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    Predefinito Sardegna, "stop alle scorie" nell'urna.

    Sotto accusa la legge del 19 giugno 2001 che tramuta l'isola in discarica di rifiuti tossici
    Consegnate le firme per il referendum


    Alle 11.30 in punto un fitto gruppo di persone ha bussato alla porta della cancelleria di Corte d'Appello al palazzo di Giustizia cagliaritano: «Dobbiamo consegnare 16 mila firme. Si può?». Sardigna Natzione, Rete Lilliput, Gettiamo le basi, Gallura no scorie, e ancora, Verdi e Wwf, hanno depositato ieri mattina un pacco zeppo di moduli sottoscritti per richiedere l'istituzione di un referendum abrogativo.
    Si chiede di cancellare una legge regionale che permette il trasporto di scorie in Sardegna per usi industriali, la numero 8 del 19 giugno 2001. Il testo del quesito: «Volete che sia abrogata la norma che consente libero accesso a rifiuti di origine extraregionale da utilizzarsi quali materie prime nei processi produttivi negli impianti industriali sardi?». Una norma che di fatto ha vanificato in aperta contraddizione un'altra legge approvata qualche mese prima, esattamente il 24 aprile, che impediva di stoccare, trattare e smaltire rifiuti esterni in Sardegna.

    «Non possiamo consentire che l'isola diventi una pattumiera con la scusa della produzione industriale», dice il leader di Sardigna Natzione Bustianu Cumpostu. «Negli impianti di Portovesme, per esempio, si trattano i pericolosissimi fumi di acciaieria per produrre irrisorie quantità di zinco». I dati non giustificherebbero l'immissione delle scorie tossiche: «Si sforna solo il 7 per cento di metallo a fronte di un 93 per cento di scorie delle scorie, 180 mila metri cubi che restano inesorabilmente in Sardegna», continua Cumpostu. La soluzione che propongono gli indipendentisti è quella applicata a Malta dove i residui della lavorazione sono restituiti al mittente, le acciaierie, che si dovrebbero occupare dello smaltimento. «Gli scarti del trattamento dei metalli pesanti non sono meno nocivi dell'uranio», ammonisce il verde Attilio Mura, consigliere dell'unico comune isolano che ha appoggiato ufficialmente il referendum, Nuoro: «Alle esigenze di salute dei sardi si antepongono le esigenze di poche aziende che importano migliaia di tonnellate di rifiuti altamente inquinanti e pericolosi per recuperare modestissime percentuali di zinco», recita la mozione approvata dal Consiglio.

    L'iniziativa referendaria è scattata contemporaneamente alla battaglia contro il progetto Jean-Berlusconi di individuare in Sardegna un sito di stoccaggio delle scorie nucleari italiane. Una dura presa di posizione popolare che ha portato il governo a rivedere i suoi progetti. In tre mesi sono state raccolte migliaia di firme e altre ancora sono in partenza per chiedere ai sardi se accettano o meno la presenza di basi militari straniere con armamento atomico. Scontato il riferimento all'installazione per sommergibili americani della Maddalena. A giorni sarà presentato anche questo referendum.

    Se i testi saranno accolti i cittadini si pronunceranno ancora una volta, dopo il 1987, sulla presenza nucleare. Allora l'80 percento dei votanti italiani disse no alle centrali atomiche. L'anno prima un reattore dell'impianto di Chernobyl saltava in aria seminando morte e contaminazione.

    Walter Falgio_
    Fonte: www.liberazione.it
    http://www.liberazione.it/giornale/040331/LB12D6B9.asp
    31 marzo 2004

  2. #12
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    Predefinito Discariche nucleari, la lezione di Scanzano

    Un anno fa la Basilicata si mobilitava per salvarsi dall'incubo delle scorie, ricordare per rilanciare



    Un anno fa la gente di Basilicata decise la via della mobilitazione non violenta e determinata di fronte ai soprusi annunciati da un decreto del governo Berlusconi. Il sito unico per lo stoccaggio delle scorie nucleari diventò, d'improvviso, l'incubo dei lucani. Ma non si trattava di una mostruosità onirica, come di quelle che svaniscono dopo un sudato e tumultuoso risveglio, bensì di un atto concreto, di una forzatura politico-tecnicista che calava dall'alto e che avrebbe dovuto essere eseguita, manu militari, dal generale Carlo Jean, il Commissario straordinario di Governo per le questioni nucleari, investito di pieni poteri, nonché Presidente della Sogin Spa, la Società di Gestione impianti nucleari.

    A quell'incubo i lucani hanno risposto con un progetto straordinario e semplice: il desiderio di vita per il proprio territorio e per se stessi.

    Con estrema rapidità il tam tam generale trasformò il territorio in un groviglio umano sceso in strada a costruire blocchi stradali, blocchi ferroviari, presìdi imponenti sul luogo prescelto per lo stoccaggio del materiale radioattivo (i pozzi di salgemma presso la località "Terzo Cavone"), lezioni all'aperto per sopperire alla chiusura delle scuole, cucine da campo, cuochi improvvisati, coperte e tende e falò per fronteggiare i rigori della notte. Dalle case, bianche e calde del tiepido autunno lucano, la gente si riversò in strada convinta, come mai prima era successo, del sacrosanto diritto di non abdicare alla possibilità di costruire il proprio futuro, di partecipare alla costruzione di un progetto diverso per i propri figli e la propria terra, di agire il diritto di "fare quadrato" attorno a un bene comune insostituibile e necessario.

    Scanzano jonico è uno di quei luoghi, che dopo le lotte contadine degli anni '50 contro il latifondo, da borgo rurale si trasformò in struttura urbana dove i contadini, da schiavi-mezzadri, si trasformarono in piccoli proprietari dando vita ad un'agricoltura ricca e che ha rappresentato l'elemento principale e trainante del progresso e dello sviluppo economico della fertile pianura del metapontino dove, un tempo, Pitagora insegnò tra le Tavole Palatine di Metaponto. Ai tempi della Magna Grecia, quindi, un luogo di scambio di saperi e che, senza preavviso, questo primo governo del terzo millennio avrebbe voluto condannarlo a cimitero radioattivo.

    Dopo giorni e giorni di resistenza a oltranza, le centomila persone della imponente manifestazione del 23 novembre segnarono l'inizio della fine di questo bizzarro e maldestro tentativo di indebita (ri) appropriazione di un territorio liberato dalle antiche lotte contadine.

    A un anno da quello straordinario movimento che ha segnato anche le modalità di tante mobilitazioni che a quella sono seguite in Basilicata e nel resto del Paese, è necessario ricordare per riflettere.

    Le numerose celebrazioni di questi giorni saranno poco utili se non si utilizzeranno per rilanciare la lotta. Già, perché occorre rilanciare piuttosto che celebrare. I pericoli non sono finiti, non solo per la questione dei rifiuti nucleari, questione ancora aperta e in attesa di nuovi e pericolosi sviluppi, ma anche sulle vicende energetiche più in generale. La privatizzazione del mercato dell'energia ha aperto un varco enorme alla speculazione, cosicché in Basilicata, come altrove, si tentano di costruire numerose mega-centrali (grazie al famoso Decreto "sbloccacentrali" divenuto norma di questo Governo), come quella che da 800 Mw che si vorrebbe ora costruire a Pisticci (in Basilicata il fabbisogno energetico e di circa 400 Mw), il paese dell'amaro lucano, in barba alle reali esigenze energetiche del Paese. Ecco quindi che in Basilicata, dopo Scanzano, e prima di Pisticci, si mobilitano i cittadini di Rapolla, contro la realizzazione di un elettrodotto fin troppo vicino alle case degli abitanti, poi gli operai di Melfi, che forse anche grazie a Scanzano trovano il coraggio e la forza di porre davanti ai soprusi padronali l'impeto della dignità attraverso la quale si è lottato, vincendo, contro le gabbie salariali e la doppia battuta.

    Scanzano per alcuni un modello da seguire, per altri un forte esempio di rebeldia dal basso. Sicuramente anche una vicenda dai forti connotati identitari intorno alla quale si è ritrovata l'intera comunità regionale e un po' tutto il Sud, sempre più vittima di quelle atroci politiche neoliberiste esasperate e torbide. A Scanzano anche il ceto politico regionale, a ogni livello, ha dovuto unirsi al decisivo moto popolare dal basso di un movimento che è appartenuto, e appartiene, probabilmente senza saperlo, a quel grande movimento mondiale che da Seattle in poi ha considerato il "riprendersi la parola" l'imperativo della propria stessa esistenza.

    "Dopo Scanzano nulla sarà come prima" si è detto e ripetuto in Basilicata e in tante piazze e strade d'Italia. E così che, a un anno dai fuochi di quella rivolta, chiediamo e desideriamo che possa esserci una prospettiva di avanzamento nella costruzione di una alternativa a questo indecente governo. Una alternativa che tenga realmente conto delle esigenze comuni espresse, in forme talvolta diverse, a Genova, a Firenze, a Scanzano, a Melfi dalla gente comune che costruisce, pur nelle difficoltà, percorsi per una esistenza migliore e un mondo diverso possibile._

    Ciro Pisacane e Gianni Palumbo
    Fonte: www.liberazione.it
    http://www.liberazione.it/giornale/041113/default.asp
    13.11.04

  3. #13
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    Predefinito Sommersi dai veleni radioattivi

    di Primo Di Nicola
    4.300 milioni è il costo per ripulire il Paese dai 25 mila metri cubi di scorie e mettere a sicurezza i 24 impianti nucleari. Ma dal 1999 a oggi non si è fatto nulla. Tra sprechi e incidenti. Per provarlo L'espresso è entrato nel Centro ricerche nucleare Enea della Casaccia e ha visitato i siti più pericolosi della centrale del Garigliano. Il videoservizio del nostro inviato

    http://espresso.repubblica.it/dettaglio//1585227

    Il centro di Roma è a soli 20 chilometri. E intorno all'area dell'Enea sono ormai sorte borgate con 30 mila persone. Eppure è lì che parte dell'eredità nucleare italiana dorme sonni lunghi e tormentati: oltre 4.500 metri cubi di scorie, frutto degli esperimenti dell'atomica tricolore e delle terapie del sistema sanitario, chiusi in depositi che registrano più di una crepa. L'ultimo allarme è scattato a ottobre: un banale malfunzionamento del sistema di sicurezza ha fatto sfiorare la minaccia radioattiva. Altri pericoli si corrono ogni giorno nelle vecchie centrali del Garigliano o di Latina, nei depositi di Saluggia o Rotondella: lì dove l'Italia ha cercato di nascondere i suoi 25 mila metri cubi di rifiuti ricevuti in testamento dalla politica nucleare degli anni Sessanta e Settanta. Finora sono stati spesi oltre 15 mila miliardi di vecchie lire per fermare le centrali, poi dal 1999 a oggi è stato messo sul tavolo un miliardo di euro per bonificare i residui. Ma la sicurezza è lontana. E per fare pulizia si stima che ci vorranno altri 4.300 milioni di euro. Quando sarà possibile dichiararci 'No nuke' una volta per tutte? Non prima del 2024. Fino ad allora il pericolo resterà alle porte di casa.

    Come al Centro ricerche Casaccia dell'Enea, XX municipio di Roma. Qui, nel punto più delicato del complesso, nei locali dove sono custodite apparecchiature contaminate, rifiuti nucleari e importanti quantitativi di uranio e plutonio, da mesi è fuori uso l'impianto antincendio. Il 30 ottobre proprio a causa del malfunzionamento dell'apparato, una quarantina di bombole hanno scaricato anidride carbonica dentro l'impianto Plutonio: un getto simultaneo che ha provocato un enorme aumento di pressione. Sono saltate un paio di porte di sicurezza, ma poteva andare molto peggio se uno delle decine di contenitori di materiali radioattivi avesse registrato una perdita. Si tratta di plutonio: un'emissione all'esterno avrebbe fatto scattare l'emergenza anche per la popolazione circostante. Per evitare che un incidente simile si ripeta, l'impianto antincendio è stato bloccato. Era sovradimensionato: per spegnere le fiamme rischiava di fare esplodere il palazzo.


    Grandi timori anche in Campania per un impianto obsoleto con strutture fuori norma che rischiano di cedere, provocando danni irreparabili. Capita a Sessa Aurunca, nella centrale nucleare del Garigliano, ferma da 27 anni. Sopra il reattore continua a stagliarsi minaccioso il camino alto 90 metri. Costruito in calcestruzzo, mostra tutti i segni dell'abbandono: l'intonaco si sgretola, l'armatura metallica spunta dal cemento come uno scheletro sempre più corroso. È in una zona sismica ad alto rischio: per questo l'Agenzia per la protezione dell'ambiente (Apat), che insieme a vari ministeri gestisce il 'decommissioning' nucleare, da anni ha chiesto il suo smantellamento. L'incubo è che il camino ceda, schiantandosi sulla sfera bianca che custodisce il reattore. Una scena da film catastrofico anni Settanta? No, si tratta di pericoli concreti, anche se nessuno può prevedere le conseguenze della fuga radioattiva.

    Scandalo atomico
    Vent'anni dopo il referendum con cui gli italiani dissero no al nucleare, terrorizzati dalla nuvola di Chernobyl, l'eredità atomica resta pesante. Con una serie di casi inquietanti che 'L'espresso' ha potuto documentare per la prima volta entrando nel centro della Casaccia e nell'impianto del Garigliano.

    Nella base della Casaccia ormai inglobata dalle borgate romane si vive un'atmosfera particolare. Pare di inoltrarsi dentro una matrioska di cemento armato, dove la protezione aumenta mentre si avanza verso l'interno. Nel cuore c'è il magazzino con le cassette di plutonio. Una selva di telecamere seguono ogni passo del visitatore, tutto è custodito da una doppia blindatura, che non lascia filtrare nemmeno i rumori. Ma colpisce ancora di più la sala delle 'scatole a guanti', con i macchinari che servivano per confezionare il combustibile nucleare. Si cammina tra file di cubi trasparenti, illuminati all'interno: l'atmosfera ha qualcosa di spettrale a metà strada tra una fiction di fantascienza e un racconto horror. Qui il pericolo è ancora di casa: sette operai sono rimasti contaminati dalle perdite. I tecnici negano persino che ci sia stata una crepa: parlano di sostanze 'trasudate'. Ma si capisce che la presenza dei giornalisti è un evento eccezionale, da tenere sotto controllo quasi più dei rifiuti tossici. Invece sul Garigliano c'è un clima da fortezza Bastiani: è l'ultimo presidio di un passato tecnologico. Il personale sa di rischiare, ma lo smantellamento significherebbe la disoccupazione: ogni anno lo Stato spende dieci milioni di euro per la manutenzione di questo gigante abbandonato. Dentro la vecchia centrale il tempo si è fermato al 23 novembre 1980, quando il terremoto in Irpinia fece scoprire che quella era una zona sismica. Tutto congelato, prima di Chernobyl e prima ancora del referendum. È quasi un museo di archeologia industriale, dove i fantasmi sono in grado di provocare contaminazioni concrete. La centrale del Garigliano aveva un gemello dall'altro lato dell'Atlantico, costruito negli stessi anni a Big Rock Point negli Usa. Gli americani l'hanno sfruttata fino al '97 e poi hanno spento il reattore. Con 350 milioni di dollari è stato smontato e ripulito tutto: l'area trasformata in 'prato verde' è stata consegnata nel 2005 allo stato del Michigan per farne un parco. Sul Garigliano invece ogni cosa è illuminata dalla paura.

    [continua]

  4. #14
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    L'onda letale
    In tutta Italia centrali e apparati sono ancora lì con tutto il loro armamentario radioattivo e la coda sterminata dei rifiuti nucleari per i quali non si riesce a trovare una collocazione definitiva. Basta andare a Saluggia, in provincia di Vercelli, per imbattersi in una piscina con combustibile irradiato che perde liquidi: colano nel terreno in profondità, minacciando le falde acquifere. Accade nel sito Eurex (Enriched uranium extraction) dove in una vasca di 625 metri cubi sono sepolti 52 elementi di combustibile nucleare provenienti dalla centrale di Trino e da quella del Garigliano. C'è persino una dose di scorie importate dal reattore di ricerca di Petten (Paesi Bassi). I cittadini di Saluggia da tempo chiedono di portare via tutto: l'impianto Eurex si trova a pochi metri dagli argini della Dora Baltea, dove le alluvioni sono frequenti e toccano anche la bara dei rifiuti più tossici. L'ultima volta è accaduto nel 2000: da allora è stato tirato su un muro in cemento, estrema barriera contro la piena. Ma il rischio idrogeologico incombe lo stesso, così come il timore dei residenti. Gli esperti dei ministeri (Sviluppo economico, Ambiente) studiano da tempo una soluzione del problema con i responsabili dell'Apat. Due decenni di progetti, piani e controrelazioni, ma poco si è mosso. "Abbiamo speso tantissimi soldi senza eliminare i pericoli", dichiara Aleandro Longhi, il deputato che invoca una commissione parlamentare d'inchiesta sui ritardi nella bonifica: "L'Italia è diventata una pattumiera nucleare, uno dei paesi più a rischio di incidenti e inquinamenti radioattivi".

    Bolletta salata
    Eppure per l'uscita dal nucleare gli italiani stanno pagando un conto salatissimo. Tra quello che è andato all'Enel (12 mila 315 miliardi di lire) e gli oneri riconosciuti alle imprese appaltatrici vittime dello stop referendario (altri 3 mila miliardi di lire) sono stati bruciati 15 mila miliardi di lire. Poi ci sono i costi veri e propri del 'decommissioning' nucleare. È dagli inizi degli anni Sessanta, quando le centrali erano ancora in costruzione, che i contribuenti versano denaro per il loro smantellamento. Compresa nella bolletta dell'Enel, c'è sempre stata una 'quota atomica': serviva per creare due fondi per la dismissione. Questi due ricchi conti, che nel frattempo avevano raccolto oltre 331 milioni di euro, nel novembre del 1999, sotto la supervisione dell'Autorità per l'energia, sono stati riversati nelle casse della Società per la gestione degli impianti nucleari (Sogin), che si occupa del decommissioning. E non basta. A partire dal 2000, sempre nella bolletta, con la cosiddetta 'tariffa A2' gli utenti hanno continuato a finanziare il 'decommissioning' pagando (con vari ritocchi successivi) 0,6 lire a chilowattora. In questo modo, fino al 2006, sono stati raccolti altri 622 milioni di euro, anch'essi finiti alla Sogin. In totale, quasi un miliardo di euro. Ma è solo un antipasto. La pulizia definitiva richiederà altri 4,3 miliardi, da sborsare entro il 2024.

    Eredità nucleare
    Bloccate dal referendum, nella Penisola ci sono una lunga serie di installazioni, realizzate tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Settanta, tutte da svuotare, demolire e riportare a 'prato verde'. Per cominciare, le quattro centrali elettronucleari del Garigliano, Latina, Trino e Caorso; l'impianto per il combustibile della Fabbricazioni nucleari di Boscomarengo (Alessandria); i centri pilota Eurex e Itrec per il riprocessamento del combustibile nucleare esaurito, quest'ultimo situato alla Trisaia (Matera); il deposito Avogadro (Fiat), anch'esso a Saluggia: infine, le strutture di ricerca come i laboratori Plutonio e Opec del Centro dell'Enea della Casaccia e del Centro comunitario Ispra (Varese) per il trattamento e il deposito di rifiuti radioattivi. C'è poi una mole sterminata di scorie, lasciate lì dove erano state prodotte: strutture spesso prive di quei requisiti internazionali di sicurezza. Insomma, uno stoccaggio all'italiana. Si tratta di 25 mila metri cubi di materiali radioattivi di prima, seconda e terza categoria (questi ultimi continuano a emettere radiazioni per centinaia di migliaia di anni), a cui vanno aggiunti i 60 mila metri cubi degli impianti da smantellare, gli altri 6 mila di rifiuti condizionati frutto delle operazioni di riprocessamento del nostro combustibile effettuate in Inghilterra, più la parte di competenza italiana del combustibile utilizzato dal reattore Superphenix in Francia. Per 12 anni tutti hanno fatto finta di niente, limitando al minimo gli interventi di bonifica. Solo nel 1999, per iniziativa di Pierluigi Bersani, allora ministro delle Attività produttive, fu varata la Sogin, cui venne affidata la disattivazione accelerata degli impianti e il trattamento dei rifiuti stoccati nei siti di produzione. Anche l'attività di questa società è andata avanti con lentezza, tanto che nel febbraio 2003, quasi due anni dopo le Torri gemelle, a fronte dei rischi di attentati il governo Berlusconi decretò lo stato di emergenza nelle regioni (Piemonte, Emilia Romagna, Lazio, Campania, Basilicata) che ospitano i centri nucleari: l'allora presidente della Sogin, il generale Carlo Jean, fu nominato commissario per la sicurezza dei materiali e delle installazioni nucleari. La sua missione era chiara: costruire un deposito nazionale, dove concentrare tutte le scorie disseminate lungo la Penisola. Compito assolto? "Macché", sottolinea Tommaso Sodano, presidente della commissione Ambiente del Senato: "Il deposito non è stato realizzato e i rifiuti solo ancora sparsi per l'Italia. Per il decommissioning è stato fatto poco o niente". Quanto esattamente? "Forse solo il 10 per cento del lavoro complessivo", ammette Massimo Romano, da pochi mesi amministratore delegato di Sogin.

    [continua...]

  5. #15
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    Avanti piano
    Per quanto riguarda le centrali si sono qua e là smantellate sale turbine (a Trino), rimosso amianto (a Caorso), decontaminati i circuiti e smontate le condotte (Latina). Il grosso è rimasto invece in piedi. Ogni anno 50 milioni vengono divorati dalla Sogin per la manutenzione di questi mostri addormentati. Soldi che si potevano risparmiare intervenendo prima. Perché tanti ritardi? Tra ministeri, Apat e Sogin è tutto un palleggio di responsabilità: colpa degli uffici incapaci di autorizzare i progetti. No, replicano gli altri: quei disegni sono inadeguati. Sembra incredibile, ma nonostante siano stati presentati quasi dieci anni fa i piani globali per la disattivazione di tutte le centrali, le pratiche continuano a rimbalzare da una scrivania all'altra senza arrivare a una decisione. Analoga sorte per i Via, gli studi di valutazione per l'impatto ambientale. Dipenderà magari dal fatto che le pratiche sono troppo complicate? No: i permessi tardano anche per le richieste più elementari, come la realizzazione del deposito provvisorio per i rifiuti ora stoccati in locali inadatti (Latina) o il nuovo settore serbatoi dove collocare i rifiuti liquidi a più alta attività e ancora esposti al rischio attentati (Saluggia). E il deposito nazionale? Buio pesto anche su questo fronte. Dopo l'affaire Scanzano e la rivolta della Basilicata, nel 2003 Berlusconi aveva varato una commissione di 19 esperti per individuare un nuovo sito definitivo: non si sono mai riuniti una sola volta.

    Poi c'è il delicato capitolo degli enti locali: a sentire la Sogin in questi anni hanno fatto a gara per complicare gli iter burocratici, mettendo ogni ostacolo alla bonifica. Sfiora il ridicolo la vicenda delle licenze negate dal comune di Sessa Aurunca per la centrale del Garigliano. Ci sono i rifiuti nucleari chiusi in modo precario dentro una struttura dichiarata 'pericolosa per rischio sismico'. E c'è una trincea a pochi metri dal fiume dove sono sepolte buste di plastica zeppe di scorie, inumate negli anni Settanta. Una situazione di doppio pericolo, che l'Apat ha tentato di risolvere: ordine di disseppellire i rifiuti contaminati e spostarli in un magazzino da costruire secondo i criteri di sicurezza. Facile? No, perchè per il magazzino ci vogliono le licenze edilizie. E gli amministratori comunali non si fidano: la popolazione teme che una volta assemblato il bunker, vi siano trasferiti detriti tossici da altre regioni. Quindi il municipio ferma i lavori con un pretesto: "Quella per noi è rimasta una zona agricola e l'edificio per il deposito non si può fare", spiega l'architetto Gabriella Landi, responsabile dell'Ufficio tecnico municipale. E le licenze edilizie rilasciate negli ultimi venti anni? E la stessa costruzione della centrale autorizzata tanti anni fa? L'architetto non sente ragione. Anzi, rincara: "La centrale non risulta nemmeno sulle mappe del nostro piano di fabbricazione, per noi è come se non esistesse". Un fantasma, dunque. "Ma anche un paradosso causato dalle regole del decommissioning", precisa Massimo Romano: "I nostri vincoli, che vogliamo comunque rispettare, vanno ben oltre i migliori standard internazionali". Intanto in attesa di fare meglio del meglio, non si fa nulla.

    Capitale esplosiva
    È con questo andazzo che l'eredità nucleare continua a costituire una minaccia. Alla Trisaia le radiazioni avanzano a causa di una fossa che non si riesce a bonificare: lì l'Enea ha scaricato in passato rifiuti solidi 'ad alta attività'. Al deposito Avogadro di Saluggia si sfiora la farsa: il ministero dello Sviluppo economico e l'Apat prima non hanno rinnovato la licenza di esercizio, poi hanno concesso una proroga di tre anni. Forse confidano nella clemenza delle piene della Dora. Nel frattempo lì continua a perdere liquido un'altra piscina contenente elementi di combustibile radioattivi. Ma invece di chiudere, raddoppia: Avogadro è ora candidato a ricevere il combustibile che si vuole togliere dal vicino sito Eurex.

    Ma è nel XX municipio di Roma, a cento metri dall'abitato di Osteria Nuova, che si è creata la situazione più esplosiva. Qui la società Nucleco (controllata da Sogin) ha realizzato nel silenzio generale un nuovo magazzino: il deposito nazionale di rifiuti nucleari prodotti dal sistema sanitario. Si tratta di oltre 4 mila metri cubi, frutto di radiografie e chemioterapie, ammassati in capannoni ormai al limite. Loredana De Petris, senatrice Verde, ha da tempo lanciato l'allarme: "Continuare a raccogliere rifiuti nucleari in un'area così densamente urbanizzata è in contrasto con i più elementari principi di precauzione". Tutto inutile. Nuovi carichi pericolosi arrivano nel sito. Che è vulnerabile a un attacco esterno: non servirebbero incursori agguerriti, potrebbe bastare una molotov. E le fiamme sarebbero in grado di innescare un disastro. Arrivare al muro di cinta è facile, come ha constatato 'L'espresso'. D'altronde, come si fa a isolare totalmente una base che ormai è circondata dalle case?(26 aprile 2007)

  6. #16
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    Questo ci consiglia a rimanere ancor più lontani dal nucleare. Evviva l'energia eolica.....


  7. #17
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    Citazione Originariamente Scritto da Scipione Visualizza Messaggio
    Questo ci consiglia a rimanere ancor più lontani dal nucleare. Evviva l'energia eolica.....

    Giusto..!! W Zapatero e il matrimonio dei gay..
    Vedi..? I favori si ricambiano...è così che va la politica...
    Bisogna dare all'uomo non ciò che desidera..ma ciò di cui ha bisogno...
    (la via diretta non è la più breve)

  8. #18
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    Dal nucleare non scampi... le scorie aumentano ogni giorno perchè servono materiali radioattivi anche solo per la medicina... (leggasi ad esempio raggi X)
    Quindi il problema delle scorie nucleari non lo toglie nessuno...

    Era ipocrisia criticare l'idea di trovare un posto per lo stoccaggio dei materiali nel 2003 e lo è ora... che si critica una cosa di cui tutti sfruttano i benefici (mi ricordo le scuse patetiche all'idea di luogo di stoccaggio unico... questo posto non è sicuro a causa dei terremoti... cui l'ultimo è avvenuto circa 50000 anni fa... e intanto si lascia il 90% delle scorie in capannoni aperti nel vercellese che è più sicuro)

  9. #19
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    Citazione Originariamente Scritto da Kronos Visualizza Messaggio

    oltre 4.500 metri cubi di scorie, frutto degli esperimenti dell'atomica tricolore e delle terapie del sistema sanitario
    La solita marea di fregnacce per mettere paura alla gente: l'impianto antincendio che fa esplodere il palazzo!
    Buffoni! Saltimbanchi!

    Se gli ecologisti fossero coerenti quando si ammalano dovrebbero rifiutare tutte le cure "radioattive", quali TAC, lastre, scintigrafie etc. etc.
    E questo perchè il 99% dei cosiddetti rifiuti radioattivi sono di origine medica.
    Che ne dite? E fate questo favore al pianeta!

    Come va la faccenda dello Stronzio che aveva inquinato il pozzo, la senatrice Menapace e l'onorevole Franca Rame l'hanno avuta la presidenza e la vicepresidenza della commissione d'inchiesta sulle malefatte nucleari, o dovremo sorbirci altri articoli allarmistici per accelerare l'iter?

  10. #20
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    Citazione Originariamente Scritto da famedoro Visualizza Messaggio
    Dal nucleare non scampi... le scorie aumentano ogni giorno perchè servono materiali radioattivi anche solo per la medicina... (leggasi ad esempio raggi X)
    Quindi il problema delle scorie nucleari non lo toglie nessuno...

    Era ipocrisia criticare l'idea di trovare un posto per lo stoccaggio dei materiali nel 2003 e lo è ora... che si critica una cosa di cui tutti sfruttano i benefici (mi ricordo le scuse patetiche all'idea di luogo di stoccaggio unico... questo posto non è sicuro a causa dei terremoti... cui l'ultimo è avvenuto circa 50000 anni fa... e intanto si lascia il 90% delle scorie in capannoni aperti nel vercellese che è più sicuro)
    I materiali radioattivi non sono pericolosi quando sono confinati, lo diventano se ci vieni a contatto, o peggio li inali.
    Il rifiuti radioattivi ospedalieri non stanno "tutti" neanche nei famosi capannoni, ma per la maggior parte stanno nei depositi temporanei degli ospedali, esposti a tutto e a tutti.
    Metterli in una struttura geologica impermeabile che è uguale a se stessa da due milioni e mezzo di anni è pericolosissimo e stermina le popolazioni, invece lasciarli in giro va bene, li Pecoraro e gli altri cialtroni allupati di comparsate televisive non hanno niente da dire.

 

 
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