo scrivere: scrivere pulito e diritto.
Avevamo scoperto che esisteva, Cioè era esistito fino allora, Uno Stato dove genti di numerose nazionalità e lingue e civiltà diverse convivevano senza amarsi, ma solidali e concordi a fare un buon lavoro solidale e concorde.
E quando c'erano i sanguinosi combattimenti, pochi da noi si domandavano come era quella storia; un impero descritto come una vecchia carriola, e aveva soldati di popoli diversi che combattevano insieme come demoni, e quando avevano smesso di combattere era perché avevano avuto l'ordine di smettere, ed era perché il blocco marittimo aveva costretto le popolazioni al pane K o di patate, ai vestiti di carta, agli zoccoli invece delle scarpe.
E il vecchio imperatore portava sulla mano il vecchio impero, come i santi che nei quadri dei santi portano su una mano una chiesa, e quella mano era carica di dolori. Ma ancora si batteva non con gli uomini ma con l'inesorabile destino.
I nostri governanti dicevano che non si poteva fare l'Europa se non si distruggeva quell'impero, e questo è stato fatto. E si sono visti, e ancora si vedono i risultati. Ma i nostri governanti facevano il loro rifornimento di idee dagli intellettuali, gente raccomandabile per tutti gli usi.
Qualche anno dopo il nostro arrivo a Trieste, ci mandarono a mare a visitare i bragozzi da pesca, per vedere se avevano le carte in regola. Un giorno fermammo un bragozzo di Chioggia, come tanti, non aveva le carte in regola e da bordo iniziarono a gridare: "andremo dal nostro console a Trieste". Credevano che a Trieste ci fosse ancora il console d'Italia, che ci fosse ancora l'Austria. Avevano la bandiera italiana da guerra sventolante davanti agli occhi ma per essi a Trieste c'era ancora l'Austria, per essi l'Austria era qualcosa di stabile, indistruttibile. Erano pescatori, i nostri governanti avevano dell'Austria un'idea più infantile.
Non so da quanto tempo non leggevo un libro come questo; divertente come tutti i libri di Carpinteri e Faraguna; un libro che fa ridere in questo tempo in cui nessuno, scrivendo, sa far più ridere. Ma terribilmente serio.
Io ho passato anni a Trieste e a Pola e in mare lungo le coste dell'Istria e della Dalmazia, conosco quei dialetti, e leggendo quei libri, e vivendo in essi, e ridendo in essi ho sentito il mio cuore battere come usa raramente. Quei personaggi sono gente che racconta ridendo, per non farsi vedere che piange.
E raccontare quella storia in dialetto non è stato un gioco di due artisti del ridere, e non ce n'è chi gli possa stare a paro. E' stata la necessità di mettere i personaggi nella loro aria, l'aria di allora, e non sembrasse una falsificazione.
E da quelle letture io ho avuto un godimento immenso, come tornare ai miei tempi di Trieste e Pola e quelle isole e coste scogliose, a quel mio amore che parla come in quei libri, ed è sempre vivo, sempre ardente, ed è il più lungo di tutti gli amori che ho avuto, e so che finirà con me."
Vittorio G. Rossi