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Discussione: Padania intraprendente

  1. #121
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Oddono, il veronese con il gelato ha fatto colpo sugli inglesi
    Premiato da Apindustria. «Lì c’è meno burocrazia...»
    VERONA I negozianti di South Kensington quando, nel 2004, aprì la sua prima gelateria scossero la testa e gli diedero al massimo 6 mesi di vita. «Me l’hanno rivelato dopo anni – sorride Christian Oddono – e adesso tengono aperti i loro negozi anche di domenica perché in gelateria da me c’è la coda e a loro conviene». Nel frattempo è nata e si è sviluppata la Oddono’s Gelati, il gruppo che conta 5 gelaterie a Londra, la sesta in arrivo a febbraio, una decina di punti vendita in altrettanti ristoranti, il premio di miglior gelateria del Regno Unito in bacheca dal 2007 e innumerevoli corteggiamenti per esportare il gelato Oddono’s al di fuori dei confini inglesi.
    Per queste ragioni, Christian Oddono è l’imprenditore che Apindustria Verona ha scelto come vincitore della 7^ edizione del Premio Verona Giovani. Oddono, infatti, è veronese: per lui diploma al Liceo scientifico Messedaglia, poi laurea alla Bocconi e lavoro alla city londinese in corporate finance e ricerca finanziaria. La vita nella capitale britannica non è male, ma manca una cosa: il gelato. Manca così tanto al Head of Research, ruolo che nel frattempo aveva raggiunto per un’importante gruppo finanziario, che Oddono decide di abbandonare la City, tornare in Italia, iscriversi a un corso di formazione per gelatai e imparare il mestiere.
    Da qui parte la nuova avventura imprenditoriale.«Era incredibile per me – racconta – vedere gli inglesi mangiare tanto gelato di catene industriali e non poter provare il vero gelato italiano. Io avevo in mente quello che ci faceva mia nonna: la mattina andava al mercato, comprava le uova e il latte fresco e ci faceva un gelato alla crema buonissimo. E il fatto è che non c’è modo migliore di farlo se non farlo fresco e mangiarlo subito».
    Una volta apprese le tecniche, quindi Oddono torna a Londra e lì apre le sue gelaterie: laboratorio a vista, prodotti naturali e di qualità, nessun conservante, gelato fatto al momento con materie prime italiane così come la tecnologia e i macchinari utilizzati. L’anno scorso la Oddono’s ha registrato un fatturato di 2,2 milioni, quest’anno saranno di più, una trentina di dipendenti e la concreta possibilità di aprire franchising a Dubai, in Malesia, in Thailandia e in Medio Oriente.
    «Il progetto di Oddono è un esempio per le nostre Pmi. Dovremmo prendere spunto da lui, puntare sulla qualità e valorizzare il nostro Dna», ha detto Alessandro Ferrari, presidente dei giovani di Apindustria consegnandogli il premio. Vero anche se, per adesso, Oddono non ha intenzione di portare le sue gelaterie in Italia. «Non per paura della concorrenza, perché quella fa sempre bene, ma perché il mestiere dell’imprenditore è molto bello, ma è meglio farlo in un Paese con poca burocrazia». Quindi, per assaggiare il gelato Oddono’s al pistacchio o quello alle nocciole del Piemonte, famosi a Londra, non resta che andare a provarli direttamente dove si fanno.
    Oddono, il veronese con il gelato ha fatto colpo sugli inglesi - Corriere del Veneto

    Mega yacht: il nuovo bacino di Cantiere Amico
    La società realizzerà in 12 mesi. Il presidente della società: «Riportiamo in Italia un primato». Merlo: «Segnale importante per Genova»
    Alberto Maria Vedova
    Genova - Nasce a Genova il bacino di carenaggio coperto per maxi yacht più grande del Mediterraneo. Lo realizzerà, in 12 mesi, il Cantiere Amico & Co: si svilupperà per 100 metri e avrà un’altezza di 30, che permetterà di mettere al coperto, in mezza giornata, barche fino a 100 metri di lunghezza. Attualmente, nel Mediterraneo, non esistono bacini di questo tipo superiori ai 70 metri.
    «Riportiamo in Italia un primato che avevamo già conseguito nel 1997 - ha sottolineato Alberto Amico, presidente di Amico&Co - con la copertura del bacino n2». Si tratta di un passo importante perché apre le porte al mercato dei megayacht, dai 55 ai 120 metri di lunghezza, che può offrire grandi possibilità di lavoro per tutta la città.
    Mega yacht: il nuovo bacino di Cantiere Amico | Liguria | Genova | Il Secolo XIX

    Rifiuti: Amiat, investimenti per piu' di 75 mln in 4 anni
    (AGI) - Torino, 11 dic. - Ammontano a piu' di 75 milioni di euro gli investimenti previsti dal piano industriale 2014-2017 di Amiat, l'azienda di gestione della raccolta rifiuti di Torino. "E' un piano ambizioso - ha spiegato Roberto Paterlini, amministratore delegato di Amiat - e ha importanti obiettivi industriali, di crescita e di consolidamento territoriale. E' sostenuto sia da un'evoluzione delle attivita' nel perimetro del Contratto di servizio verso la citta' di Torino, ad esempio con l'ampliamento della raccolta domiciliare, sia da un importante sviluppo esterno, ad esempio con l'intermediazione rifiuti speciali".
    Tra gli obiettivi futuri di Amiat anche nuove assunzioni: saranno circa 30 i lavoratori che saranno assunti nel primo semestre del nuovo anno. Ma non solo, Amiat punta a diventare un nuovo modello di come il settore dei rifiuti possa diventare un'industria. "Quella dei rifiuti e' una filiera che puo' generare un'industria - ha affermato Francesco Profumo, presidente di Iren - e il territorio torinese puo' diventare un modello. Per anni si e' pensato che fosse solo raccolta e poi discarica, invece la catena riguarda anche la trasformazione dei rifiuti in energia e in materia".
    https://www.agi.it/torino/notizie/ri...51-cro-rt10169

    Il “Cumenda”
    di Mauro Della Porta
    Lungimirante quanto pochissimi altri e capace di coniugare al meglio la passione per lo sport con gli affari, Giovanni Borghi è ancor oggi studiato nelle Business Schools di tutto il mondo quale ‘inventore’ della sponsorizzazione appunto sportiva.
    Già prima della metà degli anni Cinquanta del trascorso Novecento, infatti, aveva intuito che, con l’affermarsi della televisione e con il proliferare delle riprese dirette dei principali e più seguiti avvenimenti agonistici, la battaglia per il dominio del mercato – in assenza di altri tipi di pubblicità tv quali gli spot, all’epoca inimmaginabili – nel suo come negli altri rami dell’industria, sarebbe stata immancabilmente vinta da chi fosse stato maggiormente presente sul piccolo schermo proprio in quelle occasioni.
    Amava il calcio e divenne presidente del Varese che portò rapidamente in serie A anche se mai gli riuscì di aggiungere sulle maglie biancorosse la scritta Ignis.
    Gli piaceva il basket e creò quasi dal nulla la mitica e invincibile Ignis Varese che spopolò per anni ed anni sui parquet di tutta Europa, e non solo, raggiungendo traguardi impensabili e record sicuramente imbattibili (si pensi solo al fatto che il team di Borghi è arrivato alla finale di Coppa dei Campioni ben dieci volte di fila e che nessuna squadra, in nessun altro sport può vantare simili risultati).
    Adorava il pugilato, e quasi tutti i migliori boxeur, in pochissimo tempo, entrarono a far parte della sua ‘scuderia’.
    Per decenni, non ci fu praticamente avvenimento sportivo di un qualche rilievo che non lo vedesse protagonista, capace com’era di occupare con la sua larga e simpatica faccia, accompagnata dall’inconfondibile vocione, ogni volta che un ‘suo’ uomo o una ‘sua’ squadra si faceva onore, lo schermo in bianco e nero.
    Per decenni, Varese e provincia dovettero a lui, arrivato a Comerio dalla natia Milano con padre e fratelli nel 1943 a guerra mondiale ancora in corso, alla sua intraprendenza, ai grandi successi nell’industria che seppe conseguire (i frigoriferi Ignis erano conosciuti e venduti dovunque), notorietà a livello internazionale e rispetto.
    Infiniti gli aneddoti, veri e inventati, che lo vedevano protagonista.
    Probabilmente, il più famoso è quello relativo al colloquio che ebbe con i dirigenti de L’Equipe, il celeberrimo quotidiano sportivo parigino che organizza il Tour de France. Intendeva convincerli ad abbandonare il tradizionale assetto della Grande Boucle alla quale, praticamente da sempre, erano ammesse solo le squadre cosiddette ‘nazionali': la Francia, la Spagna, l’Italia, e così via. Vuole, il ‘cumenda’, che allo start si possa schierare anche la Ignis visto che il mercato francese gli interessa. Perché ciò avvenga, la corsa va aperta alla squadre di ‘marca’.
    Una vera rivoluzione!
    Gli dicono di no e, allora, infastidito, rivolto ai suoi accompagnatori, in dialetto, chiede: “S’el custa L’Equipe?”
    Non si tratta di una battuta. È davvero disposto a comprare il giornale e poi a fare come dice lui!
    Il tempo, come sempre, gli darà ragione e il Tour, poco dopo, aprirà alle squadre di marca che ancora oggi ne sono protagoniste.
    A quest’uomo, rude all’aspetto ma generoso, al quale tanto deve, Varese ha dedicato un monumento posizionato nello spazio antistante lo stadio Franco Ossola di Masnago. Inaugurato l’11 novembre del 2001, è opera del nostro Vittore Frattini. Alla cerimonia ha fatto seguito una, per qualche verso, malinconica commemorazione, giustamente ospitata dal vicino palazzetto dello sport tante volte teatro delle gesta della mitica Pallacanestro Ignis. Centinaia gli intervenuti e moltissimi i campioni dello sport. Tutti, al di là di ogni retorica, ne hanno ricordato l’umanità.
    Un anno dopo mi è capitato di ascoltare le parole che volle pronunciare Arnaldo Pambianco – assai significative perché, non me ne voglia l’antica maglia rosa, uscite dalla bocca di un onesto pedalatore e non di un campionissimo – capace di sconfiggere nientemeno che Jacques Anquetil nel Giro d’Italia del 1961 indossando la casacca di una delle squadre ciclistiche del patron: “È stato un padre per me. Mi ha dato fiducia. Dopo i miei genitori, sarà la prima persona che saluterò in Paradiso quando il momento verrà”.
    Il ?Cumenda? - LaBissa.com


  2. #122
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    A Segrate, museo e monumento in onore della Lambretta
    Da pochi giorni l'installazione di una Lambretta del 1960 impreziosisce l'arredo urbano di Segrate, Comune dell'hinterland milanese che confina con il quartiere milanese di Lambrate dove la Innocenti produceva lo scooter. La Lambretta è posizionata all'interno della rotonda realizzata contestualmente alla nuova area commerciale Secomind, al confine con Milano. L'opera, una Lambretta inserita in un cerchio, è un omaggio alla storica due ruote Innocenti è ispirata a quella proposta per la presentazione del modello 125 D del 1952 al salone del Ciclo e Motociclo di Milano. Originalmente la ruota girava per mezzo di un motore elettrico, simulando le asperità del terreno, così da poter apprezzare il molleggio delle sospensioni. Il modello inserito nell'installazione è una 150 LI II serie del 1960, prodotto nel maggior numero di esemplari: 206.020.
    La Lambretta è stato probabilmente il prodotto industriale milanese più diffuso e conosciuto nel mondo. Dall'Asia al Nordamerica, dalla Norvegia al Sudafrica non c'è stato paese che non sia stato sedotto dal fascino di questo scooter, vanto della genialità lombarda che tutto il mondo riconosce e invidia. Alla fine degli anni Cinquanta il grande successo dei modelli Li e Tv hanno portato la produzione a raggiungere ritmi di uno scooter ogni 52 secondi.
    Ma quando parliamo di Lambretta e di Segrate non possiamo non ricordare il museo dello scooter a Rodano e che ampio spazio concede ovviamente alla Lambretta. Il museo dello scooter nasce dalla passione di Vittorio Tessera, collezionista da oltre 20 anni di questo popolare mezzo di trasporto, con l’intento di farne conoscere l’importanza storica e culturale, la sua evoluzione dagli esordi fino ad oggi, i progetti ed il futuro. Grazie alla cospicua donazione della famiglia Innocenti lo scooter più rappresentato è la Lambretta, costruita a Lambrate dalla Innocenti, che è presente con 36 esemplari dei più significativi nonché dei prototipi più rari oltre a modellini e pezzi di ricambio, trofei, medaglie e abbigliamento. Nel Museo è dato ampio spazio sia alla produzione nazionale che internazionale con oltre 80 scooter esposti; da segnalare una sezione molto interessante di scooter da corsa degli anni 50. Nella sezione “Scooter Italiani” sono presenti i più rari modelli della ricca produzione del secondo dopoguerra: il Nibbio, primo scooter costruito in Lombardia nel 1947 (tre esemplari conosciuti), il Furetto, primo scooter costruito dalla ISO nel 1947 (tre esemplari conosciuti), il Simat, primo scooter costruito in Italia nel 1940 (unico esemplare conosciuto). Per quanto riguarda la sezione internazionale tutti i paesi più importanti sono rappresentati con uno o più modelli originali. Inoltre la collezione comprende anche l’unico archivio ufficiale Innocenti: più di 5000 foto, disegni costruttivi, manuali, filmati dal 1947 al 1972 prodotti dalla casa milanese ecc. Ampio spazio è dedicato alla stampa dell’epoca e alla manualistica tecnica dei modelli esposti.
    Info: Via Papa Giovanni XXIII 16/A - Rodano (MI) - Ingresso libero, lun. - sab.: su appuntamento, dom.: 10 - 12 / 14 – 18 tel. 02.9532.0438
    A Segrate, museo e monumento in onore della Lambretta - LaBissa.com





    Il Prosecco crea lavoro: tanti giovani e donne assunti nel settore
    I dati 2003 del Rapporto Centro Studi: nelle aziende quote rosa al 40,7% e 58,7% di ragazzi con preparazione universitaria
    TREVISO Il Prosecco crea molti posti di lavoro, soprattutto per i giovani e per le donne. E’ quanto rivelato a Villa Brandolini, a Solighetto di Pieve di Soligo (Treviso), nel nuovo Rapporto del Centro Studi del Distretto. La percentuale di giovani, con meno di 40 anni, che ricoprono il ruolo di titolare o co-titolare rappresentano il 32,9% sul totale aziendale. Sempre nell’ambito del personale dirigenziale, il tasso di incidenza dei giovani responsabili export è pari al 47,9%, mentre i direttori commerciali sono pari al 21,9%.
    La maggioranza delle imprese del prosecco ha in organico giovani con preparazione universitaria (58,7%). Merito anche della presenza, in quest’area, a Conegliano, della scuola enologica Cerletti e della Facoltà di Agraria dell’Università di Padova. Il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore crea valore per il territorio, di cui è divenuto simbolo e portavoce nel mondo. Lo afferma il Consorzio di Tutela e lo confermano i dati del nuovo Rapporto 2013, da cui emerge un alto livello di occupazione giovanile (pari al 45,6% del totale) e quote rosa che hanno toccato il 40,7% tra gli under 40 impiegati nelle 170 case spumantistiche della Docg. «Questi dati ci fanno capire come quella del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore sia una denominazione in cui non contano solo le percentuali di crescita, i fatturati e le esportazioni in continua espansione - afferma il presidente del Consorzio di Tutela, Innocente Nardi - Nel corso del 2013, la dimensione dell’offerta del Conegliano Valdobbiadene ha raggiunto un valore stimato alla produzione pari a 362,2 milioni di euro e il mercato internazionale dello spumante Docg ha ottenuto un nuovo massimo con un valore della produzione pari a 132,2 milioni di euro».
    Il Prosecco crea lavoro: tanti giovani e donne assunti nel settore - Corriere del Veneto







    Piaggio Aerospace investe 145 milioni nel nuovo impianto
    di De Forcade Raoul
    ALBENGA (SAVONA) — Arriva a compimento, dopo anni di rinvii legati a questioni burocratiche e politiche e lunghe trattative sindacali, il trasferimento di Piaggio Aerospace (ex Aero), da Finale Ligure al nuovo stabilimento di Villanova d'Albenga (Savona). Quella di Piaggio è una storia da raccontare: era un'azienda che sembra cotta, ma è ripartita. La gente di Piaggio non ha mai avuto paura del futuro.
    Alberto Galassi, presidente di Piaggio, ha ricordato gli anni più bui dell'azienda. Quando, nel 2008, ha detto, «da 36 velivoli consegnati, siamo passati vendere solo motori. Ma è in quei momenti che o aspetti che il mondo cambi o cambi tu stesso. Noi abbiamo deciso di scegliere la seconda soluzione; e meno male che lo abbiamo fatto, perché il mondo non è cambiato». II riferimento è alla decisione di Piaggio di entrare anche nel campo della difesa. Grazie a quella svolta, Piaggio Aerospace ha iniziato a realizzare sistemi aerei a pilotaggio remoto per sorveglianza e pattugliamento, come il velivolo P.iHH Hammerdhead, capace di decollo e atterraggio automatico, o l'Mpa (multirole patrole aircraft), progettato per missioni di pattugliameno.
    II nuovo stabilimento di Villanova, sul quale Piaggio ha investito oltre 145 milioni di euro è in una posizione strategica per il collegamento diretto con l'aeroporto Panero. Sorge su un'area di 127mila metri quadrati, all'interno dei quali si trova l'impianto industriale di oltre 49mila metri quadri dove Piaggio Aerospace progetterà e costruirà velivoli, sia per la business aviation che per le missioni speciali.






    E' Ravenna la città in cui si vive meglio, maglia nera per Agrigento
    Ravenna per la prima volta in cima alla classifica sulla vivibilità nelle province italiane. E' quanto risulta dall'indagine sulla qualità della vita 2014 condotta, come ogni anno, dal 'Sole 24 Ore'. Si conferma il divario tra Nord e Sud: fanalino di coda è infatti Agrigento, come già era accaduto nel 2007 e nel 2009.
    Ravenna si aggiudica il primo posto, scalzando Trento vincitrice dell'edizione 2013, in particolare grazie agli ottimi voti in materia di 'Servizi, ambiente e salute'. Nella top ten, oltre a Ravenna, figurano altre tre province dell'Emilia Romagna: Modena, Reggio Emilia e Bologna. Risultati positivi anche per il Centro, in particolare per la Toscana: Siena si piazza nona e Livorno undicesima. Migliora la qualità della vita a Milano che scala due posti nella classifica e arriva ottava.
    C'è sempre poco Sud nella prima parte della classifica, dove si collocano le province sarde: Olbia-Tempio, Sassari e Nuoro. Tutto il resto è relegato ancora una volta nella parte bassa, dove prevalgono province siciliane, calabresi e pugliesi. Napoli, maglia nera nella scorsa edizione, si piazza al 96esimo posto.


  3. #123
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Via Luccoli in festa: «È più viva che mai qui i negozi aprono»
    Lorenza Castagneri
    Genova - «Pochi affari? Affitti alti? Chiusure a raffica? Qui negli ultimi mesi ci sono state tantissime aperture e adesso ci prepariamo a festeggiare tutti insieme questa bellissima strada». Bruna Ledda è appoggiata al bancone del suo negozio di abbigliamento e guarda fuori. Davanti agli occhi un festival di vetrine scintillanti. I tavolini esterni dei bar resistono nonostante il primo freddo. In giro, sarà che ormai a Natale non manca molto, c’è tanta gente.
    Eccola qui via Luccoli quando sono da poco passate le cinque. «Eppure si è detto e scritto che eravamo morti. Che qui non ci veniva più nessuno. A me non sembra» dice con il piglio sicuro dell’imprenditrice, ancora più accentuato dal fatto che lei qui è la presidente del Centro integrato di via. Un ruolo che ricopre da dieci anni in cui ha organizzato di tutto: serate, concorsi, presentazioni per promuovere via Luccoli e i suoi negozi. E ieri sera è stato di nuovo tempo di festa. Un evento «tra storia, arte e shopping» come spiegano gli organizzatori, per celebrare la rinascita della via con le due nuove attività commerciali.
    Come la libreria “L’amico ritrovato”, aperta a metà ottobre per iniziativa di Fabio Masi e di altri ex quattro dipendenti di Assolibro, in via San Luca, chiusa un anno fa nonostante la mobilitazione generale dei genovesi. O come il negozio di calzature “H 23”, quello di abbigliamento di Martino Midali, gli arredi e gli oggetti per la casa di Pasquinucci, solo per citarne alcuni.
    I vivai Carbone hanno deciso di donare una pianta che sarà sistemata nella piazzetta di via Luccoli. Una strada che, come molte a Genova, segue il corso del ruscello che la attraversa, da piazza Fontane Marose a via di Soziglia, a due passi dal Porto Antico. Ad abbracciarla sono palazzi del Due-Trecento che poi in età rinascimentale e ancor più tardi subirono nuove trasformazioni. «Via Luccoli resiste - conclude Ledda - siamo più vivi che mai».
    Via Luccoli in festa: «È più viva che mai qui i negozi aprono» | Liguria | Genova | Il Secolo XIX





    La Valgrana di Scarfanigi investe sul Formaggio Piemonte
    di Stefano Bosco
    Solo latte, sale, caglio e senza lisozima. E’ questa la semplice e genuina ricetta del Formaggio Piemonte, formaggio a pasta dura a lunga stagionatura, prodotto di punta della Valgrana di Scarnafigi. Una ricetta vincente, dal momento che l’azienda piemontese ha deciso di avviare investimenti per cinque milioni di euro che porteranno ad una capacità produttiva che va, dalle attuali 720 forme al giorno, ad oltre 1.100.
    Che la Valgrana creda molto in questo prodotto era già chiaro da parecchi anni. Fin dal 1991, quando il neonato Caseificio Valgrana ha trasformato la semplice attività commerciale in attività produttiva e ha deciso di uscire dal Consorzio del Parmigiano Reggiano e dal Consorzio tutela Grana Padano, per puntare fortemente sull’affermazione del marchio Formaggio Piemonte. Uno sviluppo verticale se si pensa che, il primo anno, il Caseificio produceva soltanto 20 forme al giorno.
    “Ora – ha commentato l’amministratore Delegato di Valgrana Alberto Biraghi – abbiamo deciso di fare un ulteriore passo avanti: forti di una produzione controllata e standardizzata, vogliamo assicurare al consumatore un prodotto sempre più d’eccellenza. In questo momento in cui entra in vigore la nuova legge sulle etichettature, il poter disporre di un prodotto senza lisozima, che ci consente di dichiarare come unico allergene il latte, fa sì che il consumatore, sempre più attento alla salubrità di cosa mangia, possa premiare le nostre produzioni. L’alta attenzione alle caratteristiche del latte ci permette di avere un prodotto di sicura qualità: i nostri cento fornitori, infatti, allevano con un’attenzione maniacale per ogni dettaglio, assicurando una materia prima eccezionale”.
    Con 50 dipendenti e un fatturato 2014 che si aggira intorno ai 40 milioni di euro, oggi Valgrana produce circa 280 mila pezzi all’anno, il 90% dei quali è destinato al mercato domestico mentre il restante 10% è per l’estero, Germania, Canada e USA in particolar modo. Una produzione destinata ad aumentare per arrivare, nel giro di tre anni, a circa 330 mila forme all’anno.
    “Gli investimenti sono già iniziati – ha proseguito Biraghi -. Abbiamo incominciato ad allestire delle nuove linee con nuovi macchinari. In un momento di crisi generalizzata, abbiamo deciso di investire, con l’idea, perché no, di assumere anche nuova manodopera interna. Un grande traguardo per un’azienda come la nostra che punta ad essere tra le aziende di riferimento nella produzione di formaggi a pasta dura di lunga stagionatura”.
    La Valgrana di Scarfanigi investe sul Formaggio Piemonte - tofood.it | tofood.it



    Il laminatoio di Lecco alla cordata Duferco-Feralpi
    Il laminatoio di Lecco torna in mani bresciane. Il tandem bresciano (Feralpi con sede a Lonato, Duferco con il principale impianto produttivo a San Zeno) si è aggiudicato l'asta, che vedeva anche la partecipazione di Acciaierie Venete, grazie a «condizioni più vantaggiose di quella concorrente per quanto riguarda l'ammontare del prezzo offerto».
    Il piano strategico delle due aziende, che collaborano già con l'azienda Media Steel, prevede l'utilizzo negli impianti lecchesi dei semilavorati in acciaio prodotti dalle acciaierie di San Zeno (Duferdofin - gruppo Duferco) e Calvisano (Feralpi), per realizzare acciai di qualità per il settore della meccanica e della trafileria. Il laminatoio di Lecco è strategico, in questo senso, per la fornitura del fiorente settore delle trafilerie lecchesi, il principale polo produttivo italiano di fili in acciaio.
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    1. BUM! NON SOLO BERNARDO CAPROTTI SI CONFERMA IL FUORICLASSE DEI SUPERMERCATI ITALIANI (HA GUADAGNATO 1,1 MILIARDI DI EURO), SUPERANDO LE DETESTATE COOP, RICCHE SOLO GRAZIE ALLA FINANZA, MA, CON UN COLPO SOLO, FA FUORI IL VERTICE DELLA SUA AZIENDA - 2. IL GRANDE VECCHIO (89 PRIMAVERE PORTATE CON LA TEMPRA DI UN PUNK) HA ACCOMPAGNATO ALLA PORTA IL DIRETTORE GENERALE DI ESSELUNGA ANDREA ZOCCHI, IN DUPLEX CON IL CAPO DEL PERSONALE GIANPAOLO NAEF.
    1. DAGOREPORT -
    Caprotti uber alles! Non solo il Grande Vecchio di Esselunga si conferma il fuoriclasse dei supermercati (ha guadagnato 1,1 miliardi di euro), superando le detestate Coop, ricche solo grazie alla finanza, ma, con un colpo solo, fa fuori il vertice della sua azienda.
    Il vecchietto ‘teribbbile’ (89 primavere portate con la tempra di un punk) ha accompagnato alla porta il direttore generale Andrea Zocchi, ex McKinsey, in duplex con il capo del personale Gianpaolo Naef. Non solo: dopo Luxottica, l’economista, anche lui ex McKinsey, Roger Abravanel ''esce'' dal Consiglio di Amministrazione di Esselunga.
    2. GUERRA DEI SUPERMERCATI: ESSELUNGA BATTE COOP - CAPROTTI PIÙ EFFICIENTE, I CONCORRENTI FANNO SOLDI CON I BOT
    Francesco Spini per “la Stampa”
    Bernardo Caprotti si conferma il fuoriclasse della grande distribuzione. L’analisi del settore di R&S di Mediobanca evidenzia come la formula di Esselunga sia quella vincente: il gruppo nel 2013 ha realizzato 16.241 euro di fatturato per metro quadro (che è il dato di riferimento per saggiare l’efficienza nel comparto), unico tra i gruppi considerati dallo studio a mostrare segno positivo (+1,3%) rispetto al 2009. Le Coop sono a debita distanza: si parla di 6.773 euro per metro quadro, comunque in calo del 2,5% rispetto al 2009.
    Gli altri seguono a ruota con Carrefour a 5.209 euro (-15,8%), Auchan-Sma a 5.126 euro (-13,9%) e Gecos (il marchio Pam della famiglia Bastianello) a 4.592 euro, giù del 7,6% rispetto al 2009. Nella disanima di questi sei (è stato preso in considerazione anche Metro, dove però è preponderante il peso dell’elettronica) tra i principali gruppi del comparto, gli analisti della società di ricerca evidenziano il tracollo dei francesi.
    Il fatturato di Carrefour, che nel quadriennio ha ridotto i punti vendita del 27,2%, dal 2009 è cascato del 21% (da 6,02 a 4,76 miliardi), quello di Auchan - che ha aggiunto 31 unità di vendita, +1,7% - è sceso del 7,8% (da 5,28 a 4,86 miliardi). Va ancora peggio se si considera il risultato netto cumulato dei quattro anni: Carrefour perde 2,7 miliardi, in buona parte anche per la svalutazione dell’avviamento del marchio Gs che è stato soppresso. Auchan, pure, registra una perdita di 205,5 milioni.
    Anche qui, regina dei profitti è Esselunga che ha guadagnato 1,1 miliardi di euro, sebbene dal 2011 i margini industriali abbiano cominciato a calare. Gli utili cumulati di Pam, nel periodo preso in considerazione, sono pari a 107,9 milioni, mentre le Coop registrano un risultato positivo di 157,8 milioni. Ma per le «arcinemiche» di Caprotti (a loro dedicò il bestseller «Falce & Carrello») i guadagni sono più frutto della finanza che dello scaffale. Risultato della particolarità delle coop, tra la governance e il meccanismo dei finanziamenti soci che nel 2013 sono ammontati a 10,8 miliardi di euro.
    Ma dove investono le Coop? Titoli non immobilizzati per 6,5 miliardi tra obbligazioni statali (3,1 miliardi), altri bond (2,4). Ci sono 2,1 miliardi di partecipazioni, tra cui Finsone (la holding di Unipol), Lima, azioni Unipol, Mps, Carige (1,5% del capitale), Holmo. Infine ci sono titoli immobilizzati per 1,5 miliardi (per lo più obbligazioni statali e non), cassa per oltre 2 miliardi.




  4. #124
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    La storia della Caproni tra aerei e motociclette
    di Paola Montonati
    Per quattro generazioni la famiglia Caproni, nel cuore della Pianura Padana, ha rappresentato il sogno di aerei sempre più belli e veloci, lasciando una pagina indelebile nella storia delle due guerre mondiali e anche del secondo dopoguerra.
    Tutto iniziò alla fine dell’Ottocento, quando Giovanni Battista Caproni, nato in Trentino Alto Adige, allora sotto il governo austriaco, da una famiglia piccola borghese, si recò in Francia e Germania per studiare le ultime innovazioni tecnologiche.
    Nel 1908, quando i fratelli Wright fecero volare il primo aereo della storia, il ragazzo cominciò a maturare l’idea di progettare un aereo a motore, e fondò una piccola azienda presso Cascina Malpensa, vicino al borgo di Somma Lombardo, in provincia di Varese.
    Il primo prototipo di aereo a motore Caproni, il Ca 1, si alzò in volo il 27 maggio del 1910, ma non riuscì a compiere che pochi metri. Dopo altri sette tentativi, tutti falliti, il giovane ingegnere si trasferì a Vizzola Ticino, nei pressi di Varese, e cominciò a lavorare a un nuovo modello di monoplano, che venne inaugurato il 13 giugno del 1911. Rappresentò l’inizio di una leggenda.
    In pochi anni furono prodotti circa 71 modelli di monoplani, contemporaneamente venne aperta la Scuola di Aviazione Caproni e nel 1912 il Ca 12 portò il suo primo passeggero pagante al Lido di Venezia.
    Con la prima guerra mondiale, nel 1913 venne presentato il Ca 18, il primo modello di monoplano a uso militare, mentre la ditta, a causa di difficoltà economiche, fu ceduta all’Esercito, anche se Caproni rimase come consulente. L’instancabile ingegnere non si fermò neanche nel corso del conflitto e lanciò un biplano plurimotore da combattimento, detto Ca 30, che, dal 1915, sarebbe diventato il simbolo dell’aviazione.
    Nel 1917 il figlio di Giovanni, Gianni Caproni, con l’aiuto del fratello Federico, riuscì a riprendere l’azienda paterna, che, con il nome di Aeroplani Caproni, diede inizio all’era dei trimotori da combattimento.
    Ma alla fine della guerra Caproni junior, intuite le nuove possibilità nel campo dei trasporti, riconvertì i suoi trimotori in aerei di linea, oltre a lavorare sul nuovo idrovolante Caproni Ca 60.
    Nel frattempo non solo la Caproni comprò alcune delle industrie più note dell’epoca, come l’Isotta Fraschini, ma continuò a lavorare a nuovi progetti per biplani e bombardieri da combattimento, che però in molti casi rimasero nel cassetto. Con la seconda guerra mondiale, l’azienda rimase al palo, a causa dei nuovi e più potenti caccia dell’aviazione tedesca, e dal 1943 tutti i progetti per nuovi veicoli vennero cancellati.
    Alla fine del conflitto, nel 1951, Gianni iniziò un lungo viaggio in giro per il mondo allo scopo di trovare nuovi finanziatori per la Caproni. Ma ormai era arrivata la fine per la storica azienda e, dopo un tentativo di sfondare nel settore delle motociclette, dal 1949 tutti gli stabilimenti della Caproni vennero chiusi e venduti ad altre aziende.
    Gianni Caproni morì il 29 ottobre del 1957, mentre la fine della storia della Caproni arrivò solo nel 1980, quando il marchio della ditta fu rilevato dall’Agusta.
    La storia della Caproni tra aerei e motociclette - LaBissa.com












    Il cavalier Brugola sbarca negli Stati Uniti
    La società brianzola che per prima negli anni trenta ha commercializzato le viti a testa cava è diventata leader nel fissaggio dei motori automobilistici
    di LUCA PAGNI
    MILANO - I più la conoscono come la chiave che permette anche ai meno abili nei lavori del faidate casalingo di montare i mobili pre-fabbriocati in stile Ikea. I più raffinati, possono citare il "Paradiso" in cui andavano a lavorare AldoGiovanni&Giacomo per sfuggire a un destino di disoccupazione nel loro film cult "Tre uomini e una gamba".
    Pochi sanno, invece, che il termine brugola non è frutto di chissà quale tecnicismo o neologismo, ma deriva semplicemente dal Cavalier Egidio Brugola, brianzolo di Lissone, che negli anni Trenta del secolo scorso, per primo commercializzò nel nostro paese la vite a testa cava, fino a brevettare nel 1945 una variante "a testa cava esagonale con gambo a torciglione" che nei decenni successivi ha premesso all'azienda di diventare leader nel settore del fissaggio dei motori delle automobili.
    Ora, Giannantonio e Jodi, figlio e nipote del fondatore, diventati presidente e vice dell'azienda lombarda, sperano di replicare il successo che li ha portati a essere il fornitore unico per i motori del gruppo VolksWagen. per non dire che nel '93 hanno ottenuto il brevetto europeo per la nuova vite Polydrive, con una testata "evoluta" che permette un maggior serraggio con sforzo minore, nonosatente i tentativi dell'industria tedesca di mettersi di traverso.
    Il nuovo progetto prevede lo sbarco negli Stati Uniti, con uno stabilimento aperto nello stato del Michigan, non lontano da Detroit, la capitale americana dell'automotive.
    Il gruppo Brugola è specializzato nella produzione delle viti preposte al montaggio dei componenti quali testata, bancata, bielle, volano, albero a motore e ingranaggi. Con un fatturato di circa 120 milioni di euro, impiega oggi oltre 300 dipendenti distribuiti nei 2 stabilimenti produttivi italiani e nei sette centri logistici in Europa ed America.



    Export: prima apertura del mercato cinese ai prosciutti italiani
    Regalo di Natale dei cinesi al made in Italy alimentare. Cinque prosciuttifici sono stati finalmente autorizzati ad esportare i loro prodotti in Cina, la lista è stata varata a ridosso del weekend e appena pubblicata sul sito dell’ente certificatore Aqsiq. Il mercato cinese apre le sue porte ai salumi nostrani: fra i prodotti ammessi nella lista varata figurano il prosciutto maturato a 313 giorni e la carne suina trattata termicamente. Le aziende che faranno da apripista saranno cinque: Brianza Salumi, Salumi Visetti, Leoncini, Agricola Tre Valli e Felsineo.
    Export: prima apertura del mercato cinese ai prosciutti italiani - ilSole24ORE





    Gabriele l’artigiana, artista delle scarpe a Venezia
    E’ arrivata dall’Austria 15 anni fa, le sue calzature per piedi extralusso richiamano clienti da tutto il mondo.
    di Silvia Zanardi
    VENEZIA. Difficile non credere a quanto sosteneva Alberto Savinio. Uscendo dalla bottega di Gabriele Gmeiner viene da pensare che in alcuni casi, le scarpe siano davvero lo “specchio dell'anima”. Ma non è questa l'unica sorpresa. Quella più grande è vedere una donna che, in grembiule bianco, si aggira fra due stanzette da libro di letteratura con una tomaia di pelle in mano, intenta a pescarne la forma da un immenso grappolo di piedi in legno che penzola dal soffitto. Fra meno di due settimane, quella scarpa e la sua gemella verranno indossate da una signora o da un signore che le hanno volute esattamente così.
    Se è vero che siamo a Venezia, precisamente nell'appartato Campiello del Sol (fra San Polo e Rialto), non sembra affatto di essere nella città soffocata dai turisti che cerca di difendersi dall'invasione della paccottiglia cinese. Sembra piuttosto di tornare indietro nel tempo, all'epoca in cui Venezia era una costellazione di botteghe artigianali ambite da tutto il mondo, preziose custodi dell'antica arte del “fare a mano”.
    Da Gabriele Gmeiner, il tempo si è fermato. È arrivata qui dalla sua terra natale, l'Austria, 15 anni fa e, dal 2003, confeziona scarpe su misura e interamente cucite a mano per uomini d'affari, politici e professionisti di tutto il mondo. C'è chi prende aerei per Venezia solo per portarsi a casa un paio di scarpe firmate da lei, conciliando l'esigenza di un piede comodo con qualche giorno di vacanza.
    «Per realizzare di un paio di scarpe ci vogliono ottanta ore di lavoro» spiega l'artigiana «Più o meno due settimane». E l'iter della creazione prevede anche una settimana di prova. «Prima dell'acquisto, è fondamentale che il cliente testi la comodità delle sue scarpe. Non devono avere difetti, ma essere l'abito perfetto per i piedi che lo hanno richiesto», aggiunge. La prova si può effettuare direttamente in loco, a Venezia, oppure a casa propria previa spedizione.
    Chiamare scarpe le creature di Gabriele suona strano. Ci si può spingere oltre e chiamarle direttamente “opere d'arte” o anche “Ferrari in versione calzatura”. Non solo per le innumerevoli fasi che ne precedono la realizzazione, ma anche per il loro prezzi, cifre per piedi esclusivamente extra lusso. Per un paio, si va da un minimo di 2761 euro, iva compresa, a un massimo di 5.645, inclusa la scultura della forma di legno e la scarpa di prova. La differenza è dovuta, oltre che alle diverse tipologie di lavorazione, ai materiali che vengono utilizzati. A scelta, pelle di vitello; culata di cavallo; pelle di lucertola, di alligatore; oppure velluto seta tessuto a mano.
    Quanto alle fasi dell'opera su misura, si parte dalla raschiatura della forma che Gabriele effettua a mano, includendo qualsiasi tipo di eventuale “difetto” osseo del cliente, e si procede con la realizzazione della tomaia. Si passa poi all'inserimento dei rinforzi laterali, sul retro e in punta, e alla battuta in forma per mezzo di innumerevoli chiodini che la tengono ben salda al legno nelle fasi di applicazione della suola, che verrà attaccata alla tomaia per mezzo di una fettuccia (il “guardolo”) cucita rigorosamente a mano. A scarpa fatta, l'anima in legno viene estratta dal corpo della scarpa come un dente del giudizio.
    Gabriele l?artigiana, artista delle scarpe a Venezia - Cronaca - La Nuova di Venezia



    Dallo stabilimento di Savigliano il primo Pendolino ETR 610
    Alstom: è il primo treno, consegnato nel rispetto dei tempi contrattuali. Fa parte della seconda serie realizzata per le FFS
    Il primo degli otto convogli Pendolino ETR 610, ordinati dalle FFS svizzere nel luglio 2012 ad Alstom, ha lasciato oggi lo stabilimento di Savigliano (CN), rispettando i termini previsti dal contratto.
    Al suo arrivo in Svizzera il treno, che ha già ottenuto i certificati di omologazione per le linee elvetiche, effettuerà gli ultimi test dinamici.
    Le FFS prevedono di impiegare i convogli a partire da inizio 2015 sulla linea del Gottardo come treni EuroCity per Milano. I nuovi treni vanno ad aggiungersi ai Pendolino ETR 610 della prima serie che attualmente forniscono un servizio affidabile sulla linea del Sempione. Anche la seconda serie di Pendolino ETR 610 è dotata della tecnologia ad assetto variabile, sviluppata da Alstom, che permette ai treni di inclinarsi in curva e di raggiungere una velocità massima più elevata rispetto ai convogli convenzionali. Riciclabili al 95%, i treni sono equipaggiati con un sistema di frenatura elettrico che permette di risparmiare sui consumi e riciclare l'energia in frenata, restituendola alla linea.
    Il Pendolino ETR 610 viaggia a una velocità massima di 250 km/h e ospita nelle sue sette carrozze fino a 430 passeggeri su comodi sedili. Lo stesso standard elevato è mantenuto nella nuova serie: ampi corridoi e passerelle offrono ai passeggeri un accesso agevole al treno. I sedili sono dotati di luci da lettura individuali, funzione reclinabile e prese elettriche. Allineati agli ampi finestrini, offrono una vista panoramica e assicurano un'illuminazione naturale. Un sistema di videosorveglianza garantisce la massima sicurezza.
    I convogli transfrontalieri del Pendolino ETR 610 per le FFS sono concepiti in modo da soddisfare gli standard europei in materia di interoperabilità (TSI) e sono equipaggiati con Atlas – il sistema di segnalamento europeo di Alstom (ERTMS1) – richiesto per operare in Svizzera, Italia e Germania.
    I treni sono fabbricati in Italia presso lo stabilimento Alstom di Savigliano, da oltre 30 anni centro di eccellenza mondiale per la produzione del Pendolino. Inoltre collaborano alla loro produzione le sedi di Sesto San Giovanni (MI) e di Bologna; Le Creusot, Ornans e Reichshoffen (F); Montreal (CN) e Neuhausen am Rheinfall (CH).
    Dallo stabilimento di Savigliano il primo Pendolino ETR 610 *-*Quotidiano online della provincia di Cuneo



    Ultima modifica di Erlembaldo; 07-01-15 alle 01:33

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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    RINA SERVICES APPRODA IN CANADA CON L’ACQUISIZIONE DI HAYES STUART
    DI REDAZIONE
    Rina Services, società del genovese Gruppo Rina specializzata in servizi di verifica, ispezione e certificazione, ha acquisito in questi giorni una quota maggioritaria di Hayes Stuart, azienda di ispezioni navali che ha sede a Montréal. Hayes Stuart, pur mantenendo il proprio marchio, opererà come una società del gruppo Rina in modo da creare utili sinergie nel mercato navale canadese in continua crescita. Un’acquisizione che riflette la strategia di gruppo del Rina di svilupparsi, individuando compagnie ad alto potenziale e competenze che permettano l’entrata in nuovi mercati e consolidando il posizionamento in un settore trainante come il navale. «Unire le nostre forze con quelle del Rina – dice Richard Breton, presidente di Hayes Stuart – mi rende entusiasta poiché questo legame segna un nuovo capitolo nella storia di Hayes Stuart. Sono sicuro inoltre che questa mossa si rivelerà strategica per l’espansione del Rina che potrà così offrire servizi di alta gamma anche in Canada».
    Hayes Stuart ha uffici a Montréal, Toronto, Quebec City e Halifax e impiega una quindicina di ispettori navali nelle ispezioni di scafo e macchinari, condition surveys, verifiche di marine operation, ispezioni su carichi e combustibile e analisi di rischio. La società appena acquisita dal Gruppo ha fatturato nel 2013 circa 1,6 milioni di euro. «Hayes Stuart è un’affermata compagnia di sorveglianza navale con competenze specifiche che bene si sposano con le nostre – spiega Stefano Socci, general manager delle Americhe di Rina Services – La nostra opinione è che il mercato marittimo canadese sia in crescita e vogliamo cogliere l’opportunità di business, mettendo a disposizione sia la conoscenza di Hayes Stuart sia l’esperienza di Rina Services».
    BJ Liguria



    L’acqua minerale crea valore per tutta la comunità
    Secondo un recente studio commissionato da Sanpellegrino all’Istituto Althesys, in Lombardia il valore creato nel 2012 è di 336 milioni di Euro, pari a circa lo 0,10% del PIL della Lombardia e a 2,7 volte il fatturato stesso di Sanpellegrino nella regione
    L’acqua minerale, oltre ad essere un’eccellenza gastronomica, simbolo di salubrità, rappresenta per l’Italia e per i territori limitrofi alle fonti, una ricchezza inestimabile. Questo poiché è un bene non delocalizzabile e per questo in grado di generare occupazione e accelerare l’intero sistema economico nazionale.
    Per spiegare nel concreto quali sono i benefici economici della attività sul territorio Sanpellegrino ha commissionato uno studio all’Istituto Althesys seguendo la logica del valore condiviso, che spiega come, per avere successo nel lungo periodo, sia necessario creare valore, non solo per sé e per i propri azionisti, ma anche per le società in cui operano, apportando benefici concreti alle persone e al territorio. L’analisi è partita dalla Lombardia, una delle regioni italiane più ricche d’acqua e dove ha sede l’head-quarter del Gruppo.
    Considerando tutti gli attori della filiera in Lombardia, il valore che il business di Sanpellegrino ha creato nel 2013 è di 336 milioni di Euro, pari a circa lo 0,10% del PIL della Lombardia e a 2,7 volte il nostro stesso fatturato nella regione. Questo dato si compone del valore aggiunto generato dai fornitori (agricoltura, industria e servizi) pari a 116,2 milioni di Euro, da noi stessi pari a 112,1 milioni di Euro, dal sistema logistico pari a 33,4 milioni di Euro, e dai canali distributivi pari a 74,1 milioni di Euro. Tutta la filiera lombarda coinvolge circa 1.230 aziende che, nel corso del 2012, hanno portato occupazione a 2.725 persone in Italia, pari allo 0,27% degli impiegati dell’industria in Lombardia. 834 sono i dipendenti diretti di Sanpellegrino e ciò significa che, per ciascuno di loro, sono stati creati più di 2 posti di lavoro.
    L’acqua minerale crea valore per tutta la comunità




    Sira si espande e acquista Faral
    Con 8,9 mln storico marca di Campogalliano torna tutta italiana
    Faral di Campogalliano (Modena), storica azienda emiliana di produzione di caloriferi per riscaldamento in alluminio pressofuso, è stata acquisita dal Gruppo Sira Industrie di Bologna. L'operazione, portata a termine dal presidente Valerio Gruppioni, riporta definitivamente lo storico marchio di radiatori in Italia, dopo un periodo di proprietà estere, seguite da un interregno di tre anni di affitto di azienda, sempre dal parte di Sira industrie che ha ora perfezionato l'acquisto dell'azienda. La potenzialità di produzione di Fir è di 10 milioni di elementi per anno, per un fatturato intorno ai 65 milioni.
    Sira Industrie ha una capacità di produzione complessiva di oltre 19 milioni di elementi radianti. Occupa circa 600 addetti in due continenti, Europa ed Asia ed ha un fatturato consolidato, per il 2013, pari a 78 milioni di euro circa, con una percentuale di esportazione pari a circa il 77%. Il Gruppo ha 9 unità produttive, in Italia (5), Repubblica di San Marino (1), Romania (1), Repubblica Popolare Cinese (2). Di recente ha acquisito anche la più grande fonderia del settore automotive del sud Italia, Sirpress (già Almec).
    Sira si espande e acquista Faral - Emilia-Romagna - ANSA.it





    Calabria e Sicilia, lavoratori sempre malati. In Veneto nessuna malattia
    di REDAZIONE
    Malattie e assenteismo, c’è regione e regione… In Calabria i giorni medi di malattia all’anno sono 34,6: salgono a 41,8 nel privato. I dati messi in fila dalla CGIA dicono che nel 2012 (ultimo anno in cui i dati sono a disposizione) sono stati 6 milioni i lavoratori dipendenti che si sono ammalati, con quasi 106 milioni i giorni di malattia persi in un anno. Il record spetta al lunedì come giorno in cui proprio non ce la si può fare a rientrare al lavoro.
    La Calabria, si diceva, ha il record di assenze, con una media di 34,6 giorni nel pubblico e di 41,8 nel settore. Mentre tra i lavoratori dipendenti più malaticci ci sono i siciliani (19,9 giorni), i campani (19,4 giorni) e i pugliesi (18,8 giorni). Gli operai e gli impiegati più “resistenti”, alle malattie sono invece al Nordest. Infatti in Veneto le assenze per malattia scendono a 15,5 per toccare il punto più basso nel Trentino Alto Adige: 15,3 giorni.
    Assenteismo, calabresi ammalati di lunedì | L'Indipendenza Nuova

    La carne che vola (in mongolfiera) finisce in scatola
    Nel 1881 il lesso preparato da Pietro Sada e venduto nella sua gastronomia a Milano è tra i migliori della città. Il sabato, nelle stagioni fredde, la coda dei clienti inizia dal marciapiede e molti degli avventori arrivano persino da fuori città. Una sera, stravolto dalla stanchezza – per di esaurire la coda si andava ben oltre l’orario di chiusura – Sada decide che deve inventarsi un modo più pratico e veloce per servire la clientela.
    Così studia nuovi processi di conservazione per mettere il suo lesso in scatola. L’idea funziona: Sada aumenta la clientela e, nel contempo, il sabato riesce a smaltire la coda entro l’orario di chiusura. Ma il successo del suo lesso e, soprattutto, del suo modo di conservarlo, si ha pochi anni più tardi, quando lo svizzero Gondrand decide di effettuare la prima trasvolata delle Alpi in mongolfiera.
    Sada legge la notizia sul giornale e gli viene un’altra idea clamorosa: fornirgli come parte dell’equipaggiamento il suo bollito in scatola. Questo primo esempio di sponsorizzazione fa conoscere ai consumatori il lesso squisito e il suo modo di venderlo.
    simmenthal1962-63Nel 1923 Gino, figlio di Pietro, inizia la vera produzione industriale della carne in scatola in gelatina aprendo uno stabilimento a Monza. È lui che la battezza Simmenthal, ispirandosi alla razza bovina della valle di Simmen in Svizzera. Tra gli anni Trenta e Quaranta lo stabilimento arriva a produrre 25mila scatolette al giorno. Produzione che aumenta parecchio durante la seconda guerra mondiale, quando gli italiani riconoscono la praticità di questo prodotto.
    Le sponsorizzazioni hanno avuto un ruolo importante della storia della Simmenthal: particolarmente felice quello con la squadra di basket di Milano, con la quale il marchio ha conquistato trofei in tutto il mondo, tanto che nel 1972, dopo 17 anni 10 scudetti e due coppe Saporta e una coppa dei campioni, l’azienda decide di non rinnovare più l’abbinamento perché la gente identifica il nome più con la squadra milanese che con la carne in scatola.
    La carne che vola (in mongolfiera) finisce in scatola | Retrovisore | un sito di Luca Pollini










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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    “Costa Crociere sta per conquistare anche la Cina”
    L’amministratore delegato Thamm: “Prevediamo un buon utile. La crescita continuerà anche grazie alla nuova nave Diadema”
    TEODORO CHIARELLI
    Sprofondato in una comoda poltrona di uno dei lussuosi salottini della Costa Diadema, Michael Thamm non nasconde la sua soddisfazione. La nuova ammiraglia di Costa Crociere è stata presa in carico a Marghera, dove è stata costruita da Fincantieri, e affidata alle esperte mani del comandante genovese Massimo Garbarino.
    Costata 550 milioni di euro, segna il punto di svolta, la volontà di voltare pagina della compagnia genovese dopo il drammatico naufragio della Concordia al Giglio nel gennaio 2012. «Diadema - sospira Thamm - rappresenta la miglior espressione del nostro nuovo posizionamento di brand, basato sul concetto di offrire il meglio. Vale a dire passione, stile, ospitalità ed eleganza».
    Tedesco dell’Est, 51 anni, sposato, tre figli, un passato sportivo come velista («Mi piace il mare e lo sport forgia il carattere, ti insegna ad allenarti per raggiungere un obiettivo. Si cade e impari a rimetterti in piedi. Si impara il gioco di squadra»), nonno materno italiano, Thamm è amministratore delegato di Costa Crociere dall’aprile del 2012. Una carriera costruita all’interno del settore marittimo: 10 anni nel cargo, poi 20 anni nelle crociere.
    «Diadema è un orgoglio non solo per questo Paese, ma per tutta l’Europa di cui fa parte. Stabilirà nuovi standard di qualità nell’industria delle crociere e rafforzerà ulteriormente la nostra leadership in Europa».
    Cosa è oggi la Costa Crociere di Michael Thamm? Lei che impronta ha dato alla società dopo i 15 anni al vertice di Pier Luigi Foschi?
    «Costa Crociere è un campione europeo, un’azienda molto forte, con strategie chiare e corrette. Ben posizionata sul mercato. Un’azienda che attrae il meglio dell’industria. Io cerco di aiutare. Fare sport mi ha insegnato che quando si raggiunge un risultato come squadra è molto meglio, è più bello che da soli. E’ quello che avviene oggi in Costa: vinciamo come squadra».
    Come chiuderà questo 2014, che vuole essere di svolta per Costa Crociera?
    «Sarà un anno molto positivo, realizzeremo un buon utile. E’ ancora presto per tirare le somme, ma credo che il fatturato si attesterà fra 3,5 e 4 miliardi di euro. Con Diadema aumentiamo la nostra capacità di camere a bordo. Potremo crescere ulteriormente sui mercati italiano e francese».
    Cosa vale per voi la Cina dopo l’accordo che avete sottoscritto con Fincantieri e China State Shipbuilding Corporation (Cssc)?
    «Noi con le nostre navi abbiamo cominciato per primi a fare crociere in Cina e siamo il leader di mercato in quel Paese con il 40 per cento. Abbiamo due navi da crociera per i passeggeri cinesi, Vittoria e Atlantica, ma presto porteremo una terza unità, Costa Serena, perché stiamo crescendo ancora. Abbiamo cento persone che lavorano a terra. Andando lì c’è l’obbligo, come in qualsiasi altro Paese, di produrre dando occupazione: e anche noi lo stiamo facendo. Con il know how di Fincantieri, e la nostra esperienza nel settore, si costruiranno navi in Cina per i cinesi. Abbiamo progetti ambiziosi».
    Quanto pesa il mercato cinese?
    «I crocieristi cinesi sono attualmente 4,5 milioni. Pechino prevede di arrivare a 20 milioni nel giro di sei anni. Una cifra enorme se si considera che oggi i passeggeri complessivi nel mondo sono 21 milioni».
    Pensate a sviluppare anche nuovi mercati?
    «Stiamo studiando, abbiamo dei piani, ma è prematuro parlarne. Diciamo che fra Europa e Cina c’è qualcosa in mezzo.
    Dopo Diadema ordinerete una nuova nave?
    «C’è sempre una nuova nave da fare per il brand Costa, è una delle sfide a cui tengo. Dipende dallo spirito e dall’energia che Fincantieri metterà per lavorare ancora. La nostra capogruppo Carnival ha già tre navi in costruzione attualmente presso Fincantieri. Stiamo lavorando per nuovi progetti con il gruppo guidato da Giuseppe Bono, vedremo».
    Pensa che nei prossimi anni assisteremo nel settore crocieristico a nuove acquisizioni, fusioni o aggregazioni?
    «L’ultima grande operazione è avvenuta a settembre in America con Norwegian Cruise Line (Ncl) che ha acquisito Prestige Cruise per 3 miliardi di dollari. Qui in Europa non credo che siano in vista fusioni fra grandi aziende. Assistiamo piuttosto a una crescita continua del mercato».
    Costa non ha acquisizioni in vista?
    «No, penso proprio di no. Per vari motivi, non ultimo per questioni di antitrust. Costa Crociere in Italia, ad esempio, ha già una quota di mercato del 60%».
    Avete però un concorrente agguerrito, in forte ascesa, come la Mcs di Gianluigi Aponte. La preoccupa?
    «In ogni mercato c’è sempre spazio per un numero due».
    La Stampa - ?Costa Crociere sta per conquistare anche la Cina?



    Il Brasile ricerca in Italia i partner per joint venture
    Nello Stato di Rio de Janeiro investimenti per 90 miliardi di euro nel prossimo biennio
    Le aziende veronesi che hanno aperto unità produttive in Brasile sono tutte basate nello stato di Espirito Santo. Ma il Paese Bric offre anche altre opportunità, presentate ieri a Marmomacc, rassegna leader internazionale per la filiera di marmi e graniti, in corso in Fiera insieme con Abitare il Tempo, salone dedicato alle soluzioni d'arredo e alle finiture d'interni.
    In particolare, grazie alle modifiche apportate alle leggi che regolamentano l'attività di estrazione ed escavazione, a incentivi previsti per chi investe, a un sistema di accesso al credito facilitato, lo Stato di Rio de Janeiro, dove si costruisce l'80% del Pil nazionale, offre possibilità di business appetibili per le aziende italiane, come è stato illustrato nell'incontro organizzato dalla Camera di commercio dello Stato brasiliano. Sul piatto ci sono 90 miliardi di euro di investimenti infrastrutturali programmati nel prossimo biennio, di cui oltre 6 destinati alle Olimpiadi 2016. A Rio de Janeiro sono in costruzione 13.700 nuove camere di hotel di alto livello, senza tralasciare i lavori alla linea 4 della metro, il sistema di bus rapidi, l'ammodernamento dell'aeroporto di Galeao e del Porto Maravilha.
    «Le aziende e gli operatori brasiliani presenti a Marmomacc (una quarantina, ndr)» conferma Giorgio Rossi, segretario generale della Camera di commercio Italo-Brasiliana, «sono alla ricerca di potenziali partner per joint venture e scambi di know-how. Servono investimenti per macchinari, tecnologia, logistica. In questi giorni abbiamo incontrato Confindustria scaligera, siamo stati ospiti del Distretto veneto del marmo e delle pietre, abbiamo incrociato organizzazioni imprenditoriali anche di altre province e regioni».
    L'occasione è unica. Il Brasile guarda a noi come canale privilegiato: su 150 milioni di macchinari importati nel 2013 (+47% sul 2012), 93 milioni provengono dall'Italia. «Nel Paese del Sudamerica noi siamo già arrivati», afferma Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere, «siamo infatti l'unica fiera a vantare una presenza stabile nel principale distretto produttivo di Espirito Santo, grazie a Vitória Stone Fair - Marmomacc Latin America, Cachoeiro Stone Fair e al prossimo debutto, sotto il brand Samoter, di Expo Construções, a novembre».
    L'Arena.it - Home - Economia



    Primato mondiale per Milano, capitale della raccolta dell’umido
    Di Michela Galli
    Grandi notizie per il famoso capoluogo della Madoninna, che secondo il CIC, Rapporto Annuale 2014 del CIC sul recupero delle frazioni organiche in Italia, risulta essersi guadagnata il Primato mondiale come capitale della raccolta dell’umido. Il capoluogo lombardo infatti risulta aver completato l’estensione a tutta la città della raccolta dell’umido.
    Presentato oggi a Ecomodno, il CIC, il Rapporto Annuale 2014 del Consorzio Italiano Compostatori, ha annunciato infatti come Milano sia divenuta la più grande città al mondo ad aver esteso, con ottimi risultati, la raccolta differenziata dell’organico alla totalità della sua cittadinanza ed ha rivelato come lo scarto organico sia diventato la componente principale dei rifiuti urbani raccolti in Italia, con una quota del 42% sul totale 2013, per cui su un totale di 12,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani differenziati nel Belpaese, umido e scarti verdi, hanno rappresentato una quota di ben 5,2 milioni.
    Numeri che fanno di ogni italiano un differenziatore di 86 kg procapite di rifiuti organici, sebbene, a dirla tutta, esistano differenze di intercettazione tra Nord, Centro e Sud, con i 108 kg procapite per i primi, contro i 77 kg dei secondi e i 62 kg dei terzi.
    Primato mondiale per Milano, capitale della raccolta dell?umido



    FERRERO INT.: UTILE PIU' CHE RADDOPPIATO NEL 2014, DIVIDENDO RECORD A 800 MLN
    Profitti piu' che raddoppiati con una cedola record per la Ferrero International. Il 2014 si e' concluso con un utile netto in ascesa a 827 milioni di euro dai 357,5 milioni del 2013 per la holding lussemburghese della multinazionale di Alba. Sulla scorta del risultato l'assemblea dei soci del 16 dicembre scorso ha deliberato una cedola totale di 800 milioni. Nel 2013 Ferrero International aveva remunerato i soci - ovvero la famiglia fondatrice del gruppo - con 400 milioni di euro.
    A far lievitare l'utile dell'esercizio che si e' chiuso lo scorso agosto sono stati i dividendi che la holding ha incassato dalle controllate, passati dai 428,5 milioni del 2013 a 924 milioni di euro. Il merito - precisa il rapporto annuale - va soprattutto alla Ferrero Middle and Eastern Europe Group Gmbh. Alla International fanno capo 34 controllate sparse in tutto il mondo, dall'Italia e dal resto d'Europa fino all'Australia, all'America Latina, al Giappone, all'India e alla Cina, dove nel 2014 e' stata costituita una nuova filiale, la Ferrero Food (Hangzhou) con un investimento di 73,4 milioni.
    Gli asset della International alla fine dello scorso agosto ammontavano a 5,12 miliardi di euro, in aumento dai 4,35 miliardi del 2013. In totale le entrate ricevute dalle controllate del gruppo che produce Nutella, Rocher, Tic Tac e Kinder sono salite a 1,01 miliardi dai 513 milioni dell'esercizio precedente. Insomma, un bilancio piu' dolce che mai.
    Notizie Radiocor - Prima Pagina - Borsa Italiana





    L’ultima offensiva di Capitan Caprotti
    Licenzia due manager, riprende le redini dell'azienda e combatte (ancora) con la Coop. Con la sua determinazione il patron d'Esselunga fa il miglior servizio pubblico possibile: quello al cliente
    di Stefano Magni
    C’è un vecchietto terribile, un Uncle Scrooge reificato, che vi vende dolcetti e tante altre leccornie, ma solo per far profitti per sé, dando la birra alle cooperative solidariste. Ha 89 anni suonati, fa soldi a palate, ha mezzo diseredato i figli e ha appena licenziato due persone, pur essendo nel pieno della crescita in un periodo di crisi nera.
    Non avete ancora indovinato di chi stiamo parlando? Ovviamente sì. È Bernardo Caprotti, il patron di Esselunga. Sembra che lo abbiano disegnato cattivo apposta per comparire in una novella dickensiana, di quelle che restano nella memoria dei bambini, trasformate in cartoni Disney. Ma il nostro Uncle Scrooge (nome originale di zio Paperone) ci piace così com’è, proprio perché si comporta da Uncle Scrooge. Abbiamo già visto su queste colonne perché ha fatto bene a fare causa e vincerla coi figli, adesso vediamo perché fa bene a licenziare gente e fare un pacco di soldi.
    Noi non conosciamo le ragioni esatte dell’allontanamento direttore generale Andrea Zocchi (ex McKinsey) e del capo del personale Gianpaolo Naef. Né sappiamo perché l’economista, anche lui ex McKinsey, Roger Abravanel ”esca” dal Consiglio di Amministrazione di Esselunga. Non solo non lo sappiamo, ma non lo vogliamo sapere. Il proprietario di un’azienda può infatti decidere di licenziare chi vuole, come vuole e quando vuole. Sono affari suoi. Egoismo? Comportamento immorale? Cinismo? Niente di tutto questo. Un’azienda di grande distribuzione ha un solo obiettivo nella sua esistenza: vendere ai clienti. Vendere vuol dire: accontentare più clienti possibili, venire incontro alle loro domande. Questo è il vero servizio altruista, ha successo finché è il pubblico che lo sostiene e dimostra di averne bisogno. Un’azienda che non vende cessa di essere altruista, non serve più il prossimo. Un’azienda che non vende e chiede soldi pubblici per sopravvivere, non solo cessa di essere altruista, ma diventa iper-egoista, perché vuole accaparrarsi pure i soldi degli altri, anche contro la loro stessa volontà. Tenendo ben chiari in mente questi criteri, la scelta di licenziare due (o tre?) manager è una forma di egoismo o altruismo? Evidentemente, stando a quel che pensava Caprotti, erano troppo poco altruisti. Cioè non servivano a sufficienza il pubblico.
    Passiamo allora al secondo mito negativo: fare tanti soldi e superare le Coop, cioè l’emblema della solidarietà fatto ad azienda. Tenendo sempre a mente i criteri di altruismo (reale) e (vero) egoismo, stando all’analisi quadriennale di Mediobanca, Esselunga nel 2013 ha realizzato 16.241 euro di fatturato per metro quadro (che è il dato di riferimento per saggiare l’efficienza nel comparto), unico tra i gruppi considerati dallo studio a mostrare segno positivo (+1,3%) rispetto al 2009. Medaglia d’argento per le Coop, ma a debita distanza: si parla di 6.773 euro per metro quadro, comunque in calo del 2,5% rispetto al 2009.
    Chi dei due ha svolto meglio il ruolo di servitore del bene pubblico? Il privato egoista Caprotti, o le solidariste e collettive Coop? Sembrerà incredibile alle anime belle, ma è il primo che serve meglio il bene comune. Le Coop, saranno anche permeate di ideologia solidarista, ma hanno servito meno il pubblico. Chi vende di più è il miglior servitore del bene pubblico. Non chi vende meno, ma si avvale spesso della cooperazione della politica locale, come ha denunciato lo stesso Caprotti nel suo libro-scandalo “Falce e Carrello”.
    Nei suoi romanzi, Ayn Rand, cantrice di eroici imprenditori e innovatori, dava un nome agli imprenditori individuali che facevano gli imprenditori (cioè miravano a produrre e vendere basandosi sui propri mezzi) e nomi societari collettivi a quelle aziende che preferivano farsi proteggere dallo Stato, con soldi del contribuente e leggi a proprio favore.
    La Esselunga è Caprotti. E le Coop chi sono?
    L?ultima offensiva di Capitan Caprotti | L'intraprendente


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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Umpi vuol vendere lampioni intelligenti nella Silicon Valley
    APERTA UNA FILIALE NEL CUORE DEL DISTRETTO HI-TECH USA. L’OBIETTIVO È ACQUISIRE NON SOLO COMMESSE MA ANCHE NUOVE TECNOLOGIE
    Andrea Frollà
    Esportare una tecnologia nata, sviluppata e testata interamente in Italia nella Silicon Valley: è la scommessa di Umpi, azienda di Cattolica specializzata nella realizzazione di sistemi per la Smart City. Un obiettivo ambizioso che nasce dalla sua tecnologia Minos che rende “intelligenti” i lampioni pubblici, permettendo di controllare ogni singolo punto luce in remoto. Il sistema sfrutta le powerline, ossia la trasmissione dati sui cavi elettrici e non si ferma alla sola gestione dell’illuminazione. Il palo della luce ideato dall’azienda romagnola può infatti diventare un’infrastruttura in grado di gestire altri servizi: dalla cartellonistica stradale luminosa o la videosorveglianza, fino alle informazioni meteo. Il tutto garantendo risparmi energetici e manutenzione tempestiva.
    L’installazione della tele-gestione in tutta Italia stima Umpi - potrebbe arrivare a generare in un anno circa 100.000 nuovi posti di lavoro e un risparmio per le casse pubbliche di oltre 4 miliardi di euro al netto degli investimenti che, in concreto, per una città di 10.000 abitanti sono sul mezzo milione di euro. Nel solo settore delle Smart City, l’azienda nel 2013 ha generato ricavi per 5,5 milioni di euro (circa 1/6 del fatturato totale), reinvestendone in R&S 2 milioni e con una quota export del 40%. Dopo aver installato tra Italia, resto d’Europa e Medio Oriente oltre mezzo milione di apparecchi Minos sui lampioni di strade, stazioni ferroviarie, impianti sportivi e tunnel, Umpi punta dunque sugli Usa.
    “Non vogliamo solo esportare il nostro know-how ma accelerare la creazione di nuovi prodotti e soluzioni sfruttando i benefici di interagire direttamente con le realtà tecnologiche della Silicon Valley”, spiega Gianluca Moretti, ad di Umpi.
    Umpi vuol vendere lampioni intelligenti nella Silicon Valley - Repubblica.it




    L'imprenditore (con la tuta) che ha «sollevato» il mondo
    "La indosso dall'età di 10 anni". Costruisce una casa in 12 giorni. Suo il ponteggio usato per Partenone, Colosseo, Eurotunnel, diga di Assuan e centrale di Chernobyl
    Stefano Lorenzetto
    Che cos'hanno in comune la basilica di San Pietro e la grande moschea di Abu Dhabi, la centrale nucleare di Chernobyl e quella dismessa di Montalto di Castro, il Partenone di Atene e l'Hermitage di San Pietroburgo, l'Eurotunnel sotto il Canale della Manica e la diga di Assuan sul Nilo, il campanile di San Marco e Palazzo Grassi a Venezia, la Reggia di Caserta e l'hotel Oberoi di Mumbai, la basilica superiore di Assisi e la Camera dei deputati, la Mole Antonelliana e la Singapore land tower, il Colosseo e il transatlantico Queen Mary II? Un uomo.
    Un operaio di Cornuda (Treviso) che indossa sempre e solo la tuta blu unta di grasso e con questa divisa dirige da solo un impero, al 100 per cento di sua proprietà, allargatosi dal Veneto fino a Dubai, alla Somalia, al Kenya, alla Romania, al Lussemburgo, alla Lituania, al Brasile, spaziando dalla meccanica all'edilizia, dalla chimica all'agroalimentare, dai veicoli industriali alla sanità. Oggi fattura 140 milioni di euro l'anno e ha 300 dipendenti, più altri 500 che lavorano per lui in imprese collegate. Ma, quando dalla canna ricavava zucchero e benzina, è arrivato a stipendiarne 1.200 nel solo Mato Grosso do Sul. E allorché nel 2009 ebbe la pessima idea di tentare il salvataggio della Vinyls, colosso del cloruro di polivinile gravato da 140 milioni di debiti, se ne caricò sulle spalle altri 1.000 (quasi 7.000, considerando l'indotto), «per poi scoprire che i politici mi avevano tirato un bidone da 40 milioni di euro, che ci ho rimesso di tasca mia».
    Il cavalier Sartor Fiorenzo - con il cognome rigorosamente preposto al nome - ha inventato il ponteggio autosollevante impiegato in tutto il mondo per costruire e restaurare edifici, salvare monumenti, realizzare arditi progetti d'ingegneria idraulica o navale. È un sistema di montacarichi, ascensori e piattaforme che ha mandato in soffitta travi di sostegno, tavole di legno e carriole. Nei cantieri fa salire e scendere le persone e i materiali in un battibaleno. Poteva pensarci chiunque: in fin dei conti bastavano un pignone e una cremagliera. Ci pensò per primo lui, a soli 17 anni: «Vidi aprirsi un cancello scorrevole e mi chiesi: perché non sfruttare lo stesso movimento in verticale, anziché in orizzontale?». Se oggi in Grecia il ponte sospeso più lungo al mondo, quasi 3 chilometri, attraversa il golfo di Corinto, è anche merito suo.
    La morchia dell'officina si è insinuata sotto le unghie di Sartor all'età di 10 anni e dopo 60 è ormai impossibile lavarla via. S'è fermato alla quinta elementare: «Un lusso, per quei tempi». Conosce bene soltanto il dialetto: «Però in giro per il mondo mi sono sempre fatto capire, persino dagli arabi, altrimenti come sarei riuscito negli ultimi mesi ad andare a combinare affari in Gran Bretagna, Ucraina, Egitto, Marocco, pochi giorni fa persino in Camerun?».
    Adesso il parón della Safi di Cornuda può concedersi il lusso di alzarsi alle 6, «un tempo saltavo fuori dal letto fra le 4 e le 5». Alle 7 è già in officina, attigua all'abitazione, e ci resta fino alle 23. La moglie, Ivana Zuccolotto, non può protestare: se l'è portata via un brutto male. «Sabato e domenica sono i giorni migliori. Nessuno che rompe. Mi metto al tornio e posso concentrarmi sui nuovi progetti».
    L'unico figlio, Claudio, 46 anni, ha scelto un'altra strada. Vive in Brasile, a São José do Rio Preto, dove s'è risposato e fa il fotografo di moda: «Massa grili par la testa, massa done, massa spese». Il cavaliere ha così puntato sul giudizioso nipote, Moreno, 21 anni, nato dal primo matrimonio di Claudio. Dopo la gavetta in officina, l'ha fatto diplomare perito meccanico e l'ha mandato a perfezionarsi a Edimburgo. «Senza questo ragazzo, avrei già venduto tutto». E per «tutto» intende, oltre alla Safi, una galassia che comprende la Habitat 3D System, che costruisce in 12 giorni una casa con muri in calcestruzzo dello spessore di 14 centimetri; la Videa, specializzata in verniciature industriali e in piattaforme oceaniche per le compagnie petrolifere; la Tpv, leader italiana della plastica, che produce Pvc per pannelli, cavi, tubi e dispositivi biomedicali.
    E se non avesse un nipote cui lasciare tutto?
    «Farei opere di bene, come desiderava mia moglie: scuole di formazione e impianti sportivi che tengano i giovani lontani dalla droga».
    Non ha niente dello sportivo.
    «In gioventù correvo in bici. Per comprarmene una da competizione, misi da parte le mance che mi guadagnavo il sabato e la domenica andando per famiglie a sturare water. Quando mio padre venne a sapere di queste gare, mi fece fare la strada dall'officina a casa a scarpate nel culo. Una volta dentro, giù botte. Al che mia nonna Rosa gli gridò: “Vergognati! Non sei degno di avere un figlio così”. Le rispose: “Vu ste' zita, che gavì un piè sula busa”, avete un piede nella fossa. Allora ai genitori si dava del voi».
    Mammamia!
    «Si chiamava Angelo, ma lo era solo di nome. Cattivo che più cattivo non si poteva. “Comande mi, e tuti gà da fare quel che digo mi”».
    A che età ha cominciato a lavorare?
    «A 10 anni, da Bernardo Zanini, detto Chechi. Casse di zinco per le bare. Nessun apprendista resisteva più di tre mesi. Ti spiegava le cose e poi ti chiedeva: “Hai capito?” Alla quinta volta che mi ripeté ciò che dovevo fare, per vergogna risposi di sì. Non era vero e perciò sbagliai a eseguire il compito. Avvertii un dolore atroce, lanciai un urlo: mi aveva spento il toscano sul collo. “Così, quando non capisci, impari a dirmelo”, sbraitò».
    Un nazista.
    «Con 5.000 lire si compravano stagno, zinco e acido muriatico necessari a foderare due casse da morto, per ognuna delle quali il Chechi pretendeva 15.000 lire».
    E poi?
    «A 17 anni, di nascosto da mio padre, cambiai datore di lavoro: Giuseppe Pieri, un impresario edile di Montebelluna. Dopo tre mesi nei cantieri, mi portò in una sua officina, dove c'erano 20 operai al lavoro, tutti anziani: “Da oggi li dirigi tu”. Io non volevo. “O così o torni a casa”, ribatté. Non me la sentivo di mollare: Chechi mi dava 100 lire a settimana, Pieri 160 lire l'ora. “Facciamo così: quelli che non si comportano bene, li mandi in ufficio da me”, concluse. In un mese dimezzammo il personale».
    A stare con lo zoppo, s'impara.
    «Un giorno Pieri mi fa: “Bòcia, tu che sei bravo, inventa qualcosa per i miei muratori costretti ad arrampicarsi come scimmie sulle impalcature”».
    E lei escogitò il ponteggio autosollevante, all'origine delle sue fortune.
    «Solo che Pieri se ne impossessò e lo brevettò in segreto. Poi me lo diede da produrre. In pratica mi aveva trasformato in un contoterzista a costi certi. Attesi 10 anni che scadesse il brevetto e apportai al macchinario una miglioria decisiva. Pieri tentò di parare il colpo andando a farselo produrre in Romania. Le risparmio i particolari. Fatto sta che fallì e così mi riportai a casa dal tribunale quello che era stato mio sin dall'inizio».
    Mi hanno raccontato che il suo ponteggio fu ammirato persino da Giovanni Paolo II. È vero?
    «Verissimo. Ne eressi uno in San Pietro, alto 44 metri, per il restauro degli affreschi nella cappella della Pietà. Mica facile, senza avere la possibilità di ancorarsi a qualcosa. Un giorno, mentre lavoravo, mi avvicinò monsignor Virgilio Noè, arciprete della basilica vaticana: “Cavalier Sartor, lei di che religione è?” Dopo qualche tempo il prelato mi chiese: “Le andrebbe d'incontrare il Papa?. Una sera alle 21 squillò il telefono: era il segretario del pontefice. “Sua Santità la aspetta a messa domattina alle 7.30”. Guardi che io sto rispondendo da Cornuda, Treviso, come faccio a essere a Roma per quell'ora? Mia moglie avrebbe voluto che ci mettessimo in viaggio di notte. Ci fu rinnovato l'invito 15 giorni dopo. Appena Karol Wojtyla mi vide, esclamò: “Oh, finalmente conosco l'uomo volante!” Siccome le processioni papali entrano in basilica dalla cappella della Pietà, lui, che era un ex operaio, passando lì sotto aveva capito che razza di audacia ci fosse dietro quel ponteggio autosollevante e autoreggente. Volle che ci fermassimo a colazione».
    Qual è la prima cosa che guarda al momento di assumere un operaio?
    «Che non abbia troppi passaggi sul libretto di lavoro. Se ha cambiato quattro o cinque ditte, meglio lasciar perdere. Purtroppo, causa crisi, ho dovuto mandare a casa una decina di dipendenti».
    Non l'aveva mai fatto prima?
    «No. I rompiballe mi bastava portarli a lavorare con me una settimana e se ne andavano da soli. Solo una volta ho fatto ricorso a un licenziamento collettivo, nel 1968, mi pare. Il capofficina venne a minacciarmi: “Se glielo ordino io, le maestranze incrociano le braccia”. Ah, sì? Allora tutti fuori dai coglioni! Tirai giù l'interruttore della corrente e mi barricai da solo dentro lo stabilimento. Dopo una settimana, ripartii con una ventina di nuovi assunti. Allora si poteva fare».
    Come le saltò in mente di voler salvare il polo chimico di Marghera?
    «Sulla carta era un affare. La Vinyls apparteneva al gruppo inglese Ineos, terzo al mondo con 47 miliardi di euro di fatturato, ma faceva acqua da tutte le parti. La mia Videa lavorava lì dentro. Se avesse chiuso, sarei rimasto a piedi anch'io. Così andai a trattare con l'Ineos e con l'Eni, che forniva la materia prima ed era il maggior creditore. Misi sul piatto 80 milioni per saldare i debiti e 8 simbolici per un impianto tecnicamente già morto. Il primo giorno che misi piede a Porto Marghera dissi alle maestranze: cominciano gli anni dei doveri, dimenticatevi le bandiere rosse e gli scioperi. Però nessuno dei politici che mi spinsero a intervenire per salvare i posti di lavoro ebbe il coraggio di spiegarmi che i contratti con l'Eni erano in scadenza. Gli inglesi compravano il dicloroetano dall'ente allora presieduto da Paolo Scaroni a 74 euro la tonnellata, e non lo pagavano; a me fu messo a 280 euro la tonnellata, un aumento del 278 per cento. Dopo tre settimane ero già fuori mercato. Eppure, nonostante l'impianto girasse a metà delle sue potenzialità, in due mesi il qui presente Sartor Fiorenzo, pagati stipendi e materie prime, riuscì ugualmente a tirar su 40 milioni di euro».
    Mi sta dicendo che fu un trappolone?
    «Precisamente. Volevano che facessi fallire l'azienda al posto loro. L'Eni aveva deciso di uscire dalla chimica».
    Come mai è console onorario della Somalia?
    «Lo ero. Oggi lo sono del Kenya. Ho trattato con tutti. Dalla Cina e dall'India importavo riso, farina, zucchero e olii di semi in tutta l'Africa. In Somalia ho negoziato personalmente con Siad Barre».
    Mi risulta che nel 2008 il ministero del Lavoro brasiliano l'abbia messa sotto inchiesta per sfruttamento della manodopera indigena.
    «Una cazzata. Nelle mie piantagioni di canna da zucchero lavoravano molti paraguaiani, per i quali non ero tenuto a versare i contributi. Lo stabiliscono le leggi del Brasile, mica di Sartor. Dimostrai che avevo ragione».
    Lei riceve uno stipendio?
    «No. Per vivere mi bastano i 1.000 euro al mese della pensione».
    Su che cos'ha investito di più per agguantare il successo?
    «Sul mio lavoro. Ancora oggi ne sono innamorato come il primo giorno. Mi frega la carta d'identità».
    Come vede l'Italia?
    «Alla frutta. E pure il cosiddetto Nordest. I quattro imprenditori bravi che c'erano qui sono stati abbandonati. Veniamo considerati tutti colpevoli fino a prova contraria. La popolazione cala, l'edilizia che trainava l'economia è ferma. Si è realizzata la profezia di mio nonno Donato, un uomo saggio, che non aveva studiato, morto quando io avevo 13 anni. “Fiorenzo”, mi diceva nel dopoguerra, “l'Italia diventerà grande, poi i politici la ridurranno a una piccola spelonca di ladroni. Tu farai in tempo a vederla grande. Ma i tuoi figli, e i figli dei tuoi figli, no”. Era molto cattolico. M'insegnò le preghiere. Quando vado a trovarlo in cimitero, se potessi me lo riporterei a casa».
    L'imprenditore (con la tuta) che ha «sollevato» il mondo - IlGiornale.it



    Il Pendolino punta a nuovi mercati: prossime fermate Turchia e Stati Uniti
    di Marco Morino
    Dopo la Polonia, i prossimi obiettivi sono Turchia e Stati Uniti. Il Pendolino, il treno ad alta velocità di maggior successo nel mondo, fiore all'occhiello della tecnologia, è pronto per nuove sfide. È Pierre-Louis Bertina, presidente e amministratore delegato di Alstom Ferroviaria Spa, il costruttore del Pendolino, a indicare al Sole 24 Ore i piani di sviluppo del super treno.
    Ma procediamo con ordine. I treni Pendolino, sviluppati da Alstom Ferroviaria, sono prodotti dagli stabilimenti di Savigliano (Cuneo), centro di eccellenza mondiale nella fabbricazione dei treni ad alta velocità basati sulla tecnologia tilting (assetto variabile), Sesto San Giovanni (Milano), che fornisce i convertitori di trazione, e Bologna, responsabile dei sistemi di segnalamento. «In particolare – spiega Bertina - lo stabilimento di Savigliano è riconosciuto dall'intero mondo Alstom come un punto di riferimento a livello globale per i treni ad alta velocità. Savigliano è un fiore all'occhiello per il gruppo Alstom e un campione della tecnologia». A titolo di esempio: a Savigliano sono fabbricati i Pendolini per Trenitalia, cioè i Frecciargento attualmente in servizio sulla Roma-Venezia e sulla Roma-Lecce, e gli Agv destinati a Ntv.
    È di qualche giono fa la notizia che il Pendolino realizzato da Alstom tra Savigliano e Sesto ha ufficialmente inaugurato la stagione dell'alta velocità in Polonia, con il primo dei 20 treni ordinati ad Alstom dalla compagnia Pkp a entrare in servizio. Il Pendolino polacco viaggia a 200 chilometri/ora, è formato da sette carrozze e può trasportare fino a 402 passeggeri. La commessa polacca vale 665 milioni di euro, compresi 17 anni di manutenzione.
    Ora Alstom Ferroviaria guarda con attenzione a Turchia e Stati Uniti. Le ferrovie turche, dice Bertina, hanno in programma l'acquisto nel 2015 di 80 super treni da 300 chilometri orari per potenziare il servizio interno ad alta velocità. La commessa turca vale 2,8 miliardi di euro. «Siamo in prima fila – nota Bertina – per questa commessa: la concorrenza è mondiale ma noi sappiamo che la reputazione del Pendolino è altissima e che abbiamo le competenze per rispondere appieno ai requisiti tecnici dalla gara».
    Il secondo fronte riguarda gli Stati Uniti. Il committente è Amtrak, nome commerciale della National Railroad Passenger Corporation. Si tratta di una compagnia ferroviaria pubblica che gestisce la linea ad alta velocità Boston-New York-Washington Dc. Amtrak ha lanciato una gara per l'acquisto di 28 treni ad alta velocità (il valore della commessa non è ancora disposnibile). Alstom Ferroviaria è pronta a contribuire alla commessa americana schierando il sito di Savigliano, sia per la realizzazione «della cassa in alluminio» del nuovo treno (in pratica le carrozze) sia per la fornitura del sistema pendolare, cioè la tecnologia ad assetto variabiale che caratterizza il Pendolino. Questa tecnologia consente al treno di inclinarsi fino a 8 gradi in curva, raggiungendo velocità più elevate sulle linee tradizionali, rispetto agli altri convogli, il tutto in piena sicurezza per i passeggeri.
    Con circa 500 treni venduti nel mondo, certificati per essere operati in 14 paesi, il Pendolino è il treno ad alta velocità di maggior successo a livello internazionale. Il Pendolino è già operativo in Italia, Germania, Repubblica Ceca, Svizzera, Slovenia, Regno Unito, Portogallo, Spagna, Finlandia, Cina, Russia e Polonia. Su 3mila convogli ad alta velocità che viaggiano nel mondo, circa 1.200 (Pendolini o altro) portano il marchio Alstom.
    Il Pendolino punta a nuovi mercati: prossime fermate Turchia e Stati Uniti - Il Sole 24 ORE




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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Le mani sulle banche popolari
    di Gianfranco Fabi
    La decisione del Governo Renzi di varare un decreto legge per cambiare la “governance” delle banche popolari appare un ingiustificabile atto di potere per ricondurre nell’ambito del controllo politico e dei grandi interessi finanziari un settore che è stato non solo per decenni, ma per secoli, una delle strutture portanti dell’economia e della società italiana. Un settore nato dalla logica solidaristica e cooperativa, una logica che si è sviluppata soprattutto grazie ai forti legami con il mondo cattolico e le sue espressioni locali.
    Innanzitutto vediamo il cuore del provvedimento. Le grandi banche popolari devono entro 18 mesi trasformarsi in società per azioni. In pratica viene abolito il voto capitario che ha sempre contraddistinto queste realtà: fino ad ora i soci di queste banche, qualunque quota di azioni possedessero, votavano infatti nelle assemblee con solo voto, uguale a tutti gli altri. Nelle Spa invece i voti sono proporzionali alle quote possedute e quindi una singola persona può acquisire la maggioranza o comunque il controllo della società.
    Il voto capitario, il voto quindi in rappresentanza della persona e non delle quote possedute, è un caratteristica che esprime il fatto che la persona e non il denaro è al centro dell’attività economica, ed è una caratteristica definita negli statuti dei singoli istituti e che comunque non ha impedito alle banche popolari di crescere, di aiutare altre banche in difficoltà, di erogare credito secondo le esigenze del territorio. Peraltro i casi di crisi più rilevanti nell’attuale realtà sono quelli del Monte dei Paschi di Siena e della Carige che, guarda caso, banche popolari non sono. E anzi sono banche, soprattutto quella senese, legate a filo doppio con la politica locale e nazionale.
    Allora perché intervenire con un provvedimento peraltro ingiustificabile dal profilo giuridico dato che il decreto legge può essere varato solo per motivi di necessità e urgenza, motivi che verosimilmente non ci sono per una riforma di cui si parla da più di vent'anni?
    La realtà è che le banche popolari e il loro modello davano sempre più fastidio e la loro autoreferenzialità era considerata sempre più un ostacolo alle manovre di controllo del sistema finanziario. Mentre permettere che arrivino azionisti forti può aiutare a decidere interventi di soccorso e magari di favore. Come ha scritto un grande giornale le due ragioni principali della riforma sono il fatto che che le “holding finanziarie devono puntare al profitto più che allo svolgimento di una funzione mutualistica” e alcune , udite, udite, “sono nate addirittura nelle case dei vescovi e oggi della Ubi è azionista pure la Congregazione delle suore ancelle della Carità di Brescia e il Convento delle religiose di Sant’Orsola, sempre di Brescia”. Che scandalo!
    Eppure proprio le banche popolari, ovviamente in misura diversa e con qualche differenza nei comportamenti, hanno avuto e continuano ad avere proprio la funzione mutualistica al centro della propria missione. Si puó capire che questo dia fastidio a chi vuol estendere il proprio potere di controllo e di intervento e a chi guardi ai capitali solo come espressione di potere.
    Certo, nella storia delle popolari, ci sono stati e probabilmente ci sono ancora problemi e giochi di puri interessi. Ma non è un caso che il sistema complessivo delle popolari ha affrontato e risolto con le proprie forze anche le situazioni più difficili. Certo, c’è stato il caso della Banca popolare di Lodi, con la spregiudicata politica di acquisizioni varata da Giampiero Fiorani, ma la banca è stata poi salvata e integrata nel gruppo della Popolare di Verona. È così altre banche in difficoltà come il Banco di Brescia o il Credito varesino sono entrate a far parte del gruppo Ubi. E il Credito artigiano è entrato nel gruppo del Credito valtellinese. Integrazioni, fusioni e acquisizioni sono state possibili anche con l’assetto istituzionale che ha regolato fino ad ora il settore, peraltro deciso e mantenuto in piena autonomia.
    I dati sul credito poi confermano che le erogazioni della banche popolari non hanno fatto mancare i finanziamenti alle piccole e medie imprese: una ricerca dell’autorevole centro studi della Cgia di Mestre ha rilevato che “In anni in cui la stragrande maggioranza delle banche ha chiuso i rubinetti del credito alle famiglie e alle imprese, le uniche ad aver incrementato gli impieghi sono state le Banche popolari. Nell’arco di tempo che va dall’inizio della fase di credit crunch (2011) sino alla fine del 2013, le Popolari hanno aumentato i prestiti alla clientela del 15,4%; diversamente, quelle sotto forma di Spa e gli istituti di credito cooperativo hanno diminuito l’ammontare dei prestiti rispettivamente del 4,9 e del 2,2%. Lo stesso trend negativo – conclude la ricerca Cgia - è stato registrato anche dalle banche estere presenti nel nostro Paese: sempre tra il 2011 e il 2013, i prestiti sono diminuiti del 3,1%”.
    Peraltro gli stessi stress test della Banca centrale europea hanno promosso i conti delle popolari così come quelli dei grandi colossi (tranne, come detto, Mps e Carige, che torniamo a sottolineare, banche popolari non sono).
    Perché allora questa fretta di varare un decreto che ha incidenza solo sugli assetti di potere, che incide gravemente sull’autonomia e sulla libertà d’impresa, e non cambierà nulla, almeno nell’immediato, sul fronte dell’attività bancaria verso le famiglie e le imprese? Le giustificazioni per questa scelta (dare più efficienza e contendibilità al sistema del credito) appaiono come una semplice foglia di fico per altre motivazioni legate solo agli interessi delle vere lobby finanziarie.
    Le banche popolari si sono sempre confrontate e continuano a confrontarsi al pari di tutte le altre in un mercato aperto, concorrenziale e sono sottoposte alla vigilanza giustamente stretta della Banca d’Italia sui parametri contabili. E sono una realtà che proprio per le caratteristiche storiche hanno decine di migliaia di soci, vedono una grande partecipazione alle assemblee, hanno iniziative e sostengono attività di tipo sociale anche al di là degli stretti obiettivi di profitto.
    L’attacco alle banche popolari è quindi un altro capitolo dell’insofferenza della politica verso le espressioni di democrazia economica e sociale.
    Le mani sulle banche popolari

    EMBARGO RUSSIA, COLDIRETTI: "CON SANZIONI GIÀ PERSI 1,25 MILIARDI"
    L’Italia ha perso nel 2014 oltre 1,25 miliardi di export in Russia, per l’effetto dell’embargo e delle tensioni politiche che hanno frenato gli scambi. E’ quanto emerge dal bilancio definitivo tracciato dalla Coldiretti, in riferimento all’annuncio del possibile varo di nuove sanzioni contro il paese di Putin da parte dell’Unione Europea. Le esportazioni di made in Italy in Russia sono crollate dell’11,6% rispetto all’anno precedente, secondo le elaborazioni Coldiretti sui dati Istat relativi al 2014.
    Se i settori piu’ colpiti sono chiaramente quelli interessati dall’embargo che ha sancito a partire dall’8 agosto il divieto all’ingresso di una lista di prodotti agroalimentari che comprende frutta e verdura, formaggi, carne e salumi ma anche pesce, perdite di quote di mercato considerevoli - sottolinea l'associazione di categoria - si registrano anche in altri importanti comparti, dal tessile all’arredamento fino ai mezzi di trasporto. Nell’agroalimentare si sommano anche i danni indiretti dovuti alla perdita di immagine e di mercato provocata dalla diffusione in Russia di prodotti di imitazione che non hanno nulla a che fare con il Made in italy. "Lo stop alle importazioni di frutta, verdura, salumi e formaggi dall’Italia ha infatto provocato in Russia un vero boom nella produzione locale di prodotti italiani taroccati", conclude la Coldiretti.
    Agenzia di Stampa Italpress - EMBARGO RUSSIA, COLDIRETTI: "CON SANZIONI GIÀ PERSI 1,25 MILIARDI"

    Cultura: Verona mangia, la Sicilia no
    di Fabio Russello
    E’ sempre difficile comprendere il perché la Sicilia, culla della civiltà occidentale[rectius, "perla" della "civiltà" araba....] non riesca a sfruttare a pieno le potenzialità del suo territorio. Ma quando leggiamo i dati su quanto i Comuni isolani riescono a ricavare dalla cultura, praticamente zero, e su quanto quegli stessi comuni investono nel settore, sempre zero, ci rendiamo davvero conto che è come avere una miniera d’oro che però teniamo ben chiusa. Anche perché quelle poche risorse che si mettono in circolo vengono poi disperse in mille rivoli di sagre e spettacolini – spesso per dare il contentino clientelare a questa o quella associazione – e che di fatto non portano alcun beneficio.
    I numeri dei tre maggiori Comuni siciliani sono da questo punto di vista significativi a confronto con quelli di altre città del Nord, dove la cultura – contrariamente a quanto sosteneva l’ex ministro Tremonti – fa mangiare. Verona incassa in un anno cinque milioni e mezzo di euro grazie alla cultura, Padova ne incassa 2,5. Messina invece zero euro, Catania viaggia sulla media di 44 centesimi per abitante all’anno (mezzo caffè...) e Palermo addirittura ancora meno: 11 centesimi.
    A Verona, certo c’è la stagione degli spettacoli all’Arena, ma Catania e Palermo non possono essere da meno. E questo nonostante le stime sui grandi eventi parlino chiaro. Un concerto di una band di richiamo internazionale capace di portare in uno stadio anche 40mila persone è in grado di muovere un’economia a sei zeri, anche intorno ai 10 milioni di euro considerando l’indotto tra bar, alberghi, ristoranti, trasporto pubblico e tutto quello che ruota attorno ad una manifestazione del genere.
    Ma la Sicilia dimostra anche di non credere granché nella cultura, anche in tempi di grande crisi come questa. Perché le Amministrazioni alle prese con gravi problemi di carattere finanziario preferiscono tagliare proprio su un settore ritenuto – erroneamente – di élite. Eppure basterebbe imparare a memoria uno dei più celebri aforismi attribuiti a Winston Churchill e relativo al dibattito che nel Regno Unito era in corso sull’economia durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli proposero di tagliare i fondi destinati alla cultura. lo statista inglese, mentre le V2 naziste cadevano su Londra, non esitò a replicare: «E allora per cosa combattiamo?».
    Cultura: Verona mangia, la Sicilia no | LASICILIA.IT

    Snaidero vince ancora il “Good Design Award” 2014
    La cucina Elle di Snaidero, design Monica Armani, si aggiudica il GOOD DESIGN AWARD 2014, il prestigioso riconoscimento del Chicago Atheneaum Museum of Architecture. Per Snaidero è l’undicesima volta.
    Istituito nel 1950 e organizzato dall’Ateneo di Chicago, Museo di Architettura, Design e Arte Metropolitana, il GOOD DESIGN AWARD è il più storico e prestigioso riconoscimento internazionale esistente che premia designer e produttori per l’ideazione di concetti innovativi e originali capaci di andare oltre gli standard di prodotto e di design.
    Quest’anno la cucina Elle, disegnata da Monica Armani per Snaidero e presentata all’ultima edizione del Salone del Mobile di Milano, ha vinto il Good Design Award: un risultato importante, soprattutto perché conseguito per l’undicesima volta, a conferma di un’abilità storica del marchio nel fondere originalità e creatività, cultura artigianale e avanguardia industriale.
    Elle rappresenta un progetto improntato su un lavoro di pulizia che la designer definisce un'“equazione del dettaglio”. Un progetto dall’inconfondibile cura dei dettagli, un lavoro tra proporzioni e sequenze di piani che rivisita in modo originale l’oggetto cucina.
    Un progetto di disegno prima che di maniera, reso possibile dalla sintesi di dettagli di grande artigianalità progettuale, combinata ad una forte esperienza industriale. “Siamo orgogliosi di questo nuovo riconoscimento internazionale” commenta Edi Snaidero, Presidente del Gruppo “Per noi rappresenta un’ulteriore conferma che la strada della ricerca e dell’innovazione di prodotto, attraverso la valorizzazione del genius loci da un lato e delle competenze manifatturiere dall’altro, siano gli asset vincenti per difendere le nostre peculiarità e distinguersi con una strategia chiara e capace di guardare al futuro”.
    Snaidero vince ancora il ?Good Design Award? 2014 | DomiFurniture ? info eccellenze italiane









    «Anche il mio è un polo come quelli dei francesi»
    Renzo Rosso, 59 anni, sposato, con sei figli. Originario di Brugine, vive a Bassano del Grappa. Imprenditore, secondo Forbes è il 10º uomo più ricco d’Italia, ma dice: «Non ho mai lavorato per soldi». Si è fatto da solo, a 10 anni guadagna già vendendo conigli. Figlio di contadini, di suo padre dice: «Ci ha insegnato a non lasciare mai nulla nel piatto, e a non sprecare i soldi». Per vincere, dice, ci vuole la squadra e tanto, tanto lavoro, la passione e poi il talento aiuta.
    Rosso, 10º più ricco d’Italia. Anche 10º contribuente?
    Fa piacere essere il 10º ricco contribuente, sicuramente però in questa lista ci saranno almeno centinaia di persone prima di me, che ovviamente non ci sono perché…
    Stanno fuori?
    In altri Paesi.
    Chi la conosce dice che è un grande imprenditore, e questo si sa, ma anche un grande uomo. Che cosa fa grande un uomo più di tutto?
    La dignità e il rispetto per le persone. Essere positivi.
    Londra prima, poi Firenze e Milano: si muove qualcosa nel mondo della moda, oppure siamo fermi?
    Tante cose si muovono, il mondo della moda è sempre innovativo. Ogni stagione facciamo una collezione nuova…
    Però c’è stato un momento di incertezza, no?
    Bisogna dare molto spazio alla creatività, è il segreto delle nostre aziende, è lì dove abbiamo sempre calcato di più. Diciamo che c’è fermento, anche adesso a Milano…
    Si è reagito bene alla crisi...
    È un settore che sta andando bene rispetto a tanti altri.
    E a Milano ha visto dei buoni exploit?
    A Milano c’è fermento. Faccio parte della Camera della moda e c’è molta energia.
    Ma in Italia non si è mai riusciti a fare un polo del fashion come Arnault e Pinault in Francia. È un limite?
    Non è vero: io rappresento un polo.
    Lei rappresenta un polo, ma la dimensione dei francesi…
    È proprio tipico della mentalità italiana, il tuo concorrente visto come un nemico, mentre all’estero c’è l’associazione. Questo purtroppo è uno dei grossi problemi italiani…
    C’è la Borsa all’orizzonte?
    Non in questo momento. Possiamo decidere più velocemente, senza rispondere agli azionisti.
    L’Italia è un Paese di vecchi che aiuta poco i giovani: se non c’è il lavoro è solo colpa del sistema-Italia oppure ci sono molti giovani che non sanno più che cos’è il sacrificio?
    In parte per il sistema-Italia, l’Italia dovrebbe esser più aperta, offrire più opportunità ai giovani. Che senso ha continuare a far lavorare la gente oltre una certa età, tenendo a casa i giovani che hanno molto più sangue fresco, innovazione?
    Quindi mandare via le persone più anziane e prendere giovani?
    No, possiamo dare agli anziani posti più utili socialmente.
    Ci sono 3 milioni di scoraggiati tra i giovani, che il lavoro lo vorrebbero ma non lo cercano. Cosa gli direbbe per spronarli?
    Direi ai loro genitori di dargli un calcio nel sedere per mandarli fuori di casa. Perché ai miei ho fatto così, quando vai fuori di casa a 18 anni impari a gestire la tua prima azienda, che è farti da mangiare, lavare i vestiti.
    «Anche il mio è un polo come quelli dei francesi» - Il Sole 24 ORE



    Tecno Center, a Venaria arrivano i lombardi
    Rollon, Gruppo internazionale con base a Vimercate, leader mondiale nella produzione di sistemi per la movimentazione lineare per diversi settori, annuncia il closing dell’operazione con l’azienda Tecno Center, per l’acquisizione del ramo dell’azienda torinese dedicato alla produzione di attuatori lineari, componenti per la movimentazione lineare nel settore dell’automazione industriale. Rollon ha fatto il suo ingresso nel mercato degli attuatori lineari nel 2011, grazie all’acquisizione dell’azienda italiana El.More. L’acquisizione di Tecno Center mira a rafforzare Rollon nell’offerta relativa al segmento attuatori, ampliando l’attuale gamma con prodotti complementari, tecnologicamente avanzati e di maggiore complessità, capaci di garantire alte performance nelle applicazioni in settori industriali come il mondo del “bianco”, l’automotive e le macchine utensili.
    Il risultato è la gamma di attuatori più competitiva in Italia e tra le più complete a livello mondiale, che rafforzerà l’offerta del Gruppo in Italia e in tutte le aree già presidiate da Rollon con filiali dirette o uffici commerciali: dall’Europa (Germania e Francia) agli USA fino ai Paesi emergenti di Brasile, Russia, Cina e India. L’operazione risponde alla strategia di crescita di Rollon, che puntava all’acquisizione di un’azienda manifatturiera con cui poter realizzare una perfetta integrazione a livello industriale e sfruttare sinergie commerciali: Tecno Center potrà avvantaggiarsi del network internazionale di Rollon.
    Tecno Center, fondata nel 1971 a Venaria Reale (Torino) vanta una forte leadership sul mercato nazionale che pesa per l’80% dei ricavi, mentre il restante 20% è realizzato all’estero. Rollon ha chiuso il 2014 con una crescita del fatturato del 6%. Sempre nello stesso anno, ha aperto nuove filiali a Shanghai in Cina e a Bangalore in India, in aggiunta a quelle già presenti in Francia, Germania, USA e agli uffici commerciali in Russia e Brasile. Conta oggi oltre 300 dipendenti a livello di Gruppo, di cui oltre la metà impiegati nello stabilimento di Vimercate, dove risiede la produzione.
    ”Puntavamo all’acquisizione strategica di un’azienda manifatturiera che ci permettesse di sfruttare sinergie commerciali e di operare un’integrazione industriale: con Tecno Center abbiamo soddisfatto tutti questi elementi” commenta Eraldo Bianchessi, CEO del Gruppo Rollon. “Con questa operazione si arricchisce la gamma di prodotti Rollon, per un’offerta tra le più vaste e complete a livello mondiale. Il prossimo obiettivo è l’espansione dei prodotti Tecno Center all’estero, in particolare in Germania, USA e Francia e poi in Cina, India e altri Paesi emergenti in cui Rollon sta consolidando il proprio business”.
    Tecno Center, a Venaria arrivano i lombardi ~ Alinews


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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Fate largo lat(r)in lovers, arriva l'intraprendente padanic lover!

    Un bresciano conquista la star tv della Mongolia (a sua insaputa)
    Gianluigi Brescianini conosce in discoteca l’attrice presentatrice ma non sapeva chi fosse. Una sera gli ha detto: «accendi la tv». Oggi è l’occidentale più invidiato del Paese asiatico
    di Vittorio Cerdelli
    Quando la notizia del fidanzamento tra Gianluigi Brescianini e la giornalista di punta della tv nazionale Khaliun Enkhabat è diventata virale, i paparazzi di Ulan Bator si sono letteralmente scatenati. «Khaliun sta con uno straniero», titolava in prima pagina il Chi versione Mongolia. «Si, ma è alto e bello», rispondeva indirettamente il gossipparo Hotnews.Mn, e nei commenti romantici e i nazionalisti del paese di Gengis Khan si dividono in diatribe difficilmente traducibili. Succede nella Mongolia sospesa tra il passato socialista e un presente in bilico tra crescita economica e disparità sociale, dove il fidanzamento tra un occidentale e la giornalista più famosa del paese riesce a dividere il popolo dei social network.
    Quanti di noi, piangendo ai titoli di coda di Notting Hill, se lo sono chiesti: può un’attrice famosa innamorarsi di un uomo qualunque? No, è solo un film, surreale, impossibile. A Ulan Bator, capitale della Mongolia, la magia si è avverata e, nonostante non abbia il fascino di Hugh Grant, Gianluigi Brescianini ha conquistato le prime pagine dei giornali locali per il suo fidanzamento con Khaliun, bellissima versione asiatica della Anna Scott portata sul grande schermo da Julia Roberts. In Mongolia, il bergamasco trapiantato a Iseo ci è finito sei mesi fa dopo un’emozionante carriera da direttore di locali notturni in terra bergamasca. Combinazioni di vita, una proposta dallo zio e Brescianini diventa senior manager del colosso edile Gan Zangiila, joint venture tra un gruppo mongolo e la Valfer di Credaro (Bg), che risponde direttamente alla ticinese Baufer di Giubasco.
    “L’ho conosciuta al Centro, un locale per occidentali di Ulan Bator – racconta un innamoratissimo Brescianini -, mi ha colpito la sua bellezza e dopo averle offerto da bere ci siamo accordati per una cena”. Galeotta fu la tequila: le cene si moltiplicano così come gli incontri, ma Gianluigi non ha idea di chi sia quella ragazza conosciuta in discoteca. «Mi diceva di essere famosa e non capivo perché la gente la guardava, poi una sera mi ha detto di accendere la tv e ho capito che era l’annunciatrice di punta della tv nazionale. Wow». Non solo, perché la 28enne è anche attrice, presentatrice di eventi e contesissimo volto di pubblicità di ogni genere. «Gli ammiratori le mandano fiori e un popolo fiero e nazionalista come quello mongolo fatica ad accettare che una persona famosa si fidanzi con un occidentale qualsiasi – continua Brescianini-, all’inizio era strano vederla in televisione ma ormai ci ho fatto l’abitudine, sono felice con lei e questo mi basta». Sui grandi schermi di Ulan Bator potrebbe presto finirci pure lui. «Un regista ha contattato Khaliun per offrirmi un piccolo ruolo in una produzione locale, credo dovrei fare il trafficante o comunque un ruolo negativo ma per ora mi concentro esclusivamente sul mio lavoro. La Mongolia è un paese con molti problemi ma sta vivendo una fase di crescita economica».
    I due innamorati a Brescia per Natale
    Gianluigi, new entry di una piccola comunità di 50 italiani che si trovano temporaneamente in Mongolia, ha fatto scoprire le bellezze delle sue terre alla sua Anna Scott durante le vacanze di natale. «Si è innamorata di Verona e Sirmione, Brescia non le è piaciuta perché le è sembrata molto degradata e aveva un po’ paura dei tanti immigrati africani. In Mongolia oltre ai cinesi sono presenti solo pochi occidentali, e le è sembrato strano....».
    Un bresciano conquista la star tv della Mongolia (a sua insaputa) - Corriere.it





    Edison festeggia 130 anni di energia positiva
    Tutto partì da una dinamo
    A Milano, nel 1884, Giuseppe Colombo fonda la prima azienda italiana per l'approvvigionamento, la produzione e la vendita di energia elettrica
    Paolo Stefanato
    Thomas Alva Edison («milanese» a pieno titolo, visto che era nato nel 1847 a Milan, nell'Ohio) presentò nel 1881 all'Esposizione internazionale di Parigi le sue dinamo di grandi dimensioni che permettevano la produzione di energia elettrica su vasta scala.
    Un professore milanese (questa volta di Milano, Italia) di meccanica industriale, Giuseppe Colombo, visitò la mostra parigina, ebbe il fortunato intuito di capire quanto quell'invenzione avrebbe trasformato il mondo e, tornato in patria, costituì immediatamente un comitato per portare l'industria elettrica anche a Milano. Prese contatti con Edison, di 9 anni più giovane di lui, assistette con lui all'avviamento di una centrale a New York e, tornato in Italia, sperimentò la nuova industria. Era il 1882. Colombo sottoscrisse un contratto di licenza con la Compagnie continentale Edison per l'utilizzo in esclusiva, in Italia, del sistema elettrico basato sulle dinamo Edison.
    Il Comitato rilevò il vecchio teatro di Santa Radegonda (a fianco del Duomo, dove oggi sorge il cinema Odeon), che divenne la prima centrale elettrica dell'Europa continentale, contemporanea a Londra. Si cominciò con l'illuminare, nello stesso anno, i portici settentrionali della piazza del Duomo; il servizio ben presto divenne continuo, 24 ore, e fu esteso a varie zone del centro. Ma l'esordio più spettacolare, vera data storica, risale al 26 dicembre 1883, quando fu illuminata con la luce elettrica di Santa Radegonda la prima rappresentazione della Gioconda, di Amilcare Ponchielli, al teatro alla Scala: 2.280 lampadine sostituirono i becchi del gas illuminante.
    Era un cambio d'epoca. Il gas - pericoloso per gli incendi e per i polmoni - non fece ritorno e, via via, fu dismesso. Pochi giorni dopo, il 6 gennaio 1884, Giuseppe Colombo fondò la Società generale italiana di elettricità sistema Edison, di cui fu il primo amministratore delegato (fino al 1891) e poi presidente (dal 1896).
    Il più grande industriale nel '900, Henry Ford, dedicò a Thomas Alva Edison, il più grande inventore, un volumetto pieno di ammirazione e di gratitudine intitolato «Il mio amico Edison». Meritano di essere segnalati due brevi brani. «La lampada a incandescenza (e l'elettricità, aggiungiamo noi) non solo ha dato impulso al consumo, ma ha anche dato luce alle fabbriche permettendo di continuare a lavorare anche di notte». E poi, riferito a Edison: «Ha fatto più lui per l'abolizione della povertà che tutti i riformatori e statisti dal principio del mondo. Egli ha dato all'uomo i mezzi per fare da sé».
    Questi giudizi valgono non solo per Edison, ma anche per chi seppe capire, sviluppare, diffondere l'energia elettrica che nella classifica delle invenzioni viene ai primissimi posti nella storia, seconda forse solo alla ruota.
    Edison festeggia 130 anni di energia positiva Tutto partì da una dinamo - IlGiornale.it



    Gnutti Transfer, la robotica corre con l’automotive italiano
    di Matteo Meneghello
    Bentornato, mercato interno. Le aziende di robotica italiane confermano le indicazioni positive di Ucimu, che nel secondo trimestre ha certificato una crescita del 38% dell'indice degli ordini interni. L'ultima conferma, in ordine di tempo, è quella di Gnutti Transfer, azienda di Ospitaletto, in provincia di Brescia, che proprio in queste settimane sta registrando un rinnovato interesse delle aziende italiane per gli investimenti in automazione: il 50% delle commesse raccolte dall'azienda nei primi sei mesi dell'anno proviene dal mercato interno.
    «A differenza degli anni passati – spiega il presidente Renato Gnutti –, la raccolta ordini di quest'anno sta evidenziando la prevalenza di acquisti dall'Italia. Si tratta soprattutto di realtà che lavorano nell'automotive, e che cercano prodotti più flessibili rispetto alla tradizionale isola di lavoro».
    In attesa di consegnare i nuovi ordini lungo la Penisola e di contabilizzarli, l'ultimo bilancio della Gnutti Transfer evidenzia ancora una prevalenza delle vendite all'estero, dove è concentrato il 70% del fatturato (equamente tripartito tra Europa, America e Asia).
    Stati Uniti e Giappone, in particolare, sono mercati storici per l'azienda bresciana. «In Giappone – spiega l'amministratore delegato – ci sono più di duecento macchine Gnutti installate: la prima è del 1964». In Nordamerica, invece, grazie al reshoring, si sta assistendo ad un recupero degli ordinativi in questi ultimi anni.
    Le nuove opportunità ora sono in Cina (dove la Gnutti Transfer possiede già una succursale commerciale), in Brasile, in Messico. «Circa la metà dei nostri attuali clienti – spiega Gnutti – è stata acquisita negli ultimi anni. Dai 163 dipendenti del 2012 siamo arrivati ad oggi a circa 200: la manodopera è necessaria per potere lavorare con una clientela più strutturata, che richiede un approccio da multinazionale».
    Il bilancio 2014 di Gnutti Transfer si chiude con 40,5 milioni di fatturato, in crescita del 20% sull'anno precedente (erano 27 solo nel 2011, si prevedono 44 milioni alla fine di quest'anno). Il risultato finale, al lordo delle imposte, è stato di oltre 2,5 milioni di euro.
    Gnutti Transfer, la robotica corre con l?automotive italiano - LaBissa.com

    Turismo genera 70 mld, ma 4 regioni concentrano 60% spesa estera
    La spesa turistica totale in Italia durante lo scorso anno è stata di circa 96 miliardi di euro, pari al 10% dei consumi finali interni. Considerando che mille euro di consumo turistico generano 727 euro di ricchezza prodotta, ne consegue che il turismo produce ben 70 miliardi di ricchezza l'anno contro i 25 miliardi della moda, altro settore di punta dell'economia nazionale. Al contempo 4 regioni italiane (Lombardia, Veneto, Toscana e Lazio) accolgono il 60% della spesa turistica proveniente dall'estero, mentre gli introiti del Mezzogiorno, zona dalle enorme potenzialità turistiche, contribuiscono solo per circa il 13%.
    Turismo genera 70 mld, ma 4 regioni concentrano 60% spesa estera | Travelnostop

    Il vero Re Giorgio investe 50 milioni per Milano: Armani
    di Mariella Baroli
    In seguito alle dimissioni di Giorgio Napolitano dalla carica di Presidente della Repubblica, in Italia è rimasto un solo uomo a rivestire il titolo di «Re Giorgio».
    E mentre il primo dimora nella capitale romana, il secondo, piacentino, ha trovato a Milano la sua casa e nei confronti di questa città ha «un debito di riconoscenza». Così lo stilista Giorgio Armani, davanti ad un’ulteriore crescita di ricavi nell’ultimo anno (pari al 4,5 per cento), ha deciso di omaggiare la città «che mi ha accolto e capito, e che con i suoi contrasti e silenzi discreti mi ha costantemente ispirato».
    Cinquanta milioni saranno investiti nella riqualifica e nell’ampliamento dell’ex stabilimento Nestlé in via Bergognone – adiacente all’Armani Teatro – e nella ristrutturazione dei palazzi di via Borgonuovo 11 e 18. Mentre i secondi continueranno ad essere casa dell’ufficio commerciale, dell’ufficio stilistico e della sartoria per Armani Privé, il nuovo spazio che prima ospitava Nestlé diventerà un museo per il marchio. La scelta di creare un museo è di «lasciare alla città la testimonianza di un lavoro che non sia solo da contemplare ma funga da stimolo per dare vita a nuove idee».
    Una scelta quella di Giorgio Armani che non coincide soltanto con l’inaugurazione di Expo 2015, ma anche con un traguardo importante per il marchio: i suoi 40 anni. Con un impero che continua a crescere – ben oltre le aspettative – ci si chiede quale sia il prossimo passo per l’azienda. L’investimento su Milano è sicuramente una scelta importante per il capoluogo meneghino, ma 50 milioni sono solo una fetta dell’ampia liquidità di cui dispone il brand.
    Come verranno investiti i 600 milioni di liquidità che Armani ha nelle sue casse per il 2015? Potrebbe forse decidere di dare un influsso positivo anche a Piazza Affari e fare finalmente il suo debutto in Borsa?
    Il vero Re Giorgio investe 50 milioni per Milano: Armani | L'intraprendente




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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Almaviva cresce in Brasile
    Almaviva avanza in Brasile. Il gruppo guidato da Marco Tripi, attraverso la sua controllata carioca, Almaviva do Brasil, si è aggiudicato un contratto da 100 milioni di euro con Nextel per la gestione di back office, collection e retention (raccolta e conservazione dei dati). Per far decollare la nuova attività, che sarà operativa dal 9 febbraio per la durata di 5 anni, la società prevede 1600 assunzioni nella città di Teresina, nel nord est del paese.
    La controllata brasiliana ha chiuso il 2014 con ricavi pari a 200 milioni e una crescita del 50% sull’anno precedente. In rialzo anche la marginalità, +82% rispetto al 2013, mentre l’utile netto è triplicato. «In Brasile registriamo una performance ottima - spiega al Sole 24 Ore il numero uno Tripi che è anche presidente e ad di Almaviva do Brasil -. La nostra marginalità è tra le più alte dell’intero mercato, ottenuta grazie a riconosciuta eccellenza operativa unita a innovative tecnologie proprietarie di gestione dei servizi Crm (customer relationship management). Per il 2015 ci aspettiamo un’ulteriore crescita del 50% con ricavi intorno ai 300 milioni di euro e un proporzionato aumento occupazionale».
    La controllata carioca, che opera in un mercato da 5 miliardi di euro, è nata nel 2006 ed è cresciuta nel corso degli anni, tanto da diventare la terza azienda del settore, preceduta soltanto da colossi del calibro di Atento e Contax, il cui fatturato supera il miliardo di euro. «Solo nelle ultime settimane - prosegue l’ad - Almaviva ha avviato contratti con alcuni tra i principali operatori di telecomunicazione locali, per un valore complessivo stimato pari a 300 milioni di euro per i prossimi tre anni».



    Mv Agusta: 15 mln di finanziamento Bpm-Sace per crescita all’estero
    di Laura Cavestri
    Mv Agusta, Sace e Banca Popolare di Milano (Bpm) annunciano la finalizzazione di un’operazione di finanziamento da 15 milioni di euro per sostenere gli obiettivi di crescita all’estero di uno dei più noti brand del motociclismo italiano.
    La linea di credito, erogata da Bpm e parzialmente garantita da Sace, servirà ad implementare il piano industriale 2015-2018 di Mv Agusta, che prevede, tra l’altro, l’ampliamento della gamma prodotti con l’introduzione di nuovi modelli e la penetrazione in mercati ad elevato potenziale quali Usa, Brasile e Sudest asiatico.
    «Siamo orgogliosi di aver preso parte a questa operazione – ha dichiarato Giammarco Boccia, direttore area Nord-Ovest di Sace –, sostenendo uno dei brand più rappresentativi del design e della tecnologia. Continueremo ad accompagnare Mv Agusta con i nostri prodotti assicurativo-finanziari nel suo sviluppo nei mercati esteri più promettenti per l’export di motoveicoli».
    «Attraverso questa operazione di finanziamento – ha detto Luca Manzoni, responsabile Corporate di Bpm – desideriamo offrire un’ulteriore testimonianza della fiducia che Bpm ripone nelle imprese italiane». «Il sostegno di due partner finanziari come Bpm e Sace – ha concluso Giovanni Castiglioni, presidente di Mv Agusta Motor Spa – è fondamentale per questo decisivo momento di crescita di Mv Agusta. Anche facendo leva sulle loro indiscutibili capacità potremo continuare con successo il nostro sviluppo».
    Mv Agusta, realtà storica del motociclismo da competizione, dal 1945 produce motoveicoli commerciali e da gara per i segmenti supersport, superbike, sport-naked e crossover. Oggi è uno dei marchi più apprezzati in Europa nel settore delle moto di alta e media cilindrata, sviluppata direttamente all’interno del centro ricerche Castiglioni, di proprietà dell’azienda. Con una quota export di circa l’80% del fatturato, oggi Mv Agusta vende i suoi prodotti in oltre 50 Paesi nel mondo.
    Mv Agusta: 15 mln di finanziamento Bpm-Sace per crescita all’estero - Il Sole 24 ORE



    La primogenitura in fatto di fabbricazione dei blue-jeans viene ricondotta storicamente alla città di Genova o al Genovesato in genere, in virtù della grande tradizione tessile che fin dall'antichità ha costituito un'importante voce nelle esportazioni liguri di manufatti (come velluti di Zoagli e damaschi di Lorsica). Già nel XV secolo la città di Chieri (Torino) produceva un tipo di fustagno di colore blu che veniva esportato attraverso il porto antico di Genova, dove questo tipo di "tela blu" era usata per confezionare i sacchi per le vele delle navi e per coprire le merci nel porto. Il termine inglese blue-jeans infatti si pensa che derivi direttamente dalla frase bleu de Gênes ovvero blu di Genova in lingua francese. Inoltre i pratici e resistenti "calzoni da lavoro" erano in tempi remoti cuciti con tela di color indaco, ed erano indossati dai marinai genovesi.

    Carrera Jeans compie 50 anni
    Produce 5 milioni di jeans l’anno
    L’azienda scaligera fondata dalla famiglia Tacchella festeggia il mezzo secolo di attività nella storica sede di Stallavena
    Carrera Jeans, la storica azienda scaligera specializzata in denim, compie 50 anni. Una storia di successo che ora punta all’internazionalizzazione su nuovi mercati europei ed extracontinentali, con una produzione di 5 milioni di jeans l’anno. Le 50 candeline del marchio saranno spente mercoledì nella sede dell’azienda fondata dalla famiglia Tacchella, a Stallavena di Grezzana (Vr), dove nacque un primo stabilimento artigianale per la produzione e il commercio di jeans. «Scegliemmo di avviare l’attività a Stallavena poiché era un crocevia importante in cui confluivano tutte le strade che dalla montagna veronese, la Lessinia, portavano verso la città» racconta il presidente di Carrera spa, Imerio Tacchella.
    «Eravamo alla ricerca di manodopera e a quel tempo offrivamo ai cittadini di questo territorio pedemontano un’alternativa all’occupazione nel settore dei marmi - rivela Tacchella - che in quegli stessi anni stava iniziando la sua grande ascesa. Iniziammo con il jeans, con il quale ci ritagliammo fette di mercato sempre più ampie, ma al contempo cercavamo di ampliare la nostra offerta andando via via verso il total look». Carrera spa è oggi una multinazionale dell’abbigliamento capace di coniugare tecnologie d’avanguardia alla cura artigianale del prodotto.
    Carrera Jeans compie 50 anni Produce 5 milioni di jeans l’anno - Corriere del Veneto





    Industria: Brescia batte anche la Germania
    L’export bresciano ha sfiorato i 14 miliardi, in crescita rispetto agli anni pre crisi. Il valore aggiunto manifatturiero a 10.107 milioni di euro. E vince sui tedeschi anche per numero di occupati
    di Thomas Bendinelli
    I capannoni ai lati dell’autostrada, le ciminiere delle fabbriche, i Tir che vanno e vengono. E, perché no, anche qualche problema ambientale annesso. Che Brescia fosse una provincia dalla vocazione industriale consolidata lo dicevano la storia e l’esperienza di tutti i giorni. Ma che fossimo addirittura la provincia d’Europa con il più alto valore aggiunto nell’industria è una sorpresa lieta, non solo per le ricadute dirette ma anche di indotto su ricchezza e occupazione che questo comporta.
    A certificare il primato è lo studio di Confindustria Bergamo e Fondazione Edison che, rielaborando i dati Eurostat del 2013, ha messo in fila 53 province europee per capire dove la rivoluzione industriale non è solo memoria del passato ma realtà ancora viva.
    Ebbene, in base a questa classifica Brescia è al primo posto, con 10.107 milioni di euro di valore aggiunto nell’industria. Un’eccezione in un quadro dominato da nomi impronunciabili dell’area tedesca e del Nord Europa? Al contrario: secondi sono i cugini di Bergamo, grazie ai 9.730 milioni di euro di valore aggiunto. E nelle prime dieci posizioni ci sono anche Vicenza (8.617 milioni), Monza e Brianza (7.480), Treviso (7.155), Modena (6.968). Sei su dieci sono insomma italiane, tutte del Nord Italia. Le altre quattro della top ten sono invece tedesche. Cinque delle prime venti province europee sono in Lombardia (ci sono anche Varese e Mantova).
    La classifica è un continuo alternarsi di Italia e Germania, inframmezzato talvolta da una provincia polacca. Francia e Inghilterra, tanto meno l’Olanda e il Belgio, nella graduatoria non portano alcuna provincia.
    I parametri scelti per selezionare le province partono dai numeri: il valore aggiunto appunto, e poi la sua percentuale rispetto al totale, il numero di occupati in termini assoluti e in percentuale, il valore aggiunto per occupato. Per numero assoluto di occupati (168mila) Brescia è ancora al primo posto, mentre scivola di alcune posizioni per quanto riguarda il rapporto dei lavoratori dell’industria rispetto al totale degli occupati (31,1%). Relativamente indietro nella classifica Brescia lo è anche per il rapporto tra il valore aggiunto nell’industria rispetto al totale (30,7%).
    Nel 2013 l’export bresciano ha quasi sfiorato i 14 miliardi di euro, un dato superiore agli anni pre crisi del 2008. Se questo porterà buone nuove nel 2015 nessuno lo sa, ma il rapporto della Fondazione Edison se non altro spiega che a Brescia lo spettro di Detroit, il declino delle fabbriche e lo svuotamento della città, è solo un incubo lontano.
    Industria: Brescia batte anche la Germania - Corriere.it


 

 
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