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Discussione: Padania intraprendente

  1. #211
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Chiude il museo: appello di Confindustria per salvarlo
    Cominciano a muoversi le istituzioni del territorio canavesano nel tentativo di salvare in extremis il museo «Tecnologic@mente»
    IVREA - Chiude il museo: appello di Confindustria per salvarlo
    Cominciano a muoversi le istituzioni nel tentativo di salvare in extremis il museo «Tecnologic@mente». Il primo appello arriva dal presidente di Confindustria Canavese, Fabrizio Gea. «Il Canavese è uno dei territori simbolo dell’innovazione e della visione imprenditoriale - dice il numero uno degli industriali locali - i cambiamenti economico-industriali nel corso del tempo lo hanno trasformato ma quei valori legati al vivere l’impresa come parte di una comunità, quella visione aperta al mondo e alla continua sfida verso la novità, verso l’ingegno, verso la sperimentazione di nuovi modelli di business, quella è rimasta, non è solo un ricordo. Chi transita sul nostro territorio inevitabilmente la respira ancora».
    Secondo Confindustria, il museo Tecnologicamente è un patrimonio importantissimo per il Canavese: «In esso non ci sono solo le “macchine” che hanno fatto la storia dell’Olivetti, c’è il sapere e quei piccoli ma significativi “segreti” che rendono luoghi come questi unici al mondo». Per questo l'appello è quello di un'unità d'intenti che possa salvare al più presto l'attività del museo.
    «Il rischio di una chiusura del Museo rappresenterebbe un danno per il presente e soprattutto per il futuro del nostro territorio - conclude Gea - perché non pensare quindi ad un unico luogo in cui concentrare la memoria storica di Olivetti, presente oggi sul nostro territorio in modo del tutto destrutturato? Pensiamo ad un centro di eccellenza dove cultura, storia e fermento creativo si fondano, dove sia possibile respirare tutta la storia di Olivetti all’interno di un unico grande spazio, capace di risvegliare i cuori pulsanti dell’ingegno e stimolare idee e pensieri innovativi, il tutto esattamente dove tutto ebbe inizio».
    IVREA - Chiude il museo: appello di Confindustria per salvarlo



    Nuova ferrovia tra Liguria e il Gottardo?
    Il Sole 24 Ore del 19 giugno 2016 afferma che alcuni investitori privati italiani e stranieri verrebbero costruire una nuova linea ferroviaria al alta velocità e alta capacità tra Lugano e i porti di Genova e Savona.
    La nuova ferrovia, spiega l'articolo del Sole, completerebbe l'asse ferroviario AlpTransit, ossia quello che sorge dall'apertura della galleria di base del San Gottardo e che prosegue a nord attraverso la Germania, sino al porto di Rotterdam. L'articolo afferma che gli investitori non vogliono esporsi pubblicamente, ma cita alcuni nomi di possibili interessati. In Italia ci sarebbe il Gruppo Gavio, in Svizzera multinazionali del calibro di Nestlé e i gruppi di Gdo Migros e Coop (di Basilea) e perfino la compagnia marittima danese Maersk.
    L'articolo afferma che la linea sarebbe aperta a tappe e che nel 2030 potrebbe essere operativo il tratto Lugano-Savona.
    Nuova ferrovia tra Liguria e il Gottardo?

    Lyondellbasell: arriva ‘Ground Flare’, nuovo sistema di sicurezza
    Lo stabilimento di Ferrara di LyondellBasell ha presentato ufficialmente, questa mattina durante un incontro con le autorità e la stampa, il nuovo sistema di sicurezza Ground Flare, che sostituirà le due “Stack Flare” (torce elevate fumose) attualmente in uso.
    Il progetto esecutivo della Nuova Ground Flare è stato realizzato in 12 mesi: un costo totale di ca 10 milioni di €, 50mila ore lavorate in cantiere con personale interno e ditte esterne e zero infortuni registrati. Il progetto, partito nel 2010, rientra un percorso di continuo miglioramento dell’azienda, da sempre impegnata a tutelare l’ambiente e a garantire la sicurezza, la salute del personale e della comunità nella quale opera. I lavori di realizzazione esecutiva del nuovo sistema, avviati la scorsa estate (2015), si sono appena conclusi e nei prossimi mesi la Nuova Ground Flare farà parte integrante del sistema di sicurezza produttivo del sito di Basell di Ferrara.
    “Pur avendo un sistema di sicurezza di processo regolarmente autorizzato da Decreto Ministeriale (Autorizzazione Integrata Ambientale)” – ha dichiarato Gianluca Gori, Direttore Attività Produttive di Basell di Ferrara e Amministratore Delegato Italia di Basell Poliolefine Italia S.r.l. – “l’azienda ha scelto volontariamente di sostituirlo, investendo su una Nuova Ground Flare al fine di ridurre l’impatto legato alla visibilità così come al rumore. In questo modo” – conclude Gori “Basell Poliolefine Italia S.r.l. dimostra di continuare a essere parte integrante del territorio ferrarese, nel suo ruolo di società impegnata nella produzione e nella ricerca, utilizzando l’innovazione tecnologica, rispettando l’ambiente e la comunità in cui vive”.
    Il nuovo sistema di combustione termica è una MTD del settore, cioè una tra le Migliori Tecnologie Disponibili secondo quanto prevede la normativa ambientale di riferimento: è infatti un sistema completamente smokeless, cioè al 100% privo di emissioni fumose e a bassa emissione di rumore. La Nuova Ground Flare è ubicata al centro del sito ed è costituita da bruciatori delimitati da una struttura metallica (Fence) di 8 metri di altezza che ha lo scopo di limitare ulteriormente l’impatto visivo e acustico verso l’esterno. Le due Stack Flare rimarranno di back up, ovvero messe fuori servizio, e utilizzate solo in caso di manutenzione straordinaria del nuovo sistema. Rimarrà in uso la Ground Flare dislocata in prossimità del perimetro aziendale, nell’area Ovest del sito petrolchimico.
    Lyondellbasell: arriva 'Groud Flare', nuovo sistema di sicurezza - VIDEO | Telestense



    Nutella e Parmigiano Reggiano nella top 10 dei marchi più influenti
    Alberto Battaglia
    Nella top ten dei marchi più influenti, frutto dell’indagine Ipsos in 21 Paesi, sono presenti due nostra bandiere: Nutella e Parmigiano Reggiano, rispettivamente al quinto e al nono posto. La classifica completa di “The Most Influential Brands” vede scorrere nell’ordine: Google, Amazon, Facebook, Samsung, Nutella, Microsoft, eBay, Apple, Parmigiano Reggiano, Youtube.
    I cinque valori che compongono, nel complesso, l’influenza dei brand sono stati: Trust (fiducia e affidabilità); Engagement; Corporate citizenship (impegno e ruolo sociale), Leading edge (innovazione, capacità di far tendenza), Presence (presenza). La rilevanza di ciascuna di queste dimensioni varia a seconda del settore in cui il marchio opera.
    Nel caso di Nutella il marchio è percepito come all’avanguardia e affidabile; Parmigiano Reggiano, invece, è sinonimo, innanzitutto, di affidabilità e responsabilità sociale.
    Nutella e Parmigiano Reggiano nella top 10 dei marchi più influenti | Wall Street Italia


  2. #212
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    La rinascita di Bedin, il “farinotto” di Genova
    Edoardo Meoli
    Genova - Trecento anni di storia, prima del fallimento e l’onta (e il dispiacere per i buongustai) della chiusura. Per l’antica trattoria Bedin, un pezzo di storia nel cuore di Genova, è arrivato il momento della riapertura. Un segnale positivo per la città, visto che dopo la gestione fallimentare che ha portato ai libri in Tribunale nel 2013, le speranze di vedere ancora alzata la saracinesca del locale poco fuori dalla galleria di piazza dante, erano davvero poche. A rendere possibile il piccolo miracolo gastronomico e imprenditoriale i due fratelli Roberto e Claudio Buonarrivo, che hanno una notevole esperienza di ristoranti genovesi.
    Il locale, nella sua collocazione storica all’imbocco della galleria di piazza danti, con vista sul grattacielo, esiste da sempre. Già all’indomani dell’unità d’Italia, a Genova tra le prime licenze concesse ci fu proprio quella del ristorante Bedin che esisteva già da un centinaio di anni come “farinotto” di quartiere specializzato in torte e farinate. Prima dell’intervento urbanistico che portò alla creazione dell’attuale via XX Settembre, l’antica Trattoria Bedin esisteva già e si trovava in piazza Ponticello, come cita un’antica filastrocca in genovese "Figgioami zugâimo a-o ballon in ciassa Pontexello. Poi, se levâvimo a sae a-o barchî, a fontann-a in faccia a-a Bëdin….Che bei tempi. Oua l'è tutto cangiٍu, tutto, ma a fainâ da-a Bëdin a l'è de longo bonn-a".
    Oggi dall’alto dei suoi tre secoli di attività, Bedin risuscita puntando sui vecchi cavalli di battaglia (farinata, focaccia col formaggio, stoccafisso, baccalà, polpo e patate, fritture) e con qualche novità soprattutto rispetto agli ingredienti: eliminata la farina raffinata tipo 0, che è priva di qualsiasi sostanza, al posto della quale viene utilizzata quella di frumento integrale “Integralbianco”, che è un'ottima fonte di fibre che si trovano nella crusca e nel germe.
    Ristoranti - La rinascita di Bedin, il ?farinotto? di Genova | Liguria | Genova | Il Secolo XIX

    Dove nascono le migliori scarpe italiane? E il museo del Bonsai, amato perfino dai giapponesi? A Parabiago
    I veri maestri di bellezza si trovano nel Comune alle porte di Milano, dove la famiglia è protagonista del successo imprenditoriale
    Daniele Guarneri
    Un biglietto del treno da 6,60 euro per scoprire che il primo italiano a conquistare la maglia iridata di ciclismo è stato Libero Ferrario nel 1923. E per dovere di cronaca, un altro campione del mondo su bicicletta è nato da queste parti: Giuseppe Saronni. Non male per un piccolo comune. Ma gli abitanti di questa terra non sono bravi solo sulle due ruote. Il nome del più illustre dei suoi cittadini compare in tutti i libri di storia dell’arte. E' Giuseppe Maggiolini (1738-1814), conosciuto anche fuori dai confini nazionali per la sua maestria nella lavorazione del legno e nell’accostamento dei suoi diversi colori. Non sappiamo come puٍ aver tramandato le sue grandiose capacità, ma in qualche modo i suoi concittadini sono diventati famosi in tutto il mondo grazie alle abilità manuali che servono per produrre calzature.
    Siamo a Parabiago, un comune di 27 mila abitanti a una trentina di chilometri da Milano, e qui si realizzano le scarpe più desiderate dalle donne di tutto il mondo, quelle di Manolo Blahnik. Modelli talmente belli e pop che sono diventati oggetto di culto nella serie tv. Il creatore di queste calzature, Manolo Blahnik appunto, è un artista spagnolo famoso in ogni angolo della terra e per la sua produzione italiana ha scelto l’azienda Cleo Bottier di Parabiago.
    Poco più di 6 euro (un treno andata e ritorno) per scoprire che questa località è conosciuta come la “Città della calzatura”. Qui a partire dagli anni Sessanta sono sorte centinaia di piccole botteghe di artigiani calzaturieri, si dice una ogni cortile. Nel corso degli anni alcune hanno chiuso, altre si sono trasformate in ottime fabbriche o splendidi atelier. E ancora oggi tengono alto il nome e la fama di Parabiago. Per intenderci, le scarpe di Manolo Blahnik possono costare anche 2 mila euro e sono fatte a mano, una ad una.
    Prima di entrare nello stabilimento di Cleo Bottier dove lavorano circa un centinaio di operai, Tempi ha fatto visita a un’altra fabbrica di medie dimensioni. Parabiago collezioni ha fatto della comodità la sua primaria caratteristica. Giovanna Ceolini, una dei tre soci dell’azienda, con un passato da ginnasta, dice che «se le scarpe sono comode, devi dimenticare di averle indosso». Quali scarpe? Tutti i tipi: col tacco o senza, in pelle o tessuto. Ovviamente senza dimenticare l’eleganza. Con lei lavorano il compagno Karlheinz Schlecht e il disegnatore Thierry Rabotin.
    Gerolamo Cucchi è invece un piccolo atelier dove lavora Raffaele, 43 anni. Insieme a lui sono impegnati anche il padre, il fratello Massimiliano e quando serve pure la mamma. Qui si producono poco più di una decina di calzature al giorno. Un lavoro artigianale che garantisce un prodotto finale di alta qualità. Ma come fa una bottega di queste dimensioni a sopravvivere oggi, in tempo di crisi? Quando si scrive alta qualità si intende che queste calzature sono vendute in pochissimi ma ricercatissimi negozi in tutto il mondo, l’attrice Tasha Smith le ha indossate alla notte degli Oscar, Amal Alamuddin, moglie di George Clooney, le ha indossate per il giorno del suo matrimonio.
    Cosa manca a questo distretto? Una scuola che insegni un’arte, quella di saper fare le scarpe. Lo chiedono gli stessi imprenditori: giovani apprendisti che sappiano destreggiarsi con le macchine che vengono usate in fabbrica. Il Comune di Parabiago qualcosa ha fatto. Alcuni mesi fa aveva organizzato un corso seguito da 13 giovani sotto i 29 anni, tutti disoccupati, che si stanno impegnando per imparare tutti i segreti che servono per riuscire a modellare e assemblare calzature artigianali, toccando con mano quanto questo lavoro richieda abilità manuale e precisione.
    L’importanza della scuola
    Ora si sta cercando di aprire una vera e propria “Scuola della scarpa”. Promotore dell’iniziativa è Vittorio Ateri che con l’amico Angelo Candiani mente raffinata della formazione professionale, presidente di Aslam, di aperture di istituti scolastici se ne intendono. Aslam è un ente di formazione professionale che ha dato vita in Lombardia ad alcuni centri per la formazione e per il lavoro, dove si svolgono corsi di qualificazione per ragazzi in età scolastica o per disoccupati (a Samarate scuola professionale per operatori di macchine utensili a controllo numerico e tecnici dell’automazione; a Magenta scuola professionale per termo idraulici e saldatori; a Case Nuove tecnici aeronautici manutentori di aeromobili e meccanici montatori per elicotteri; a Lentate sul Seveso falegnami industriali ed export manager dell’arredo).
    Vittorio è nato, cresciuto e risiede a Parabiago. Ma metà della sua vita l’ha passata in giro per il mondo. Ha studiato a Novara in un istituto tecnico per periti aeronautici e una volta diplomato è partito per la Libia dove per due anni ha fatto l’istruttore aeronautico per ufficiali e sottufficiali libici. Tornato in Italia, Vittorio è stato assunto da una grande multinazionale e lì ha compiuto tutto il percorso di crescita. Nel 1995 è diventato direttore commerciale per Europa, Africa e Medio Oriente e dieci anni dopo direttore marketing a livello globale. Solo un ictus è riuscito a interrompere bruscamente e in modo imprevedibile la sua scalata. E' il gennaio 2007 e ci sono voluti undici mesi di sacrifici e fisioterapia per rimetterlo in piedi. Nel 2009 è costretto a lasciare il lavoro, ma trova il coraggio e la forza di mettersi in proprio. Così oggi, insieme a un ex collega tedesco, ha aperto una società di consulenza e grazie ai rapporti di lavoro che si era creato in precedenza, opera con i maggiori player mondiali dell’aeronautica.
    Il pollice verde
    In questi anni approfondisce la conoscenza con Angelo Candiani. Nel 2009 Lufthansa sbarca prepotentemente nel nostro paese, complice la forte crisi di Alitalia. I tedeschi sono alla ricerca di tecnici aeronautici da assumere, ma sul mercato non trovano quelli che desiderano. E' così che nasce la scuola per tecnici aeronautici nel comune di Somma Lombardo. Nella frazione praticamente abbandonata di Case Nuove, Aslam rimette in sesto la vecchia scuola elementare in disuso e ne fa la sede del nuovo istituto. Oggi è attivo anche il corso di istruzione specialistica superiore e oltre a compagnie aeree anche Agusta Westland assume gli studenti che si diplomano in questa scuola.
    E sono proprio queste aziende a mettere a disposizione istruttori tecnici e a ospitare i ragazzi per degli stage formativi sul campo. Non solo aeronautica: due anni fa è stato il turno del Polo formativo del legno arredo sorto a Lentate (MB) e fortemente voluto da Federlegno. Ora testa e cuore sono sul progetto della “Scuola della scarpa” che si vuole far sorgere a Parabiago e che segue le orme di questi esperimenti ottimamente riusciti. Un istituto che sappia formare figure professionali ricercate sul mercato del lavoro.
    Ma se credete che le eccellenze di Parabiago si esauriscano nell’ambito dei calzaturifici vi sbagliate. Questa cittadina è la capitale dei bonsai da oltre trent’anni. Qui c’è il più importante museo di bonsai, un angolo d’Oriente perfettamente inserito nel mondo occidentale che raccoglie una preziosa collezione di piante secolari e millenarie, punto di riferimento per appassionati e collezionisti. Un’università riconosciuta che insegna e tramanda l’arte nipponica e una pensione che ospita gli studenti. Il fondatore, Luigi Crespi, ha ricevuto nel 1991 l’Ambrogino d’oro per la sua attività e nel 2012 l’onorificenza “Ordine del Sol Levante, raggi in oro e argento” uno dei più antichi e importanti riconoscimenti del Giappone. Oggi, ogni volta che un ministro o una personalità nipponica si sposta in visita ufficiale da qualche parte in Europa, è sempre seguito dalle piante dei giardini Crespi. Talmente belle e preziose che il Giappone ha scelto i loro bonsai per arredare il padiglione nazionale a Expo 2015.
    Qual è il denominatore comune di queste aziende di Parabiago? L’eccellenza, certo, è riconosciuta in tutto il mondo. E poi la famiglia: in ognuna di queste imprese tutto il nucleo familiare è coinvolto nel successo dell’azienda. Genitori, figli, nipoti, cugini, tutti o quasi sono impegnati nella produzione, nell’amministrazione, nella gestione. Sono promotori delle maestranze di Parabiago. Un piccolo comune di grandi virtù familiari alle porte di Milano.
    Dove nascono le migliori scarpe italiane? | Tempi.it



    Torino, il record della Quercetti: già un miliardo di "chiodini" nel 2016
    Il tradizionale mosaico-giocattolo in produzione da 63 anni resiste alla concorrenza dei giochi digitali e anzi ha triplicato i suoi numeri
    MARIACHIARA GIACOSA
    Una data a suo modo storica, quella del 16 giugno 2016: è quella che segna un record a nove zeri per uno dei giochi più evocativi dell'infanzia di moltissimi italiani. Poco dopo le 15 è stato prodotto il "chiodino" numero 1 miliardo dall'inizio dell'anno. Lo dice il numeratore just in time che scandisce la produzione dei “funghetti” colorati diventati il prodotto simbolo della Quercetti, l'azienda torinese di giocattoli che da 63 anni produce il famoso mosaico colorato, che nonostante l'era digitale regge la concorrenza del mercato.
    Lo dimostrano le cifre: quest'anno la produzione la produzione del chiodino è già cresciuta del 100 per cento. Negli ultimi due anni il numero della produzione di chiodini è triplicato. Nel 2015 si era già raggiunto il traguardo del miliardo di chiodini prodotti e oggi la produzione è esattamente raddoppiata rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Le macchine stampano chiodini 24 ore su 24 per una media di 6 milioni al giorno e mai, prima d'ora, il traguardo "miliarDario" era stato raggiunto tanto presto.
    Il rilancio di questo gioco-icona è dovuto alla nascita di una nuova linea, la Pixel Art, pensata per un pubblico nuovo e inusuale per il mercato del giocattolo: gli adulti che erano bambini degli anni 60, 70 e 80 e sono cresciuti con i chiodini Quercetti. Chiodini più piccoli, in sei colori, che correttamente inseriti nelle tavolette traforate, danno vita a ritratti, paesaggi, opere d’arte e, per chi volesse, riproduzioni di foto e scatti da personalizzare come si crede, nel taglio, nei colori e anche nelle dimensioni: il Pixel Art. Un po’ gioco, un po’ hobby, un po’ oggetto d’arredo.
    Torino, il record della Quercetti: giÃ* un miliardo di "chiodini" nel 2016 - Repubblica.it


  3. #213
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Prosecco, tremila ettari in più
    Nuove piante a dimora entro luglio: potenziale produttivo di oltre 417 milioni di bottiglie per la vendemmia 2016
    TREVISO Veneto e Friuli Venezia Giulia hanno autorizzato l’estensione della superficie coltivabile per altri 3 mila ettari, 2.444 dei quali sul territorio regionale veneto. In questo modo il potenziale produttivo del Consorzio sale a 23.250 ettari. L’intervento è stato illustrato a Treviso, alla presenza del presidente del Consorzio di tutela, Stefano Zanette, e l’assessore regionale veneto all’agricoltura, Giuseppe Pan. Il provvedimento è stato approvato il 29 giugno e le domande di interesse dovranno essere presentate entro 15 giorni dalla pubblicazione della misura nei bollettini ufficiali delle due Regioni.
    Fra il 2009 ed il 2015 la produzione di uva nei territori della Doc è aumentata del 236% e gli ettolitri del 260%. Contestualmente il valore dell’uva al quintale è salito dai 55 euro del 2009 ai 110 attuali. «La distribuzione dei nuovi ettari - ha sottolineato Pan - avverrà in maniera diversa che in passato riservando, in Veneto, 1.222 ettari a chi abbia già coltivazioni di Glera. I criteri di scelta sono articolati riconoscendo punteggi più alti a chi adotterà tecniche sostenibili con l’uso di criteri biologici. Un ulteriore incentivo nel punteggio - ha aggiunto - è dedicato ai giovani fra i 18 e i 40 anni non iscritti ad oggi nel registro della Doc».
    Prosecco, tremila ettari in più «Nascono 600 nuove aziende» - Corriere del Veneto



    NWG prima B Corporation italiana nel settore dell'energia
    NWG energia è la prima B Corporation italiana nel settore dell'energia. Ma di cosa si tratta? E perché tale certificazione rappresenta un punto d'arrivo importante per un'azienda, un traguardo che in poche potranno raggiungere?
    “Una B Corporation è un nuovo tipo di azienda che volontariamente rispetta i più alti standard di scopo, responsabilità e trasparenza - ci spiega Massimo Casullo presidente di NWG energia- le B Corp vanno oltre l'obiettivo del profitto e innovano per massimizzare il loro impatto positivo verso i dipendenti, le comunità in cui operano e l'ambiente. In questo modo il business diventa una forza rigeneratrice per la società. Si tratta di una comunità in rapida crescita a livello globale, ma c'è sempre più attenzione a questo anche in Italia e noi possiamo vantarci di essere tra le aziende che nel nostro paese hanno già fatto tale scelta”.
    La legge per le benefit corporation è diversa da Stato a Stato. In generale queste differiscono dalle aziende tradizionali riguardo a obiettivi statutari, di responsabilità e trasparenza. Lo scopo di una benefit corporation include la creazione di benessere nella comunità in cui opera, definito come un impatto positivo concreto sulle persone e sull'ambiente. Inoltre, attraverso la pubblicazione di un benefit report annuale, i clienti ricevono informazioni per determinare se sono d'accordo con le modalità della benefit corporation di ottenere un impatto positivo sulla società e l'ambiente. La maggiore trasparenza implica per una benefit corporation la redazione di un benefit report annuale sulle performance complessive sociali e ambientali secondo uno standard completo, credibile e indipendente certificato da una terza parte.
    NWG Energia grazie a tale certificazione ed al proprio impegno per la promozione delle energie pulite: le rinnovabili, è così entrata a far parte della ristretta lista di aziende nel mondo che utilizzano il proprio business come leva per la soluzione di problemi ambientali e sociali rispettando i più elevati standard di performance sociale, ambientale, di trasparenza responsabilità. Le aziende che livello globale hanno ottenuto la certificazione B corp sono oltre 1000, attive in più di 60 settori industriali ed in 33 paesi.
    L'obiettivo comune di queste imprese è dimostrare che si può avere successo degli affari puntando a diventare non la migliore azienda del mondo ma la migliore azienda per il mondo.
    NWG prima B Corporation italiana nel settore dell'energia - Il Sole 24 ORE

    L'export spinge la ceramica italiana: nel 2015 investimenti record
    Il giro d'affari del comparto è salito a 5,8 miliardi: all'estero quasi l'80% delle vendite. Il presidente di Confindustria Ceramica, Vittorio Borelli: "Il principale tema nella nostra agenda internazionale è l'azione antidumping sulle importazioni cinesi in Europa"
    MILANO - La ceramica italiana vola grazie all'estero con un giro d'affari cresciuto a 5,8 miliardi grazie alle vendite oltre confine che ormai valgono quasi l'80% del fatturato complessivo. La fotografia scattata in occasione dell'Assemblea 2015 di Confindustria Ceramica ritrae un settore in salute nonostante la crisi: sono infatti 228 le industrie italiane che occupano 25.152 addetti in settori che vanno dalle piastrelle ai sanitari fino ai materiali refrattari.
    Tuttavia non mancano i rischi al ribasso: "Lo scenario internazionale sembra tendere ad un lieve peggioramento nelle sue principali variabili - afferma Vittorio Borelli, presidente di Confindustria Ceramica - , a causa del maggior costo del petrolio, di un Pil mondiale in rallentamento e del possibile rialzo dei tassi di interesse negli Stati Uniti". A preoccupare gli industriali peròè soprattutto la concorrenza della Cina: "Il principale tema nella nostra agenda internazionale - spiega Borelli - è l'azione antidumping sulle importazioni cinesi in Europa, di cui la recente votazione plebiscitaria del Parlamento Europeo contro il MES alla Cina (il riconoscimento dello status di economia di mercato, ndr) è cosa che abbiamo accolto con grande favore, per il quale non dobbiamo abbassare la guardia in attesa che della decisione finale dell'Unione Europea, attesa per fine anno".
    Altro tema centrale per il comparto della cermaica è quello dell'energia: "Sul tema degli oneri generali di sistema dell'energia elettrica siamo fermi a 12 mesi fa - prosegue il presidente di Confindustria Ceramica - l'Italia non è riuscita a sbloccare gli sgravi già previsti per le imprese energivore, mentre la Germania ha fatto precise scelte allocative. La nostra posizione è nella riparametrizzazione degli sgravi si debba tenere conto anche della propensione al commercio internazionale".
    L'export spinge la ceramica italiana: nel 2015 investimenti record - Repubblica.it

    Il Club degli investitori punta sulle scarpe artigianali
    Augusto Grandi
    Dalle nanotecnologie alle calzature artigianali, dalle start up innovative alle aziende storiche. Il Club degli Investitori - il più grande network regionale italiano di business angel - amplia il suo ambito d’intervento e, dopo aver deciso di non limitarsi a sostenere aziende piemontesi ed essersi esteso all’intera Italia, punta anche sulla manifattura tradizionale, purché di qualità, a fianco delle imprese innovative.
    Nasce da questa nuova strategia la decisione di investire 135mila euro nella Bettanin & Venturi, azienda artigiana veronese che dal 1865 crea calzature da uomo di altissimo livello, con un fatturato di circa 1 milione di euro. Le scarpe di Bettanin & Venturi si possono acquistare nei negozi più prestigiosi del mondo, dalla Isetan di Tokyo o da Saks sulla Fifth Avenue di New York. O in via della Spiga a Milano.
    L’intervento del Club degli Investitori, presieduto da Giancarlo Rocchietti, permetterà all’azienda veneta di garantire i valori e la tradizione produttiva, affiancando alla famiglia Bettanin alcuni manager con esperienza nella distribuzione internazionale. «L’Italia - spiega Rocchietti - ha un patrimonio di piccole aziende famigliari, con un know how specifico che si tramanda di generazione in generazione». La crisi, però, ha visto molte di queste imprese lasciare campo libero alle multinazionali ed alla grande distribuzione, «per questo compito di noi investitori - aggiunge il presidente del Club - è quello di preservare questo know how, gatto di valori e tradizioni nati più di un secolo fa e che hanno contribuito a creare quello stile sinonimo di autenticità, esclusività ed artigianalità».
    Continuano, comunque, gli interventi del Club nei settori più inovativi, con 420mila euro investiti in Soundreef (la società tecnologica che sfida il monopolio Siae) mentre a fine maggio è stata quotata, all’Aim di Londra, l’azienda lombarda Directa Plus, specializzata in nanotecnologie, che è presente da un anno nel portfolio del Club degli investitori attraverso un investimento di 1.450.000 euro.
    Il Club degli investitori punta sulle scarpe artigianali - Il Sole 24 ORE


  4. #214
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Cos'e' la burocrazia che stacca la spina alle nostre imprese
    L'azienda senza luce e la burocrazia killer
    La lettera
    Egregio direttore, di recente questa ditta ha deciso di ampliare la capacità di produzione acquisendo un capannone attiguo.
    Abbiamo pertanto richiesto, in data 11 maggio 2016, all'Enel, fornitrice di energia elettrica, un adeguamento di potenza da 14 Kw a 50 Kw. Dopo numerosi solleciti, solo il 22 giugno un tecnico Enel ha eseguito un sopralluogo, riferendoci che non c'erano problemi di disponibilltà di potenza, ma che avremmo dovuto fare installare, a nostra cura e spesa, un nuovo armadio contenitore per il nuovo contatore. Due giorni dopo abbiamo comunicato l'avvenuta disponibilità del nuovo armadio, ma ci è stato riferito che prima di procedere alla installazione del nuovo contatore avremmo dovuto ricevere un preventivo di spesa per la nuova fornitura. Il preventivo (di circa 3.000 Euro) ci è giunto il 30 giugno ed abbiamo provveduto nello stesso giorno al pagamento dandone comunicazione a mezzo e-mail all'Enel. Al 6 luglio, non è stato ancora possibile avere l'adeguamento di potenza, pertanto le nuove macchine sono ancora ferme e non possiamo iniziare la produzione. Un esempio dell'inefficienza dei servizi in questo Paese che fa passare la voglia di investire.
    La ditta Sangiorgi spa, Corsico, Milano
    La risposta del direttore Alessandro Sallusti
    Questa lettera vale più di mille inchieste e discorsi. Da due mesi un imprenditore chiede di produrre di più, è disposto a fare tutto ciٍ che serve ma un'azienda pubblica, l'Enel, glielo impedisce. Moltiplichiamo questi due mesi persi dalla Sangiorgi (che ha sede alle porte di Milano, non in Aspromonte) per il numero di aziende che si trovano nelle stesse condizioni e calcoliamo quanto tutto cio' vale in perdita di fatturato e di Pil. Lo scorso anno questo conto lo ha fatto Rete Imprese: la burocrazia costa alle piccole e medie imprese italiane 30 miliardi l'anno, il 2% del Pil. Una enormità, impiccati come siamo a una crescita dello zerovirgola. Di questo dovrebbero occuparsi governo e parlamento, altro che riforme costituzionali.
    Così la burocrazia stacca la spina alle nostre imprese - IlGiornale.it


    Lavoro, Coldiretti: cresce numero under 35 che sceglie la campagna
    Nel 2016 aumentano del 12%
    Cresce il numero di under 35 che sceglie di lavorare in agricoltura. Nel 2016 sono infatti aumentati del 12 per cento i ragazzi under 35 anni che hanno scelto di lavorare in agricoltura, una nuova generazione di contadini, allevatori, pescatori e pastori che costituiscono uno dei principali vettori di crescita del settore agroalimentare grazie ad una capillare e rapida acquisizione di processi innovativi che spingono l'occupazione.
    E' quanto emerge dalla prima analisi "Lavoro giovanile in agricoltura nel 2016" effettuata dalla Coldiretti su dati Istat relativi al primo trimestre dell'anno.
    L'aumento dei giovani lavoratori agricoli nelle campagne riguarda sia gli occupati dipendenti, che crescono del 15 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015, sia quelli indipendenti (imprenditori agricoli, coadiuvanti familiari o soci di cooperative agricole) che vedono una crescita del 9 per cento. L'incremento - aggiunge Coldiretti - si registra sia tra i ragazzi (+16 per cento) che per le ragazze (+5 per cento), a testimoniare che l'appeal del settore agricolo tra i giovani è ormai trasversale ai generi. Un risultato record rispetto al dato generale che vede l'occupazione giovanile nei vari settori crescere dell'1 per cento, frutto di un avanzamento del 2 per cento per commercio, alberghi e ristoranti e del 3 per cento negli altri servizi, mentre arretra, sia pure leggermente, l'industria.
    Lavoro, Coldiretti: cresce numero under 35 che sceglie la campagna


    Diesel, arriva la collezione per la casa
    Accordo con Caleffi Mirabello per cinque anni. La «prima» alla Fiera Maison & Object di Parigi nel gennaio 2017
    VICENZA La divisione di Caleffi Mirabello ha sottoscritto un accordo di licenza in esclusiva mondiale con Diesel per lo sviluppo di una collezione tessile casa a marchio Diesel. Lo annuncia una nota. La licenza avrà una durata di 5 anni, consentirà la produzione e commercializzazione a livello globale di tessile casa e vedrà la presentazione della prima collezione ufficiale in occasione della Fiera Internazionale di settore Maison & Object a Parigi a gennaio 2017. La collezione Diesel Living Home Textile sarà distribuita in punti vendita e department store selezionati e nei Diesel store in Italia e nel mondo.
    Diesel, arriva la collezione per la casa - Corriere del Veneto


    Industria 4.0: Torino e il Piemonte laboratorio anticipatore di regole e tendenze
    Francesco Antonioli
    Luigi Einaudi, da economista di vaglia qual era, aveva intuito giusto. Correva l’anno 1906 e quella ventina di aziende che fondo' a Torino la Lega industriale, aveva, secondo lui, una marcia in più: la rivendicazione orgogliosa del ruolo dell’industria, lo spirito di autonomia, la capacità d’iniziativa. Qualità portanti che introducevano un elemento di forte innovazione nel vivo della società italiana.
    Imprenditori e uomini della ex capitale d’Italia che pero' assunse subito quel ruolo di laboratorio (economico, ma anche culturale, sindacale, religioso) anticipatore di molti scenari. Adesso all’Unione industriale torinese aderiscono oltre 2.300 aziende (tra piccole, medie e grandi) in 24 differenti gruppi merceologici e con 150mila addetti. Ai settori più tradizionali si sono aggiunti nel corso del tempo nuovi comparti, dalla robotica alla meccatronica, dall’aerospaziale all’Ict al terziario innovativo.
    E' significativo che in un momento di celebrazione di 110 anni di storia economica Torino – allargando il dibattito a tutto il Piemonte – abbia anche voluto riflettere in questi giorni non solo di rappresentanza, ma di quarta rivoluzione industriale, la cosiddetta industria 4.0 di cui, talvolta, ci si riempie un po’ troppo la bocca. Ma, qui, sotto la Mole, c’è la culla del manifatturiero, quella industria che ancora oggi – come ama dire il presidente degli industriali Vincenzo Boccia – è la “sala macchine” della nostra economia.
    Quanto sta accadendo con il “miglio dell’innovazione” in piena città – sul modello di grandi metropoli internazionali e con l’Iit che installa dentro l’Environment Park il Centro nazionale di ricerca sulla “economia circolare” – ne è un po’ il simbolo. Rappresenta una evoluzione che si sta compiendo, dà la cifra di una svolta anche generazionale, pungola tutti (sia la nuova amministrazione civica pentastellata di Chiara Appendino sia coloro che la temono con terrore) a misurarsi sul cambiamento – reale, non fittizio – della classe dirigente, sul concetto di sviluppo e di bene comune. O tutti insieme avanti o nessuno. L’innovazione, peraltro, non puo' prescindere dalla responsabilità sociale e deve interrogarsi sulla forbice che divide sempre più chi ha e chi non ha provando a concorrere alla riduzione della povertà e senza dimenticare l’emergenza occupazionale. In qualche modo – anche se con gli strumenti e la cultura di 110 anni fa – lo avevano chiaro gli imprenditori che fondarono l’Unione industriale di Torino.
    Industria 4.0: Torino e il Piemonte laboratorio anticipatore di regole e tendenze - Il Sole 24 ORE


    ISTAT
    Il Sud è maglia nera
    Dimmi dove vivi e ti dirò quanto spendi. L’Italia dei consumi è divisa nettamente tra Nord e Sud. Tutte le Regioni ai primi posti per spesa sono settentrionali, quelle agli ultimi posti sono tutte meridionali, secondo i dati dell’Istat sul 2015. Al Nord Ovest, al Nord Est e al Centro, i consumi delle famiglie sono superiori alla media nazionale di 2.499 euro al mese (con rispettivamente 2.836, 2.757 e 2.599 euro). Al Sud e alle Isole molto più bassi (2.019 e 1.891 euro).
    Il fattore discriminante maggiore per le abitudini di spesa risulta essere il titolo di studio. Le famiglie di laureati, infatti, hanno consumi pari a circa il doppio di quelle dove la persona di riferimento ha solo la licenza elementare o non ha titoli di studio.
    Ecco una tabella con la testa e la coda della classifica delle regioni per spesa media mensile nel 2015. (Fonte: Istat) ============================================
    Classifica Regioni - Spesa - Differenza con media Italia -------------------------------------------------------------
    1 - Lombardia 3.030 +531
    2 - Trentino-Alto Adige 3.022 +523
    3 - Emilia Romagna 2.903 +404
    18 - Basilicata 1.923 -576
    19 - Sicilia 1.824 -657
    20 - Calabria 1.729 -770
    «La spesa riparte» Il Sud è maglia nera terz'ultima la Basilicata - home - La Gazzetta del Mezzogiorno



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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Quel vizietto Pd di far la guerra all'Esselunga
    In questi giorni a Genova si è alzato un vero e proprio fuoco di sbarramento contro il progetto del gruppo Esselunga di aprire un supermercato in via Piave, ad Albaro, quartiere genovese collocato a Est del centro
    Carlo Lottieri
    Può sembrare una «non notizia» e in qualche modo è così. Benché da anni si denunci il modo in cui le amministrazioni di sinistra ostacolano la nascita di centri commerciali (eccezion fatta per le Coop loro amiche, naturalmente), in questi giorni a Genova si è alzato un vero e proprio fuoco di sbarramento contro il progetto del gruppo Esselunga di aprire un supermercato in via Piave, ad Albaro, quartiere genovese collocato a Est del centro. Nelle scorse settimane la regione Liguria si era espressa positivamente in merito, ma ora tutto sembra tornare in alto mare.
    Le argomentazioni usate sono le consuete e, al solito, risibili. Si sostiene che un nuovo punto vendita in quella posizione danneggerebbe la viabilità cittadina e altererebbe un delicato equilibrio tra botteghe e tessuto sociale. Il dato reale è uno solo: ed è che il Pd vuole impedire la nascita di un nuovo supermercato per tutelare, nei fatti, chi è già attivo. Siamo insomma di fronte a nuovo capitolo della guerra tra le Coop rosse e il gruppo guidato da Bernardo Caprotti, che alcuni anni fa fu perfino costretto a scrivere un libro-denuncia molto documentato (dal titolo Falce e carrello) in cui metteva a nudo le innumerevoli protezioni che in larga parte d'Italia (e specialmente in Liguria, Emilia Romagna, Toscana ecc.) la sinistra offre alle proprie imprese «di riferimento».
    Il ricorso ad argomenti tecnici e falsamente neutrali per impedire all'Esselunga di entrare nel mercato è strumentale: basti vedere come sono distribuite, in Italia, i punti vendita di questo gruppo, che a Genova non ha neppure una presenza. Ed è scandaloso che s'impedisca a un'impresa di operare al meglio e ai consumatori liguri di scegliere dove fare i propri acquisti.
    Siamo di fronte, è ovvio, all'ennesimo conflitto d'interesse, perché proprio la parte politica che ha sempre usato questo argomento contro i propri avversari, è ormai ogni giorno costretta a fare i conti con episodi come quello di Banca Etruria e di Mps. Ma oltre a ciò è chiaro come quanti ci governano manifestino, anche a livello locali, terribili limiti culturali. La pluridecennale avversione della sinistra post-comunista nei riguardi di Esselunga è figlia di una mentalità autoritaria, da società chiusa, oltre di una visione politicizzata dei rapporti economici. Quanti si sentono autorizzati a permettere e a negare l'apertura di un'attività, continuano a ignorare le basilari regole del diritto: a partire dall'eguaglianza di fronte alla legge. Ed è significato che a sinistra non si sia mai alzata una voce dissidente, a tutela della libertà di Caprotti a intraprendere, competere, creare posti di lavoro, moltiplicare la ricchezza. Nella mentalità del nostro tempo, e specialmente nell'universo che si vuole «progressista», non c'è un vero riconoscimento per i diritti degli imprenditori e nemmeno per quelli dei consumatori.
    Quel vizietto Pd di far la guerra all'Esselunga - IlGiornale.it

    Genova come Rotterdam: al VTE nuova tecnologia per aumentare la sicurezza degli ormeggi
    Alberto Maria Vedova
    Genova - Per la prima volta in Italia, a Genova, nel bacino portuale di Pra’, viene introdotto l'utilizzo dell'innovativo Shore Tension Mooring Sistem (Stms) un adeguamento tecnologico delle modalità operative del servizio erogato dagli ormeggiatori.
    Lo Stms è una sorta di pistone ammortizzatore oleodinamico che ad ogni operazione viene collocato in banchina in posizione opportuna dagli ormeggiatori, collegato con la nave sia a prua che a poppa, attraverso un cavo e messo in tensione con carichi di lavoro tarati sul bollard-pull delle bitte di ciascuna nave. Cosi' ormeggiata, la nave puo' giovarsi della ulteriore tenuta dei cavi di STMS, il quale si allunga e si ritira in base alle sollecitazioni che riceve. In questo modo, la nave rimane ormeggiata stabilmente in tutta sicurezza, evitando che i cavi di ormeggio rischino di rompersi a causa di picchi di tensione per vento o onde di risacca troppo forti.
    Attraverso l'unità di controllo wirless di cui è dotato, viene registrato e trasmesso in remoto lo stress cui sono sottoposti la nave ed i relativi cavi di ormeggio, consentendo al personale dei servizi tecniconautici coordinati dalla Capitaneria di porto di provvedere tempestivamente ad adottare le misure del caso, al fine di prevenire gli effetti di eventuali situazioni critiche.
    Genova come rotterdam - Genova come Rotterdam: al VTE nuova tecnologia per aumentare la sicurezza degli ormeggi | Liguria | Genova | Il Secolo XIX



    Il villaggio Crespi d'Adda torna a vivere e produrre
    Mimmo di Marzio
    Mai dire mai, ovvero guai a smettere di credere nei miracoli anche in un momento in cui le industrie italiane chiudono, il patrimonio storico artistico va in pezzi per mancanza di fondi e la burocrazia - tutte le volte che puo' - mette i bastoni tra le ruote agli ultimi intraprendenti.
    E invece il piccolo miracolo è avvenuto in paese della Bergamasca, la frazione Capriate San Gervaso dove è sito il villaggio operaio di Crespi d'Adda, tra i più fulgidi esempi di archeologia industriale e di borghesia illuminata, un complesso architettonico di fine Ottocento oggi patrimonio dell'Unesco. L'industriale Antonio Percassi, patron dell'Atalanta calcio, ha acquistato lo storico stabilimento che dal 1878 fu dapprima opificio della famiglia Crespi per diventare poi sede di attività manifatturiere nel settore tessile con il passaggio alla Sti e poi alla famiglia Legler. L'ultima proprietà fu della famiglia Polli che produsse fino all'anno 2003. Poi, con la debacle del tessile, calo' il de profundis e l'antico complesso di 135 metri quadri, più 36mila di bosco, rimase per dieci anni soltanto meta di un turismo colto e interessato alla bella storia della famiglia di industriali cotonieri lombardi che a fine Ottocento realizzo' sulle rive dell'Adda il sogno di un moderno «Villaggio ideale del lavoro»: dove ai lavoratori venivano messi a disposizione una casa con orto e giardino e tutti i servizi necessari.
    Altri tempi, si dirà. Ma il colpo di Percassi è di quelli che generano un'iniezione di ottimismo per l'idea e per come l'operazione si è andata concreatizzando con il beneplacet - addirittura - della Sovrintendenza ai Beni architettonici per la quale nulla osta a che il suggestivo opificio possa ospitare il nuovo quartier generale del gruppo Percassi. «Sono entusiasta - ha dichiarato l'industriale bergamasco - di aver portato a termine questa operazione, poichè il villaggio di Crespi d'Adda è uno splendido esempio di cultura illuminata del lavoro. Sarà un onore per me poter trasferire qui la sede del gruppo, cercando al contempo di rilanciare questo sito, che merita un nuovo sviluppo, anche attraverso la promozione di attività culturali». Già, l'altro pezzo di miracolo sta nel fatto che, una volta reso agibile lo stabilimento senza intaccarne il valore storico-artistico (ma in realtà salvandolo dal degrado), Percassi intende posizionarsi sulla scia di quell'antico capitalismo illuminato che non si limitava a sistemare residenzialmente le famiglie degli operai ma, a Dio piacendo, si preoccupava anche dell'istruzione dei loro figli.
    E allora il presidente del gruppo promette che il futuro Crespi d'Adda non si limiterà ad ospitare uffici e centri di ricerca ma «diventerà anche un polo culturale e sede della neonata Antonio Percassi Family Foundation». A dimostrazione che c'è ancora chi è convinto che la cultura dia da mangiare.
    Il villaggio Crespi d'Adda torna a vivere e produrre - IlGiornale.it





    Il lusso è sempre più made in Veneto e i colossi internazionali si rafforzano a Nordest. Maxi stabilimento a Fossò per il marchio del gruppo Lvmh che segue gli investimenti in Rossimoda e nella Manifacture. A Padova il polo Gucci
    di Matteo Marian
    PADOVA. «Quando negli anni Novanta Timisoara diventava l’ottava provincia veneta e per gli imprenditori del Nordest era “Trevisoara” noi passavamo per i fessi che non volevano delocalizzare». Ora che il mantra imprenditoriale fa propri nuovi anglicismi, dal back to manufacturing al reshoring, gli eredi dei maestri calegheri del distretto calzaturiero della Riviera del Brenta lo rivendicano con orgoglio e rabbia. «Hanno preso soldi pubblici per delocalizzare le produzioni all’estero e ora ne prendono per riportarle a Nordest». Per capire il peso e il valore del “saper fare” basta guardare a quel fazzoletto di terra tra le province di Padova e Venezia lungo il Brenta.
    Colossi mondiali
    In un territorio macchiato da piccole e medie zone industriali hanno messo radici i colossi del lusso mondiale. Francesi, in primis. Perché? L’immancabile pizzico di sciovinismo li fa parlare di savoir-faire invece che di “saper fare”, ma la sostanza non cambia. Per produrre le migliori scarpe del mondo hanno prima acquisito aziende della Riviera (l’operazione che ha fatto scuola è datata 2003, con il gruppo Lvmh che acquisisce il controllo della Rossimoda di Luigino Rossi) e poi investito direttamente in stabilimenti produttivi propri piazzandoli lungo il corso del Brenta. L’ultimo esempio è quello di Dior (sempre gruppo Lvmh) che alla fine dello scorso anno ha reso pienamente operativo un nuovo maxi stabilimento a Fossò. Si tratta di un intero blocco di testa della zona industriale dove sono stati concentrati uffici direzionali, produzione (montaggio e finissaggio) e modelleria. Con l’avveniristico nuovo stabilimento il gruppo presieduto da Bernard Arnault scommette ulteriormente sul distretto veneto della calzatura di lusso, dove già opera con una propria sede Louis Vuitton (Fiesso d’Artico) e dove controlla la Rossimoda.
    Non ci sono solo i francesi, visto che anche i giapponesi del Onward Luxury Group rilevando (nel 2005) la Iris si sono assicurati la produzione di calzature di lusso marchiate Jil Sander, Chloé e Marc Jacobs. E, va detto, non c’è solo il calzaturiero del Brenta.
    Occhialeria griffata
    Quando si parla di professionalità e competenze in grado di attirare l’attenzione dei colossi stranieri non si può non parlare dell’occhialeria. Se da un lato Safilo lancia la scuola prodotto proprio per tutelare e tramandare il “saper fare”, dall’altra Kering Eyewear – la società con cui il colosso del lusso francese fondato da François Pinault ha preso in mano direttamente la produzione di occhiali con i propri marchi – ha scelto Padova per lanciare la sfida. «Una startup in un’industria matura» l’ha definita l’ad (ex Safilo) Roberto Vedovotto. La prima collezione è stata lanciata a luglio 2015: Kering Eyewear ha già arruolato 200 addetti è l’obiettivo è arrivare, a regime, a 650 occupati.
    Dietro le eccellenze, la dinamica dell’attrattività del Nordest parla di una crescita. Il numero delle imprese venete partecipate da multinazionali estere, dal 2008 dal 2014, è salito da 662 a 768; in Friuli-Venezia Giulia da 125 a 135. Il Veneto (banca dati Ice- Reprint) è la terza regione in Italia per numero di imprese italiane a partecipazione estera (Lombardia e Piemonte, rispettivamente, al primo e secondo posto). Certo, qualcuno la legge come una crescita legata alla svendita dei gioielli di famiglia. Capitali stranieri, ad esempio, controllano Permasteelisa (Js Group) che è quanto di meglio ci sia al mondo nei rivestimenti esterni per grandi edifici.
    Il caso della Infineon
    Senza andare a scomodare la storia della Zanussi, negli anni la crescita e l’affermazione dei distretti produttivi nordestini ha fatto da calamita all’interesse dei grandi gruppi stranieri. L’esplosione del distretto della scarpa (o sportsystem) ha spinto, ad esempio, Rossignol a prendere casa nella Marca.
    Il “saper fare” non è comunque l’unica chiave di attrattività. I casi sono rari ma vale la pena ad esempio citare l’esempio di Infineon Technologies, la più grande azienda tedesca produttrice di semiconduttori, quotata alla Borsa di Francoforte.
    Oltre 26mila collaboratori, 12 siti produttivi e più di 20 siti di ricerca e sviluppo nel mondo. E tra questi ultimi quello di Padova, scelto quale centro di eccellenza e punto privilegiato di accoglienza per i giovani talenti tecnici della microelettronica.
    Dior raddoppia il polo in Riviera del Brenta - Focus - Il Mattino di Padova

    Storia di Brugola, la famiglia brianzola che ha creato «la Ferrari delle viti»
    E' morto Giannantonio Brugola, figlio di Egidio, l’inventore della vite oggi diffusa in tutto il mondo. Questa è la storia della loro impresa, raccontata dal nipote Jody, oggi a capo dell’azienda
    Matteo Rigamonti
    Si è spento a 72 anni Giannantonio Brugola, figlio di Egidio, l’inventore della vite cui ha dato il nome. Un’eccellenza italiana che dalla operosa Brianza ha conquistato il mondo. Giannantonio era il presidente dell’azienda, che ora è guidata dal figlio Egidio, detto Jody, che porta il nome del nonno. La storia di Brugola è un esempio straordinario del genio imprenditoriale nostrano che ha saputo trasformare una ditta a conduzione familiare in una multinazionale da 120 milioni di euro. Nel maggio di quest’anno ce l’aveva raccontata proprio Jody, in quest’intervista apparsa sul settimanale Tempi che vi riproponiamo.
    Lissone (MB). Sono milioni e milioni le automobili che ogni giorno calcano gli asfalti di tutto il mondo. Berline o station wagon, fuoriserie o utilitarie, ognuna di queste macchine monta regolarmente un motore, quel sofisticato prodotto dell’ingegneria meccanica che trasforma il carburante in energia, conferendo il moto a un insieme inanimato di pezzi d’acciaio e plastica, lamiere e bulloni, che di per sé non si muoverebbero. Grazie al prodigio della combustione, invece, i pistoni possono correre nei cilindri, i motori girare e trasmettere il movimento agli alberi motore, che a loro volta fanno marciare le ruote che macineranno chilometri. Eppure tutto cio' non sarebbe possibile se non ci fossero le viti ad assicurare un corretto e sicuro serraggio del propulsore e delle sue molteplici componenti. Viti critiche, complesse, che servono a tenere insieme testate e cilindri, bielle e bancate. Viti che devono sopportare le più estreme sollecitazioni e che, pertanto, non possono in alcun modo permettersi bassi standard qualitativi, o peggio di essere costruite con materiali scadenti.
    Comincia da qui, dalle viti per i motori, la storia più recente delle Officine Egidio Brugola (Oeb), l’azienda brianzola di via Dante a Lissone, dove si trova dal 1926, anno della sua fondazione. Lo stabile, che sorge ancora in pieno centro città, nascosto tra una casa e la chiesa, è il medesimo che aveva già fatto conoscere al mondo la multifunzionale vite a brugola, quella celebre dalla testa cava a sezione esagonale che proprio al suo fondatore deve il nome. Un tipo di vite che Oeb ha brevettato nel 1945, guadagnandosi un privilegio concesso a pochi marchi: vedere associato il proprio nome al prodotto. Un privilegio che è frutto di un’intuizione, più che di una vera e propria invenzione, perché come confida a Tempi il nipote di Egidio, che del nonno porta il nome ma che per tutti è semplicemente Jody, «la vite in sé esisteva già, mio nonno ha pensato di fabbricarla su scala industriale, cosa che allora non faceva nessuno perché il prodotto veniva prevalentemente importato».
    Da un po’ di anni, pero' tutte le produzioni “generaliste”, anche quelle di qualità sopraffina come sono le viti a brugola, pagano dazio in termini di redditività alla concorrenza di paesi che possono permettersi più bassi costi di produzione. E' un processo che è iniziato almeno trent’anni fa, e che non ha coinvolto solo la bullonistica, eppure non tutti in Italia se ne sono accorti. Il cavaliere Giannantonio Brugola, invece, figlio di Egidio e padre di Jody, che a lungo è stato a capo dell’azienda e ancora oggi ne è presidente, è stato abile a leggere i segni dei tempi.
    «Mio padre – racconta Jody, oggi vicepresidente – ha avuto il merito di capire in anticipo da che parte sarebbe andato il mondo». A partire dagli anni Ottanta e fino al 1994, ha lavorato per ritagliarsi una «nicchia nella nicchia», convertendo la produzione da fabbricati standard a quella di viti speciali per l’automotive. Un prodotto che fa dell’«originalità e della perfezione il marchio distintivo». Le viti sono realizzate con acciaio di altissima qualità, tecnologie innovative e seguendo una filosofia perfettamente riassunta nel motto che campeggia ovunque in azienda: «Spirits of excellence». O, come lo traduce Jody spiegando come si attraggono i clienti, del «difetto zero». In Brugola, prosegue Jody, «scegliamo solo il meglio e ogni controllo è sempre ripetuto due volte».
    Il motore di un’automobile, spiegano in azienda, impiega circa 70 tipi di viti diverse, sette delle quali sono definite «critiche», ossia cruciali per il raggiungimento delle prestazioni e la durata. Viti che devono essere in grado di resistere alle sollecitazioni più estreme, come sono, appunto, quelle che assicurano il serraggio della testata, della bancata, del volano, della biella, della puleggia, dell’ingranaggio dell’albero a camme e del suo cappello. Queste sono le viti che si producono oggi in Oeb, circa 800 tipi diversi a seconda dei modelli cui sono destinate. Frutto del paziente lavoro dei 300 tra disegnatori, ingegneri e operai (15 dei quali assunti l’anno scorso) che ogni giorno, ventiquattro ore su ventiquattro, le progettano e le realizzano, per una media di 7 milioni di pezzi al giorno: chilometri di nastro d’acciaio arrotolato su massicce bobine transitano in appositi macchinari che lo misurano, lo tagliano, gli creano un cappello e ne filettano il profilo, rispondendo alle esigenze delle diverse case automobilistiche che hanno scelto l’officina lissonese.
    Brugola, che oggi detiene il 22 per cento della quota di mercato (praticamente un’auto su cinque è dotata di un motore montato grazie alle sue viti), è una vera e propria «boutique della vite», o come ebbe a definirla Giannantonio: «La Ferrari delle viti». Qui si lavora su commissione, garantendo una personalizzazione del prodotto in base alle esigenze del cliente. Ogni auto necessita di circa 300 viti, per un totale di 4 o 5 chilogrammi. Eppure «ogni di vite è diversa dall’altra», spiega Jody. «Noi realizziamo viti prevalentemente per il Gruppo Volkswagen, comprese Seat, Audi e Skoda, che rappresenta l’80 per cento del nostro fatturato, e Ford, oggi intorno al 10 per cento». Ma anche per Bugatti, Lamborghini, Renault e tanti altri. Brugola è da quattro anni che ha un fatturato in crescita costante dell’8 per cento: lo scorso anno si è attestato a 120 milioni di euro e quest’anno mira a confermare il trend raggiungendo quota 130 milioni, nonostante la crisi europea del mercato delle quattro ruote. Un fatturato che, non a caso, è realizzato per il 98 per cento all’estero.
    Storia di Brugola, la famiglia della viti | Tempi.it





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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Mirtilli, è boom in Lombardia: quasi triplicate le superfici di coltivazione
    Negli ultimi 10 anni le superfici coltivate a mirtilli sono quasi triplicate. Lo dice la Coldiretti della Lombardia, i dati parlano di 445.300 metri quadrati nel 2006 saliti a 1.458.900 nel 2015. A Brescia la superficie interessata a mirtillo è di circa 9 ettari, passata da 34.300 mq nel 2006 a 90.000 mq nel 2015 (+ 55.700 metri quadrati). «Ogni pianta – spiega Coldiretti Brescia – può arrivare a produrre in medi 2-3 chili di mirtilli a stagione, ma ci vogliono circa 3 anni dalla piantumazione prima che possa dare frutti. I prezzi dei prodotti variano tra i 4 e i 6 euro al chilo, mentre al dettaglio oscillano tra i 10 e 12 euro. Per crescere bene il mirtillo ha bisogno di suoli poco profondi con un Ph acido, di temperatura elevate e di una buona esposizione al sole». La culla del mirtillo lombardo resta però la Valtellina. Le superfici sono aumentate di circa 335mila metri quadrati nell’arco di un decennio.
    Mirtilli, è boom in Lombardia: quasi triplicate le superfici di coltivazione - Economia



    Oltre 380 start up, ecco il fiore all'occhiello del Veneto
    Presentato il censimento statistico 2015 "Il Veneto si racconta". Le start up sono cresciute del 50%: il Veneto è la seconda regione italiana per propensione innovativa delle imprese. Record di arrivi per il turismo
    «Il Veneto si racconta, il Veneto si confronta» presentato oggi a Padova: a cominciare dalla ricchezza, che ha visto il Pil veneto nel 2015 crescere dell'1%, un tasso leggermente superiore alla media nazionale (0,8) e si prevede per il 2016 un aumento dell'1,2%. Gran parte del Pil, più di un terzo, proviene dalla forte propensione all'export: nel 2015 le esportazioni venete hanno superato la soglia dei 57,5 miliardi di euro, in aumento del 5,3% rispetto al 2014, variazione percentuale massima dal 2011.
    Il mercato dell'export agroalimentare veneto si è chiuso, nel 2015, con un valore che sfiora i 6 miliardi di euro: +3,9% per la nostra regione, +1,8% per l'Italia. Fiore all'occhiello dell'economia veneta inoltro la spinta innovativa e la ricerca. Un esempio sono le 380 start-up innovative presenti in Veneto (dato rilevato a febbraio 2016), che registrano un aumento di oltre il 50% rispetto al 2015 e che posizionano il Veneto come seconda regione italiana per propensione innovativa delle imprese.
    Dal punto di vista del turismo il Veneto risulta tra le mete preferite. Il 2015 è per la regione l'anno dell'ennesimo record degli arrivi - oltre 17 milioni - un milione in più rispetto all'anno precedente (+6,1%). In aumento anche le presenze (+2,3%) che risultano nuovamente superiori ai 63 milioni. Per quanto riguarda infine il mercato del lavoro, ciò che caratterizza principalmente il 2015 è che finalmente dopo sette anni la disoccupazione diminuisce: nella regione, le persone in cerca di lavoro diminuiscono del 6,2% rispetto un anno fa e si attestano a 156.629.
    Il tasso di disoccupazione passa al 7,1%, dal 7,5% del 2014 e la regione conferma ancora una volta il secondo valore più basso fra le regioni italiane, dopo il Trentino-Alto Adige.
    Oltre 380 start up, ecco il fiore all'occhiello del Veneto - Focus - Il Mattino di Padova

    General Motors investe su Torino: sede allargata e cento assunzioni per studiare l'auto del futuro
    Un rendering che mostra come Gm intende espandersi nella Citta della politecnica
    Accordo da 6 milioni con il Politecnico per costruire una nuova palazzina e per prendere 26 ricercatori e 100 ingegneri, che non si occuperanno soltanto di motori
    di STEFANO PAROLA
    Non solo motori. D'ora in poi il centro ricerche torinese di General Motors si occuperà anche delle nuove tecnologie che riguardano l'auto del futuro: la connettività, la gestione di grandi quantità di dati e tutto ciòche riguarda l'informatica e la telecomunicazioni con ricadute in campo automobilistico. Lo prevede il nuovo accordo di partnership siglato tra il Politecnico di Torino e Gm Global Propulsion Systems (la società europea del gruppo che si occupa della ricerca sui motori). L'intesa riguarda anche un ampliamento della sede ospitata in corso Castelfidardo, l'apertura di 26 posizioni da ricercatore del Poli e l'assunzione di cento ingegneri da parte di General Motors nei prossimi tre anni.
    In totale si parla di un investimento da 6 milioni, che servono a rinvigorire il rapporto tra l'ateneo torinese e il centro di ricerca americano: "La collaborazione - spiega il rettore Marco Gilli - ha già portato ottimi risultati, ma oggi si arricchisce di nuove tematiche di ricerca congiunte e di nuovi spazi. E' l'esempio di come, in un contesto come questo, la grande industria continui a investire sul Politecnico e su Torino". Dunque Gm punterà sulla città della Mole per sviluppare le vetture di domani: "Il veicolo connesso, le propulsioni alternative e l'economia condivisa sono tre fattori che cambieranno totalmente il nostro modo di muoverci sia come individui che come comunità", dice Pierpaolo Antonioli, amministratore delegato di Gm-Gps.
    Gli spazi aggiuntivi sorgeranno dietro l'attuale sede di Gm, verso via Boggio. Si parla di 2.500 quadrati di uffici e laboratori che si aggiungono ai 22 mila di cui la multinazionale già dispone. Vi potranno trovare posto tra le 100 e le 180 persone. Oggi General Motors a Torino dà lavoro a 700 tecnici (quasi tutti ingegneri) e grazie al nuovo accordo con il Politecnico intende assumere altri cento dipendenti entro il 2019. Sempre entro quell'anno sarà pronto anche l'ampliamento del centro.
    General Motors investe su Torino: sede allargata e cento assunzioni per studiare l'auto del futuro - Repubblica.it




    Tecnologia 'Made in Italy'[Padania] inventa biocarburante dal seme del tabacco e fa volare un aereo
    Una scoperta che metterà ali nuove agli aerei, grazie all'utilizzo del tabacco che sarà il futuro biocarburante per la propulsione dei motori.
    A quanto pare il Made in Italy non si smentisce e ancora una volta dà prova delle capacità rivoluzionarie che sa dedicare alla scienza e alla tecnologia. L'ultima notizia arriva quindi da un'azienda italiana e si tratta di un carburante biologico ricavato dai semi del tabacco che sarebbe in grado di far volare un aereo. Uno dei grandi vantaggi di questa eccellente invenzione, permetterebbe il volo degli aerei senza inquinare, com'è accaduto finora (fattore di cui si è sempre discusso da quando nei cieli è comparsa la strana scia dietro la coda degli aerei, dovuta alla condensazione del vapore acqueo al suo passaggio), a causa del cherosene o della benzina avio (Avgas 100LL), contenente un alto numero di ottani rispetto alla benzina che si utilizza nei comuni motori.
    La scoperta intelligente
    Questo surrogato biologico che potrebbe andare a sostituire l'obsoleta fonte di propulsione aerea, è nato grazie all'azienda italiana Sunchem, per produrre energie biologiche rinnovabili grazie a un 'comune' seme del tabacco. Questa pianta non avrebbe avuto modifiche OGM e prende il nome di Solaris, non contiene nicotina, il suo seme si compone di olio per il 40% e permetterebbe un ricavo dalla sua spremitura, di circa un 34% di prodotto grezzo. Questa azienda, guidata da Carlo Ghilardi, ha sede ad Arma di Taggia in un piccolo paese della Liguria e insieme alla South African Airwais, s'è prefissata di sperimentare il biocarburante prodotto dal seme del tabacco, per far volare i mezzi della compagnia SAA sul corridoio aereo che va da Johannersburg (capoluogo della provincia di Gauteng), a Città del Capo (entrambe appartenenti allo stato del Sudafrica).
    Storia del brevetto Solaris
    Grazie anche ai ricercatori dell'Università Cattolica di Piacenza, che hanno permesso la nascita nel 2007 del brevetto Solaris, nel 2011 è avvenuta tra la società Sunchen Holding italiana e la SSA sudafricana questa incredibile collaborazione, che si prefissa l'obbiettivo di coltivare 250 mila ettari di terreno, impegnando le proprietà del Sudafrica e quelle di Namibia. L'immensa coltivazione sarà destinata esclusivamente alla produzione del prodotto primario utile alla spremitura del biocarburante, che farà volare gli aerei della compagnia sudafricana.
    Tecnologia 'Made in Italy' inventa biocarburante dal seme del tabacco e fa volare un aereo

    Toh, il Nord paga il doppio delle tasse
    Francesca Angeli
    Italiani popolo di tartassati? Vero ma a metà perché in quanto a pagamento dei balzelli l'operoso Nord sborsa il doppio rispetto al Sud. Ancora una volta è l'ufficio studi della Cgia di Mestre a fare i conti in tasca agli italiani, confermando che anche sul fronte fiscale il Paese è spaccato a metà.
    Al Nord le entrate tributarie pro capite ammontano a un valore medio annuo di 10.229 euro, nel Mezzogiorno si scende a 5.841 euro. Dunque il gettito che grava su ciascun cittadino del Settentrione è quasi il doppio rispetto a quello di un residente del Mezzogiorno mentre al Centro il gettito si attesta a 9.485 euro. Semplice ripartizione diversa della ricchezza o accanimento?
    Toh, il Nord paga il doppio delle tasse - IlGiornale.it

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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    YSL investirà 5 milioni di euro nel distretto calzaturiero di Riviera del Brenta
    Maria Chiara Scanuin
    E’ di 5 milioni di euro l’investimento di Yves Saint Laurent per il nuovo stabilimento italiano nel distretto della calzatura di Riviera del Brenta. Il nuovo progetto della griffe francese impegna circa 100 dipendenti. Lo stabilimento sorgerà a Vigonza (Padova), dove il brand controllato dal gruppo Kering ha l’obiettivo di quadruplicare la produzione. L’edificio sarà completato entro la metà del 2017 in un’area di 6.500 metri quadrati, di cui 3mila coperti, con due piani riservati a uffici e laboratori e uno al ristorante interno per i lavoratori. “Era da tempo che il gruppo voleva fare investimenti in Italia, specificamente nella Riviera del Brenta, per rafforzare la presenza nel distretto della calzatura”, ha commentato il CEO di Ysl, Francesca Bellettini. Il territorio, che dispone di parecchie eccellenze tra cui il centro formativo del Politecnico calzaturiero, è da sempre sede dei poli calzaturieri di diversi marchi del lusso.
    Il distretto calzaturiero del Brenta ha un giro d’affari che nel 2015 ha di 1,99 miliardi di euro. - (PRIMAPRESS)
    PRIMAPRESS.IT - YSL investirà 5 milioni di euro nel distretto calzaturiero di Riviera del Brenta

    RINA conclude l’acquisizione del 100% del Gruppo Edif
    RINA SpA, la società che opera nel campo dell e ispezioni, certificazioni e l’ingegneria di consulenza multinazionale con sede a Genova, annuncia che ha chiuso l’acquisizione dell’intero capitale sociale di Edif Group Limited per 118,5 milioni di sterline (circa € 151 milioni).
    Genova, 21 luglio 2016 -
    RINA è una antichissima societa’ di classificazione a Genova, fondata per rispondere alle esigenze del mondo marittimo. L’azienda ha diversificata e oggi è un fornitore multinazionale di servizi di test, controllo, certificazione e consulenza tecnica alle organizzazioni nei settori dell’energia, marina, le imprese di assicurazione e mercati dei trasporti e delle infrastrutture.
    Edif Group è leader mondiale nella fornitura di una vasta gamma di servizi di ispezione e di consulenza in ingegneria tecniche volte a ridurre i rischi, ottimizzare le prestazioni e migliorare la capacità all’interno di diversi settori. Edif ha sede a Londra, Regno Unito, e impiega circa 650 dipendenti e 2.500 collaboratori in oltre 20 uffici a livello internazionale, tra cui il Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Italia, Canada, Arabia Saudita, Cina, Singapore, Australia e Sud Africa.
    EDIF, adesso parte del Gruppo RINA, rafforzerà l’accesso della società a nuovi mercati di cooperazione approfondita con gli uffici del RINA in tutto il mondo. Lavorando insieme la società, come un’entità più grande, sarà in grado di competere in modo più efficace per i contratti più grandi con le major di energia e di espandere la propria presenza negli Stati Uniti, un mercato geografico che il Gruppo RINA vede come una piattaforma in crescita continua.
    Con questo accordo il fatturato di RINA raggiunge circa € 500 milioni con un EBITDA vicino ai € 65 milioni. Ciò consentirà alla società di andare in borsa nel medio termine. Gli azionisti di RINA e partner finanziari, garantiranno ulteriori fondi per il perseguimento di un percorso di crescita acquisitiva.
    RINA conclude l?acquisizione del 100% del Gruppo Edif - Informatore Navale

    Maina raddoppia gli ordinativi
    I mercati mondiali continuano a premiare la qualità. In Inghilterra non pesa l’effetto Brexit
    L’estate dell'azienda piemontese Maina si è aperta con importanti nuovi accordi commerciali negli Stati Uniti d’America e in Messico che consentono all’azienda dolciaria, leader in Italia nella produzione di panettoni e pandoro, di raddoppiare gli ordinativi diretti in entrambe le aree rispetto al 2015. Luglio è per Maina, infatti, il mese della riaccensione dei forni e della riapertura delle linee di produzione per soddisfare le richieste di dolci che già giungono proprio da oltre i confini nazionali. Nel 2015 la quota dell’export di Maina è stata pari al 13,5% sul totale fatturato di 90 milioni di euro lordi e a questo ritmo le previsioni per il 2016 sono di un’ulteriore crescita.
    “La richiesta che arriva dai mercati internazionali consolida, ancora una volta, la nostra posizione di top player del settore lievitati da ricorrenza – sottolinea Marco Brandani amministratore delegato di Maina –”.
    Anche in Europa le vendite si preannunciano ottime, principalmente in Gran Bretagna, Belgio e Svizzera. In Inghilterra, in particolare, non si avvertono al momento ripercussioni dalla Brexit sulle vendite, anzi Maina prevede ad oggi una crescita del 10% rispetto allo scorso anno, rinforzando così la sua presenza su uno dei mercati più strategici. Anche quest’anno l’azienda dolciaria proporrà ai consumatori britannici il panettone ‘Amaretto e Cioccolato’, realizzato in esclusiva per Tesco la più grande catena distributiva inglese, che lo scorso Natale si è aggiudicato il premio come miglior prodotto natalizio sul mercato inglese.
    “Con questi risultati ci apprestiamo a vivere un’ altra stagione da protagonisti sui mercati mondiali della ricorrenza, che premiano sempre più la qualità e l’ attenzione dedicata al miglioramento delle ricette e alla scelta accurata degli ingredienti –conclude Brandani -. Da settimane le nostre rinnovate linee di produzione dello stabilimento di Fossano sono in funzione a pieno regime per soddisfare le tante richieste che arrivano dagli oltre 40 Paesi del mondo in cui siamo presenti”.
    Maina raddoppia gli ordinativi verso Stati Uniti e Messico, +15% in Canada*-*Quotidiano online della provincia di Cuneo



    Il Gruppo Palladio apre uno stabilimento in Russia
    Nuovo investimento all'estero per l'azienda vicentina che produce scatole per farmaci. Al lavoro nella nuova fabbrica una cinquantina di persone. Il debutto nel 2017
    Sarà operativo agli inizi del 2017 a Obninsk, a 80 chilometri da Mosca, il primo stabilimento russo del Gruppo Palladio, leader nazionale nella produzione delle scatole per farmaci.
    L'azienda, con sede a Dueville (Vicenza), distribuisce un miliardo e mezzo di astucci l'anno. Lo stabilimento, come riporta Il Giornale di Vicenza, è in fase di completamento e darà inizialmente lavoro ad una cinquantina di persone.
    In attesa del debutto in terra russa, l'azienda si dedica intanto a elaborare progetti legati alla medicina del futuro: dagli inchiostri intelligenti, in grado di comunicare con il cellulare, agli astucci parlanti, per segnalare al paziente la scadenza della successiva assunzione del farmaco.
    Il Gruppo Palladio apre uno stabilimento in Russia - Focus - Il Mattino di Padova

    Da una start up pordenonese tecnologia per una produzione più efficiente di metano
    Biovalene ha messo a punto un metodo brevettato di attivazione di consorzi di batteri più idonei a produrre metano. In questo modo si possono impiegare anche biomasse che solitamente vengono scartate per poca resa
    TRIESTE - Le biotecnologie possono migliorare l’efficienza degli impianti di biogas che producono energia elettrica. E’ quello che dimostra l’esperienza di Biovalene, startup pordenonese che ha messo a punto un metodo brevettato di attivazione di consorzi di batteri più idonei a produrre metano. Il risultato è una sensibile diminuzione del carico di biomassa utilizzata per la produzione di energia elettrica da parte di cogeneratori alimentati dal biogas.
    In termini quantitativi, in una centrale da 1MW è stato possibile ridurre di circa 4 tonnellate la quantità giornaliera di silomais equivalente in ingresso. Su base annua (365 giorni di funzionamento del congeneratore) ciò si traduce in 1500 tonnellate circa di materia prima risparmiata e 30 ettari in meno di terreno coltivabile dedicato.
    Bioreval - questo il nome della tecnologia - agisce sul consorzio batterico presente nei digestori, stimolandone la crescita e la funzionalità, soprattutto dei ceppi metanigeni (Archea).
    In sostanza, attraverso bioreattori dedicati, si procede all’arricchimento di piccole quantità di biomassa in fermentazione, avviandole quindi nei digestori dell’impianto per la produzione di biogas che si ritroverà così ad operare in breve con una flora batterica progressivamente potenziata. Il procedimento consente il raggiungimento e la conservazione di un equilibrio biologico ottimale dei processi in atto nei digestori consentendo di fatto anche risparmi energetici aggiuntivi.
    Da una start up pordenonese tecnologia per una produzione più efficiente di metano - Focus - Il Mattino di Padova



    Studio Svimez: Regioni del Sud poco attrattive per le imprese
    Lombardia in testa, seguita da Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte, Toscana e Trentino Alto Adige.
    Rispetto ai colleghi olandesi e tedeschi, gli industriali italiani continuano a percepire il Mezzogiorno come area arretrata e lamentano soprattutto la carenza di servizi di trasporto e la presenza della criminalità quali fattori che inibiscono l'insediamento di imprese.
    Sono solo alcuni dei dati emersi dallo studio "L'attrattivita' percepita di regioni e province del Mezzogiorno per gli investimenti produttivi" di Dario Musolino, pubblicato sull'ultimo numero della Rivista Economica del Mezzogiorno, trimestrale della Svimez, diretto da Riccardo Padovani ed edito da Il Mulino.
    Condotto su un campione di 225 imprese con sede in Italia, di diversi settori merceologici e almeno 20 addetti, lo studio si propone di analizzare in quali regioni e province italiane gli imprenditori preferiscano insediare un'azienda, e per quali motivi. L'analisi è stata condotta attraverso la somministrazione di un questionario, in cui era richiesto di assegnare a regioni e province punteggi compresi tra 1 (molto sfavorevole) a 5 (molto favorevole).
    Andando a guardare nel dettaglio le diverse tipologie d'imprenditori coinvolti (piccole o grandi imprese, imprese del manifatturiero o dei servizi, imprenditori giovani o anziani, con livello di istruzione differente) il risultato non cambia: tutti valutano in modo negativo l'attrattività delle regioni meridionali.
    L'analisi, che mette a confronto anche il divario percepito dagli imprenditori a livello soggettivo con quello reale certificato ad esempio dal livello del Pil procapite nelle varie regioni. Lo studio mette infatti a confronto le regioni più sviluppate e quelle meno sviluppate dell'Italia (Lombardia e Calabria) con quelle dell'Olanda (Utrecht e Winschoten) e della Germania (Frankfurt e Flensburg). dal paragone emerge che in Germania e Olanda il gap di attrattivita' tra le regioni è percepito in modo inferiore rispetto alla realta' (in Germania il divario di percezione e' 1,71 contro il 2,1 del divario reale; in Olanda e' rispettivamente 1,44 contro 1,8). Situazione capovolta in Italia, dove se il divario reale e' pari a 2, quello di percezione sale a 2,34. Secondo 1 su 4 degli imprenditori intervistati il problema maggiore viene dalla carenza di infrastrutture di trasporto e logistica, quindi dalla scarsa accessibilità del territorio meridionale (26,4%), seguito dalla povertà del tessuto produttivo (presenza di clienti, fornitori, altre imprese: 21,3%). Pesa fortemente anche la presenza della criminalita' organizzata (13%).
    Nella percezione degli imprenditori il Sud si presenta come un blocco monolitico tendenzialmente uniforme e ostile: "l'esistenza di molteplici Sud, differentemente attrattivi, si legge nello studio, non e' contemplata. In altre parole, per le imprese del Paese gli svantaggi localizzativi nel Mezzogiorno non presentano differenziazioni territoriali".
    Viceversa la Lombardia risulta la regione preferita dagli imprenditori italiani per insediare nuove imprese, seguita da Emilia Romagna, Veneto, Piemonte, Toscana e Trentino Alto Adige.
    Regioni.it - n. 2969 del 24-06-2016 - Studio Svimez: Regioni del Sud poco attrattive per le imprese - Regioni.it



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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Quei 24 imprenditori che hanno cambiato Milano
    Chi sono gli imprenditori che hanno fatto la storia economica milanese e non solo agli albori dell’industrializzazione moderna? Una galleria di personaggi che va da Enrico Mylius amico di Goethe, Massimo d’Azeglio e Manzoni, a Cesare Mangili, presidente dell’Esposizione Universale di Milano del 1906 e della Banca Commerciale, da Alberto Riva, ingegnere ma anche fondatore del Touring Club, a Benigno Crespi, che da imprenditore del settore elettrico diventa azionista di maggioranza del Corriere della sera e ne triplica la tiratura, da Carlo dell’Acqua, che già all’inizio del novecento allestisce sale di allattamento per le operaie, a Luigi della Torre, a capo di un impero editoriale, a Piero Pirelli, che continuo' l’opera del padre Giovanni Battista nel settore della gomma e con la sua presidenza della Camera di commercio internazionale porto' lustro al Paese ma fu anche presidente del Milan di inizio novecento e costrui' lo stadio di San Siro. E tanti altri più o meno noti.
    Per conoscere rapidamente le storie di questi imprenditori milanesi dei secoli scorsi e per ripercorrere i primi 140 anni delle Camere di commercio, a partire dalla loro istituzione nel 1786 sino al loro temporaneo scioglimento nel 1926 consiglio di consultare il volume “Le élite camerali 1786--192”, che fa parte della serie “Quaderni dell’Archivio storico” della Camera di commercio di Milano ed è stato realizzato con il coordinamento scientifico del Centro cultura d’impresa. Questo libro racconta attraverso 24 schede biografiche il percorso imprenditoriale dei primi rappresentanti della Camera di commercio di Milano. Uno spaccato di storia economica milanese.
    Innovazione, fiuto per gli affari, intraprendenza sono il minimo comun denominatore di questi imprenditori. Ma anche impegno sociale e politico. Queste le caratteristiche degli imprenditori milanesi vissuti tra la fine del ‘700 e l’inizio del ‘900, personaggi che oltre a favorire lo sviluppo economico del territorio, sono stati protagonisti dei primi 140 anni di vita della Camera di commercio di Milano. Impegnati nella propria impresa, ma anche viaggiatori, mecenati e benefattori. Figli di una Milano già allora internazionale, emerge infatti il legame con i Paesi tedeschi e gli altri Paesi europei.
    http://www.labissa.com/cultura-d-imp...1786-1926.html

    Irinox, ricavi a 25 milioni in crescita del 20%
    Dopo un 2015 più che positivo, continua il trend di crescita di Irinox Spa, azienda specializzata in tecnologie innovative per la ristorazione e la cucina, con stabilimenti a Corbanese di Tarzo e Scomigo in provincia di Treviso.
    I primi sei mesi del 2016 si chiudono, infatti, ben oltre le stime segnando una crescita del 20% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con ricavi consolidati pari a 25 milioni di euro. Le aspettative per la seconda parte dell’anno sono altrettanto positive.
    "Con una produzione 100% nostrana, Irinox Spa è un’azienda da sempre orientata all’export e gli ottimi risultati raggiunti nei primi mesi dell’anno sono frutto sia dei continui investimenti con capitale proprio, che del potenziamento della sua presenza in oltre 80 Paesi esteri. In questa direzione va il perfezionamento dell’acquisizione del 100% di Irinox USA, filiale americana del gruppo con sede a Miami. Si conferma così il percorso di rafforzamento di Irinox Spa a livello internazionale con l’obiettivo di diventare azienda leader per gli abbattitori rapidi di temperatura in tutto il mondo" spiega una nota.
    “I risultati dei primi sei mesi del 2016 sono stati superiori alle aspettative. Unitamente al rafforzamento sui mercati internazionali, che resta un nostro obiettivo primario, bisogna segnalare la positiva risposta del mercato interno, tutti segnali che ci fanno guardare con ottimismo alla chiusura di fine anno. - ha dichiarato Katia Da Ros, ceo dell'azienda - Gli investimenti realizzati e un piano industriale ambizioso, sempre coerente con le richieste e le opportunità del mercato, ci consentiranno di proseguire nel nostro percorso di crescita sia all’estero che in Italia. Negli ultimi 5 anni, siamo stati capaci di raddoppiare la nostra dimensione, crescendo a doppia cifra in ogni esercizio, e abbiamo tutti gli strumenti per replicare le stesse performance in futuro”.
    Irinox, ricavi a 25 milioni in crescita del 20 - Focus - Il Mattino di Padova




    Quanto ci costano le sanzioni alla Russia in termini di Grana (Padano)
    Elisabetta Longo
    Da agosto 2014 in Russia non è più entrata una forma di Grana Padano. Colpa della guerra commerciale tra Europa e Russia, scatenata dalle sanzioni imposte a Vladimir Putin da Bruxelles per la crisi ucraina. A quanto deciso dal presidente russo stesso, il divieto di importazioni di prodotti europei verrà prolungato fino a 31 dicembre 2017. Se le sanzioni europee saranno confermate, anche l’embargo potrebbe proseguire ulteriormente. Tra chi ci rimetterà di più figurano anche molti produttori agricoli e alimentari italiani, che da tempo erano presenti sui mercati e sulle tavole russe. Lo scorso 30 giugno Coldiretti ha organizzato a Verona una manifestazione contro le sanzioni a Putin che ha riunito secondo i giornali oltre 10 mila coltivatori e allevatori. L’associazione stima che a causa dell’embargo il settore ha perso 600 milioni di euro l’anno, e proprio in un momento in cui il mercato russo cominciava a essere molto interessante per noi. Conferma tutto in questa intervista a tempi.it il direttore del Consorzio Grana Padano, Stefano Berni.
    Agosto 2014, arriva l’embargo. Che tipo di mercato avevate davanti in quel momento?
    Stavamo per esportare 50 mila forme di Grana Padano. Ogni forma vale circa 400 euro, una volta esportata all’estero raggiunge un valore di circa mille euro. Così può calcolare che razza di perdita hanno subìto i nostri produttori. Per di più, moltissime forme sono state prodotte appositamente per il mercato russo, proprio in previsione di un boom di vendite. Invece sono rimaste nei magazzini e il loro valore si è abbattuto, come sempre accade con l’offerta in eccesso. Poi, per fortuna, almeno in parte sono state ridestinate ad altri mercati in cui la presenza del Grana Padano è importante, per esempio Stati Uniti e Canada, o in mercati emergenti come la Scandinavia e i Paesi del Nord.
    Quindi i russi, rimasti senza Grana Padano, si sono organizzati per cominciare a produrre alternative. Di un prodotto inimitabile.
    Da una decina d’anni stavamo accelerando sul mercato russo, con eventi promozionali, incontri e degustazioni. Finalmente stavamo ricevendo risposte positive, sulle tavole russe il Grana Padano cominciava a farsi largo con decisione. Quando l’Unione Europea ha deciso di sanzionare la Russia, avevamo registrato un fatturato doppio rispetto all’anno precedente. Stavamo per chiudere un accordo importante che avrebbe assicurato la nostra presenza sulla linea ad alta velocità Mosca-San Pietroburgo. È sfumato il lavoro di anni. Ma non ci siamo arresi: sappiamo che se si dovesse riaprire il mercato, grazie a questo impegno, riusciremmo ad affermarci con più facilità di prima, perché ormai i russi conoscono il prodotto.
    Su quali mercati state puntando adesso, in attesa di tornare in Russia?
    Le esportazioni negli ultimi anni sono aumentate del 50 per cento. La Germania è un paese in cui siamo molto forti, oserei dire che i tedeschi ci amano. Stiamo andando bene anche negli Stati Uniti e in Canada, mentre ci stiamo impegnando nei mercati orientali. Da quelle parti la questione è un po’ più complessa, la cucina è molto diversa dalla nostra, ma comunque anche lì il Grana Padano potrebbe trovare il suo ruolo. Diciamo che i giapponesi sembrano abbastanza interessati, il palato cinese invece è meno pronto.
    Il Grana Padano è molto imitato nel mondo. Questo è solo un danno o può trasformarsi in un vantaggio almeno in termini di popolarità?
    Il nostro prodotto non è un bullone, ogni singola forma ha una sua storia, una forma proveniente da Soresina sarà diversa in sfumature di sapore da una proveniente dal Veneto. Ci sono chef stellati che utilizzano esclusivamente il Grana di una certa zona e di una certa stagionatura, proprio perché non è un bullone, è materia viva, che racconta il territorio in cui è prodotto. Teniamo viva la ricetta tramandataci dai monaci cistercensi mille anni fa, e ad essa aggiungiamo standard elevati di sicurezza e tracciabilità dati dalla portata industriale.
    Basta la dicitura dop (denominazione di origine protetta) per differenziare il Grana Padano dalla concorrenza? Anche all’estero?
    Purtroppo all’estero il marchio dop, che è una dicitura europea, non viene adeguatamente difeso. Cioè se un’azienda di un paese non appartenente all’Unione Europea decide di fare un prodotto più o meno simile, che richiami l’originale fin nel nome, non è sanzionabile. In Turchia per esempio c’è il Rami Padano (“rami” in turco significa “grana”). Il marchio dop impone un disciplinare rigido a livello di ricetta e metodologia, ma al tempo stesso tutela il lavoro del produttore e il consumatore che acquista la forma. Per fare un chilo di Grana Padano servono 15 litri di latte, ogni forma pesa 38 chili. Con tutte le bottiglie di latte che utilizziamo ogni anno riusciremmo a coprire l’intera circonferenza della Terra. Ma per il momento non siamo ancora riusciti a tornare in Russia.
    Sanzioni Russia, quanti danni per il Grana Padano | Tempi.it



    I distretti veneti al top delle esportazioni italiane
    Il primato rilevato dal Monitor di Intesa Sanpaolo. Nel primo trimestre il Veneto è in forte progressione; molto bene il Trentino Alto Adige; Fvg in affanno per il mobile
    Bene le esportazioni del Veneto che rappresentano l’88% dell’export Triveneto, con un incremento di 111 milioni di euro (+1,9%).
    Si conferma la leadership italiana dei distretti veneti che, dopo essere stati trainanti nel 2015, a inizio 2016 sono rimasti in territorio positivo, mostrando una tenuta maggiore rispetto al resto d’Italia.
    Nel primo trimestre 2016 tra i primi 20 distretti italiani con maggiore crescita dell’export 7 sono veneti.
    I distretti del Trentino-Alto Adige hanno registrato la performance migliore in ambito italiano, mostrando un incremento rilevante pari al 5,9% e superando quota 400 milioni di euro di export, punto di massimo mai toccato nei primi tre mesi dell’anno.
    Si sono distinti il Legno e arredamento dell’Alto Adige (+28%) e i Vini di bianchi di Bolzano (+23,3%).
    Le aree distrettuali del Friuli-Venezia Giulia hanno chiuso con un calo del 2,8% delle esportazioni, imputabile quasi interamente al distretto del Mobile di Pordenone.
    Gli altri 5 distretti della regione hanno mostrato andamenti positivi o una sostanziale stabilità tra questi il migliore è stato il distretto dei Coltelli e forbici di Maniago con valori trimestrali di export sopra i 28 milioni di euro.
    Sono questi i dati più salienti che emergono dal Monitor dei distretti industriali del Triveneto, a cura della direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, aggiornato al primo trimestre 2016.
    Dopo un 2015 che ha segnato una ripresa delle esportazioni per i distretti industriali del Triveneto, il 2016 si è aperto con un lieve rallentamento del ritmo di crescita delle esportazioni, registrando un aumento dell’1,9%. Il dato va comunque letto positivamente, soprattutto se si considera il lieve calo sperimentato dalla media distrettuale italiana (-0,9%) e le difficoltà incontrate dalla concorrenza tedesca, che nei settori di specializzazione dei distretti ha accusato un calo delle vendite estere pari al -2,5%.
    In particolare si sono messi in evidenza i distretti del Trentino- Alto Adige che nel primo trimestre 2016, con 22 milioni di incremento e una variazione tendenziale di +5,9%, hanno registrato la migliore performance distrettuale italiana.
    Bene anche le esportazioni del Veneto (che rappresentano l’88% dell’export totale Triveneto), con un incremento di 111 milioni di euro (+1,9% la variazione tendenziale).
    A questo proposito va segnalato che nel primo trimestre 2016 tra i primi 20 distretti italiani con maggiore crescita dell’export 7 sono veneti.
    In evidenza diverse filiere produttive: il Sistema Moda, con l’Occhialeria di Belluno e la Calzatura sportiva di Montebelluna, l’agroalimentare con il Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene e le Carni di Verona, la meccanica, con la Meccanica Strumentale di Vicenza e la Termomeccanica di Padova, il sistema casa con il Mobile di Treviso.
    Tra i distretti che hanno chiuso il trimestre con calo tendenziale c’è L’Oreficeria di Vicenza è tra i distretti che ha subito l’arretramento maggiore (-11%), penalizzata dall’ulteriore perdita di terreno sul mercato svizzero.
    In Friuli-Venezia Giulia flette il mobile
    Nel primo trimestre del 2016 le aree distrettuali del Friuli-Venezia Giulia hanno chiuso con un calo tendenziale del 2,8% (pari a -11 milioni di euro) delle esportazioni, imputabile quasi interamente al distretto del Mobile di Pordenone.
    Gli altri 5 distretti della regione hanno mostrato andamenti positivi o una sostanziale stabilità: tra questi il migliore è stato il distretto dei Coltelli e forbici di Maniago con valori trimestrali di export sopra i 28 milioni di euro, in linea con i massimi storici toccati nel quarto trimestre 2015.
    Il distretto dei Vini del Friuli ha avuto buone performance grazie alla domanda dagli Stati Uniti e dal mercato tedesco.
    La Germania si afferma come protagonista della crescita anche delle esportazioni degli Elettrodomestici di Pordenone.
    Trentino-Alto Adige miglior regione in Italia
    Nel primo trimestre 2016 i distretti del Trentino-Alto Adige hanno registrato la performance migliore in ambito italiano, mostrando un incremento rilevante e pari al +5,9% e superando quota 400 milioni di euro di export, punto di massimo mai toccato nei primi tre mesi dell’anno.
    Due in particolare i distretti che si sono distinti per l’incremento tendenziale dell’export: il Legno e arredamento dell’Alto Adige (+28%, pari a +14 milioni di euro) e i Vini di bianchi di Bolzano (+23,3%, pari a +8,2 milioni di euro). In entrambi i casi è stato trainante il mercato tedesco.
    I distretti veneti al top delle esportazioni italiane - Focus - Il Mattino di Padova

    La rapina continua contro il Nord
    Per la Cgia di Mestre le regioni produttive versano il doppio di tasse rispetto al Meridione. Una frattura endemica che si allarga sempre di più, e fa saltare il rapporto tra tassazione e servizi goduti, in nome dell'assistenzialismo. Una soluzione ci sarebbe, si chiama rivolta fiscale...
    di Stefano Bruno Galli
    Ogni tanto la Cgia di Mestre ci fornisce dei dati sui quali riflettere per capire che fine abbia fatto la Questione Settentrionale. E questa volta ci spiega che dalla graduatoria relativa al peso della fiscalità emerge un paese profondamente spaccato in due. Il gettito che grava su ogni cittadino del Nord è circa il doppio di quello che si abbatte sul residente al Sud. Ma che bella novità!
    Per effetto dell’articolo 53 della Costituzione repubblicana, ogni cittadino concorre alla spesa pubblica in ragione della propria capacità contributiva. Ma il Nord è più sviluppato dal punto di vista produttivo e più ricco dal punto di vista economico. È del tutto evidente che versi di più rispetto a quelle aree che hanno una capacità produttiva – dunque una capacità fiscale – più bassa. Così si spiegano le fratture territoriali.
    Gianfranco Miglio sosteneva come l’articolo 53 sia infondato sotto il profilo giuridico-formale e frutto di una maldestra scelta ideologica effettuata dai costituenti. Non poggia infatti su una regola del diritto, che è sempre individuale e non può considerare soggetti collettivi. Il professore lariano avrebbe volentieri riscritto così l’articolo relativo alla fiscalità: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche nella misura in cui essi fruiscono delle stesse”. Vi deve essere cioè una relazione fra i servizi utilizzati dal cittadino e la pressione fiscale che si abbatte su di lui. Sacrosanto principio, del tutto sconosciuto nella cultura istituzionale di questo Paese.
    È l’adesione a un ordine politico, inteso nella sua dimensione collettiva, che vincola l’individuo all’impegno di contribuire dal punto di vista economico per sostenere i servizi che lo stesso ordine politico offre a ciascuno dei suoi membri. In linea teorica, ogni individuo dovrebbe contribuire solamente per prestazioni di cui usufruisce. E tuttavia, la complessità dei sistemi impone all’individuo di contribuire anche per sostenere le spese dello Stato, con le sue strutture e i suoi apparati. Il problema di sempre, in questo Paese, è che i servizi erogati dallo Stato sono spesso pessimi e di modestissima qualità. Le strutture del sistema, compresi gli apparati burocratico-amministrativi, hanno assunto una dimensione elefantiaca. E gravano sulla spesa pubblica improduttiva per effetto del dilagare del fenomeno del parassitismo.
    In questo modo il prelievo fiscale va ben oltre la capacità contributiva del singolo, supera la liceità e la legittimità. E sconfina nell’illegalità, quando alcuni tributi ce li fa pagare due, tre, quattro volte. Lo Stato è sleale e si configura come una vera e propria idrovora insaziabile che si abbatte sulla vita – e sulla dignità – del cittadino. Mentre il debito pubblico continua a salire, contestualmente all’innalzamento della pressione fiscale, con buona pace del Premier Renzi che sostiene – puntualmente smentito dall’Istat – come le tasse siano scese negli ultimi tre anni. Ma non è vero. Avanti di questo passo, progressivamente ci si avvicina veloci alla soglia dell’insurrezione fiscale: «l’obbedienza passiva non è virtù di uomini liberi», diceva Miglio. E quando le istituzioni non garantiscono più i sacrosanti diritti dei cittadini-contribuenti a usufruire di servizi decenti, «non obbedire diventa un dovere morale».
    Secondo il documento della Cgia ogni cittadino lombardo versa all’erario oltre 11mila euro all’anno, di fronte a una media italiana di 8500 euro. In fondo alla classifica – manco a dirlo – troviamo siciliani, campani e calabresi, che superano di poco i 5mila euro annui. Oltre l’81 per cento della pressione fiscale è in capo dallo Stato ingordo e predatore, burocratico e accentratore; circa il 10 per cento alle istituzioni regionali e l’8 per cento alle autonomie locali.
    A settembre dell’anno scorso L’Espresso ha realizzato un’inchiesta. “È sparito il Sud”, un terzo del Paese scomparso dalle mappe: questa la sentenza. Non ci voleva L’Espresso, bastava leggere con attenzione il Rapporto Svimez 2015 sull’economia del Mezzogiorno oppure lo studio Measuring Institutional Quality in Italy pubblicato dalla Rivista Economica del Mezzogiorno. Bastava guardare i dati dell’Istat: nel 2014 il Pil del Sud valeva quasi la metà rispetto a quello del Nord. E a nulla valgono i roboanti e – come sempre – ridicoli proclami del Governo: «sul Sud basta piangere, il 2016 sarà l’anno della svolta», ha affermato Renzi pochi mesi fa. Mentre sul Nord non dice mai nulla.
    Anche l’Economist, di recente, ha ricordato quanto incida il cleavage Nord-Sud sullo sviluppo economico generale del Paese. Nei fatti, la frattura definisce essenzialmente due sistemi economici chiusi in un solo paese. Dal 2008 al 2013 la contrazione dell’economia meridionale è avvenuta a velocità doppia rispetto al declino del Nord. Tra il 2001 e il 2013 l’economia del Nord è cresciuta del 2 per cento, quella del Sud ha subito una contrazione del 7 per cento. E al Sud si concentra circa il 70 per cento della disoccupazione.
    Sino a quando le dinamiche complessive dello sviluppo duale saranno così incisive, si registreranno significativi e importanti problemi di crescita, soprattutto se essa viene rapportata a quella delle grandi economie europee. Ricomporre la frattura, ridurre il cleavage è ormai impossibile. La questione di fondo è quella di sempre: ormai è una persistenza, una costante, visto che già nell’immediato secondo dopoguerra i giovani del “Cisalpino”, settimanale comasco, lamentavano come il Nord venisse considerato una “monumentale vacca da mungere”. Allora come oggi. Rassegnamoci, non c’è più nulla da fare. Se non la rivolta fiscale del Nord.
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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    DOVE VAI SE IL WIRELESS NON CE L'HAI - MILLE OGGETTI DI OGGI HANNO RADICI OTTOCENTESCHE E UN NOME DA RINGRAZIARE: GUGLIELMO MARCONI
    Un libro di Riccardo Chiaberge ricostruisce la vita avventurosa dell'inventore di telegrafo senza fili e radio - Le prime lezioni con Augusto Righi, gli affari, gli amori - Storia di un genio a cui il mondo deve molta della tecnologia di oggi...
    Piero Bianucci per ‘La Stampa'
    Telefonini, Gps, Wi-fi, tv satellitare, immagini trasmesse da sonde su Marte, microonde captate dal Big Bang. Cose di oggi e di domani ma con radici ottocentesche. Le onde radio emergono dalle equazioni di Maxwell sull'elettromagnetismo nel 1864, Hertz le scopre in laboratorio nel 1887, Guglielmo Marconi le porta fuori, sulle colline di Bologna nel 1895, e poi nel mondo con il telegrafo senza fili e la radio.
    Marconi non era uno scienziato. Nacque bricoleur, divento' un abile tecnologo e un manager spregiudicato. Attraverso' dal 1874 al 1937 una vita di contrasti e di gloria, di affari e amori appassionati. Una vita che Riccardo Chiaberge torna a percorrere in Wireless - Scienza, amori e avventure di Guglielmo Marconi (Garzanti, pp. 315, € 18,60), biografia-racconto che completa sul versante umano e privato quella di Giancarlo Masini pubblicata dalla Utet nel 1975.
    Marconi era poco più che un ragazzo quando seguiva da autodidatta le lezioni di Augusto Righi all'Università di Bologna e a casa trafficava con bobine, condensatori e altri apparati elettrici. Righi sosteneva che le onde radio non sarebbero mai andate lontano. Invece i segnali prodotti dal ragazzo con una scintilla elettrica nella soffitta di Villa Griffone a Pontecchio furono captati al di là di una collina, a un chilometro di distanza. Un contadino sparo' un colpo di fucile per avvertire che l'esperimento era riuscito. E' l'inizio del mondo moderno.
    Il telegrafo senza fili non ha certificato di nascita. Neppure il suo giovane inventore prese nota dello storico giorno della tarda estate 1895, e in una lettera sbaglio' addirittura l'anno dei suoi primi esperimenti. I giornali se la presero con calma. La prima notizia compare su Il Resto del Carlino il 22 dicembre 1896. Più di un anno dopo. E' in prima pagina, ma a una sola colonna, in basso.
    Il titolino dice: «L'importante invenzione di un bolognese». Il bello è che le informazioni non vengono dall'Italia ma dall'Inghilterra. Perché Guglielmo aveva offerto la sua invenzione al ministro delle Poste italiane, ma qui il burocrate di turno aveva giudicato il telegrafo senza fili di scarso interesse. Cosi' Marconi, che era figlio di una irlandese, ando' all'estero.
    Il testo dell'articoletto del Resto del Carlino è un record di ingenuità. Parla di un giornale tedesco che a sua volta riprende una notizia giunta da Londra «intorno alla nuova invenzione del telegrafo senza filo fatta colà da un giovane italiano, certo Marconi. In che consista questa nuova invenzione diremo più sotto, intanto ci affrettiamo a constatare, con la massima soddisfazione, che il Marconi è nostro con-provinciale, giacché appartiene a distinta famiglia di Pontecchio, in comune di Sasso». Vano orgoglio nazionale. Il telegrafo senza fili era già diventato il brevetto numero 12.039 registrato a Londra.
    Dopo l'esperimento di Villa Griffone, il ragazzo - pallido, magrissimo, senza titoli accademici - provo' a scavalcare con il suo apparecchio distanze sempre maggiori: 5, 10, 50 chilometri. dopo aver superato la Manica mettendo in contatto Inghilterra e Francia, incomincio' sognare un collegamento tra le due sponde dell'Atlantico.
    Come funzionava l'apparecchio di Marconi? Più o meno cosi'. C'era un rocchetto fatto con due avvolgimenti di filo di rame. Il rocchetto, detto di Ruhmkorff, serviva a produrre potenti scintille e una corrente alternata ad alta tensione. Con la scintilla, come aveva già scoperto vent'anni prima il fisico Hertz, venivano emesse invisibili «onde» sotto forma di oscillazioni del campo elettrico e magnetico.
    Queste onde possono propagarsi a grande distanza se aiutate - e qui sta la scoperta più originale di Marconi - con una antenna. Il ricevitore era costituito da un tubetto contenente limatura di nichel e di argento e da una pila. Quando l'antenna captava le onde elettromagnetiche, le convogliava nel tubetto e il loro passaggio faceva diminuire la resistenza elettrica della limatura metallica. di conseguenza la corrente elettrica della pila poteva passare, e faceva scattare il martelletto di un normale telegrafo a elettrocalamita.
    Nel 1901 Marconi era ormai sicuro che la sua tecnologia, da poco perfezionata con un sistema di sintonizzazione, fosse matura per tentare un collegamento intercontinentale. Sarebbe stato il colpo definitivo alla teoria di chi diceva che le onde hertziane non avrebbero mai potuto superare la curvatura terrestre. L'impresa più volte sembro' sul punto di fallire.
    Ma alla fine, il 6 dicembre, i tre impulsi che nell'alfabeto Morse indicano la lettera S passarono l'Atlantico, da Poldhu, in Cornovaglia, a Cap Cod, in America. Tremila chilometri di oceano non avevano fermato gli impulsi radio. Il New York Times il 15 dicembre dava la notizia al mondo: «Guglielmo Marconi ha annunciato stasera la più meravigliosa conquista scientifica dei tempi moderni». Nel 1909 il premio Nobel per la fisica segnerà il trionfo.
    La narrazione di Chiaberge non tralascia nessun aspetto tecnico, commerciale, affettivo, al limite del pettegolezzo (come la passione per l'attrice Francesca Bertini).
    Nominato nel 1927 presidente del Cnr, la morte lo sorprese il 20 luglio 1937 mentre lavorava sulle microonde. L'invenzione del radar era a un passo. Non poté compierlo ma oggi noi viviamo immersi nelle sue onde.





    La bellunese Rédéle firma gli occhiali Stefanel
    L'azienda fondata e diretta da Alessandro De Vecchi ha siglato un accordo di licenza in esclusiva mondiale per 5 anni con il marchio Stefanel. Il lancio della prima collezione eyewear è previsto a gennaio 2017
    Stefanel affida a Rédélé di Belluno la realizzazione dei suoi occhiali, con un contratto di esclusiva mondiale per cinque anni. “Per una piccola realtà come la nostra – commenta Alessandro De Vecchi, fondatore e general manager della Rédélé – è un sogno poter lavorare con un brand così importante e conosciuto a livello mondiale.”
    “Ho trovato grande affinità tra lo spirito casual e contemporaneo di Stefanel e lo stile anticonformista di Rédélé” - ha commentato Eleonora Stefanel, direttore creativo di Stefanel - si è creata una bella sinergia che ci consente di declinare il dna Stefanel in un accessorio dai tratti innovativi ”.
    Rédélé produrrà gli occhiali, buona parte dei quali in provincia di Belluno, in acetato, metallo e combinato, concentrandosi molto sul design e sui materiali.
    La prima collezione uscirà a gennaio del prossimo anno: 20 modelli da sole e da vista, ognuno da 4 a 6 colori. Con Stefanel verranno coordinate anche le campagne promozionali, così da poter riconoscere l'immagine del brand.
    La sinergia tra Rédélé e Stefanel è iniziata a metà dello scorso anno quando l'azienda trevigiana aveva richiesto a quella bellunese la realizzazione di un prodotto di alta qualità, tecnicamente molto avanzato, in particolare per quanto riguardava la realizzazione delle texture sulle aste, che ritraevano parti reali di maglieria. La produzione aveva coperto tutti i punti vendita Stefanel in Europa con una linea dedicata “Rédélé for Stefanel”.
    “La nostra produzione è piaciuta molto, perché in linea con i valori di innovazione e creatività che sono da sempre i tratti distintivi di Stefanel. Ora facciamo un salto di qualità andando a produrre occhiali Stefanel da vendere non solo nei loro punti vendita, ma anche nelle migliori ottiche europee. E' davvero una bella soddisfazione poter legare il nome Rédélé a quello di uno dei marchi storici dell'abbigliamento nostrano, conosciuto ed affermato in tutto il mondo.”
    Trentacinque anni, bellunese, Alessandro De Vecchi è entrato nel mondo dell'occhialeria nel 2011. L'idea del nome lo deve alla socia, Lucia Sorgato; suo zio, Jeanne Rédélé (una sorta di Pininfarina d'Oltralpe) fondò infatti nel 1954 la Alpine (o Alpine Renault), la casa automobilistica di Dieppe in Francia, specializzata nella costruzione di vetture sportive, poi entrata a far parte del gruppo Renault nel 1973. Una bella storia di tecnologia allora avanzatissima e di imprenditoria illuminata, nonché un bel marchio a cui De Vecchi e Sorgato hanno voluto rifarsi nel proporre la loro linea di occhiali. Lo stesso logo è tratto dalla targhetta del 1960 di quell'auto.
    De Vecchi punta a raddoppiare il fatturato entro la fine del 2018. In Italia Rédélé sviluppa il 60% del mercato, all'estero il 40%, soprattutto in Francia, Grecia, Germania e Spagna.
    La bellunese Rédéle firma gli occhiali Stefanel: 100 made in Italy - Focus - Il Mattino di Padova

    Nutella vuol dire fiducia
    Le banche? Non pervenute
    Ferrero prima azienda per reputazione tra i consumatori, davanti a Bmw e Pirelli.
    Maddalena Camera
    Vade retro banche, meglio la Nutella. Certo è più gustosa, sa di cioccolato ed è prodotta da un'azienda, la Ferrero, che gode della fiducia dei consumatori. Le banche invece sono viste con sospetto anche, e soprattutto, dopo l'entrata in vigore del bail-in e che il salvataggio di Etruria, Banca Marche, CariFe e CariChieti ha spazzato via gli obbligazionisti subordinati.
    Le tesi esposte, la grande fiducia nell'appeal della crema di nocciole e la scarsa sul fronte bancario, non sono sentimenti a caso ma sono elaborati da una classifica, RepTrak Italia 2016, che ha stilato la lista delle 50 aziende più reputate nel Bel Paese. In questo ambito il gigante dell'alimentare Ferrero, che fa capo alla omonima famiglia (oggi l'ad è Giovanni Ferrero), è al primo posto per reputazione in Italia per il secondo anno consecutivo (score 85,8), seguita da Bmw (82,0) e Pirelli (81,5) che balza al terzo posto dal quindicesimo del 2015, mentre finiscono addirittura fuori classifica Banco Popolare e Ubi Banca che l'anno scorso occupavano rispettivamente la 36esima e 37esima posizione.
    La classifica è realizzata analizzando la percezione che il consumatore ha di una azienda valutandola secondo sette parametri: prodotti e servizi, grado di innovazione, ambiente lavorativo, governance, responsabilità sociale, leadership e performance.
    Tra le migliori 10 ci sono anche Michelin, Giorgio Armani Group, Barilla, Luxottica, Delonghi e Brembo. Rispetto al 2015 la reputazione delle aziende è in leggera crescita e le società italiane o, come Bmw, branch della casa madre tedesca ma presente nel nostro Paese, hanno guadagnato circa 3 punti nello score stilato da Rep Track. Le peggiori, a parte Volkswagen che, a causa del dieselgate, è fuori dal ranking 2016, sono comunque le aziende bancarie.
    A livello mondiale, al primo posto in classifica c'è Bmw, seguita da Google, Daimler, Rolex e Lego. Ferrero è comunque la prima azienda italiana e figura al 20° posto. Seguono altre italiane, come Pirelli e Giorgio Armani.
    Nutella vuol dire fiducia Le banche? Non pervenute - IlGiornale.it



    Crescita e innovazione: il Veneto è al top
    Il Veneto è tra le regioni italiane meglio posizionate in relazione all'attrattività e alla crescita, secondo l'analisi dell'indicatore di Potenzialità economica dell'Osservatorio sull'Innovazione digitale EY-Confindustria, presentato in occasione dell'incontro "Viaggio nell'Italia che innova" organizzato dal Sole 24 Ore, Confindustria e la Piccola industria di Confindustria, in collaborazione con EY.
    Nel dettaglio, le componenti che contribuiscono all'indicatore "crescita" sono salute (66,1 punti), capitale umano (100) e istruzione terziaria (67,2), mentre quelle della "competitivita'" sono efficienza del mercato del lavoro (74,6), ampiezza del mercato (80,5), maturità del sistema (39,9) e infrastrutture (61). Infine, la componente "attrattivita'" si può scomporre in istituzioni (96,4), capacità tecnologiche (84,2) e innovazione (40).
    Guardando in particolare all'indicatore di innovazione digitale, cioe' il livello di digitalizzazione delle imprese, il Veneto risulta ben posizionato sulle aree "connettersi e crescere, a testimonianza di un buon avanzamento della regione verso l'utilizzo di tecnologie digitali avanzate nel business e una buona spinta alla crescita competitiva". Ad ogni modo, "le performance del Veneto appaiono positive su tutte le aree, ad eccezione dell'area finanziamenti dove appare più debole".
    Il "buon posizionamento sulle tematiche legate all'attrattività (punteggio pari a 83,7 su un massimo di 100) e alla crescita (punteggio di 83,1)" è dovuto "a fattori relativi alla qualità del capitale umano (100) e alle istituzioni (96,4)" e questi fattori vanno meglio dell'area di competitività (punteggio di 70,4), che comunque ha "alcuni punti di relativa forza relativi al mercato potenziale (80,5) e a quella del lavoro (74,6)". In particolare, il Veneto "ottiene in tutti gli indicatori che compongono l'indice di potenzialità economica punteggi superiori alla media Italia e si posiziona tra le prime regioni nella classifica generale".
    Il Veneto è subito sotto il podio, composto da Lombardia, Emilia-Romagna e Trentino Alto Adige.
    Crescita e innovazione: il Veneto è al top - Focus - Il Mattino di Padova


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    Predefinito Re: Padania intraprendente

    Contratto integrativo Luxottica
    Senza assenze 500 euro in più
    Nasce la «Banca ore etica»: ciascun dipendente potrà donare ore accumulate a un collega che ne avrà bisogno
    AGORDO
    Definito il regolamento relativo al premio di risultato per i lavoratori di Luxottica. A seguito di accordi tra le parti sociali e di assemblee con i lavoratori, i «numeri» e i criteri sono stati stabiliti. Il premio vale 1.892 euro lordi, i parametri per l’attribuzione sono legati principalmente alla redditività dell’azienda, alla riduzione degli sprechi e al non superamento di una certa percentuale di assenze. Si è altresì stabilito che, nel caso in cui le assenze individuali restino a quota zero, il dipendente avrà diritto ad ulteriori 500 euro.
    In sostanza, si tratta di voci del contratto integrativo che andavano specificate. Prende vita anche la «Banca ore etica». In sintesi, ciascun dipendente potrà donare una parte o la totalità delle proprie ore accantonate a favore di uno o più colleghi che ne avessero necessità. L’azienda raddoppierà il numero delle ore donate. «Il dipendente che necessita di tempo - ha affermato la Casanova – anche per questioni familiari, potrà contare su un monte di 80 ore al massimo». A livello generale, gran parte dei contenuti dell’integrativo del gigante dell’occhialeria erano stati definiti a fine ottobre 2015.
    Contratto integrativo Luxottica Senza assenze 500 euro in più - Corriere del Veneto



    Samsung e Marelli: l’oblio dei simboli industriali di Milano
    Massimo Sideri
    Ora che una conglomerata mondiale come Samsung ha acceso il suo faro sull’azienda Magneti Marelli scopriamo che quello che forse diventerà coreano era un gioiello, un brand internazionale e, non ultimo, un pezzo di storia di Milano. Il destino delle aziende italiane, come spesso quello dei nostri innovatori, è di essere dimenticati, fino a quando qualcuno non ce lo ricorda. Il che accade, generalmente, troppo tardi: quando lo scienziato diventa cervello in fuga o la società diventa straniera.
    Per chi ha avuto il piacere di vivere quando le automobili avevano ancora la «candela», Magneti Marelli era un marchio noto, da cui dipendeva l’accensione del mezzo. Era una lezione fondamentale alla scuola guida. Ma la società fondata da Ercole Marelli a Sesto San Giovanni nel 1891 era molto di più. Negli anni Trenta i suoi laboratori di ricerca erano così importanti che anche Enrico Fermi, nei suoi anni d’oro, non disdegnò di essere un «consulente scientifico» dell’azienda. Quando il fisico vinse il premio Nobel fu la Magneti Marelli a organizzare la cerimonia per festeggiarlo.
    È sempre la Magneti Marelli che nel 1939 realizzò il primo sistema sperimentale per trasmissioni televisive. Fu il primo ponte radio tra due simboli della città: la Fiera di Milano, che ormai ha lasciato spazio a CityLife, e la Torre Branca vicino alla Triennale. Vent’anni dopo, con l’arrivo della tv nelle case degli italiani, la società di Sesto occupò il mercato dei tubi catodici, un settore dove, per inciso, Milano ha avuto un ruolo particolarmente importante, anche qui nell’oblio di molti: l’altra società che dominò il mondo scomparso dei tubi catodici fu la Saes nata in via Monterosa e trasferitasi a Gallarate proprio grazie al successo dei suoi «getters», sorta di anelli per imbrigliare il vuoto. Certo, oggi tutto è internazionale, globale e non c’è spazio per amarcord di genere o sentimentalismi nazionalistici.
    Se anche quest’angolo di Sesto diventerà asiatico sarà la conferma di un trend ormai evidente. Pirelli, Inter, Milan, la lista è corposa e coerente. Ma in ogni caso la Magneti Marelli resterà il simbolo di un’epoca in cui le nostre imprese investivano in ricerca ad altissimi livelli, non si ponevano limiti nelle sfide e non soffrivano di complessi di inferiorità come oggi accade con la Silicon Valley. Il simbolo va, la storia rimane.
    Samsung e Marelli: l?oblio dei simboli industriali di Milano








    Manifattura 4.0, la via Emilia che batte i tedeschi
    Ilaria Vesentini
    Il patron di System Group, Franco Stefani, non smentisce la sua fama di pioniere dell’innovazione negli impianti di automazione per l’industria ceramica, la logistica e il packaging. Impianti che dal 1970 a oggi hanno cambiato gli standard mondiali, dalla decorazione digitale Rotocolor alle mega-lastre ceramiche Laminam fino alla tecnologia per il confezionamento su misura Freebox.
    IL VALORE DELLA FILIERA
    Un’avanguardia che dal 1970 è il biglietto da visita della multinazionale di Fiorano Modenese, come testimoniano gli oltre 200 brevetti all’attivo nel cuore del distretto della piastrella e la velocità di sviluppo: +61% il fatturato negli ultimi cinque anni (440 milioni di euro i ricavi 2015) e il traguardo già certo quest’anno di sfondare il mezzo miliardo di giro d’affari, per il 60% legato al mondo ceramico e per oltre l’85% realizzato oltreconfine.
    E oggi System è protagonista di questa “converting industry” (così Stefani preferisce chiamare l’Industria 4.0) dove il digitale trasforma i processi e le tecnologie “bus di campo” mettono in rete tutte le macchine e i dispositivi trasformando la fabbrica reale in realtà aumentata. Stefani nella sua “innovation valley”, come ha battezzato l’headquarter emiliano (il gruppo lavora su otto poli produttivi tra Italia, Spagna, Cina e Usa e ha 35 società controllate in 25 Paesi) è da anni attivo silenziosamente nella frontiera dell’Internet of things.
    All’interno di System è stato creato un dipartimento speciale chiamato “Digital industrial design”, in cui lavorano ingegneri elettronici, meccanici e informatici assieme a chimici e fisici con il compito di plasmare il nuovo modello di Industria 4.0 per il settore ceramico, che dovrà diventare il benchmark mondiale. Un modello in cui si passa da produzioni su larga scala a piccole serie o singoli prodotti, che richiedono un’agilità manifatturiera senza precedenti. «Da costruttori di macchine per l’automazione diventeremo fornitori di servizi e in questo scenario saranno le risorse umane a fare la differenza, perché servirà capacità di gestire e supervisionare processi completamente digitalizzati e interpretare quantità enormi di informazioni», prevede il presidente, che ha messo le mani avanti assumendo 350 alti profili lo scorso anno per accompagnare il salto tecnologico, portando gli organici a quasi 1.800 dipendenti.
    Il traguardo di System 4.0 è sviluppare una piattaforma integrata di servizi software con cui il cliente può controllare la capacità produttiva di interi stabilimenti, attraverso una unica interfaccia che riassume in sé l’intero ciclo produttivo, dove tecnologie digitali e processi manifatturieri si fondono e danno vita a una fabbrica olistica completamente interconnessa. Un destino già scritto per chi come System ha il core business nella produzione di beni strumentali di analisi e di processo basati su sensori e sulla trasmissione di dati ad altissima velocità. «Quello che manca in Italia non sono le imprese 4.0, ma le infrastrutture per fare assistenza e monitoraggio a distanza in tempo reale», sottolinea il titolare. Che oggi esporta i suoi sistemi per il settore ceramico in Cina, settore in cui è leader al mondo. «Mi confronto con la Germania dal 1980 e non mi sento secondo a nessuno. Nella logistica industrializzata siamo noi a vincere la competizione coi tedeschi, come soluzionisti, e clienti globali come Pepsi Cola o Carlsberg ci scelgono perché siamo quelli con l’idea migliore e che portano a risultato gli impianti nel minor tempo. La differenza sono i nostri cervelli, le nostre risorse umane», rimarca. E sulla formazione 4.0 il gruppo System sta investendo da anni, come processo naturale di una fabbrica intelligente e digitalizzata che si evolve nella sua globalità e anticipa con la formazione le trasformazioni in arrivo.
    Manifattura 4.0, la via Emilia che batte i tedeschi - Il Sole 24 ORE





    Saiv group, nel 2015 fatturato a 31,1 milioni
    È il primo risultato economico dopo l'acquisizione da parte del gruppo del 100% di Teletronica, azienda di Campoformido (UD), un'operazione che ha portato alla nascita di una realtà unica nel Nord Italia nell'Ict.
    Saiv Group, azienda di Vicenza specializzata nel settore dell'Information e Communication Technology, ha chiuso il bilancio 2015 con un fatturato di 31,1 milioni di euro. È il primo risultato economico dopo l'acquisizione da parte del gruppo del 100% di Teletronica Spa, azienda di Campoformido (Udine), un'operazione che ha portato alla nascita di una realtà unica nel Nord Italia nel comparto dell'Ict.
    La capogruppo Saiv ha ottenuto ricavi per 20,9 milioni di euro, in aumento di circa il 7% rispetto al 2014. L'azienda prosegue così il trend di crescita registrata negli ultimi anni, che l'ha vista entrare in alcuni importanti mercati internazionali, in particolare del Nord Africa e del Medio Oriente, una crescita accompagnata dall'incremento del numero dei collaboratori. Saiv Group conta 130 dipendenti, a cui si aggiungono 21 commerciali che operano in Italia e all'estero. Dal 2015 sono state inserite 15 nuove figure e nei prossimi mesi l'azienda assumerà 5 giovani neolaureati. «La capacità di innovare servizi e prodotti e una serie di strategiche partnership e acquisizioni, con l'ingresso in nuovi mercati - ha detto il presidente Alessandro Bregolato - in questi anni ci hanno permesso di ottenere delle ottime performance economiche, confermate dell'esercizio 2015.
    Oggi SAIV Group è una delle più importanti realtà del Nord Italia in un settore molto competitivo e in continua evoluzione, come quello dell'ICT. Sulla base di questi risultati positivi continueremo ad investire per consolidare la nostra leadership e proseguire nel percorso di crescita, con una particolare attenzione all'internazionalizzazione e ai giovani talenti».
    Saiv group, nel 2015 fatturato a 31,1 milioni - Focus - Il Mattino di Padova


 

 
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