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Discussione: Cultura padana

  1. #591
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Persino Cazzullo si atteggia a venetista...

    Basta ridurre i veneti a caricature di se stessi
    risponde Aldo Cazzullo
    Caro Aldo,
    il grande sviluppo del Veneto nel dopoguerra ha portato imprenditorialità diffusa, cultura, buon gusto ed etica sociale del lavoro e della solidarietà. Per questo è irritante per noi la cattiva immagine accreditata nei media e in particolare in tv. Il Veneto viene dipinto come grossolano e avido e il nostro dialetto dileggiato come idioma di gente sempliciotta. Ma ci sono fior di trattati internazionali in lingua veneta! Perché siamo ancorati a queste mistificazioni che aumentano il senso di distacco e quindi il desiderio di autonomia? Già siamo scarsamente rappresentati a livello politico, forse perché il carattere veneto è individualista...
    Renato Guarniero renato.guarniro@ gmail.com
    Caro Renato,
    Lei ha perfettamente ragione. Le esprimo solidarietà da piemontese: la tv e il cinema sono insopportabilmente romanocentrici; se devono mettere in scena un veneto o un piemontese, è sempre un mona, o comunque una caricatura (pensi, se può consolarla, ai bersaglieri di «Noi credevamo» di Martone, o agli juventini di «Vacanze in America» dei Vanzina).
    Ovviamente la cattiva rappresentazione dei media è solo la superficie del problema. Considero il Veneto, insieme con la Toscana, la regione più bella d’Italia. Ha tutto: il mare, la pianura, le colline, le montagne — e che montagne: le Dolomiti —, le città d’arte. E Venezia.
    Certo lo sviluppo di cui lei parla ha portato anche distruzione del territorio e traffico impossibile. Ma il Veneto è una terra ampiamente sottovalutata dal punto di vista politico e culturale. È raffigurato — forse perché da sempre orientato verso il centrodestra — come una landa di buzzurri egoisti; invece il Veneto esprime una fortissima domanda di cultura, di teatro, di musica, di buoni libri. Così come è forte la rete di solidarietà sociale, il volontariato laico e cattolico. Purtroppo la classe dirigente, non solo tra i politici ma anche tra gli imprenditori, non è riuscita a esprimere una leadership in grado di pesare a livello nazionale: consideri ad esempio la delusione dei Galan e degli Zonin. Ma la ripresa nel Nord-Est c’è. Se rimane un buco nero, è proprio Venezia, che non ha confermato i segnali di risveglio intravisti dieci anni fa, e continua a perdere abitanti e identità.
    Lo dico al Corriere - Basta ridurre i veneti a caricature di se stessi - Corriere.it

    Vota Franz Joseph
    Scusatemi in anticipo se questo mio post sarà un po' prolisso, ma sento che ne vale la pena.
    Sto leggendo "L'Austria era un paese ordinato", di Carpinteri e Faraguna. Un libro di storielle divertenti, le cosiddette "Maldobrie".
    Vorrei pero' farvi leggere il preambolo, che di comico non ha nulla, anzi.
    "C'è un proverbio ligure che dice: in tempo di guerra, più bugie che terra; forse non è un proverbio ligure, è di tutti; ma nel mio dialetto è detto con parole volgari, fa più effetto. Quando si combatte, non si sa mai contro chi si combatte; il nemico è un fantasma; lo hanno fatto diventare un fantasma grande, potente, pieno di virtù di tutte le specie; oppure piccolo, meschino, trascurabile, pieno di vizi e corruzioni, fragile, da battere in pochi giorni, forse in poche ore.
    Noi, nella nostra storia ci siamo sempre fabbricati nemici vermi, da schiacciare con un piede; per questo sono state più le volte che le abbiamo prese, che non le volte che le abbiamo date.
    Quando sbarcai a Trieste scoppiavo dalla gioia: la guerra era finita; avevamo vinto; Trieste era nostra; io ero a Trieste, e avevo gli anni che allora bastava averli per scoppiare dalla gioia; adesso non basta più niente per scoppiare dalla gioia.
    Dalla natura ho avuto alcuni regali importanti e uno è quello di vedere le cose come fossero cose semplici. cosi' nel mio mestiere posso capire quasi subito dove sono, e quello che mi sta succedendo intorno. Allora facevo un altro mestiere: facevo il guerriero di mestiere, ma quello di vedere le cose come se fossero semplici era un bel regalo anche facendo quel mestiere.
    Dopo qualche giorno che ero sbarcato a Trieste capii qualcosa che mi fece vergognare fino alla radice dei capelli. Mi sentii ridicolo storicamente; io non c'entravo, o pochissimo, non avevo fatto quasi niente per essere diventato storicamente ridicolo.
    Noi abbiamo sempre fatto la storia con le canzonette, e quando uno è dentro la storia che si sta facendo, è come dentro un'epidemia, è travolto; la storia è un'epidemia che riguarda tutti, nessuno puo' sottrarsi.
    Credevo non di fare una piccola correzione alla geografia, ma di portare a Trieste una cesta di primizie di un frutto mai visto da nessuno, mai mangiato da nessuno.
    Poi, sbarcando a Trieste, avevamo trovato una città con una civiltà molto più moderna della nostra, e molto più colta, più volenterosa di cultura, più dentro l'Europa, più mescolata con essa, più fornita di buona educazione, e la buona educazione è una cosa di cui non si parla mai nella storia. Come se la storia fosse fatta solo dai maleducati; invece la buona educazione è molto più importante di tante altre cose di cui si parla nella storia.
    Ci avevano fabbricato un'Austria marcia, pronta a sfasciarsi al primo urto nostro, governata da un vecchio imbecille, chiamato per dispregio Checco Beppe.
    Avevamo trovato, e distrutto, un'amministrazione della cosa pubblica ammirabile, pedante come le poche amministrazioni pubbliche ammirabili che ci sono nel mondo, scrupolosamente onesta, scrupolosamente rispettosa del cittadino e dei suoi diritti scritti. Rispettata da tutti appunto per questo, cioè non per paura ma per fiducia e spontanea riverenza. Un'amministrazione della giustizia piena di giustizia per tutti, il pagatore di tasse considerato non come un limone da spremere e un delinquente, ma uno che lavora, anche per mantenere lo Stato, con la sua dignità di uomo.
    In un altro eccellente libro Di Carpinteri e Faraguna c'è una frase che dice tutto quello che sto dicendo io con molte parole: e la dice personaggio del popolo minuto, cioè uno che non ha niente da perdere a dire un'altra cosa, e la frase è questa: "Sotto l'Austria guai a scriver storto".
    Qui dentro c'è tutto il segreto di quell'Austria che in quella Europa con l'orticaria cronica era l'ordine costruito come una casa ben costruita; cioè l'ordine non come idea dei fabbricanti di idee, ma come pratica di vita felicemente raggiunta, qualcosa come una una bella musica suonata bene. E quell'ordine cominciava dallo scrivere: scrivere pulito e diritto.
    Avevamo scoperto che esisteva, Cioè era esistito fino allora, Uno Stato dove genti di numerose nazionalità e lingue e civiltà diverse convivevano senza amarsi, ma solidali e concordi a fare un buon lavoro solidale e concorde.
    E quando c'erano i sanguinosi combattimenti, pochi da noi si domandavano come era quella storia; un impero descritto come una vecchia carriola, e aveva soldati di popoli diversi che combattevano insieme come demoni, e quando avevano smesso di combattere era perché avevano avuto l'ordine di smettere, ed era perché il blocco marittimo aveva costretto le popolazioni al pane K o di patate, ai vestiti di carta, agli zoccoli invece delle scarpe.
    E il vecchio imperatore portava sulla mano il vecchio impero, come i santi che nei quadri dei santi portano su una mano una chiesa, e quella mano era carica di dolori. Ma ancora si batteva non con gli uomini ma con l'inesorabile destino.
    I nostri governanti dicevano che non si poteva fare l'Europa se non si distruggeva quell'impero, e questo è stato fatto. E si sono visti, e ancora si vedono i risultati. Ma i nostri governanti facevano il loro rifornimento di idee dagli intellettuali, gente raccomandabile per tutti gli usi.
    Qualche anno dopo il nostro arrivo a Trieste, ci mandarono a mare a visitare i bragozzi da pesca, per vedere se avevano le carte in regola. Un giorno fermammo un bragozzo di Chioggia, come tanti, non aveva le carte in regola e da bordo iniziarono a gridare: "andremo dal nostro console a Trieste". Credevano che a Trieste ci fosse ancora il console d'Italia, che ci fosse ancora l'Austria. Avevano la bandiera italiana da guerra sventolante davanti agli occhi ma per essi a Trieste c'era ancora l'Austria, per essi l'Austria era qualcosa di stabile, indistruttibile. Erano pescatori, i nostri governanti avevano dell'Austria un'idea più infantile.
    Non so da quanto tempo non leggevo un libro come questo; divertente come tutti i libri di Carpinteri e Faraguna; un libro che fa ridere in questo tempo in cui nessuno, scrivendo, sa far più ridere. Ma terribilmente serio.
    Io ho passato anni a Trieste e a Pola e in mare lungo le coste dell'Istria e della Dalmazia, conosco quei dialetti, e leggendo quei libri, e vivendo in essi, e ridendo in essi ho sentito il mio cuore battere come usa raramente. Quei personaggi sono gente che racconta ridendo, per non farsi vedere che piange.
    E raccontare quella storia in dialetto non è stato un gioco di due artisti del ridere, e non ce n'è chi gli possa stare a paro. E' stata la necessità di mettere i personaggi nella loro aria, l'aria di allora, e non sembrasse una falsificazione.
    E da quelle letture io ho avuto un godimento immenso, come tornare ai miei tempi di Trieste e Pola e quelle isole e coste scogliose, a quel mio amore che parla come in quei libri, ed è sempre vivo, sempre ardente, ed è il più lungo di tutti gli amori che ho avuto, e so che finirà con me."
    Vittorio G. Rossi














  2. #592
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Niente panico
    Pubblicato da Berlicche
    Qui ridir non saprei come, nè quale
    Avverso nume a me stesso mi tolse
    Virgilio, Eneide, Libro II
    Sappiamo tutti cosa è successo a Torino sabato sera davanti al maxischermo dove si proiettava la finale di Champion League: l’allarme, la fuga, i feriti. Ho degli amici, dei conoscenti che vi ci si sono trovati in mezzo.
    I mezzi di comunicazione si sono soffermati su un ragazzo, il “ragazzo a torso nudo con lo zainetto”, che è rimasto fermo mentre intorno tutti correvano via. Sospetto.
    Ma perché?
    Per esperienza, ci sono tre modi in cui si reagisce ad una emergenza improvvisa.
    Il primo è scappare via il più in fretta possibile, senza aspettare di capire cosa stia accadendo davvero. E’ vero, può salvarti la vita: ma in questo caso è ciò che ha causato il disastro.
    Il secondo è andare in panico, senza sapere cosa fare. Si rimane bloccati, in preda alla confusione. Può accadere anche a persone intelligenti e decise. Di solito ci si sblocca per imitazione, e si segue la massa o la prima voce decisa.
    Il terzo è mantenere il sangue freddo, valutare il problema, agire di conseguenza. Non è di tutti, anzi, chi ci riesce è una minoranza. E’ un atteggiamento che, entro i propri limiti, può essere imparato.
    Ecco, a prescindere dal fatto se quel tipo con lo zaino risulterà essere effettivamente colpevole di procurato allarme o, come ora pare, troppo stravolto e ubriaco per scappare, oppure dotato di abbastanza sangue freddo da capire che non c’era niente di cui avere paura, mi colpisce come si dia per scontato che chi non corre via sia in qualche maniera anomalo.
    Come se la fuga fosse l’unico responso accettabile davanti al terrore.
    Personalmente mi rifiuto di fuggire. Non voglio essere terrorizzato, ma andare se possibile in direzione opposta, a vedere se si può essere d’aiuto. E se ci si dovesse proprio ritirare, lo vorrei fare con calma. Senza perdere la testa.
    Sì, ho timore. Della paura.
    https://berlicche.wordpress.com/2017...se-non-scappi/

    È a Milano la migliore università d’Italia
    Ecco il Qs World University Rankings. La prima università italiana nel mondo è milanese
    La migliore università d’Italia è a Milano. A stabilirlo è il Qs World University Rankings, la classifica che ogni anno “ordina” le università di tutto il mondo in base ad alcuni parametri fissi, tra cui reputazione accademica, apprezzamento dei datori di lavori e dei “cacciatori di teste” e tasso di internazionalizzazione.
    La palma di migliore d’Italia va al Politecnico di Milano, che nella graduatoria generale si piazza al 170esimo posto, guadagnando ben tredici posizioni rispetto all’anno precedente. A far fare il salto di qualità al PoliMi è l’indicatore che misura il parere di chi è in cerca di persone da assumere: per “employer reputation”, infatti, l’ateneo di piazza Leonardo da Vinci è addirittura cinquantatreesimo nel mondo.
    Meglio ancora, per questo parametro, fa la Bocconi, che è trentesima, anche se poi resta fuori dai primi duecento posti della classifica generale.
    Tra le prime duecento, entrano anche altre tre italiane: l'università di Bologna - 188esima al mondo - e la scuola superiore Sant'Anna Pisa e la scuola Normale superiore, entrambe al 192esimo.
    È a Milano la migliore università d'Italia: è il Politecnico | Classifica

    Diffamazione: Direttore della RAI definisce Eva Klotz una terrorista
    „Eva Klotz è una terrorista dell’Alto Adige“
    Il direttivo del Movimento Süd-Tiroler Freiheit si dichiara indignato dalla dichiarazione del Direttore di RAI News, Antonio Di Bella, secondo il quale l’ ex-Consigliera provinciale della Süd-Tiroler Freiheit sarebbe una terrorista. Di Bella ha definito Eva Klotz, nella discussione televisiva „In ½ h“ su RAI Tre, parlando dell’attentato terroristico di domenica pomeriggio a Londra, una “terrorista dell’Alto Adige“ („Paghiamo la pensione di Eva Klotz, che è una terrorista dell’Alto Adige“).
    Eva Klotz non intende passar sopra a queste dichiarazioni e farà denuncia contro questa grave diffamazione. Già in passato si è difesa con successo contro simili diffamazioni.



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    L'incrociatore corazzato "Garibaldi" appena silurato nel golfo di Kavtat (Ragusavecchia) dal nostro U 4 comandato da Rudolph Singule. Il sommergibile si era immerso dopo il primo lancio e riaffiorò 20 minuti dopo, quando lo Zerstörer Intrepido sospese il recupero dei naufraghi per attaccarlo. Si immerse nuovamente e fece perdere le proprie traccie.
    Singule fu sgridato dall'amm. Haus perché "pur trovandosi nel mezzo di una squadra nemica dove poteva fare tiro al piccione con ben 4 siluri, era riuscito ad affondare solo una nave e scappando come un codardo". L'U4 e l'U3 erano gli unici sommergibili decenti con quattro tubi a prua, gli altri ne avevano solo due.
    La squadra nemica rispondeva a Ragusa alle nostre incursioni sulla loro costa, continuate ininterrottamente dal 23 maggio 1915, seppure non più con le corazzate, visto il crescente pericolo dei sommergibili. L'incursione voleva colpire la ferrovia a scartamento ridotto per Cattaro e danneggiare i fari, cosa che fecero sbarcando delle squadre di guastatori.
    L'affondamento del Garibaldi il 18 luglio con la perdita di 55 uomini, seguiva l'affondamento dell'incrociatore corazzato Amalfi dieci giorni prima, con la perdita di 67 uomini.
    Le due navi da battaglia erano reputate tra le migliori navi nemiche, due gemelle del Garibaldi furono vendute all'estero ed una sopravvive ancora in Grecia come nave museo. L'Amalfi aveva corazzature di 20 cm in acciaio al nikel-cromo, raggiungeva la velocità di 23 nodi contro i 19 del Garibaldi e faceva parte degli "incrociatori da battaglia" più avanzati.
    La KuK Kriegsmarine aveva due vecchi incrociatori corazzati ma non erano considerati "da battaglia" in quanto per velocità, protezione ed armamento, non erano predisposti per scorrazzare in cerca del nemico come se fossero "corazzate tascabili". Gli incrociatori da battaglia erano preferiti dalla Germania, che raggiunse i vertici tecnologici con la classe Moltke rappresentata dal mitico Goeben ben conosciuto a Trieste per le sue visite e per le sue imprese dell'agosto 1914.
    Le restrizioni del dopoguerra portarono ad un avvicinamento tra le "corazzate tascabili" tedesche e gli "incrociatori corazzati da battaglia", a volte potenti come le prime ma più leggeri.
    La perdita di due navi da battaglia in rapida successione, pose fine alle incursioni italiane sulle nostre coste, nel luglio del 1915.
    La perdita della corazzata Benedetto Brin nel mese di settembre con la perdita di 421 uomini che seguiva gli affondamenti delle navi Turbine, Medusa, Impetuoso, Nereide, Città di Catania e Jalea contro i nostri soli U 12 ed U 6 escluse le torpediniere, relegò la Regia Marina a zimbello degli alleati, che scrivevano nelle loro memorie e nei loro rapporti, che "l'Adriatico era diventato un lago austriaco".
    Ma questo lo potevano dire solo i britannici: i francesi avevano subito stessa sorte nel 1914 con il siluramento della loro ammiraglia Jeanne Bart e con l'affondamento dell'incrociatore corazzato Leon Gambetta con la perdita di 684 uomini, ammiragli compresi. Anch'essi avevano posto fine alle loro incursioni nel mare Adriatico, pur disponendo di una flotta enormemente superiore alla KuK Kriegsmarine.
    Anche la Regia Marina era molto superiore, specialmente in fatto di naviglio leggero e di sommergibili, che schierò in guerra nel numero di oltre 80, contro la nostra decina di vecchie carrette, delle quali solo 4 erano in grado di prendere il mare allo scoppio del conflitto.
    I successivi affondamenti delle corazzate italiane Benedetto Brin e della loro punta di diamante Leonardo Da Vinci, riequilibrò anche il confronto in termini di corazzate: loro avevano un numero superiore di corazzate inutilizzabili per obsolescenza, avevano ancora 2 dreadnought in più delle nostre con calibri più potenti, ma temevano la velocità delle nostre e la precisione e rapidità del nostro tiro in navigazione, già ampiamente dimostrato dal naviglio leggero.
    E così la nostra piccola flotta tenne in scacco la Regia Marina e le squadre francesi e britanniche che la aiutavano nell'Adriatico e nello Jonio.
    Ciò continuò anche dopo la temeraria azione dell'amm. Horty che fece perdere la Szent Istvan e fino all'ultima "battaglia di Durazzo" dell'ottobre 1918, quando gli italiani si decisero a muovere le corazzate cedendo alle pressanti richieste degli alleati, specialmente degli USA che, facendo la conta delle navi, non riuscivano a capacitarsi di come la nostra flotta non fosse stata ancora eliminata.
    Anche in quell'occasione, la strapotente squadra dell'Intesa fece una figuraccia: le nostre navi da carico presenti in rada scamparono agli assalti dei MAS, lo Scharfschütze (sempre lui) riuscì a riparare a Cattaro sfuggendo letteralmente sotto il loro naso (sotto costa per approfittare della protezione delle batterie costiere mentre gli alleati non osavano avvicinarsi, temendo le batterie ed i sommergibili).
    Anche gli USA parteciparono alla brutta figura; avevano portato una squadra di cacciamine dotati dei più moderni sistemi antisom ed annunciarono di aver affondato 4 sommergibili. Ciò accadeva perché qualche loro pezzo grosso appena imbarcato, pensava che le bombe di profondità esplodessero per contatto e vedendo le colonne d'acqua delle esplosioni, dedusse che ognuna di esse comportasse un affondamento. Il borioso ammiraglio statunitense che comandava la flotta USA lo scrisse anche nelle sue memorie e diversi storici occidentali propalarono la fregnaccia, ancora presente in molti libri di propaganda storica; fu smentito dal nostro Sokol già negli anni '30.
    Quando il sommergibile tedesco silurò l'incrociatore britannico Weymouth (era la seconda volta che gli succedeva), l'ammiraglio Paladini diede l'ordine di tornare tutti a casa e cessò l'ultima battaglia della KuK Kriegsmarine.
    I terzomondisti occuparono Durazzo 14 giorni dopo, mentre i tedeschi affondavano i loro preziosi sommergibili, inviati per la guerra al traffico nel mediterraneo ma che ci furono di prezioso aiuto anche nel confronto militare, specialmente con i loro posamine da fantascienza.
    La KuK Kriegsmarine aveva dimostrato fino alla fine il suo valore e la sua capacità, con l'ammirazione dei cavallereschi avversari britannici, che non mancarono mai di mettere in luce la competenza dei nostri equipaggi e biasimando l'incompetenza dei loro alleati franco-italici.
    Andar per mare è una faccenda particolare: non sempre vince chi ha più cannoni e chi li ha più grossi. Il lucido coraggio degli ufficiali austriaci e britannici, era cosa diversa dalla temerarietà dei loro colleghi latini, sempre disponibili a lanciarsi in azioni donchisciottesche ma non altrettanto bravi a lavorare di squadra ed usare il cervello nelle situazioni complicate. Lo dimostrarono scontrandosi tra di loro molte volte, nelle azioni notturne e con la nebbia.
    I britannici dicevano che impiegavano molte energie nel farsi le scarpe tra di loro, sia all'interno delle Marine che nell'alleanza. E sembrava che dedicassero più energie a tali attività che nel navigare e tenere in ordine le navi, perchè secondo i britannici, passavano in porto e sugli scali, più tempo che in mare.






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    Predefinito Re: Cultura padana

    Efficienza reti idriche, Lombardia al top
    Lombardia al top per efficienza delle reti idriche, e Macerata il miglior capoluogo di Provincia italiano, qui non si spreca più dell’8,2% dell’acqua immessa in rete.
    Mantova (11,6%) e Pordenone (11,7%) sono sul podio delle città più virtuose in Italia per le reti idriche più efficienti, con perdite medie contenute sotto il 12%. Meno del 13% perdono le reti di Monza, quarta in Italia.
    Tra le grandi città-capoluogo spicca Milano, nona, con il 16,7% di perdite d’acqua rilevate. Fra i primi venti capoluoghi di provincia che si distinguono per l’efficienza delle reti idriche ben otto sono lombarde (Mantova, Monza, Pavia, Milano, Bergamo, Sondrio, Lodi, Como), tre dell’Emilia-Romagna (Piacenza, Reggio Emilia, Forlì) e due del Friuli Venezia Giulia (Pordenone e Udine).
    Acqua: Lombardia al top per efficienza reti idriche ma Macerata batte tutti

    "Quella veneta è una lingua vera"
    Rovigo - Grande attenzione al quarto incontro del ciclo Veneto, Italia, Mondo: riflessioni sul repertorio linguistico tra passato, presente e futuro organizzato dal comitato rodigino della società Dante Alighieri che ha visto il professor Matteo Santipolo, direttore scientifico dell'iniziativa, intervenire sul difficile tema del rapporto tra Italiano e Dialetto nel Veneto d'oggi: tra storia, emozioni e politica linguistica.
    Divisa in 8 punti chiave, che hanno toccato gli aspetti storici, sociali e culturali del veneto, la conferenza del professor Santipolo, docente di Glottodidattica e didattica della lingua inglese presso l’università degli Studi di Padova, è partita da un assunto fondamentale: "Il Veneto non è un dialetto, ma una lingua con una sua storia, una sua letteratura e una sua grammatica, nata, cosi' come l'italiano, dal contatto fra il latino e le antiche lingue presenti nella nostra regione".
    Non siamo di fronte, quindi, ad un idioma minoritario rispetto alla lingua ufficiale, bensi' ad una lingua che all'interno dei nostri confini regionali è parlata da circa 3 milioni di persone, dialettofone o semi-dialettofone, etichetta che, come ha spiegato lo studioso "indica tutti i parlanti che si sono avvicinati al dialetto partendo dalla lingua materna, perchè siamo tutti capaci di comprendere il veneto e soprattutto di identificarci nella comunità veneta grazie a questa lingua".
    Punto centrale dell'incontro è stata la riflessione sulla legge 116, approvata dal consiglio regionale, ovvero la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze (linguistiche) nazionali: "L'Italia ha iniziato una politica linguistica già negli anni venti, quando partendo dai dialetti si è cercato di avvicinare i parlanti alla lingua nazionale - ha detto Santipolo - poi si è tentato dagli anni '70 di tutelare le varie lingue presenti nella Penisola, fino alla legge 482 del 1999, che prevede la tutela di 12 minoranze linguistiche, fra cui pero' manca il veneto".
    "Quella veneta è una lingua vera" - CULTURA ROVIGO Il professor Matteo Santipolo è stato il relatore dell?incontro del ciclo "Veneto, Italia, Mondo", incentrato sul tema del rapporto tra Italiano e Dialetto nel Veneto d'oggi - RovigoOggi.it, quotidia

    Il Tesoro del Bigatto, ritorna il fantasy italiano di Giuseppe Pederiali
    L’uscita della nuova edizione del romanzo del compianto Giuseppe Pederiali, definito il padre del fantasy italiano, è prevista per il prossimo Autunno.
    Il prossimo Autunno Kappalab presenterà la nuova edizione del fantasy Il Tesoro del Bigatto del compianto Giuseppe Pederiali, impreziosita da una copertina inedita di Gianmaria Liani (“Lupin III – Il violino degli Holmes”, “Tutta colpa di Pupi Avati”, “Limbo”).
    Tutti i dettagli nel comunicato stampa ufficiale a seguire.
    Autunno 2017:
    IL GRANDE RITORNO DEL VERO FANTASY ITALIANO!
    Giuseppe Pederiali
    IL TESORO DEL BIGATTO
    cm 14,5×21, 256 pag, 15 euro
    ISBN 9788885457034
    Dall’amato e prolifico scrittore ritenuto il TOLKIEN DEL BEL PAESE, e definito dal giornalista Gianfranco de Turris “IL PADRE DEL FANTASY ITALIANO”, torna nelle librerie il long-seller da UN MILIONE DI COPIE, adottato per decenni anche come libro di lettura nelle scuole!
    Anselmo, l’eremita della Pietra di Bismantova, riceve l’incarico di portare a compimento una delicatissima missione segreta per conto di Matilde di Canossa ma, scoperto il piano e la destinazione finale, il Diavolo in persona decide di ostacolarlo in ogni modo. L’incontro col giovane re Vitige, pronto a partire per una grande avventura nel tentativo salvare il suo popolo dalla carestia, induce Anselmo a cambiare i propri piani di viaggio, e di conseguenza a confondere il suo rivale…
    In un’inedita Pianura Padana fantastica dell’Undicesimo Secolo, un manipolo di coraggiosi ma sgangherati eroi affronta una brancaleonesca avventura irta di pericoli lungo il corso del Fiume Po, ricco di miti e creature leggendarie della tradizione folclorica italiana.
    GIUSEPPE PEDERIALI (Finale Emilia 1937 – Milano 2013) ha esordito come scrittore negli anni Sessanta, e si è imposto sulla scena nazionale grazie al successo della trilogia fantastica composta da “Il tesoro del bigatto”, “La compagnia della Selva Bella” e “Le città del diluvio”.
    È stato marinaio, programmatore di computer e giornalista; ha collaborato spesso con la radio, la televisione e il cinema, e dai suoi romanzi sono stati tratti un film (“Luci lontane”, 1987) e uno sceneggiato (“Il sogno del maratoneta”, 2012).
    Ha scritto circa settanta romanzi, alcuni dei quali pubblicati postumi, e ha ricevuto decine di riconoscimenti, fra i quali il Premio Sirmione Catullo nel 1995, il Premio Europeo di Letteratura Giovanile nel 1996, il Premio Alessandro Manzoni per il Romanzo Storico nel 2009 e il Premio Pico della Mirandola alla carriera nel 2010.
    Oltre alle opere a tema storico e fantastico è conosciuto anche per quelle ambientate durante la Seconda Guerra Mondiale, per i romanzi per ragazzi, e per la serie dedicata all’ispettore Camilla Cagliostri, con cui ha ottenuto grandi riscontri sia in Italia che all’estero.
    I libri di Giuseppe Pederiali sono tradotti in Germania, Inghilterra, Russia, Francia e perfino in Giappone.
    Il Tesoro del Bigatto, ritorna il fantasy italiano di Giuseppe Pederiali con Kappalab











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    I lettori ci scrivono: "Che differenza c'è tra le lumache e gli emigranti italiani in Tirolo e nel Litorale? Nessuna: entrambi si portano dietro la loro casa e la loro patria."






  4. #594
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Davanti al Muretto di Treviso ho pregato
    Contro l'indignazione dei senzafrontieristi locali
    Siracide, figlio di Sirach, autore dell’omonimo libro biblico, sono reduce da un piccolo pellegrinaggio a Treviso dove mi sono recato per pregare davanti al muro che tanto ha indignato i senzafrontieristi locali. Che esagerati: più che un muro è un muretto, una recinzione un po’ più alta della media, a protezione di un nuovo insediamento denominato Borgo San Martino.
    Vorrei criticare la sua modestia estetica, più da base militare che da quartiere residenziale: sarebbe bastato chiamare l’architetto Bontempi o l’architetto Carmassi o l’architetto Zermani e adesso avremmo un bel muro in caldi, ben disegnati mattoni. Ma è il pensiero che conta: il successo commerciale del Borgo stabilisce che il titolo della prossima Biennale architettura (“Freespace”) è anacronistico mentre le tue parole (“Dove non esiste siepe, la proprietà è saccheggiata”) sono quanto mai attuali. Davanti al Muretto di Treviso ho pregato affinché la Sacra Scrittura ispiri nuovamente l’architettura.
    Davanti al Muretto di Treviso ho pregato - Il Foglio



    L'Università di Trento cerca persone che parlino dialetto per un progetto di ricerca
    Cercansi parlanti di cimbro, mocheno, ladino o di uno dei dialetti delle vallate trentine
    Redazione
    L’Università di Trento è impegnata nella costruzione di una banca dati che raccolga contributi orali relativi alle lingue minoritarie e ai dialetti parlati nell’area compresa tra Innsbruck e Verona. La ricerca coinvolgerà anche la popolazione delle valli trentine e dell’Alto Adige attraverso un questionario online che sarà somministrato nelle prossime settimane e proprio a tale scopo si cercano persone che parlino un dialetto trentino o tirolese, il ladino o una varietà linguistica germanica come il mocheno o il cimbro.
    VinKo, varietà in contatto, è il nome del progetto, condotto da un gruppo di ricerca dell'ateneo trentino in collaborazione con l'Università di Verona. La costruzione della banca dati si colloca nel quadro di un progetto europeo finalizzato a studiare il multilinguismo in Europa da diverse prospettive e rientra in un progetto PRIN (Progetti di Rilevante Interesse Nazionale). Responsabili del progetto sono i professori Patrizia Cordin, Ermenegildo Bidese e Roberto Zamparelli per l’Università di Trento e Birgit Alber per l’Università di Verona.
    L'Università di Trento cerca persone che parlino dialetto per un progetto di ricerca



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    Generazioni di storici italiani hanno raccontanto balle per un secolo. Ci mancavano solo gli "storici della domenica".
    1) Sono nella cappella di Javorca e non hanno notato l'unico simbolo originale di Trieste ancora esistente nel Litorale? E' impossibile, del tutto impossibile. Omissione da gente con le tre narici bianca rossa e verde.
    2) "Ci fu un grande movimento di treni provenienti da Gorizia e diretti a Tolmino mentre i tedeschi sui monti preparavano l'offensiva". Come potevano provenire i treni da Gorizia che era in mano agli italiani?
    "Mentre i tedeschi preparavano l'offensiva"....altra italianata da gente con tre buchi del naso... questa è quasi a livello di sei buchi del naso. C'erano 3 Armate contro gli italiani. Quella più a nord era la 14° armata composta da 7 divisioni tedesche ed 8 divisioni austro-ungariche. Le altre due Armate erano interamente austro ungariche. I conti sono presto fatti a mente: i tedeschi erano circa il 21%. E furono solo loro a preparare l'offensiva? Essa avvenne in due punti iniziali: Bovec e Tolmin. Tutte le truppe che sfondarono a Bovec erano austro ungariche, a Tolmin c'erano due divisioni austriache, sotto Tolmin e cioè dalla Bainsizza in giù, le truppe erano solo austro ungariche.
    Sapete perchè gli italiani giganteggiano sempre la partecipazione germanica all'avanzata di Kobarid? Perchè essendo considerati i tedeschi "i migliori soldati del mondo", se gli italiani persero dai tedeschi, sarebbero i secondi in classifica.
    Sarebbe come se la Juventus dicesse di aver perso dal Brasile nei primi anni '60, perchè nel Milan giocavano due brasiliani come Altafini ed Amarildo. Esileranti italianate.
    3) "Rommel decise di non intraprendere la via delle cime e, cosi' facendo, decise di attaccare direttamente dalla valle dell'Isonzo."
    Rommel conquisto' solo cime, una dopo l'altra. da dove avrebbe dovuto attaccare, dal Gange? Se lo schierarono oltre l'Isonzo sulla "testa di ponte" dandogli ordine di salire a mezza costa sulla destra per aiutare la presa del monte Helvnik, del Globoèak e poi di tutte le cime fino al Matajur.
    4) "Poi salita al Mrzli." Quindi stavano esattamente dalla parte opposta del fiume e del fronte dove agi' Rommel, sull'unico pezzettino di fronte conquistato dai nostri (una divisione austriaca) "in discesa" e non in salita.
    5) il "Nero", il "Monte Nero". Spiacenti... si tratta del Krn. Solo quelli con tre buchi del naso, possono usare il più ridicolo errore di traduzione nell'italianizzazione dei toponimi sloveni. Krn significa "brullo", non "nero". E gli italiani continuano a farsi ridere dietro dal mondo intero da 100 anni con questi errori di traduzione, che oltre a dimostrare il loro inveterato imperialismo, nazionalismo, ed ideologia etnocida... dimostrano anche la loro colossale ignoranza.
    6) la puntata continua... ne sentiremo delle belle. A proposito, come mai ritengono opportuno specificare il numero degli uomini di Rommel (600) e non quello degli italiani catturati? Erano circa 10 mila catturati direttamente da lui, mentre quelli che "fece catturare" da altri reparti avendoli aggirati, erano secondo lui, almeno altrettanti. E due settimane dopo a Longarone (assieme ad un battaglione di Schützen austriaci), ne catturo'altri 10 mila.
    Ed un reggimento tra i più valorosi (almeno 3 mila persone) lo catturo' letteralmente da solo, spuntando dal bosco e... facendogli credere di essere circondati.
    Non esponetevi alla propaganda tricoloruta... come potete notare da questo articolo, essa è imprevedibile e giunge anche dalle fonti più inaspettate. Stateci attenti, se non volete svegliarvi un mattino con le tre narici rossa, bianca e verde. Se vi capita si subire propaganda italiana, controllatevi le narici ogni mattina.

    E il giovane Rommel prese migliaia di italiani con un pugno di uomini - Tempo Libero - Il Piccolo

    E' davvero pazzesco: ora dobbiamo mandargli pure il nostro sangue!

    Emergenza sangue in Campania:
    «Costretti a rinviare gli interventi»
    di Maria Pirro
    Interventi chirurgici rinviati, ammalati rimandati a casa. È emergenza in Campania, ma anche in altre regioni d’Italia. «Vi è grave carenza di sangue di gruppo zero, positivo e negativo», che rende impossibile ricorrere al sistema di compensazione tra ospedali.
    L'allarme viene lanciato dalla struttura di coordinamento per le attività trasfusionali che, con una lettera indirizzata alla Regione, si rivolge ai servizi e alle associazioni per «garantire la massima mobilitazione». Questa situazione rende, infatti, difficile riuscire a garantire gli interventi chirurgici e non solo.
    Il direttore del dipartimento dedicato, al Policlinico dell'Università Federico II, Nicola Scarpato, aggiunge: «Sono state già rimandate le operazioni programmate e non è stato possibile garantire la trasfusione a tutti i talassemici. I donatori, dunque, sono invitati a contattare l’onlus di appartenenza o il presidio di riferimento. Le maggiori criticità sono segnalate in queste ore al Cardarelli, al Moscati di Avellino e al Ruggi d'Aragona di Salerno».
    Nel 2016 una donazione ogni 10 secondi ha permesso di assicurare a quasi 660mila italiani le trasfusioni salvavita, oltre a garantire a pazienti affetti da diverse malattie i farmaci plasmaderivati. Questi dati sono stati diffusi in occasione del «World Blood Donor Day» dal Centro nazionale sangue, che ha registrato un invecchiamento dei volontari, un milione e 688mila, peraltro in calo, 40mila in meno rispetto all’anno precedente, il numero più basso dal 2011. Circa il 27 per cento tra i 36-45 anni d'età, il 28 tra i 46-55, il 13 tra i 18-25 e i 56-65 anni; mentre il 18 per cento tra i 26 e 35 anni.
    A contribuire di più nella solidarietà il Piemonte (32 per cento), il Veneto (16), il Friuli-Venezia Giulia (13), la Lombardia (12), la provincia autonoma di Trento (8 per cento), l'Emilia-Romagna (4), la Campania, la Valle d’Aosta e la provincia autonoma di Bolzano (circa 2 per cento ognuna).
    Emergenza sangue in Campania: «Costretti a rinviare gli interventi» | Il Mattino




  5. #595
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Pedalare per Parma e scoprire la Mecca
    Una città famosa per i salumi di carne suina che favorisce l’insediamento islamico non ha perduto l’identità, ha perduto la ragione
    Pedalo per Parma come fra i resti di una civiltà perduta e vedo i suoi monumenti come templi nella giungla della Cambogia e dello Yucatan, privati dell’originaria funzione, immersi in un contesto selvaggio e del tutto incomprensibili agli attuali visitatori.
    In quello che fu il convento dei frati di San Francesco da Paola vedo aprire una sala di preghiera per studenti universitari maomettani, siccome Dio acceca chi vuole perdere: una città famosa per i salumi di carne suina che favorisce l’insediamento islamico non ha perduto l’identità, ha perduto la ragione.
    In quello che fu il parco Ducale vedo il Tempietto d’Arcadia, delizia neoclassica pensata per lo svago appunto delle duchesse, ridotto a discarica di rifiuti, superficie per graffitari, fondale per concerti di tamburi africani (all’imbrunire sono l’unico italiano in ettari ed ettari di giardino).
    Mi inoltro in bicicletta per via D’Azeglio come Conrad in battello sul fiume Congo: l’Oltretorrente è il cuore di tenebra di una città che secondo chi crede agli schermi è amministrata da un votatissimo sindaco, secondo me che credo solo ai miei occhi è in balia dell’accattonaggio e dello spaccio. Se questo è un modello politico, sia considerato un modello politico di uscita dalla cultura occidentale.
    Pedalare per Parma e scoprire la Mecca - Il Foglio

    VERONA, BARRICATE CONTRO ARRIVO 40 CLANDESTINI
    Tensione a Roncolevà, frazione di Trevenzuolo, dove è atteso l’arrivo di una quarantina di richiedenti asilo in una casa privata che il governo ha affittato per trasformarla in un “centro di accoglienza straordinario” gestisto da una cooperativa di Vercelli che ha vinto il bando milionario della Prefettura di Verona.
    Col passare delle ore davanti ai cancelli, chiusi, dell’abitazione, dove sono in corso lavori per sistemare arredi e locali, si è radunato un folto gruppo di persone tra residenti e cittadini di altri comuni già toccati dall’emergenza fancazzisti.
    Alcune centinaia di persone che hanno preso parte ad un’improvvisata assemblea pubblica, che ha visto protagonisti il vicesindaco di Trevenzuolo, Carreri, e il portavoce di “Verona ai Veronesi”, Rancani.
    Verona, barricate contro arrivo 40 clandestini | Vox

    Cultura. Paesi scomparsi d’Insubria. Wüstungen medievali tra Milano, Adda e Ticino
    Luca Gallesi
    “Il deserto cresce, guai a chi cela in sé il deserto” recitava un antico detto sicuramente familiare ai lettori di Barbadillo, e il deserto, reale o metaforico, fa parte della modernità, sia come luogo di purificazione scelto dai mistici di ogni tempo e luogo, dagli stiliti a Carlos Castaneda, sia come simbolo della devastazione moderna, come descrive mirabilmente T.S.Eliot nella sua Terra desolata splendida e terribile. Al deserto che, in questo caso, è tale solo metaforicamente, è dedicato lo studio Paesi scomparsi d’Insubria. Wüstungen medievali tra Milano, Adda e Ticino, di Matteo Colaone, pubblicato da Ritter nella collana “Architectura” diretta da Gianluca Padovan.
    Fenomeno Wüstungen
    Il concetto di Wüstung rappresenta il fenomeno dell’abbandono, e della conseguente devastazione fino alla loro scomparsa, di città e villaggi; lo studio di tali fenomeni, in Italia, non è frequente, al contrario di quanto accade invece all’estero, soprattutto in Nord Europa. Quindi, il saggio di Colaone è di particolare importanza, poiché potrebbe stimolare l’approfondimento di una materia non solo avvincente (chi non subisce il fascino delle città abbandonate o dei villaggi scomparsi?) ma anche utile a migliorare la conoscenza del nostro passato, materia sempre più negletta in tempi di appiattimento culturale e storico.
    Il libro è organizzato per capitoli legati ai territori dell’Insubria, ovvero della regione al centro della Pianura padana, territorio molto caro all’Autore, che si dedica brillantemente da anni alla diffusione della conoscenza e alla tutela del patrimonio storico, ecologico ed identitario della Lombardia. Non stiamo parlando di una esercitazione teorica o aridamente filologica: lo studio del territorio è –o dovrebbe essere- materia viva di conoscenza delle proprie radici, comprese quelle ormai seccate o divelte.
    La riqualificazione del paesaggio parte dalla sua conoscenza, e studi del genere aiutano a capire che l’uomo reale è fatto di carne e sangue, legato ai suoi vicini, collocato al suo territorio e discendente dai suoi avi, di cui è proseguimento ideale e carnale. Combattere l’astratto e irrealistico concetto di individuo, monade apolide senza coordinate spazio-temporali, significa indirizzare l’attenzione verso la terra e il borgo, magari per reagire più consapevolmente agli irresponsabili progetti di ripopolamento forzato delle nostre valli con allogeni totalmente estranei, per usi e costumi, alla nostra storia.
    Cultura. Paesi scomparsi d?Insubria. Wüstungen medievali tra Milano, Adda e Ticino | Barbadillo





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    Dante scriveva peste e corna degli italiani, invocava l'Imperatore (austriaco), che scendesse in Italia a mettere ordine. Scriveva inoltre, che sul Lago di Garda c'era il confine con l'Alemagna e che il popolo che lo abitava, era quello tirolese.
    Zita di Borbone Parma, diceva che gli irredentisti che volevano sbeffeggiare l'Austria con il monumento di Dante a Trento, erano dei "somari"... appunto perchè non conoscevano la Divina Commedia e la Storia.
    Cosa dire ai neo irredentisti? Anche niente, perchè l'è inutil insegnà al mus, si piart timp in plui si infastidis la bestie.








  6. #596
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Tra i campi del Veneto ​un "omaggio" per Putin
    Dario Gambarin, fuoriclasse della Land Art, ha realizzato un'opera di 25.000 metri quadrati che raffigura il volto del presidente della Russia, Vladimir Putin, con accanto il suo nome in cirillico.
    Elena Barlozzari
    Altro che cerchi alieni. Nei campi di grano di Castagnaro, in provincia di Verona, è possibile ammirare il volto del presidente della Russia, Vladimir Putin, con accanto il suo nome in cirillico.
    L’autore è sempre lui: Dario Gambarin. L’artista della spiga. Il fantasista del trattore. Un fuoriclasse della Land Art, in grado di decorare 25.000 metri quadrati (tanto è lo spazio che occupa lo zar) di stoppie e sterpaglie a mano libera. Ovvero servendosi di trattore, aratro ed erpice, senza prima tracciare solchi di riferimento.
    “Il motivo di questa nuova opera – spiega l’artista – che il 7 e 8 luglio 2017 si incontreranno ad Amburgo per il G20 i grandi della terra”. Ed allora l’augurio è “che questo appuntamento sia proficuo per risolvere le problematiche sia economiche sia migratorie che affliggono il mondo”. Molti e delicati sono i temi in agenda per il per vertice: “Dai disaccordi su Ucraina e Siria alle armi nucleari, fino alle accuse di interferenza da parte di Mosca nelle elezioni americane 2016”. Allo stesso tavolo, tra i big, vedremo Arabia Saudita, Cina, Francia, Germania, India, Italia, Regno Unito, Stati Uniti, Turchia ed Unione Europea. Ma anche la Russia, grande esclusa del G7.
    Ed allora? Putin pensaci tu.
    Tra i campi del Veneto ?un "omaggio" per Putin - IlGiornale.it



    Premio Strega a Cognetti: le sue «otto montagne» di padri e figli
    Fulvio Panzeri
    La recensione del romanzo vincitore: si respira il senso fermo del sacro e della solitudine come pienezza
    Paolo Cognetti ha vinto il Premio Strega 2017 con il romanzo 'Le otto montagne' (Einaudi). Il voto della giuria ha incoronato Cognetti con 208 voti su 532. Seguono Teresa Ciabatti con 'La più amata' (Mondadori), 119 voti; Wanda Marasco con 'La compagnia delle anime finte' (Neri Pozza), 87 voti; Alberto Rollo con 'Un'educazione milanese' (Manni), 52 voti; e Matteo Nucci, con 'È giusto obbedire alla notte' (Ponte alle Grazie), 79 voti. Al vincitore della LXXI edizione del premio promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Strega Alberti Benevento è andato anche il Premio Strega Giovani.
    La recensione di Fulvio Panzeri (Avvenire, 30 dicembre 2016)
    A breve distanza dalla sua uscita in libreria il primo romanzo di Paolo Cognetti, scrittore che fino ad ora aveva privilegiato la forma del racconto, è diventato un caso letterario, anche tra i lettori, un successo anticipato dall'interesse che il libro aveva suscitato alla
    Fiera di Francoforte, tanto da essere già in traduzione in trenta Paesi.
    Va detto che "Le otto montagne" è decisamente un romanzo importante, uno dei migliori del 2016 per quanto riguarda la narrativa italiana e conferma un dato significativo, quello del consolidamento di quella nuova generazione di scrittori, nata tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, che ha trovato una propria dimensione espressiva, proprio nel ritorno all'autenticità di un sentire narrativo che lascia da parte mode e sperimentalismi, per puntare l'attenzione sull'umano, su una profondità nell'indagine dei rapporti personali e sul mettere in scena uno smarrimento che è quello vissuto in questi anni di precarietà, non solo esistenziale.
    Cognetti dimostra come una storia anche personale possa diventare emblematica, uscendo dall'ambito strettamente autobiografico per imporsi come riflessione sul valore dei luoghi e dei rapporti. Infatti nel romanzo prevalgono, con la stessa valenza, il paesaggio e le persone. A raccontare la storia è un figlio, Pietro, nato da genitori veneti che hanno lasciato la loro terra e un'identità di montagna di natura dolomitica, per trasferirsi a Milano, agli inizi degli anni Settanta. Nella Milano delle grandi arterie stradali, percorse da fiumi di veicoli, lo spazio dell'orizzonte che inquadra una montagna lontana, la Grigna, fa ritornare il desiderio di vivere ancora in quella dimensione, anche solo in un periodo dell'anno. Ecco allora la scoperta del Monte Rosa, del paesino di Grana. Per ognuno quel luogo diventa una forma di redenzione esistenziale: per la madre che ritrova una sua forma di felicità; per il padre che ostinatamente prosegue il suo sogno di ritrovare in ogni ghiacciaio «la neve degli inverni lontani»; per il figlio, taciturno, riflessivo, un po' indifeso, ma con una sensibilità capace di capire gli altri, di iniziare un percorso di crescita attraverso l'amicizia con Bruno, un ragazzo "selvatico", molto diverso da lui, con il quale si instaura un rapporto di grande complicità.
    Sarà il padre, quando il rapporto con il figlio adolescente porta al silenzio tra loro, a mantenere segretamente il filo di quel legame, portando il lettore direttamente al centro della storia, dopo un salto temporale in cui vale di più la reticenza del narratore, che il racconto della crisi. La morte prematura del genitore, a poco più di sessant'anni, e la scoperta che il padre ha lasciato a Pietro un terreno tra i boschi e il lago, con un rudere, ricostituisce l'unità.
    Cognetti fa dire al suo protagonista, che nel frattempo si è trasferito a Torino, vive in un monolocale e si occupa di documentari: «Sapevo una volta per tutte di aver avuto due padri: il primo era l'estraneo con cui avevo abitato per vent'anni in città, e tagliato i ponti per altri dieci; il secondo era il padre di montagna, quello che avevo solo intravisto eppure conosciuto meglio, l'uomo che mi camminava alle spalle sui sentieri, l'amante dei ghiacciai. Quest'altro padre mi aveva lasciato un rudere da ricostruire. Allora decisi di dimenticare il primo, e fare il lavoro per ricordare lui».
    Bruno sa tutto di quelli che erano i progetti del padre che sembra riconsegnargli anche il senso più profondo di una grande amicizia, da rendere ancora più solida, grazie a quella casa d'alta montagna, a ridosso della roccia, che ha pensato per il figlio. Bruno e Pietro lavorano insieme alla casa per tutta un'estate e Pietro decide che la potrà usare anche l'amico, quando vorrà. Il tempo dell'intesa ha poche parole in questo romanzo, ma gesti concreti, solitudini da condividere, una bellezza del paesaggio vissuta in tutta la sua pienezza, nei fragori e negli istanti di calma, nei passaggi stagionali.
    Ognuno dei due, Pietro e Bruno, sembra prendere forza dall'altro, ognuno è consapevole del fatto che potrà ritrovarsi sempre in quella dimensione sacra che il luogo della casa rappresenta, anche nel suo valore simbolico di riconciliazione. Ognuno dei due cercherà di portare a compimento i propri progetti: quello di un'azienda agricola per Bruno, ma anche una compagna e una figlia; un viaggio all'estero per Pietro. Il legame è forte, ma la distanza non può essere un ostacolo. Quando il sogno di Bruno crolla, Pietro sarà lì, con la sua presenza.
    Le otto montagne è un romanzo in cui si respira il senso fermo del sacro e della solitudine come pienezza. Del resto Cognetti, parlando degli eremiti del XXI secolo sulla rivista Vita e Pensiero, scrive che «l'eremita è un esploratore. Per quanto mi riguarda,
    la scrittura è allo stesso tempo il mezzo e il fine di questa esplorazione: è il mio modo di pensare, quando sono da solo, e insieme la traccia che ne rimane, o il regalo che la solitudine mi fa quando decide di essere generosa con me».
    https://www.avvenire.it/agora/pagine...-premio-strega





    Il miglior film di Paolo Villaggio? “Il segreto del bosco vecchio”
    Pubblicato il 4 luglio 2017 da Eduardo Zarelli Categorie : Cultura
    ilsegretodelboscovecchiNon mi ha mai fatto ridere Paolo Villaggio nell’autocompiacimento della tanto pusillanime quanto feroce miseria piccolo borghese. Vi è però una sua interpretazione che si sottrae. “Il segreto del bosco vecchio” è un film del 1993 diretto da Ermanno Olmi, tratto dall’omonimo racconto giovanile di Dino Buzzati, girato nelle zone montane comprese tra Auronzo di Cadore, il valico alpino delle Tre Croci, ed il Comelico Superiore, nella località Valgrande.
    La trama
    Il colonnello in pensione Sebastiano Procolo è tormentato dalle proprie ambizioni, incattivito da una vecchiaia senza affetti. Incapace di sognare, è abituato a riportare tutto alla logica della ragione e del profitto. Vorrebbe diventare il proprietario delle terre che comprendono il Bosco Vecchio, da lui amministrate per conto del giovane nipote Benvenuto, ancora in collegio. Per coronare il suo sogno sarebbe disposto a commettere qualunque nefandezza, compresa l’eliminazione del nipote. Egli progetta inizialmente di radere al suolo gran parte del bosco di piante secolari, liquidando come “favole” le voci secondo le quali in esso abitino presenze animate, spirituali. Pian piano però il luogo, con la sua magia, fa presa sul suo cuore inaridito, ed egli comincia a sentire l’intimità di quella selva oltre quello che vede e quando il Vento gli farà credere che il nipote è morto e lui è diventato il padrone del bosco, Procolo sconvolto si reca nella notte a cercare di disseppellirlo dalla valanga in cui lo crede sepolto. Informato dal Vento che il nipote in realtà è in salvo al collegio, il colonnello muore serenamente lasciandosi paganamente congelare, riconciliato con il proprio spirito, vedendosi simbolicamente passare al cospetto un battaglione di giovani soldati che gli tributano l’onore delle armi, al suono di una solenne marcia dal ritmo senza tempo del Mito. Con stile.
    Il caso. Il miglior film di Paolo Villaggio? ?Il segreto del bosco vecchio? | Barbadillo




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    Predefinito Re: Cultura padana

    Marco Tamburelli
    Anteprima da un articolo che uscirà nelle prossime settimane su "Digital Scholarship in the Humanities" (Oxford University Press) dove si dimostra (con tecniche lessicostatistiche) come il Gallo-Cisalpino è ineccepibilmente Gallo-Romanzo (come dedotto già da Hull, 1982, con metodi qualitativi) anziché Italo-Romanzo (come spesso viene erroneamente catalogato nella letteratura "mainstream").
    Notare che Loiano (Bo) dista da Barberino (Fi) circa 25KM in linea d'aria e da Parigi circa 900KM, eppure il suo dialetto è geneologicamente piu' vicino a quello parigino che non a quello di Barberino. Questo è uno dei dati empirici che la dice lunga sulla unità linguistica della zona Padano-Alpina e sui suoi legami con le altre realtà Gallo-Romanze. (figura tratta da Tamburelli, M. & Brasca, L. "Revisiting the classification of Gallo-Italic: a dialectometric approach".)



    Le mura venete di Bergamo alta, ora patrimonio dell'Unesco
    Paola Montonati
    La Lombardia aggiunge un altro successo a livello storico-culturale, con l'11esimo sito UNESCO, patrimonio dell'Umanità, record assoluto per una sola regione al mondo.
    Da Domenica 9 luglio 2017, infatti, le Mura venete di Bergamo alta sono diventate Patrimonio mondiale dell’Unesco: è arrivato l’annuncio ufficiale nell’ambito della 41ma sessione che si sta svolgendo in questi giorni a Cracovia in Polonia.
    L'UNESCO ha accolto la candidatura “Opere di Difesa Veneziane tra XVI e XVII secolo. Stato de Terra- Stato de Mar”, di cui Bergamo è stata capofila e sede del segretariato per tutto il percorso del progetto: si tratta di una candidatura transnazionale che abbraccia un territorio che si estende per oltre 1000 km e comprende le fortificazioni create al tempo della Repubblica Veneziana a Bergamo, Peschiera, Palmanova, Sebenico e Zara in Croazia e Cattaro in Montenegro.
    E' il 53mo sito UNESCO italiano (primo paese al mondo per numero di siti patrimonio dell’Umanità) e come detto l’11mo in Regione Lombardia, e di questi 8 sono nel territorio insubre e ben quattro sono in provincia di Varese, un traguardo invidiabile e praticamente ineguagliabile. Un primato importantissimo, che ancora pochi lombardi conoscono.
    Le mura venete di Bergamo alta, ora patrimonio dell'Unesco



    Dalle Alpi alla risaia, il millennium di San Bernardo
    Nato in Valle d’Aosta, da mille anni sepolto a Novara. Fondò l’ospizio e a lui sono dedicati i famosi cani. Le celebrazioni, sotto la presidenza del vescovo Brambilla, dureranno tre anni
    GIANFRANCO QUAGLIA
    NOVARA
    È il santo delle Alpi, patrono anche degli alpinisti e dei viaggiatori. San Bernardo, discendente da una nobile famiglia valdostana, nacque probabilmente tra il 1016 e il 1020 e in seguito divenne arcidiacono di Aosta. Ma morì a Novara nel 1081 (secondo altri nel 1086) e lì fu sepolto il 15 giugno. Le spoglie del santo, da cui presero nome l’Ospizio dei monaci e i famosi cani San Bernardo, non riposano in montagna, ma da un millennio sono conservate sotto l’altare maggiore del Duomo di Novara.
    Ed è proprio a Novara che il 25 giugno, durante una messa solenne presieduta dal vescovo Franco Giulio Brambilla, lo storico Gian Carlo Andenna ha tenuto una lectio magistralis sulla figura di questo patrono che fu canonizzato nel 1123. Sarà l’inizio di una serie di celebrazioni, convegni di studio che coinvolgeranno più centri di montagna, da Formazza a Macugnaga (dove saranno attribuite le insegne di San Bernardo a Rehinold Messner) sino ad approdare a Milano. Il millennium coprirà un arco di tre anni, da qui al 2020.
    Il comitato promotore e gruppo di studio, sotto la presidenza di Brambilla, ha voluto dare particolare solennità agli eventi riunendoli sotto il titolo “Millennium - Bernardo delle valli”, con interventi di ricercatori e docenti per fare luce sulla vita di un santo passato alla storia come San Bernardo da Mentone. In realtà quella definizione è frutto di un falso storico, oggi si direbbe una “fake news”: sembrerebbe che una nobile famiglia francese di Menton, volendo attribuirsi la paternità di un santo nato in casa, si fosse rivolta a tale Riccardo di Valdisère commissionandogli un manoscritto su la “Vita di San Bernardo da Mentone”. A smentire quella fantasiosa ricostruzione ci pensò Papa Ratti (Pio IX), il Pontefice brianzolo e alpinista che lo proclamò patrono degli alpinisti, dei viaggiatori e degli abitanti delle Alpi.
    Vera è invece la sua incessante attività di predicatore sulle montagne, non solo valdostane, ma anche piemontesi e in particolare novaresi e valsesiane. L’iconografia tradizionale lo rappresenta con il talare nero e il diavolo incatenato ai piedi. La fonte autentica sulla sua vita è contenuta nel Panegirico di Novara, scritto probabilmente in occasione della canonizzazione, che sarà tradotto per la prima volta in italiano. Vi si legge anche del miracolo con il quale Bernardo avrebbe liberato le popolazioni delle montagne dal flagello delle locuste che falcidiavano i raccolti.
    Di lui rimangono ovviamente tracce evidenti in Valle d’Aosta: prima fra tutte l’Ospizio della comunità religiosa del Gran San Bernardo, a 2473 metri, il più alto monastero delle Alpi. Un segno evidente della predicazione itinerante di Bernardo, che guardava oltre le montagne e i confini, per aprire al viaggio, ai pellegrini e all’incontro fra i popoli europei. Un anticipatore di un nuovo corso che secoli dopo avrebbe considerato le Alpi non una barriera, ma straordinaria opportunità di comunione tra genti diverse.
    Dotato di carisma e preceduto dalla fama, poco prima di morire si spinse fino a Pavia dove si fece ricevere dall’imperatore Enrico IV, cercando di convincerlo ad abbandonare la spedizione militare intrapresa contro il papa Gregorio VII.
    Dalle Alpi alla risaia, il millennium di San Bernardo - La Stampa




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    Proverbio: "Tira più un ricordo del nonno austriaco, che centomila italianate scritte sui libri di scuola"






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    Predefinito Re: Cultura padana

    L’Unesco dichiara patrimoni dell’umanità i muri e il fascismo
    All’elenco dei patrimoni dell’umanità, l’Unesco ha appena aggiunto le mura di Bergamo e le altre straordinarie opere di difesa veneziane diffuse tra Veneto (Peschiera del Garda), Friuli (Palmanova), Zara (Croazia) e Cattaro (Montenegro), consentendo così all’Italia di riconquistare il primato nella World Heritage List (negli ultimi anni ci aveva scavalcati la Cina, ma ora la legittima supremazia è stata opportunamente ripristinata).
    Le costruzioni militari che diventano patrimonio dell’umanità rappresentano una piccola vittoria contro la retorica dei “ponti contro muri”, quell’insopportabile melassa che ha finito per infastidire persino i terroristi islamici, i quali hanno risposto alla nostra arrendevolezza perpetrando i propri attentati direttamente sui ponti (e costringendo così i poveri londinesi a costruire… muri sui ponti!)
    Per non farsi mancare nulla, nella nuova infornata di patrimoni l’Unesco ha incluso anche la “nostra” Asmara, in quanto «esempio eccezionale di urbanizzazione modernista» (questa la motivazione ufficiale). Il cinema Odeon, il bar Centro, il Moderno, il Venezia, la stazione di servizio Tagliero di Pettazzi: tutta roba che gli inglesi non sono riusciti a distruggere (si sono pure fregati la teleferica, ’sti pezzenti) e che adesso, col beneplacito delle istituzioni internazionali, resisterà persino alla Boldrini (com’è ironica la sorte, nevvero?).
    Come ciliegina sulla torta, l’agenzia delle Nazioni Unite proprio in questi giorni ha definito Israele “potenza occupante” e ha dichiarato la Tomba dei Patriarchi di Hebron “sito palestinese”.
    Sarebbe interessante (fino a un certo punto) capire cosa ne pensa Emanuele Fiano, il “Gayssot dei poveri” che è intenzionato a mettere in scena il suo ridicolo teatrino antifascista per scopi puramente censori: pare quasi che l’Unesco abbia voluto rispondergli indirettamente, nel riconoscere da una parte l’importanza dell’architettura fascista al di là di qualsiasi strumentalizzazione politica, e dall’altra nel combattere una battaglia realmente onorevole, schierandosi contro uno Stato che, se non fosse “ebraico”, difficilmente potremmo considerare “l’unica democrazia del Medio Oriente”.
    Ecco, per ringraziare l’Unesco del suo coraggio (perché è davvero coraggioso denunciare ancora oggi l’occupazione israeliana, soprattutto dopo anni di hasbarà che, tra le altre cose, ha permesso che nell’immaginario sinistroide la “causa curda” rimpiazzasse quella palestinese), farò una donazione per sostenere le sue iniziative, in nome del cameratismo, dell’art déco e della superiorità di Bergamo Alta rispetto a New York (peraltro confermata in tempi non sospetti pure da Pippo Franco e Francesco Salvi).
    Onore!
    https://materialismosacro.blogspot.i...-e-asmara.html





    L’impresa di Elisa Tomellini: suona un pianoforte a coda a 4460 metri sul Monte Rosa
    Il concerto per pianoforte “più alto del mondo” ha avuto come sfondo le Alpi. L’impresa è stata compiuta da una pianista e alpinista genovese che ha suonato un pianoforte a coda portato in quota agganciato a un elicottero.
    Elisa Tomellini, pianista e alpinista genovese, ha compiuto una impresa che ha avuto come suggestivo sfondo le Alpi. A quota 4460 metri sul ghiacciaio del Colle Gnifetti, nel massiccio del Monte Rosa, la pianista ha suonato un pianoforte a coda che era stato portato sul posto agganciato a un elicottero decollato da Gressoney-La Trinité, mentre la musicista si arrampicava verso la vetta.
    “Avevo molto freddo alle mani – ha raccontato la pianista-alpinista – ma non ci pensavo e muovevo le braccia. Il piano era un ghiacciolo. Devo dire che sono riuscita anche ad ispirarmi e a commuovermi come sempre. Ma non mi lamenterò mai più, in nessuna sala da concerto, se non è abbastanza calda”.
    Finora nessuno si era mai esibito a una simile altitudine con un pianoforte a coda e dopo un'ascesa per raggiungere una vetta prestigiosa.
    L?impresa di Elisa Tomellini suona un pianoforte a coda a 4460 metri sul Monte Rosa
    Fanpage













    Mostra "I Templari. Storia e leggenda dei cavalieri del Tempio" allo Spazio Cobianchi
    Circolo Cobianchi Duomo - Piazza del Duomo, 19 - Milano
    Dal 13 aprile al 5 novembre lo Spazio Cobianchi ospita la mostra "I Templari. Storia e leggenda dei cavalieri del Tempio".
    La mostra, attraverso l’esposizione di importanti e significativi reperti storico-artistici, si prefigge di illustrare il problema templare innanzitutto come eredità storica, partendo direttamente dal contesto di questa epoca sulla quale il visitatore si possa muovere in un personale percorso di approfondimento e di scoperta.
    Si tratta di un’esposizione unica nel suo genere per la portata del tema, per la bellezza e l’unicità di reperti che schiudono anche al più impreparato visitatore nuovi orizzonti di interpretazione storica, ma, soprattutto, per la sua stessa strutturazione.
    Attraverso l’esposizione di documenti, affreschi, sculture ed oggetti la mostra illustra la nascita, lo sviluppo, la fine e l’eredità dell’Ordine, lungo il percorso di diverse tappe diacroniche e le gesta dei personaggi che ne hanno fatto la storia.
    http://milano.repubblica.it/tempo-li...hi-158724.html
    TEMPLARI
    Storia e leggenda dei Cavalieri del Tempio
    Dal 13 aprile al 2 luglio 2017
    PROROGATA FINO AL 5 NOVEMBRE
    Milano - Spazio Cobianchi Galleria
    Piazza del Duomo, 19
    Orari: martedì-domenica 10:00-20:00
    Lunedi 15:00-20:00




















  9. #599
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    Predefinito Re: Cultura padana

    A Napoli lo avrebbero aiutato a sfuggire alla polizia.....

    Milano, i passeggeri della metropolitana catturano un borseggiatore
    I passeggeri della metropolitana 1 di Milano hanno catturato al volo un borseggiatore pizzicato mentre tentava di svaligiare uno dei passeggeri presenti sul convoglio
    Ivan Francese
    Il borseggiatore inizia ad armeggiare intorno a uno dei passeggeri, sulla linea 1 della metropolitana di Milano.
    Qualcuno però se ne accorge, dà l'allarme e il malvivente viene messo individuato. Ma non solo.
    Quando il ladro tenta di darsi alla fuga una volta arrivato alla prima stazione, molti degli astanti si gettano fuori dal convoglio per trattenerlo e assicurarlo alle forze dell'ordine. È successo ieri alla fermata Cadorna, dove si incrociano la linea rossa e quella verde della metropolitana milanese.
    Come si vede nelle immagini diffuse dalla società di trasporti pubblici Atm, l'uomo tenta di divincolarsi dalla presa degli altri passeggeri, ma è tutto inutile perché la folla fa blocco compatto per evitare la sua fuga. Un vero e proprio placcaggio che ha già fatto il giro del web e sta raccogliendo i commenti entusiasti di moltissimi internauti.
    Con la speranza che questo serva di monito ad altri eventuali scippatori, ma soprattutto con la soddisfazione di aver assitito al (bello) spettacolo di una cittadinanza attiva che non ha paura di intervenire e di una città, Milano, che rinuncia a girarsi dall'altra parte, come vorrebbero invece le malelingue.
    Milano, i passeggeri della metropolitana catturano un borseggiatore - IlGiornale.it

    Mina e Gino Bramieri fanno un medley a "Sabato Sera" usando il proprio dialetto, quello cremonese per Mina e quello milanese per Bramieri


    Federico Faggin e l’incolmabile abisso tra uomo e macchine
    Da Francesco Agnoli
    […] Nella galleria di grandi matematici che precede, abbiamo incontrato molti Informatici, da Pascal e Leibniz, padri delle prime macchine calcolatrici, a Gödel […].
    C’è però un altro grande protagonista della storia dell’Informatica che è opportuno accostare. Il suo nome è Federico Faggin. Figlio di un professore di filosofia, Faggin, nato a Vicenza, ha iniziato a 19 anni a realizzare tecnologie all’avanguardia, aprendo le porte alle prime memorie dinamiche,
    alle prime memorie non volatili, al primo microprocessore al mondo, agli schermi touch…
    La lista delle sue invenzioni è lunghissima, e gli è valsa riconoscimenti e premi in tutto il mondo, comprese 8 lauree ad honorem. Oltre che fisica e matematica, Faggin ha studiato biologia e neuroscienze, ed è stato affascinato dal “miracolo della coscienza“:
    “Trent’anni fa lavoravo sulle reti neurali, per creare dispositivi che imparavano, ispirandomi alle reti neurali del cervello. Volevo incorporare certi principi che venivano descritti dai cognitivisti, e mi sono chiesto: ma la consapevolezza come si ottiene? Così mi sono trovato a pensare, con molta intensità: qual è la differenza che esiste tra un meccanismo e la consapevolezza? E’ iniziata così una lunga ricerca personale. Circa 10 anni fa sono arrivato alla conclusione che la consapevolezza è qualcosa di molto di più. Non è, come dicono alcuni, un epifenomeno del cervello. Non credo sia possibile fare una macchina a somiglianza dell’uomo. Neppure credo a coloro che ritengono di poter scaricare, in futuro, la propria consapevolezza in un computer, per procurarsi così una sopravvivenza “eterna” su questa terra. I transumanisti, così si chiamano costoro, non capiscono che c’è una differenza incolmabile tra un uomo e un computer. E questa differenza incolmabile, ontologica, sta appunto nella consapevolezza“.
    Ma in cosa consiste la consapevolezza? Per Faggin si tratta di “qualcosa di fondamentalemente diverso dalla materia-energia che conosciamo. Non una proprietà emergente, un epifenomeno, un’ illusione, come pensano i materialisti. Come ho già scritto, essa è un canale conoscitivo streaordinario che le macchine non hanno; una differenza che è monumentale e fondamentale; la differenza tra vita e morte; un miracolo che avviene ogni secondo della nostra vita, che però non riconosciamo come tale poichè è sempre stata parte di noi. La consapevolezza è esattamente ciò che dà significato alla vita. Un computer è un sistema statico. Ne costruiamo di sempre più potenti. Quelli di oggi sono incredibilmente più potenti di quelli di cinquanta anni fa. Eppure, sul piano della consapevolezza, non ci siamo mossi di un millimetro”.
    Federico Faggin e l?incolmabile abisso tra uomo e macchine | Libertà e Persona





    Vota franz vive
    Quale triste destino ci ha riservato il fato? d'accordo, qualcuno deve pur farlo, come il mestiere dell'affossatore, del medico legale, del vuotatore di padelle, dell'annusatore di ascelle. Stiamo parlando del compito che ci siamo assunti di commentare la stampa sulle iniziative popolari alla memoria dei nostri nonni e della nostra patria perduta. Ce la siamo cercata ma siamo rimasti letteralmente allibiti leggendo quanto segue:
    “riappacificazione... con quel popolo che durante la prima guerra mondiale fu nemico acerrimo poi sconfitto”.
    Quindi la guerra era tra popoli e non tra Stati? Bene, sappia il signor “Lu. Pe.” che se sentiamo un popolo non come nemico ma come avversario, se lo sentiamo come un peso tra lo sviluppo mitteleuropeo e l'abominio culturale portatoci dagli alieni, quello è il popolo di coloro che ci dicono: “Voi avete la borra che soffia... le vostre donne sono bottane... favorisca i doggumenti... gli austriaci sono nazzisti... li tedeschi portano la peste... qui è Italia se non vi piace andate in Austria... vi habiamo pordatto a civvildà”.
    Avete presente tutti i loro giannizzeri che vi hanno trattato male con la loro caratteristica arroganza dall'altra parte delle scrivanie, delle uniformi o anche semplicemente dall'altra parte degli sportelli della loro insopportabile burocrazia? Quello è il vero confine tra noi e loro, non il confine politico che hanno spostato con la forza. E quante volte vi siete sforzati di comportarvi civilmente nonostante le loro prevaricazioni e provocazioni mentre immaginavate di scavalcare il banco degli sportelli per fare giustizia come Rambo o come Tex Willer? Si, parliamo proprio di loro, visto che a Lu. Pe. piace parlare di “popoli acerrimi nemici”.
    Se qualche tricoloruto la mette su questo piano e ci vuole trascinare al suo livello, ne siamo capaci e troverà pane per i suoi denti perché i nostri avi cittadini austriaci hanno combattuto tutte le guerre contro quell'insieme di popoli “acerrimi nemici” (lo dicono loro) che da quando si sono riuniti o tentavano di farlo, non hanno fatto altro che attaccarci, aggredirci, tradirci, imbrogliarci, farci vivere da bestie e raccontarci palle.






  10. #600
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Navigli riaperti con ponti, barche e negozi: una pazza idea nata 20 anni fa
    di SIMONA BALLATORE
    «Tutto ha avuto inizio vent’anni fa, da giovani laureandi. Il primo di loro arrivò da me nel 1997 con un’idea per la tesi: ‘Riapriamo i Navigli’». Da allora di ricerche e di acqua sotto i ponti ne sono passate parecchie. Antonello Boatti, docente di Urbanistica del Politecnico, è al timone della commissione di esperti che ha redatto il piano di fattibilità per la riapertura dei Navigli.
    Quante tesi di laurea ha seguito sull’argomento?
    «Personalmente 25-30 a cui si devono aggiungere quelle curate dal mio collega, il professor Marco Prusicki, principalmente sul Naviglio Martesana. I laureandi, se diretti, hanno capacità di produrre tanta ricerca, anche più di molti ‘contrattualizzati’».
    Di quei primissimi studi è rimasto qualche spunto?
    «Mi colpì molto un giovane che mi aveva proposto di portare il ponte delle Sirenette, oggi a Parco Sempione, nel luogo originario, in via San Damiano. E si potrà fare, è una suggestione che è nata lì, in una tesi. Un’altra è l’apertura del laghetto di San Marco, dove si trovavano le lavandaie e gli uomini stavano a guardarle. Adesso le sponde del laghetto potrebbero essere dedicate a eventi culturali visto che le lavandaie non ci sono più».
    Ci sono state idee bizzarre?
    «Io li ho sempre stimolati a essere bizzarri. Mi sento anch’io un po’ visionario sul tema, ma penso che la riapertura dei Navigli non sia bizzarra, al contrario: è fattibile, nel segno dell’innovazione e nella ripresa dei valori storici».
    Quando c’è stata la svolta?
    «Queste tesi hanno avuto il loro coronamento quando, nella Giunta precedente, l’assessore De Cesaris ha affidato lo studio di fattibilità a un gruppo interdisciplinare formato da docenti di Politecnico, Statale e Università di Pavia. Lo studio è vasto, ci sono tutti i dati, oltre 50 tavole disegnate, ci siamo messi al lavoro, insieme, a titolo totalmente gratuito».
    I vantaggi della riapertura?
    «Verrà dato ancor più rilievo alle bellezze naturali. Milano, città d’acqua, tornerà alle sue origini, compatibilmente alle esigenze moderne: tutti potranno tornare a casa in auto, i taxi accompagneranno a ogni civico, i pompieri arriveranno ovunque, ci saranno le corsie di emergenza. Certo, non si potrà più correre a 90 all’ora in via Senato di notte...».
    Sa che c’è già chi sta contando i parcheggi in meno…
    «L’obiettivo di ogni città è diminuire le auto in circolazione, favorire parcheggi più esterni. Ogni posto adesso è accessibile col metrò e con la M4 sarà ancor più facile. Io rispondo con un esempio: immaginate cosa sarà poter vedere l’abside di San Lorenzo dall’acqua, in piazza Vetra. O dire agli studenti della Statale che accanto al loro campus e ai giardini della Guastalla passerà il Naviglio».
    E stiamo parlando di luoghi già belli.
    «Infatti, pensiamo a quelli meno belli come piazza Cavour che oggi è discutibile, dove è previsto un invaso d’acqua, o a via Melchiorre Gioia dove è stato pensato un sistema particolare che prevede un duplice livello: il Naviglio passerà in mezzo al viale, si affacceranno nuovi negozi. Tutto questo permetterà un rilancio soprattutto delle zone periferiche».
    Milano più una piccola Amsterdam o simile a Venezia? «Nessuna delle due. Qui è tutta una altra storia. Milano è una città d’acqua. Ripensiamo più alla Milano di fine ’800. Anche altre città riportano l’attenzione verso acqua e verde: a Madrid pensano di interrare un’autostrada urbana per valorizzare il parco. Si fa sempre più spazio l’idea che una città che funziona ed è velocissima abbia bisogno anche di momenti di sosta, di tregua».
    E la navigabilità dei Navigli?
    «È essenziale. Le opere si fanno perché sono belle e utili, il progetto è costruito per la navigabilità. Abbiamo studiato una barca con 36 posti, con ingombro di 1,80 metri. Può girare i Navigli, larghi dai 7 ai 9 metri, nei due sensi».
    Cosa ne pensa di un «tuffo»?
    «Sulla balneazione non ho pregiudizi, ma va regolamentata, con personale dedicato alla sorveglianza. È una bella idea, comunque. L’acqua è pulita e, quando si separeranno i destini dei Navigli e del Seveso, sarà ancora più pura».
    Navigli riaperti con ponti, barche e negozi: una pazza idea nata 20 anni fa - Cronaca - ilgiorno.it







    L’epos di Venezia come “storia esemplare”
    DI GABRIELE SABETTA
    L’ostilità dei veneziani verso i turisti è cosa risaputa. Negli ultimi mesi, le istituzioni comunali hanno avviato nuovi progetti per arginare l’invasione: si va dai “conta-persone” installati nei punti strategici della città, per regolare l’afflusso dei vacanzieri e renderlo compatibile con la vita quotidiana dei residenti, agli interventi che introducono limitazioni alle locazioni di immobili e alla creazione dei “bed and breakfast”. A rendere ancor più acuta l’avversione nei confronti dei visitatori, oltre ad una poca creanza molto spesso dimostrata da questi ultimi, c’è il fatto che sono i cittadini veneziani a pagare per i rifiuti prodotti dal flusso turistico: una cifra superiore all’indotto della tassa di soggiorno, che potrebbe comportare un aumento del tributo a carico dei visitatori.
    In aggiunta, il prossimo 22 ottobre si terrà il referendum consultivo per l’autonomia del Veneto, esattamente 151 anni dopo il plebiscito con cui la regione fu annessa al Regno d’Italia.
    Difficile cancellare in un sol colpo – come provarono a fare prima Napoleone, poi il Regno d’Italia nato dal Risorgimento – un millennio (e oltre) di fiera indipendenza; una repubblica che non vide mai eserciti stranieri attraversare i propri canali e sogno' di essere l’erede delle più gloriose esperienze politiche dell’antichità.
    Il recente volume del ricercatore rumeno Şerban Marin intitolato Il mito delle origini – La cronachistica veneziana e la mitologia politica della città lagunare nel Medio Evo, pubblicato per Aracne, è uno studio appassionato fra gli archivi e le biblioteche della città lagunare. Punto centrale dell’opera è quella vasta raccolta di storie che viene tramandata con il nome di “cronachistica veneziana”, un genere letterario che vede la luce a partire dal secolo XI. Disperse in varie biblioteche europee e nordamericane, la parte più cospicua delle cronache è rimasta pero' a Venezia – nella Biblioteca Marciana, nel Museo Civico Correr e nell’Archivio di Stato.
    Il contributo dei cronisti veneziani è costituito, in sostanza, dal racconto dei fatti a loro contemporanei: quella che nasce realmente è una forma di “diaristica”, un genere letterario con il quale si intende presentare la quotidianità nuda e cruda. La parte destinata ai secoli passati, invece, nella visione degli scritti veneziani, rimane tenacemente uguale a se stessa e la scrittura di cronaca non sembra evolvere mai verso la vera e propria storiografia.
    D’altronde, da un punto di vista strettamente culturale, Venezia non è mai stata una “città delle lettere”, ma piuttosto della pittura, dell’architettura, della musica – al massimo, dell’editoria. Sarà invece una città di valorosi guerrieri, e non pochi accosteranno le virtù militari della Repubblica Serenissima a quelle dell’antica Sparta.
    La comunità veneziana forgia il proprio mito fondatore sulla base di più componenti che si intrecciano: a) il mito troiano, come elemento fondatore della “prima” Venezia; b) il mito della cristianizzazione, con l’arrivo dell’apostolo Marco nel I secolo e il trafugamento delle spoglie del Santo Evangelista da Alessandria nel IX secolo, per mano di due mercanti veneziani, con la conseguente costruzione dell’omonima basilica che ancora oggi ne ospita le reliquie; c) la leggenda di Attila, come elemento che determina lo stabilirsi della popolazione nello spazio lagunare, al riparo dalle incursioni dei “barbari”, il mito propriamente detto della fondazione della “nuova” Venezia, nel 421 dell’era volgare.
    Indifferentemente dal secolo in cui viene concepita una cronaca, quel che primeggia negli autori veneziani è la “bruta informazione”, mentre le interpretazioni restano piuttosto marginali. L’immobilismo della cronachistica non cessa di caratterizzare gli scritti anche nel XV e XVI secolo – periodo in cui l’intera penisola visse momenti di turbolenza – e forse, cio' accadde proprio per trovare un radicamento nell’ambito di un mondo in rapida dissoluzione. Infatti, il contesto politico e spirituale si modifica totalmente: Costantinopoli, con la quale Venezia aveva intrattenuto rapporti privilegiati, scompare dopo il vittorioso assedio dei turchi (1453) e il pericolo ottomano diviene una costante quotidiana; in ragione di cio', e in conseguenza delle nuove rotte commerciali dischiuse dalla “scoperta” del continente americano, l’espansione si orienta verso la vicina terraferma – arrivando a governare un territorio che dalle coste dalmate raggiunge la città di Bergamo; le guerre italiane sono causa di continue provocazioni e si arriva all’episodio di Agnadello – un fattore demoralizzante, poiché la sconfitta militare contro la Lega di Cambrai segna una battuta d’arresto nell’espansionismo veneziano nell’Italia del Nord; la battaglia di Lepanto (1571) appare come un’incarnazione della speranza, quando i veneziani concorrono in maniera determinante a salvare l’Europa dall’attacco musulmano.
    Ciononostante, gli eventi sopraelencati non hanno alcun impatto nel modo di riflettere sul passato. Mentre la realtà accumula sempre nuovi motivi di preoccupazione, la scrittura storica di Venezia entra in letargo, e la città diviene – anche da questo punto di vista – “Serenissima”.
    Dal XVII secolo la Repubblica veneziana sembra dunque entrare in un progressivo stato di torpore; alla vivacità culturale dei secoli precedenti, subentra una rilassatezza dei costumi e un senso della vita spinto al godimento immediato; quando il generale Bonaparte intimerà al Maggior Consiglio di abdicare e cedere i poteri ad un governo democratico provvisorio, quell’episodio segnerà la fine umiliante di un ciclo eroico: l’epopea di una Repubblica che sul finire dell’età rinascimentale, dopo che la Pace di Cateau-Cambrésis aveva sancito il dominio spagnolo sulla penisola, era rimasta l’unica entità politica autoctona effettivamente “sovrana” e indipendente.
    L'epos di Venezia come "storia esemplare" | Gabriele Sabetta

    La Bassa Friulana riscopre dopo un secolo i suoi caduti per l’Austria
    Nella Bassa Friulana – parte della Contea di Gorizia e Gradisca, ai tempi dell’Impero austriaco, ora in provincia di Udine – si moltiplicano le iniziative in memoria del caduti “dimenticati” della Prima guerra mondiale. Sono giovani di queste terre, di lingua friulana, che essendo fino al 1918 sudditi dell’Impero d’Austria, furono arruolati nell’esercito e inviati a combattere al fronte orientale.
    Giorgio Milocco, ricercatore di storia locale, ci segnala le varie iniziative promosse per lo più da comitati spontanei, con il concorso dell’associazione “Amici della Croce Nera austriaca” di Lucinico (Gorizia). La Croce Nera è una istituzione attiva in Austria, che cura la conservazione dei cimiteri di guerra austro-ungarici e la memoria dei caduti, in patria e all’estero. Nei mesi scorsi sono state collocate targhe e inaugurati monumenti in varie località.
    Dopo la statua marmorea scoperta nel piazzale del porto di Cervignano, sono seguite altre iniziative a Terzo d’Aquileia (una targa metallica in cimitero) e a Joannis (una lapide nel centro del paese). Nel prossimo futuro saranno collocate altre targhe a Perteole di Ruda, nell’angusto cimitero della “Rimembranza”, e a Belvedere di Aquileia (nel cimitero di San Marco).
    Nel frattempo – ci segnala Milocco - i Comuni di Ruda e Villa Vicentina hanno raccolto le domande di cittadini per delle manifestazioni che avranno luogo presumibilmente in autunno. È prevista la consegna di medaglie in ricordo dei caduti friulani sotto le armi absburgiche. A questo scopo si sono svolte riunioni di lavoro in ambedue i Comuni di Ruda e Villa Vicentina. Il secondo aveva provveduto già una decina di anni fa a esporre i nomi dei propri caduti per l’imperatore, dando loro la stessa dignità attribuita ai caduti per l’Italia. Quelli di Villa e Visco lo hanno fatto accanto alla chiesa parrocchiale, a Campolongo accanto al municipio.
    Milocco auspica che iniziative simili siano attuate anche negli altri Comuni del mandamento di Cervignano (compreso Grado), ancora privi di targhe e lapidi, dove si presume che i caduti con l’uniforme absburgica siano un migliaio. È merito suo se, dopo un secolo, si incomincia a conoscerne il numero e il nome. Le sue ricerche in archivi privati e pubblici hanno avuto inizio nel 2010 e sono tuttora in corso.
    La Bassa Friulana riscopre dopo un secolo i suoi caduti per l?Austria - Austria vicina - Blog - Finegil

    L'ESITO DEI TEST
    Scuola, resta il gap tra Nord e Sud nelle prove Invalsi: risultati peggiori in Sicilia e Calabria
    Rimane in Italia il gap tra Nord e Sud nell'apprendimento di matematica e italiano. Sono questi, in sintesi, i principali risultati delle Rilevazioni nazionali degli apprendimenti 2016-17, contenuti nel Rapporto Invalsi presentato oggi al Miur. Le differenze di esiti delle prove di italiano e matematica tra macro-aree regionali cominciano - si legge nel Rapporto - ad emergere in terza media e si confermano e consolidano ulteriormente in seconda superiore.
    Diverso per la scuola primaria, dove i risultati del Nord-Est (Bolzano, Trento, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna), del Centro (Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo) sono "relativamente uniformi" e differenze significative rispetto alla media nazionale si osservano solo per il Nord-Ovest (Valle d'Aosta, Piemone, Lombardia e Liguria), sopra la media, e per il Sud e Isole (Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna), al di sotto della media.
    Il Rapporto analizza pure la variabilità di risultati tra istituti e classi della medesima area geografica. E nonostante nel Mezzogiorno sia "molto elevata", "si osserva una riduzione della variabilità degli esiti tra le classi nelle regioni del Mezzogiorno". In generale, comunque, tra le regioni con le migliori performance ci sono Friuli, Veneto, Lombardia e provincia di Trento. Mentre "nettamente al di sotto della media nazionale" in tutti i livelli scolastici, Calabria e Sicilia.
    Scuola, resta il gap tra Nord e Sud nelle prove Invalsi: risultati peggiori in Sicilia e Calabria - Giornale di Sicilia






 

 
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