E nce ne costa lacreme st’America a nuje Napulitane!…
Pe’ nuje ca ce chiagnimmo ‘o cielo ‘e Napule, comm’è amaro stu ppane!


Così cantava una notissima canzone napoletana degli inizi del secolo scorso, strappalacrime al punto giusto, popolare e che ci raccontava la tristezza degli emigranti napoletani negli Stati Uniti. Si andava via dal proprio Paese in cerca di fortuna, o più probabilmente in cerca semplicemente di salario. Per poter vivere, insomma. Sfuggendo un destino di povertà, fame, miseria che colpiva tanti, troppi nel sud della penisola. E ci si scontrava con un mondo non accogliente, spesso ostile, molto diverso che offriva miseri lavori. Questo negli Stati Uniti. Ma non era poi molto diversa la vita degli emigranti che sceglievano semplicemente di andare al nord Italia, in cerca di un lavoro in quelle grandi fabbriche immerse nella nebbia che certo non si potevano trovare da Roma in giù. E’ la fame che fa spostare i popoli. Ieri come oggi. La fame e la disperazione. La disperazione che dovremmo conoscere e riconoscere negli occhi di quei migranti che oggi sbarcano a Lampedusa e che trattiamo come criminali. E come sempre è la paura che porta alle reazioni di rigetto che ci parlano di xenofobia e razzismo.
Ma certo sulla stampa, salvo eccezioni, sembra prevalere il concetto dei due pesi e due misure e quindi vediamo notizie apparentemente molto diverse tra loro, inesorabilmente legate però dallo stesso filo, che vengono trattate e poste in modi molto diversi.
Esempi di questi giorni: lo stupro di Guidonia che diviene improvvisamente esempio paradigmatico per ogni deriva razzista e che è visto come ancor più grave (ma può essere uno stupro “più grave”? E perché lo sdegno si aggrava se chi stupra non è italiano?) perché gli autori sono romeni; i terribili fatti di Lampedusa che ci riportano alla mente tutto l’orrore di campi di segregazione razziale (e non ci si dica che si tratta di altro!); gli scioperi in Inghilterra contro i lavoratori italiani; l’ultimo fatto di orrore a Nettuno dove, forse per gioco, dei ragazzotti hanno dato fuoco ad un immigrato indiano. Il comun denominatore di questi fatti è un sentimento di paura che genera risposte di razzismo. Ma i giornali ne hanno parlato in modo molto diverso. Nel primo caso si è portata l’attenzione sulla risposta securitaria come soluzione di un problema: un modo semplicistico per non interrogarsi da parte dei maschi sui sempre troppi episodi di violenza che colpiscono le donne; un modo, ovviamente, da parte delle destre, per trovare una giustificazione a politiche altrimenti impresentabili; un modo anche per spostare l’attenzione dal crimine di stupro al problema dell’emigrazione (è più gettonata la tematica, fa più ascolti, porta più voti…). A Lampedusa abbiamo scritto e stiamo scrivendo una delle più brutte pagine della nostra storia. Ed anche lì le domande che una società civile dovrebbe porsi, lasciano il campo a risposte semplicistiche di segregazione e rifiuto.
Nel caso di Nettuno ancora razzismo (perché penso non sia un caso che si sia colpito un immigrato) condito dal nichilismo esistenziale che sembra aver pervaso tanti giovani negli ultimi tempi. Lo sballo, le risposte facili, la ricerca del nulla e una grande noia che porta probabilmente anche a pensare che bruciare vivo un uomo può essere il divertimento giusto per finire una serata (“Volevamo provare una forte emozione”). Infine, gli scioperi della raffineria Lindsey Oil della Total, nel Lincolnshire, dove lavoratori inglesi stanno scioperando contro la presenza di lavoratori italiani che “rubano” lavoro. Una storia che dovrebbe più che altro interrogarci sulla guerra tra poveri che il conflitto capitale lavoro da sempre genera, ma che invece viene vista in tutt’altro modo in molta stampa. Grandi titoli nelle prime dei giornali e dei telegiornali e tanto sdegno. Ma come si permettono questi inglesi? Ma come sono razzisti questi inglesi! E’ scandaloso che nel 2009 ancora si parli di razzismo. Il Regno Unito ci deve delle scuse e delle spiegazioni. Non possiamo permettere tutto ciò. Sostanzialmente questo trapela tra le righe che raccontano degli scioperi nel Regno Unito.
Intanto nel Belpaese si formano ronde, si manda l’esercito in giro per le strade delle città (chissà perché a me questa cosa riporta alla mente le immagini del Cile degli anni 70…), si varano pacchetti sicurezza, si creano prigioni disumane denominandole cpt, si dà fuoco ad immigrato indiano così per gioco.
A quando una coscienza moderna di accoglienza in questo Paese? A quando una nuova coscienza di classe che ci consenta di leggere tra le righe di questi drammi e ci riporti a dare risposte politiche all’occultato intreccio che lega inesorabilmente immigrazione e sfruttamento del lavoro?