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    Predefinito Chiesa e immigrazione: testimonianze e documenti


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    Predefinito Rif: La "Exsul Familia", PIO XII e gli immigrati

    Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

    People on the Move - N° 90, December 2002, p. 183-184.
    “Ricorre Oggi, 1° Agosto Il 50.Mo Anniversario Della Costituzione Apostolica Di Pio XII Sulle Migrazioni, La Exsul Familia”

    Intervista di Radio Vaticana a S.E. Mons. Agostino Marchetto


    La "Exsul Familia" è una Costituzione Apostolica (un documento solenne, dunque) con il quale Pio XII, 50 anni fa, ha voluto riprendere e sintetizzare la visione del Magistero ecclesiale nei riguardi del fenomeno migratorio. Lo richiedeva ormai un secolo di migrazioni. Lo richiedeva il momento storico, il dopoguerra, che vedeva un’Europa in preda a drammatiche tensioni politiche ed economiche che avevano provocato la ripresa di imponenti flussi migratori. La Chiesa fino allora aveva considerato il fenomeno migratorio con una certa preoccupazione, per i numerosi pericoli ad esso impliciti. Nel 1952 essa incominciava invece ad intravederne pure le potenzialità, culturali e spirituali, secondo la teologia della storia. Per ulteriori informazioni è con noi l’arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Eccellenza l'ascoltiamo:

    In questo documento considerato la magna charta del pensiero della Chiesa sulle migrazioni erano precisati e codificati alcuni principi basilari circa l’assistenza religiosa ai migranti, vale a dire l’erezione di parrocchie nazionali e di missioni con cura d’anime e l’assistenza religiosa curata da sacerdoti della stessa lingua e cultura dei vari gruppi etnici. Si introducevano in sostanza elementi di sano pluralismo nell’assistenza agli emigrati, contro la tendenza a una immediata loro assimilazione, sostenuta da alcuni Vescovi dei Paesi di accoglienza. Un limite fu l’aver previsto allora la cura pastorale specifica, per i migranti, solo fino alla seconda generazione.

    L’Exsul Familia ha avuto un seguito?

    Le migrazioni costituiscono un fenomeno estremamente cangiante. È ovvio che l’esame di esso e delle sue conseguenze e lo stabilimento della relativa normativa pastorale doveva, di conseguenza, continuamente aggiornarsi. Nel 1969 Paolo VI emanava infatti la De pastoralis migratorum cura, cui faceva seguito l’importante Chiesa e mobilità umana, nel 1978. Entrambi i documenti si rifacevano a una nuova inquadratura giuridica del Diritto Canonico, il quale a sua volta traduceva nella sua normativa le principali istanze emerse in Concilio. Ciò rivela la costante premura e attenzione della Chiesa verso i più assillanti problemi dei migranti. Essa risponde sottolineando il primato e la centralità della persona, la necessità della tutela e valorizzazione delle minoranze nella società civile ed ecclesiale, il valore delle culture nell’opera di evangelizzazione, il contributo delle migrazioni alla pacificazione universale, la dimensione ecclesiale e missionaria del fenomeno migratorio, l’importanza del dialogo e del confronto all’interno della società civile, della comunità ecclesiale e tra le diverse confessioni e religioni. Giovanni Paolo II, poi, nei suoi frequenti interventi sulla problematica umana, sociale e religiosa dell’emigrazione, ha dato e dà a questo fenomeno, oggi sempre più in evidenza, una singolare impronta personale, caratterizzata dal forte carattere umanista, oltre che cristiano, delle sue encicliche.

    Ed ora si delineano nuove proposte circa la pastorale migratoria?

    Da qualche tempo il fenomeno delle migrazioni si è, ancora una volta, notevolmente trasformato. Molti Paesi, tra cui l’Italia, da Paesi di emigrazione sono diventati Paesi di immigrazione. Inoltre non sono più solo i cristiani ad emigrare, ma pure altri, di diversa cultura e religione, che si sono insediati nei Paesi più industrializzati. Le nostre società nazionali sono quindi destinati a diventare sempre più multiculturali. Altre esigenze, poi, emergono e altri valori devono ora essere perseguiti. Mi riferisco al dialogo interculturale e interreligioso. Dovrà altresì nascere un nuovo concetto di integrazione, e la nostra visione sarà più universalistica e missionaria. Diventerà necessario, nel rispetto della loro vocazione, un più marcato impegno e coinvolgimento dei laici cristiani nel lavoro pastorale della Chiesa. Potrebbero essere questi i capisaldi di un nuovo documento che viene oggi auspicato e che stiamo preparando. Nel ricordo del 50.mo anniversario della Exsul Familia la comunità ecclesiale prende cosi sempre più coscienza della sua missione universale, nel mondo e nella storia, davanti a Dio e agli uomini, fiduciosa che i migranti saranno alla fine strumento di unità e di pace, in un mondo sempre più unito, nel bene, e solidale.


    People on the Move, N° 90 - Marchetto: 50.mo anniversario della Exsul familia

  3. #3
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    Predefinito Rif: La "Exsul Familia", PIO XII e gli immigrati

    Il testo della costituzione apostolica "Exsul Familia".

    Exsul Familia Nazarethana

    Incipit:


    The émigré Holy Family of Nazareth, fleeing into Egypt, is the archetype of every refugee family. Jesus, Mary and Joseph, living in exile in Egypt to escape the fury of an evil king, are, for all times and all places, the models and protectors of every migrant, alien and refugee of whatever kind who, whether compelled by fear of persecution or by want, is forced to leave his native land, his beloved parents and relatives, his close friends, and to seek a foreign soil.

  4. #4
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    Predefinito Rif: La "Exsul Familia", PIO XII e gli immigrati

    L’Osservatore Romano ha espresso “turbamento” per la coreografica dimostrazione di forza degli islamici italiani, riunitisi per la preghiera davanti al duomo di Milano e di Bologna. L’opinione pubblica, a sua volta, può aver provato perplessità per questo turbamento, data l’idea diffusa che la Chiesa sia comunque per l’accoglienza, per l’apertura delle frontiere e per il diritto di immigrazione. I vescovi tedeschi hanno dichiarato che il diritto di costruzione di moschee non è sottoposto al principio della reciprocità; ci sono conventi francescani che hanno donato il terreno per la costruzione di una moschea, le principali opposizioni alla Bossi-Fini vengono dalle associazioni cattoliche e il principale argomento di attrito tra Lega ed episcopato veneto è proprio la questione immigrati. Ma è proprio vera questa vulgata secondo cui i cattolici debbono essere sempre e comunque per l’immigrazione, senza se e senza ma?

    A leggere i documenti ufficiali della Chiesa sembra proprio di no. Innanzitutto la Chiesa parla molto chiaro sui doveri degli immigrati, oltre che su quelli dei cittadini dei paesi ospitanti. Perfino il “papa buono”, Giovanni XXIII, diceva che il migrante “deve accettare dal nuovo paese le caratteristiche particolari, impegnandosi a contribuire con le proprie convinzioni e con il proprio costume di vita allo sviluppo della vita di tutti”. Deve superare il “tentativo di isolamento” – egli diceva – mentre è in atto, come scrive Walter Laqueur, una “auto-ghettizzazione” degli immigrati islamici, con la formazione in Europa di società parallele.

    Sui doveri dei migranti insiste molto la De pastorali migratorum cura di Paolo VI del 22 agosto 1969, secondo cui “chi si reca in un altro paese deve avere molta stima del suo patrimonio, della sua lingua, dei suoi costumi, perciò i migranti si adattino volentieri alla comunità che li accoglie e si affrettino a impararne la lingua sicché possano integrarsi meglio nella nuova società”. Il motivo di fondo è che l’integrazione non dipende tanto dalle politiche amministrative ma dagli atteggiamenti di reciprocità tra cittadini della società e gli immigrati.

    Ma il concetto più interessante è quello di “equilibrio culturale”, proposto da Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2001. Egli segnala il dovere di “garantire ad un determinato territorio un certo equilibrio culturale, in rapporto alla cultura che lo ha prevalentemente segnato” in modo da permettere “la permanenza e lo sviluppo di una determinata fisionomia culturale”. Chi appartiene ad un territorio, in altre parole, ha diritto al permanere della cultura in cui è nato perché possa godere di una crescita equilibrata.

    Secondo la Chiesa, quindi, il diritto ad emigrare e il diritto ad immigrare non sono equivalenti. Il primo non può essere limitato, il secondo sì, quando siano in gioco il bene comune o l’integrità culturale di un popolo, minacciati da una migrazione eccessiva. A chi mette piede sul suolo nazionale non può essere negato l’aiuto che si deve ad ogni essere umano, le coste non possono essere militarizzate, però ciò non significa che non sia lecito regolare i flussi migratori, selezionarli in base alle maggiori possibilità di integrazione, pretendere dagli immigrati l’assunzione di doveri, fornendo loro una cornice ineliminabile dentro cui devono trovare spazio anche i valori dell’immigrazione musulmana.

    Tutti i documenti ufficiali insistono sulla libertà di emigrare, sul diritto al ricongiungimento familiare, sul diritto ad una tutela dell’immigrato, al superamento di pregiudizi e sul divieto di discriminazioni, ma affermano anche che “la solidarietà richiede reciprocità”. Questa frase è della Nota pastorale della Cei del 1990 dal titolo Uomini di culture diverse: dal conflitto all’integrazione, la quale anche aggiunge “Fa parte della stima dell’altro non solo l’offerta di accoglienza e di aiuto, ma anche l’attesa di una risposta analoga”.

    Il magistero, quindi, ha parlato in modo chiaro e, in base al realismo cristiano, cerca di tener conto dei diritti di tutti. L’impressione è che le chiese locali, singoli vescovi e un associazionismo cattolico non sempre attento a leggere per intero le indicazioni dei suoi pastori, tendano ad un buonismo semplificatorio che non aiuta ad affrontare le reali questioni sul tappeto.


    Non è vero che la Chiesa è per un'immigrazione senza se e senza ma | l'Occidentale

  5. #5
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    Predefinito Rif: La "Exsul Familia", PIO XII e gli immigrati

    Giacomo Biffi: Sull'immigrazione



    Intervento dell'arcivescovo di Bologna al Seminario della Fondazione Migrantes, 30 settembre 2000


    Giacomo Biffi: Sull'immigrazione

    [...]

    Le generiche esaltazioni della solidarietà e del primato della carità evangelica - che in sé e in linea di principio sono legittime e anzi doverose - si dimostrano più generose e ben intenzionate che utili, se rifuggono dal commisurarsi con la complessità del problema e la ruvidezza della realtà effettuale. [...] nel 1990 la Nota pastorale della Commissione ecclesiale "Giustizia e pace" dal titolo: Uomini di culture diverse: dal conflitto alla solidarietà; e nel 1993 gli Orientamenti pastorali della Commissione ecclesiale per le migrazioni dal titolo: Ero forestiero e mi avete ospitato. Ambedue i testi, molto estesi e analitici, sono più che altro (e doverosamente) tesi a costruire e a diffondere nella cristianità una "cultura dell'accoglienza". Manca invece un po' di realismo nel vaglio delle difficoltà e dei problemi; e soprattutto appare insufficiente il risalto dato alla missione evangelizzatrice della Chiesa nei confronti di tutti gli uomini, e quindi anche di coloro che vengono a dimorare da noi. [...] E' incontestabile, per esempio, il principio che a ogni popolo debbano essere riconosciuti gli spazi, i mezzi, le condizioni che gli consentano non solo di sopravvivere ma anche di esistere e svilupparsi secondo quanto è richiesto dalla dignità umana. Gli organismi internazionali sono sollecitati a farsi carico delle iniziative atte a conseguire questa mèta e non possono perdere di vista questo necessario ideale di giustizia distributiva generale; e tutto ciò vale - in modo proporzionato e secondo le reali possibilità - anche per i singoli stati. Ma non se ne può dedurre - se si vuol essere davvero "laici" oltre tutti gli imperativi ideologici - che una nazione non abbia il diritto di gestire e regolare l'afflusso di gente che vuol entrare a ogni costo. Tanto meno se ne può dedurre che abbia il dovere di aprire indiscriminatamente le proprie frontiere.Bisogna piuttosto dire che ogni auspicabile progetto di pacifico inserimento suppone ed esige che gli accessi siano vigilati e regolamentati. E' tra l'altro davanti agli occhi di tutti che gli ingressi arbitrari - quando hanno fama di essere abbastanza agevolmente effettuabili - determinano fatalmente da un lato il dilatarsi incontrollato della miseria e della disperazione (e spesso pericolose insorgenze di intolleranza e di rifiuto assoluto), dall'altro il prosperare di un'industria criminale di sfruttamento di chi aspira a varcare clandestinamente i confini. [...] Una consistente immissione di stranieri nella nostra penisola è accettabile e può riuscire anche benefica, purché ci si preoccupi seriamente di salvaguardare la fisionomia propria della nazione. L'Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza una inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto. [...]

  6. #6
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    Predefinito Rif: La "Exsul Familia", PIO XII e gli immigrati

    Ancra Bffi, tratto dallo stesso documento, sull'immigrazione islamica:


    [...]
    Se non si vuol eludere o censurare tale realistica attenzione, è evidente che il caso dei musulmani vada trattato a parte. Ed è sperabile che i responsabili della cosa pubblica non temano di affrontarlo a occhi aperti e senza illusioni. Gli islamici - nella stragrande maggioranza e con qualche eccezione - vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra "umanità", individuale e associata, in ciò che ha di più essenziale, di più prezioso, di più "laicamente" irrinunciabile: più o meno dichiaratamente, essi vengono a noi ben decisi a rimanere sostanzialmente "diversi", in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro. [...] se il nostro Stato crede sul serio nell'importanza delle libertà civili (tra cui quella religiosa) e nei princìpi democratici, dovrebbe adoperarsi perché essi siano sempre più diffusi, accolti e praticati a tutte le latitudini. Un piccolo strumento per raggiungere questo scopo è quello della richiesta che venga data una "reciprocità" non puramente verbale da parte degli stati di origine degli immigrati. [...] Le comunità cristiane - in funzione di un approccio sapiente e realistico al fenomeno dell'immigrazione - non possono non valutare attentamente i singoli e i gruppi, in modo da assumere poi gli atteggiamenti più pertinenti e più opportuni. Agli immigrati cattolici - quale che sia la loro lingua e il colore della loro pelle - bisogna far sentire nella maniera più efficace che all'interno della Chiesa non ci sono "stranieri": essi a pieno titolo entrano a far parte della nostra famiglia di credenti, e vanno accolti con schietto spirito di fraternità.

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    Predefinito Rif: La "Exsul Familia", PIO XII e gli immigrati

    Mons. Marchetto*, Presidente del Pontificio Consiglio per i Migranti:
    intervento dell'ottobre 2008.


    “Il fenomeno migratorio in un mondo globalizzato sta diventando inarrestabile: il problema non si risolverà chiudendo le frontiere, ma accogliendo, con giusto regolamento, equilibrato e solidale, i flussi migratori da parte degli Stati”:, sono alcune delle parole più importanti espresse dai presuli ai presenti alla Conferenza Stampa. Il card. Martino ha poi ricordato le oltre 200 milioni di persone, “che vivono fuori dal loro Paese di origine, spinte anche dalla miseria, dalla fame, dalla violenza, dalle guerre, dalle rivalità etniche, ma pure dal desiderio di una vita migliore”. Ma l’immigrazione, ha osservato il Cardinale, è “vissuta spesso nei Paesi ospitanti come una sorta di ‘invasione’, con ripercussioni negative su questioni di stabilità e sicurezza”. “Questo clima di chiusura rende ancora più triste e amara la vicenda umana di molti immigrati, spingendoli altresì a condizioni di irregolarità”.

    Il messaggio del Papa, ha ricordato il card. Martino, “ribadisce anzitutto la necessità di partire dalla ‘cultura dell’accoglienza’”: “Bisogna – ha sottolineato - facilitare una graduale integrazione dei migranti, nel rispetto della loro identità culturale e anche di quella della popolazione locale”.

    In riferimento ai rifugiati il vaticano ha espresso parole molto dure, accusando alcuni stati di aver "diminuito" gli standar di integrazione e di accoglienza, a favore di politiche molto repressive ed escudenti l'arrivo dei rifugiati stessi.

    A proposito dei rifugiati l’arcivescovo Marchetto ha ricordato che “i singoli Stati sono invitati a difendere i diritti di quanti fuggono, a causa di persecuzione, dai loro Paesi e a proteggerli a norma del Diritto internazionale”. Ma oggi sono in atto “tentativi di impedire loro l’ingresso nei Paesi di arrivo e nell’adozione di misure destinate a renderlo più difficoltoso – quella che io ho chiamato, recentemente, tendenza al ribasso, e non ‘gioco al ribasso’”. Tali misure, ha aggiunto, “si caratterizzano per la erosione degli standard umanitari e l’introduzione di norme restrittive, quali l’obbligo del visto di ingresso, nonché la pubblicazione di liste di cosiddetti ‘Paesi sicuri’”. “Purtroppo – ha notato - quest’atteggiamento adottato da Paesi del Nord del mondo ha ripercussioni negative sulle politiche verso i rifugiati seguite nel Sud”. A suo avviso “il quadro si fa preoccupante, specialmente se consideriamo una rodata legislazione internazionale che era, è, di sostegno e protezione ai perseguitati”.

    Infine, Mons. Marchetto, rispondendo alle domande dei giornalisti presenti, ha ricordato come la Chiesa vigilerà attentamente sui matrimoni, l'assistenza sanitaria e religiosa agli immigrati, aspetti sui quali la Chiesa cattolica ha "molta sensibilità".



    Vaticano e immigrazione: ci vuole una cultura dell'accoglienza. - Passi nel deserto


    *Marchetto è quello che ancora oggi ha criticato l'operato del ministro Maroni e del governo italiano, nonostante il Vaticano non abbia ufficialmente abbracciato le posizioni da lui espresse, Marchetto, nonostante la sua linea di contrapposizione durissima alle autorità italiane, è tuttora al suo posto.

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    Predefinito Rif: La "Exsul Familia", PIO XII e gli immigrati

    Editoriali
    28/9/2008 -
    Immigrati, il realismo della Chiesa
    ANDREA RICCARDI
    [...]
    Sul tema dell’immigrazione la Chiesa ha una sua visione, che non è buonismo (le viene riconosciuto - con un po’ di sussiego - di fare
    la parte sensibile della nostra società). E’ una visione che viene da lontano. Pio XII, nel 1952, ne fece oggetto di una Costituzione
    apostolica. Giovanni XXIII ha parlato di diritto all’immigrazione e all’emigrazione. L’emigrazione è una realtà costante della storia
    umana che, nel mondo globalizzato, subisce oggi forti accelerazioni per l’attrazione del benessere, per il calo demografico europeo,
    per le grandi povertà. Il vero problema è come gestire questa realtà: se farne uno choc o una chance. Infatti l’immigrazione dal Sud
    non si fermerà con misure di frontiera, anche le più dure, come si vede dai viaggi disperati affrontati da tanti africani.
    La visione della Chiesa sull’immigrazione mostra forte senso della realtà. Abbiamo bisogno di immigrati. Alcuni imprenditori non
    riescono a rispondere al fabbisogno di mano d’opera. L’ultimo decreto sui flussi (dicembre 2007) ha fatto emergere oltre 650 mila
    domande di lavoratori stranieri da parte di italiani (di cui la metà richiesti dalle famiglie). La sensazione degli operatori
    dell’emigrazione è che i flussi migratori si stiano rallentando. I polacchi non vengono quasi più, ugualmente le ucraine, mentre sono
    diminuiti di molto gli arrivi dei romeni. Il senso della pressione migratoria sull’Italia è dato dagli arrivi irregolari. Nel 2007 17 mila
    sono arrivati attraverso il mare; nel 2008 siamo poco sotto i 20 mila. Non proprio un’invasione. Meno di altri Paesi europei. Mentre in
    alcune aree, come a Pantelleria o in Sicilia, o in alcuni Paesi, come Malta, la pressione è forte, altrove non tanto.
    Il vero problema è l’integrazione. Per questo è sbagliata la limitazione dei ricongiungimenti familiari. La famiglia è un grande fattore
    di integrazione, oltre che un grande diritto. Mons. Agostino Marchetto del Pontificio Consiglio per i migranti, ha pacatamente
    dichiarato: «Non reggono le motivazioni per le decisioni prese su richiedenti asilo e ricongiungimenti familiari». L’introduzione
    dell’esame del Dna per verificare la parentela (e gli adottati?) ha un costo esorbitante. Un esempio: 300 euro in Kenya. Del resto il
    governo sembra non avere intenzione di spendere tanto per l’integrazione, avendo stanziato, nel Consiglio dei ministri del 23
    settembre, più di 115 milioni di euro per nuovi centri di identificazione, dimezzando a 50 milioni i fondi per l’integrazione. Anche per
    la carenza di investimento sull’integrazione, non è un errore indebolire la famiglia degli immigrati? E’ invece una grande risorsa specie
    per i giovani migranti. D’altra parte la ventilata ipotesi di «classi ponte» per i figli degli immigrati preoccupa fortemente, perché
    resuscita le scomparse «classi differenziali». E’ questa la via dell’integrazione o quella di una gestione aggressiva dell’immigrazione?
    Perché adottare un’attitudine che penalizza l’immigrazione, quando ne abbiamo bisogno? Dichiarazioni e allarmi, diffusi anche da
    personalità autorevoli, creano un clima talvolta incendiario. Invece lo si dovrebbe rasserenare. Si semina vento e si raccoglie
    tempesta. Il presidente della Cei, card. Bagnasco, afferma senza drammatizzare che «nell’ultimo periodo stanno emergendo qua e là
    dei segnali di contrapposizione anche violenta». Egli spera che non si tratti di «regressione culturale», ma invita a una seria
    considerazione. Gli italiani hanno bisogno anche di essere aiutati a vivere e capire la transizione che stanno attraversando.
    In realtà la questione degli immigrati dovrebbe essere un tema bipartisan, mentre diventa terreno di incursioni estemporanee. E’ una
    delle più grandi questioni nazionali. Non meraviglia allora che la Chiesa proponga la sua visione, che si misura con il lungo periodo.
    Non pensa certo ad un’Europa che getti via il suo retaggio cristiano, ma a un continente che sappia aprirsi, ringiovanirsi, proiettarsi
    nel futuro. Così sono suonate le parole di Benedetto XVI, che più volte ha sottolineato il rischio di un «congedo dalla storia»
    dell’Europa. Quest’estate il papa ha parlato delle tragedie incorse agli immigrati nel Mediterraneo, invitando alla responsabilità i Paesi
    di partenza e all’accoglienza gli europei: «La migrazione è un fenomeno presente sin dagli albori dell’umanità… - ha ricordato -.
    L’emergenza in cui si è trasformata nei nostri tempi, tuttavia, ci interpella e, mentre sollecita la nostra solidarietà, impone, allo stesso
    tempo, efficaci risposte politiche». Su di un fenomeno complesso, come quello dell’immigrazione, c’è bisogno di visioni articolate e di
    lungo periodo, che diano origine a politiche responsabili. Se si avverte uno stridore sull’immigrazione tra Chiesa e politica in Europa, è
    forse il contrasto tra una visione da una parte e il bisogno di maturarla dall’altra.
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    Predefinito Rif: La "Exsul Familia", PIO XII e gli immigrati

    IMMIGRAZIONE - GIORNATA MONDIALE DELLE MIGRAZIONI 2009 -LA CEI: "LE MIGRAZIONI UNA OPPORTUNITA' E SEGNO DEI TEMPI". "NO" ALLA TASSA SUL PERMESSO DI SOGGIORNO / News / Italian Network
    [...]

    Per la prossima Giornata invece, che cade nel cuore dell’Anno Paolino, Benedetto XVI ha proposto una figura concreta, Paolo di Tarso, conosciuto soprattutto come l’Apostolo delle genti, e che può senza forzature essere presentato anche come Apostolo dei migranti in quanto migrante lui stesso.” Così Mons. Piergiorgio Saviola, Direttore Generale della Fondazione Migrantes, ha presentato il tema della Giornata delle Migrazioni 2009, che si è tenuta oggi a Roma, presso la Radio Vaticana.

    “Al titolo generale della Giornata – ha proseguito Mons. Saviola - si è soliti in Italia aggiungere un sottotitolo che serva a meglio specificare il tema proposto, mettendone in risalto qualche aspetto di particolare attualità per la situazione che si sta vivendo oggi nel nostro Paese. Fra le espressioni dell’Apostolo, ci è sembrata particolarmente lapidaria e densa quella rivolta agli Efesini: “Non siete più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19). Questo proclama di Paolo in occasione della Giornata viene riferito ai migranti, verso i quali in Italia si registrano tante manifestazioni non solo verbali di accoglienza e di fraternità, ma purtroppo non manca, anche fra chi si professa cristiano, chi li guarda come gente importuna e fastidiosa, che desta allarme e costituisce pericolo, disturbatrice del nostro quieto vivere; gente da cui stare lontano, anzi che deve tornare lontano, a casa propria. Si registra fra le due ultime leggi sull’immigrazione, quella del 1998 e del 2002, un brusco passaggio, che fa scivolare verso posizioni ispirate al principio della indesiderabilità.”

    “Non si vuole chiudere gli occhi su quanto di scabroso comporta l’attuale convulso fenomeno migratorio, tanto meno su comportamenti incivili o criminosi di alcuni migranti, ma è aberrante mettere tutto questo e solo questo in primo piano, metterlo tanto a fuoco e con lenti di ingrandimento, da non lasciar vedere il resto della realtà migratoria, e da alimentare giudizi e pregiudizi, umori e malumori, minacce e prese di posizione che sono in stridente contrasto col Vangelo. - ha fatto presente Mons. Saviola - Sono anzi in contrasto anche col più sano sentire civile, aperto ai valori della convivenza pacifica, della comprensione, della condivisione e della solidarietà verso chi è nel bisogno. C’è profonda sintonia tra la formula paolina sopra enunciata e questo schietto umanesimo che fa parte della nostra migliore tradizione. Quanto al tema principale della Giornata, che è la figura di S. Paolo, non può sorprendere che venga presentato come “Apostolo dei migranti”: infatti prima tappa dei suoi viaggi apostolici in ogni città è la sinagoga, è l’appuntamento con i suoi connazionali in diaspora. Lo fa per mandato ricevuto dall’alto, lo fa pure per l’appassionato amore alla gente della sua stirpe, erede della promessa.”

    Per Mons. Antonio Pitta, Ordinario “Nuovo Testamento”, Pontificia Università Lateranense “E’ la condizione di precarietà che riguarda tutti i cristiani in quanto in cammino verso il Regno di Dio, all’origine di una nuova modalità di relazione sociale che deve ispirare anche il presente . Per questo motivo, di fronte a proposte politiche di contributi per il permesso di soggiorno o di obbligo di denuncia per gli irregolari che chiedono assistenza sanitaria, la posizione ribadita dalla Cei è un netto no. Si tratta di inaccettabili balzelli e preclusioni che di fatto ostacolano diritti fondamentali, in nome anche dell’articolo 32 della Costituzione italiana , che parla della tutela della collettività”.

    "La nostra posizione e' quella di chi ritiene inaccettabile una tassa che e' meglio definire balzello" ha affermato don Gianromano Gnesotto, responsabile migranti e profughi della Fondazione Migrantes della Cei, "fantasie di questo genere, che penalizzano ulteriormente gli immigrati ci sembrano una caduta e un passo indietro rispetto a politiche di integrazione che devono invece avere una mentalita' aperta e intelligente in grado di mettere in atto politiche adeguate".

    Il messaggio di Paolo è di sorprendente attualità e incoraggia a valutare le migrazioni come opportunità e segno dei tempi. - ha concluso Mons.Saviola - La prossima Giornata vuole riproporre ai concittadini, ai cristiani in particolare, questo lieto messaggio.” (14/01/2009-ITL/ITNET)

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    Predefinito Rif: La "Exsul Familia", PIO XII e gli immigrati

    Una figura interessantissima: il beato Scalabrini.

    Giovanni Battista Scalabrini - Wikipedia

    Ma Scalabrini è più generalmente conosciuto come "padre dei migranti", per la sua opera a difesa dei diseredati che, sul finire del secolo scorso, lasciavano a centinaia di migliaia l'Italia per cercare lavoro nelle terre americane. (...) L'obiettivo di Scalabrini era mantenere unite le comunità italiane all'estero, salvaguardandone la lingua e la cultura assieme ai valori religiosi, così da fornire loro una piattaforma sufficientemente solida per intraprendere l'integrazione nelle nuove realtà da posizioni di sicurezza e non di asservimento. (...) Scalabrini è uomo di fede e vescovo, e confronta, senza confondere i livelli di analisi, la lettura socio-economica e politica dell'emigrazione con i valori e le convinzioni che deriva dalla fede e dalla sua preoccupazione pastorale. (...) Non gli interessa rispondere alla domanda se l'emigrazione sia un bene o un male, ma come venire in aiuto alle persone coinvolte nel fatto migratorio. (...) Imposta perciò il problema sul piano concreto degli interventi, anche se ne ricerca le cause e le denuncia con estrema chiarezza". 3) Interessanti sono le considerazioni di Scalabrini su alcuni aspetti sicuramente ancora attuali sulla questione dell'incontro di popoli diversi. Egli diceva, contrapponendo le migrazioni per motivi di lavoro alle invasioni barbariche: "Non più l'impeto di una fiumana che tutto travolge, ma il dilagare placido delle acque che fecondano. Non più soppressione di popoli, ma fusioni, adattamenti, nei quali le diverse nazionalità si incontrano, si incrociano, si ritemprano e danno origine ad altri popoli. (...) Mentre le razze si mescolano, si estendono e si confondono, attraverso il rumore delle nostre macchine, al di sopra di tutto questo lavorio febbrile, di tutte queste opere gigantesche, e non senza di loro, si va maturando quaggiù un'opera ben più vasta, ben più nobile, ben più sublime: l'unione in Dio per Gesù Cristo di tutti gli uomini di buon volere". 4)

    "Scendendo sul terreno pratico Scalabrini riconosce però che 'i fatti sociali ben di rado sono assolutamente buoni o assolutamente cattivi; ma possono essere o l'uno o l'altro, a seconda delle circostanze'. L'emigrazione comunque è 'un diritto naturale' e poiché 'i diritti degli uomini sono inalienabili', l'uomo 'può andare a cercare il suo benessere ove più gli talenti'. Di fatto l'emigrazione, sia quando è 'abbandonata a se stessa e senza guida' sia quando è indotta da agenti senza scrupolo (...) diventa 'uno sforzo che fiacca, una febbre che lentamente consuma' (l'organismo sociale). Ecco quindi l'affermazione centrale: 'Libertà di emigrare ma non di far emigrare'. Mentre l'emigrazione 'spontanea' apre 'al contatto di altre leggi e di altri costumi' e allarga 'il concetto di patria oltre i confini materiali e politici, facendo patria dell'uomo il mondo', l'emigrazione 'stimolata' sostituisce al vero bisogno 'la rabbia dei rapidi guadagni o un mal inteso spirito di avventura di spostati e di illusi' e quindi diventa un danno e un pericolo. Da un lato occorre, perciò, consigliare e guidare quanti stanno per prendere la decisione di emigrare, affinché possano valutare correttamente la scelta che fanno; accompagnarli poi ai porti di imbarco e assisterli durante il viaggio; aiutarli, infine, nel periodo di inserimento nel nuovo ambiente. D'altro canto occorre dichiarare una 'guerra senza tregua ai trafficanti di carne umana' ( ...).

    Quanto alle leggi per regolare l'emigrazione, Scalabrini è contrario alle restrizioni generalizzate, che considera 'inutili, ingiuste e dannose': inutili perché non arriverebbero mai a sopprimere l'emigrazione, ingiuste perché ostacolerebbero il libero esercizio di un diritto, dannose perché l'emigrazione prenderebbe altre vie, cadendo 'più facile preda alle ingorde speculazioni degli agenti di migrazione'. Da qui la sua conclusione: 'L'importante di una legge non è tanto di essere liberale, quanto di essere buona, e buona per me non è la legge più larga, bensì quella che, basata sulla giustizia, meglio provvede per quei bisogni per cui è stata fatta'."

 

 
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