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    Predefinito Il caso. Radio Maria ‘esautora’ Gnocchi e Palmaro critici su Papa Francesco

    Il caso. Radio Maria ‘esautora’ Gnocchi e Palmaro critici su Papa Francesco

    “Siamo stati esautorati da Radio Maria”. La denuncia è di Alessandro Gnocchi e Mauro Palmaro, giornalisti, saggisti e conduttori, da oltre dieci anni, delle trasmissioni radio Uomini e letteratura: incontri alla luce del Vangelo e Incontri con la bioetica. Dietro la decisione dell’emittente diretta da Livio Fanzaga, ci sarebbero le opinioni espresse in un articolo a quattro mani pubblicato il 9 ottobre su Il Foglio, dal titolo quanto mai schietto: “Questo Papa non ci piace”. Fanno sapere, infatti, gli stessi Gnocchi e Palmaro, in una lettera indirizzata a Giuliano Ferrara: “Ci è stato comunicato con una garbatissima telefonata del direttore padre Livio Fanzaga, che non si può essere conduttori di Radio Maria e, contemporaneamente, esprimere critiche sul Papa”.

    Una scelta editoriale, dunque, che non ammette fraintendimenti. E che risulta perfettamente in continuità con lo spirito aristotelico-tomista tanto caro alla prassi ecclesiale: tertium non datur: “L’atto compiuto nei nostri confronti – continuano i due giornalisti nella lettera – risulta dunque abbastanza raro nell’uso giornalistico sia nella sostanza sia nel metodo colpendo delle opinioni, discutibili certo ma legittime, espresse su un’altra testata. Con questo non possiamo però tacere che, per dieci anni, abbiamo avuto la possibilità di trattare a Radio Maria in assoluta libertà temi molto scottanti per merito del suo direttore. Ed è proprio ciò – concludono – che rende più amaro questo epilogo, di cui vogliamo dare così notizia anche agli ascoltatori delle nostre trasmissioni”.

    @barbadilloit
    A cura di Redazione

    Il caso. Radio Maria ?esautora? Gnocchi e Palmaro critici su Papa Francesco | Barbadillo
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  2. #2
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    Predefinito Re: Il caso. Radio Maria ‘esautora’ Gnocchi e Palmaro critici su Papa Francesco

    L'articolo che ha fatto scoppiare il caso:


    QUESTO PAPA NON CI PIACE

    di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

    Articolo pubblicato sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 9 ottobre 2013

    Impaginazione e neretti sono nostri

    Quanto sia costata l’imponente esibizione di povertà di cui papa Francesco è stato protagonista il 4 ottobre ad Assisi non è dato sapere. Certo che, in tempi in cui va così di moda la semplificazione, viene da dire che la storica giornata abbia avuto ben poco di francescano. Una partitura ben scritta e ben interpretata, se si vuole, ma priva del quid che ha reso unico lo spirito di Francesco, il santo: la sorpresa che spiazza il mondo.
    Francesco, il papa, che abbraccia i malati, che si stringe alla folla, che fa la battuta, che parla a braccio, che sale sulla Panda, che molla i cardinali a pranzo con le autorità per andare al desco dei poveri era quanto di più scontato ci si potesse attendere, ed è puntualmente avvenuto. Naturalmente con gran concorso di stampa cattolica e paracattolica a esaltare l’umiltà del gesto tirando un sospirone di sollievo perché, questa volta, il papa ha parlato dell’incontro con Cristo. E di quella laica a dire che, adesso sì, la Chiesa si mette al passo con i tempi. Tutta roba buona per il titolista di medio calibro che vuole chiudere in fretta il giornale e domani si vedrà.

    Non c’è stata neanche la sorpresa del gesto clamoroso. Ma, anche questa, sarebbe stata ben povera cosa, visto quanto papa Bergoglio ha detto e fatto in solo mezzo anno di pontificato culminato negli ammiccamenti con Eugenio Scalfari e nell’intervista a “Civiltà Cattolica”.

    Gli unici a trovarsi spiazzati, in questo caso, sarebbero stati i “normalisti”, quei cattolici intenti pateticamente a convincere il prossimo, e ancor più pateticamente a convincere se stessi, che nulla è cambiato. E’ tutto normale e, come al solito, è colpa dei giornali che travisano a bella posta il papa, il quale direbbe solo in modo diverso le stesse verità insegnate dai predecessori.

    Per quanto il giornalismo sia il mestiere più antico del mondo, riesce difficile dare credito a questa tesi.
    “Santità” chiede per esempio Scalfari nella sua intervista “esiste una visione del Bene unica? E chi la stabilisce?”.
    “Ciascuno di noi” risponde il papa “ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”.
    “Lei, Santità” incalza gesuiticamente Eugenio, al quale non pare vero, “l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza è autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa”.
    “E qui lo ripeto” ribadisce il papa, al quale non pare vero neanche a lui. “Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo”.

    A Vaticano II già concluso e a postconcilio più che ben avviato, nel capitolo 32 della “Veritatis splendor”, Giovanni Paolo II scriveva, contestando “alcune correnti del pensiero moderno”, che “si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un'istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente del bene e del male (…) tanto che si è giunti ad una concezione radicalmente soggettivista del giudizio morale”.
    Anche il “normalista” più estroso dovrebbe trovare difficile conciliare il Bergoglio 2013 con il Woityla 1993.

    Al cospetto di tale inversione di rotta, i giornali fanno il loro onesto e scontato lavoro. Riprendono le frasi di papa Francesco, in evidente contrasto con ciò che i papi e la Chiesa hanno sempre insegnato e le trasformano in titoli da prima pagina. E allora il “normalista”, che dice sempre e ovunque quello che pensa l’“Osservatore Romano”, tira in ballo il contesto. Le frasi estrapolate dal benedetto contesto non rispecchierebbero la mens di chi le ha pronunciate.
    Ma, ed è la storia della Chiesa che lo insegna, certe frasi di senso compiuto hanno senso e vanno giudicate a prescindere.
    Se in una lunga intervista qualcuno sostiene che “Hitler è stato un benefattore dell’umanità”, difficilmente potrà cavarsela davanti al mondo invocando il contesto.
    Se un papa dice in un’intervista “Io credo in Dio, non in un Dio cattolico” la frittata è fatta a prescindere.
    Sono duemila anni che la Chiesa giudica le affermazioni dottrinali isolandole dal contesto.
    Nel 1713, Clemente XI pubblica la costituzione “Unigenitus Dei Filius” in cui condanna 101 proposizioni del teologo Pasquier Quesnel.
    Nel 1864, Pio IX pubblica nel “Sillabo” un elenco di proposizioni erronee.
    Nel 1907, San Pio X allega alla “Pascendi dominici gregis” 65 frasi incompatibili con il cattolicesimo.
    E sono solo alcuni esempi per dire che l’errore, quando c’è, si riconosce a occhio nudo. Una ripassatina al “Denzinger” non farebbe male.

    Per altro, nel caso delle interviste di Bergoglio, l’analisi del contesto può persino peggiorare le cose. Quando, per esempio, papa Francesco dice a Scalfari che “il proselitismo è una solenne sciocchezza”, il “normalista” subito spiega che si sta parlando del proselitismo aggressivo delle sette sudamericane. Purtroppo, nell’intervista, Bergoglio dice a Scalfari: “Non voglio convertirla”. Ne scende che, nell’interpretazione autentica, quando si definisce “solenne sciocchezza” il proselitismo, si intende il lavoro fatto dalla Chiesa per convertire le anime al cattolicesimo.

    Sarebbe difficile interpretare il concetto altrimenti, alla luce delle nozze tra Vangelo e mondo, che Francesco ha benedetto nell’intervista alla “Civiltà Cattolica”.
    “Il Vaticano II” spiega il papa “è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi. Basta ricordare la liturgia. Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta. Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria del Concilio è assolutamente irreversibile”.
    Proprio così, non più il mondo messo in forma alla luce del Vangelo, ma il Vangelo deformato alla luce del mondo, della cultura contemporanea. E chissà quante volte dovrà avvenire, a ogni torno di mutamento culturale, ogni volta mettendo in mora la rilettura precedente: nient’altro che il concilio permanente teorizzato dal gesuita Carlo Maria Martini.

    Su questa scia, si sta alzando sull’orizzonte l’idea di una nuova Chiesa, “l’ospedale da campo” evocato nell’intervista a “Civiltà Cattolica” dove pare che i medici fino a ora non abbiano fatto bene il loro mestiere.
    “Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito” dice sempre il papa. “Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?”.
    Un discorso costruito sapientemente per essere concluso da una domanda dopo la quale si va capo e si cambia argomento, quasi a sottolineare l’inabilità della Chiesa di rispondere. Un passaggio sconcertante se si pensa che la Chiesa soddisfa da duemila anni tale quesito con una regola che permette l’assoluzione del peccatore, a patto che sia pentito e si impegni a non rimanere nel peccato. Eppure, soggiogate dalla straripante personalità di papa Bergoglio, legioni di cattolici si sono bevute la favola di un problema che in realtà non è mai esistito. Tutti lì, con il senso di colpa per duemila anni di presunte soperchierie ai danni dei poveri peccatori, a ringraziare il vescovo venuto dalla fine del mondo, non per aver risolto un problema che non c’era, ma per averlo inventato.

    L’aspetto inquietante del pensiero sotteso a tali affermazioni è l’idea di un’alternativa insanabile fra rigore dottrinale e misericordia: se c’è uno, non può esservi l’altra. Ma la Chiesa, da sempre, insegna e vive esattamente il contrario. Sono la percezione del peccato e il pentimento di averlo commesso, insieme al proposito di evitarlo in futuro, che rendono possibile il perdono di Dio. Gesù salva l’adultera dalla lapidazione, la assolve, ma la congeda dicendo: “Va, e non peccare più”. Non le dice: “Va, e sta tranquilla che la mia Chiesa non eserciterà alcuna ingerenza spirituale nella tua vita personale”.

    Visto il consenso praticamente unanime nel popolo cattolico e l’innamoramento del mondo, contro il quale però il Vangelo dovrebbe mettere in sospetto, verrebbe da dire che sei mesi di papa Francesco hanno cambiato un’epoca. In realtà, si assiste al fenomeno di un leader che dice alla folla proprio quello che la folla vuole sentirsi dire. Ma è innegabile questo viene fatto con grande talento e grande mestiere. La comunicazione con il popolo, che è diventato popolo di Dio dove di fatto non c’è più distinzione tra credenti e non credenti, è solo in piccolissima parte diretta e spontanea. Persino i bagni di folla in piazza San Pietro, alla Giornata Mondiale della Gioventù, a Lampedusa o ad Assisi sono filtrati dai mezzi di comunicazione che si incaricano di fornire gli avvenimenti unitamente alla loro interpretazione.

    Il fenomeno Francesco non si sottrae alla regola fondamentale del gioco mediatico, ma, anzi, se ne serve quasi a diventarne connaturale.
    Il meccanismo fu definito con grande efficacia all’inizio degli anni ottanta da Mario Alighiero Manacorda in un godibile libretto dal godibilissimo titolo “Il linguaggio televisivo. O la folle anadiplosi”. L’anadiplosi è una figura retorica che, come avviene in questa riga, fa iniziare una frase con il termine principale contenuto nella frase precedente. Tale artificio retorico, secondo Manacorda, è divenuto l’essenza del linguaggio mediatico. “Questi modi puramente formali, superflui, inutili e incomprensibili quanto alla sostanza” diceva “inducono l’ascoltatore a seguire la parte formale, cioè la figura retorica, e a dimenticare la parte sostanziale”.
    Con il tempo, la comunicazione di massa ha finito per sostituire definitivamente l’aspetto formale a quello sostanziale, l’apparenza alla verità. E lo ha fatto, in particolare, grazie alle figure retoriche della sineddoche e della metonimia, con le quali si rappresenta una parte per il tutto. La velocità sempre più vertiginosa dell’informazione impone di trascurare l’insieme e porta concentrarsi su alcuni particolari scelti con perizia per dare una lettura del fenomeno complessivo. Sempre più spesso, giornali, tv, siti internet, riassumono i grandi eventi in un dettaglio.

    Da questo punto di vista, sembra che papa Francesco sia stato fatto per i massmedia e che i massmedia siano stati fatti per papa Francesco. Basta citare il solo esempio dell’uomo vestito di bianco che scende la scaletta dell’aereo portando una sdrucita borsa di cuoio nera: perfetto uso di sineddoche e metonimia insieme. La figura del papa viene assorbita da quella borsa nera che ne annulla l’immagine sacrale tramandata nei secoli per restituirne una completamente nuova e mondana: il papa, il nuovo papa, è tutto in quel particolare che ne esalta la povertà, l’umiltà, la dedizione, il lavoro, la contemporaneità, la quotidianità, la prossimità a quanto di più terreno si possa immaginare.

    L’effetto finale di tale processo porta alla collocazione sullo sfondo del concetto impersonale di papato e la contemporanea salita alla ribalta della persona che lo incarna. L’effetto è tanto più dirompente se si osserva che i destinatari del messaggio recepiscono il significato esattamente opposto: osannano la grande umiltà dell’uomo e pensano che questi porti lustro al papato.
    Per effetto di sineddoche e metonimia, il passo successivo consiste nell’identificare la persona del papa con il papato: una parte per il tutto, e Simone ha spodestato Pietro. Questo fenomeno fa sì che Bergoglio, pur esprimendosi formalmente come dottore privato, trasformi di fatto qualsiasi suo gesto e qualsiasi sua parola in un atto di magistero. Se poi si pensa che persino la maggior parte dei cattolici è convinta che quanto dice il papa sia solo e sempre infallibile, il gioco è fatto. Per quanto si possa protestare che una lettera a Scalfari o un’intervista a chicchessia siano persino meno di un parere da dottore privato, nell’epoca massmediatica, l’effetto che produrranno sarà incommensurabilmente maggiore a qualsiasi pronunciamento solenne. Anzi, più il gesto o il discorso saranno formalmente piccoli e insignificanti, tanto più avranno effetto e saranno considerati come inattaccabili e incriticabili.

    Non a caso la simbologia che sorregge questo fenomeno è fatta di povere cose quotidiane. La borsa nera portata in mano sull’aereo è un esempio di scuola. Ma anche quando si parla della croce pettorale, dell’anello, dell’altare, delle suppellettili sacre o dei paramenti, si parla del materiale con cui sono fatte e non più di ciò che rappresentano: la materia informe ha avuto il sopravvento sulla forma. Di fatto, Gesù non si trova più sulla croce che il papa porta al collo perché la gente viene indotta a contemplare il ferro in cui l’oggetto è stato prodotto. Ancora una volta la parte si mangia il Tutto, che qui va scritto con la “T” maiuscola. E la “carne di Cristo” viene cercata altrove e ciascuno finisce per individuare dove vuole l’olocausto che più gli si confà. In questi giorni a Lampedusa, domani chissà.

    E’ l’esito della saggezza del mondo, che San Paolo bandiva come stoltezza e che oggi viene usata per rileggere il Vangelo con gli occhi della tv.
    Ma già nel 1969, Marshall McLuhan scriveva a Jacques Maritain: “Gli ambienti dell’informazione elettronica, che sono stati completamente eterei, nutrono l’illusione del mondo come sostanza spirituale. Questo è un ragionevole facsimile del Corpo Mistico, un’assordante manifestazione dell’anticristo. Dopo tutto, il principe di questo mondo è un grandissimo ingegnere elettronico”.

    Prima o poi ci si dovrà pur risvegliare dal grande sonno massmediatico e tornare a misurarsi con la realtà.
    E bisognerà anche imparare l’umiltà vera, che consiste nel sottomettersi a Qualcuno di più grande, che si manifesta attraverso leggi immutabili persino dal Vicario di Cristo.
    E bisognerà ritrovare il coraggio di dire che un cattolico può solo sentirsi smarrito davanti a un dialogo in cui ognuno, in omaggio alla pretesa autonomia della coscienza, venga incitato a proseguire verso una sua personale visione del bene e del male. Perché Cristo non può essere un’opzione tra le tante. Almeno per il suo Vicario.

    Questo papa non ci piace - Articolo di Alessadro Gnocchi e Mario Palmaro
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  3. #3
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    Predefinito Re: Il caso. Radio Maria ‘esautora’ Gnocchi e Palmaro critici su Papa Francesco

    Radio Vaticana, una perizia conferma il nesso
    tra le onde delle antenne e i tumori nei bimbi


    Esiste una correlazione tra l'eposizione alle onde elettromagnetiche e l'aumento di leucemie e linfomi nei bambini fino a 14 anni che abitano a ridosso degli impianti di Cesano. Sono i risultati contenuti nelle 140 pagine della perizia disposta cinque anni fa nell'ambito dell'inchiesta per omicidio colposo dopo le morti sospette nella zona

    Lo leggo dopo




    C'è stata "un'associazione importante, coerente e significativa, tra esposizione residenziale alle strutture di Radio Vaticana ed eccesso di rischio di malattia per leucemia e linfomi nei bambini". All'incremento di questo rischio potrebbero aver "plausibilmente contribuito" anche le strutture di Maritele, sia pure "in modo limitato e additivo". Sono queste alcune delle conclusioni cui è giunta la perizia firmata dal professor Andrea Micheli e affidata in sede di incidente probatorio dal gip Zaira Secchi cinque anni fa perché si accertasse l'eventuale nesso di causalità tra le onde elettromagnetiche emesse dalle antenne di Radio Vaticana, a Cesano, e quelle del quartier generale della Marina militare, in localià La Storta.

    La battaglia giudiziaria contro le onde elettromagnetiche di Radio Vaticana è durata anni, con la Santa Sede che invocava l'extraterritorialità e reclamava il diritto a non essere giudicata dallo Stato italiano, e dall'altra parte i cittadini di Roma nord e di Cesano, vicini all'antenna di Santa Maria di Galeria, che lamentavano citofoni ed elettrodomestici che si trasformavano in ripetitori della radio, conversazioni telefoniche scandite dalle recite del rosario. «Molestie» denunciate dagli abitanti di Cesano già nel 1999, cui successivamente si aggiunsero gli esposti per le malattie che sarebbero state provocate dal superamento dei limiti di emissione delle onde elettromagnetiche. Citati in giudizio nel luglio 2000, gli imputati ottennero prima la
    sospensione del processo per un difetto di giurisdizione legato a questioni di procedibilità disciplinate dai Patti Lateranensi, poi fu la Corte di Cassazione nell'aprile 2003 a riconoscere il diritto dello Stato italiano a svolgere il processo. Nel 2005 la sentenza storica, con condanne simboliche, per il reato 674 del codice penale, "gettito pericoloso di cose".

    Restava l'altro filone, e le denunce per «troppi casi di leucemia e la morte di una decina di bambini». Questa inchiesta della procura di Roma va avanti, sei gli indagati, e riguarda le morti sospette e i decessi per leucemia avvenuti tra il 1994 e il 2000, per cui ipotizza il reato di omicidio colposo. Cinque anni fa il gip Zaira Secchi commissionò la perizia per accertare il possibile nesso di causalità tra l'inquinamento elettromagnetico e l'incremento di tumori e leucemia a Cesano e a La Storta, aree vicine agli impianti della radio. Oggi i risultati.

    Nel dossier si legge che poiché la leucemia è una patologia "relativamente rara" negli adulti, l'esposizione di lungo periodo (oltre dieci anni) alle antenne di Radio Vaticana per i bambini fino a 14 anni di età, che hanno abitato nella fascia tra 6 e 12 km dalle antenne, ha determinato un eccesso di incidenze di leucemie e linfomi. Nei casi di decessi di adulti, invece, gli esperti nominati dal giudice hanno evidenziato "un'associazione importante, coerente e significativa" tra i malati e quelli che hanno abitato a poca distanza da Radio Vaticana, associazione che non sembra sia stata supportata da prove decisive nel caso degli impianti della Marina.

    Nelle 140 pagine di accertamento peritale gli esperti danno conto degli aspetti anagrafici della popolazione investigata, della storia di tabagismo (fumo attivo e passivo), dell'esposizione da alcol sulle patologie familiari e sui decessi complessivamente avvenuti negli ultimi anni nelle aree vicine a Radio Vaticana (137 morti) e a Maritele (141). L'inchiesta della procura, prima che venisse affidata la perizia, chiamava in causa Roberto Tucci, Pasquale Borgomeo e Costantino Pacifici (responsabili dell'emittente della Santa Sede) e Gino Bizzarri, Vittorio Emanuele Di Cecco e Emilio Roberto Guarini, della Marina militare. I primi tre, erano finiti sotto processo per 'getto pericoloso di cose', in relazione all'emissione nociva di onde elettromagnetiche provenienti dagli impianti radiofonici di Santa Maria di Galeria. Pacifici, però, era stato assolto in primo grado, mentre per Tucci e Borgomeo (poi deceduto) la corte d'appello, dopo una prima assoluzione annullata dalla Cassazione, aveva dichiarato il 'non doversi procedere' per prescrizione del reato.

    (13 luglio 2010)



    Radio Vaticana, una perizia conferma il nesso tra le onde delle antenne e i tumori nei bimbi - Roma - Repubblica.it

  4. #4
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    Predefinito Re: Il caso. Radio Maria ‘esautora’ Gnocchi e Palmaro critici su Papa Francesco

    Scusa, ma cosa c'entra questo articolo con l'argomento della discussione?
    Credere - Pregare - Obbedire - Vincere

    "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo" (Ger 17, 5).

  5. #5
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    Predefinito Re: Il caso. Radio Maria ‘esautora’ Gnocchi e Palmaro critici su Papa Francesco

    nulla...una finezza

  6. #6
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    Predefinito Re: Il caso. Radio Maria ‘esautora’ Gnocchi e Palmaro critici su Papa Francesco

    una volta Padre Livio disse che l'obbedienza cieca alla gerarchia ecclesiastica e soprattutto al papa era legge a radio Maria. Non si possono criticare vescovi e il papa.

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    Predefinito Re: Il caso. Radio Maria ‘esautora’ Gnocchi e Palmaro critici su Papa Francesco

    Citazione Originariamente Scritto da il diavoletto di Choruǧ Visualizza Messaggio
    una volta Padre Livio disse che l'obbedienza cieca alla gerarchia ecclesiastica e soprattutto al papa era legge a radio Maria. Non si possono criticare vescovi e il papa.
    In effetti, per i tradizionalisti è triste ed è uno scandalo che venga silenziata una voce critica.

    Ma il principio è corretto. Radio Maria nasce anche per quello, è una voce 'papista'. Che non si possa ivi ammettere una discussione sul Papa è più che ragionevole.

    Il problema, purtroppo, è sempre lo stesso, quello dell'autorità e della dottrina.
    Onestamente, sono piuttosto confuso...

  8. #8
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    Predefinito Re: Il caso. Radio Maria ‘esautora’ Gnocchi e Palmaro critici su Papa Francesco

    Comunque l'articolo di Gnocchi e Palmaro non fa una piega.
    E detto molto francamente quello che pensano Gnocchi e Palmaro sono le stesse cose che pensano moltissimi cattolici in tutto il mondo.
    Se vuoi farti buono, pratica queste tre cose e tutto andrà bene: allegria, studio, pietà. (San Giovanni Bosco)

  9. #9
    SMF
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    Predefinito Re: Il caso. Radio Maria ‘esautora’ Gnocchi e Palmaro critici su Papa Francesco

    Interessanti puntualizzazioni di Gnocchi e Palmaro intervistati da "Libero"
    Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, due giornalisti cattolici, hanno rotto l’unanimismo mediatico favorevole a Papa Francesco con un articolo su Il Foglio dal titolo «Questo Papa non ci piace». I due hanno mosso dure, ma precise critiche ad alcune prese di posizione e agli strappi del Pontefice, pagando le opinioni espresse con un’epurazione da Radio Maria, emittente dove da 10 anni conducevano trasmissioni sulla bioetica e sul Vangelo.

    Partiamo dall’articolo, cos’ha fatto e detto il Papa che non piace a due giornalisti cattolici?
    «Ci sono due aspetti problematici: la forma e i contenuti. Francesco ha assunto comportamenti e uno stile che portano alla dissoluzione del pontificato nella sua struttura formale, e che tendono a ridurre il papa a uno dei vescovi, e non al “dolce Cristo in terra” di cui parlava Santa Caterina. Sul piano dei contenuti, nelle interviste a Civiltà cattolica e a Repubblica ci sono non solo ambiguità ma oggettivi errori filosofici e dottrinali. Parliamoci da giornalisti, stiamo dibattendo sul classico caso di una non notizia. Qui ci sono due cattolici battezzati che ascoltano per mesi quanto dice il papa e, per mesi, si trovano a disagio perché quanto sentono stride evidentemente con quanto sostiene la dottrina. Alla fine, visto che fanno il mestiere di scrivere e commentare, scrivono e commentano. Non lo prevede solo una delle regole base dell’informazione, ma lo prevede anche il diritto canonico. La lettera e l’intervista a Scalfari, l’intervista a Civiltà Cattolica sono solo gli ultimi esempi più eclatanti. Hanno fatto il giro del mondo, hanno fatto gridare alla rivoluzione, hanno lasciato di sasso migliaia e migliaia di fedeli, quindi di anime, e nessuno trova niente da dire? La notizia invece è il coro unanime di osanna che va da certi cattolici conservatori fino a Pannella passando per Enzo Bianchi e Hans Kung».

    Avete criticato l’intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari. Non andava bene l’intervista o l’intervistatore?
    «La scelta di Eugenio Scalfari è singolare e lascia interdetti molti cattolici. Egli infatti non è solo un laico o un non credente, ma uno storico antagonista del cattolicesimo. La Repubblica è il quotidiano simbolo di quella cultura radical chic che ha fatto di divorzio e aborto le colonne di una nuova società nichilista, nella quale non c’è più posto per Cristo e i sacramenti. Diverso sarebbe stato incontrare in modo riservato Scalfari, e parlare con lui in vista del suo bene. E nella speranza della sua conversione».

    Quanto all’intervista del Papa a Civiltà cattolica, dite che le frasi sull’aborto contrappongono dottrina e misericordia. Cosa vuol dire?
    «La prima forma di carità è la verità. Il buon medico non nasconde al malato la gravità della sua patologia, affinché si curi. Dio desidera senza sosta di perdonarci, ma pretende il nostro pentimento, il riconoscere che abbiamo peccato. Una Chiesa che tacesse sulla morale per non scontrarsi con il mondo mancherebbe di carità verso i peccatori. È facile dire che trecento morti a Lampedusa sono “una vergogna”. Più difficile dire che trecento bambini abortiti legalmente in Italia ogni giorno sono una vergogna ancor più grande».

    Per questo ed altro ve la siete presa con i “normalisti”, i cattolici che, a differenza della stampa laica, non avrebbero visto la rivoluzione rispetto al magistero della Chiesa. Ma cos’è cambiato in realtà?
    «Ce la siamo presa con quelli che abbiamo definito normalisti per un motivo molto semplice. Questi signori, da sei mesi, non fanno che mettere pezze agli svarioni di papa Francesco. Sulla coscienza, su etica e bioetica, sulla vita religiosa. Fatta salva la buona fede e le buone intenzioni, producono un danno tremendo perché, dicendo che tutto è normale e che non c’è nulla di nuovo, iniettando dosi di cattolicità là dove non ci sono, finiscono per far passare per cattoliche le affermazioni nude e crude del papa. Si illudono, poveretti, di essere mediaticamente più forti di Bergoglio e pensano che le loro correzioni arrivino al destinatario. Ma non hanno capito proprio niente di che cosa è la macchina massmediatica. contemporanea. Non sono loro a correggere il papa, è il papa a fagocitare loro».

    Ma se il papa farebbe addirittura affermazioni non cattoliche, perché i normalisti fanno finta di non vedere tutto ciò?
    «Perché al centro del problema c’è niente meno che il Papa. Giustamente i cattolici lo considerano la guida della Chiesa nella storia, e non vorrebbero mai doverlo criticare. Per intenderci: se l’intervista a Civiltà Cattolica fosse stata rilasciata da un teologo o perfino da un vescovo, sarebbe stata contestata nelle molte parti che non quadrano».

    Ma, interviste a parte, avete criticato anche l’interpretazione che il Papa dà del Concilio Vaticano II. Non è una critica troppo forte?
    «Ci atteniamo ai fatti: con il Vaticano II la Chiesa dichiara apertamente di volersi aprire al mondo e di rispondere alle sue aspettative. Un capovolgimento che in questi decenni ha prodotto i suoi risultati: i seminari si sono svuotati, in molti di essi si insegnano dottrine non cattoliche, e in cattedra si mettono, come volle Carlo Maria Martini, i non credenti».

    Imputate a Bergoglio anche l’eccessivo feeling con i mass media. Non pensate invece che stia rafforzando l’immagine della Chiesa?
    «Qui la risposta è sempre quella di McLuhan: i media creano una finzione che diventa un facsimile del Corpo Mistico, e lui la chiama “un’assordante manifestazione dell’anticristo”».

    Ma ieri il Papa nella sua predica ha insistito sul fatto che il Diavolo è una realtà e non una metafora, dicendo che “Chi non è con Gesù, è contro Gesù, non ci sono atteggiamenti a metà”. Non è in contraddizione con la vostra immagine di “Papa progressista”?
    «In questi mesi Papa Francesco ha detto molte cose cattoliche. Ma questo è normale: è il Papa. Ma nel nostro articolo abbiamo messo a confronto quanto dice sulla coscienza papa Francesco e quanto nel 1993 ha scritto papa Giovanni Paolo II nell’enciclica “Veritatis splendor”. Ebbene, uno dice esattamente il contrario dell’altro e pensiamo che nessun contorcimento della mente più contorta possa dire che, in fondo, sono la stessa cosa. Fino a oggi, nessuno è entrato nel merito di quanto abbiamo scritto. Nessuno ha trovato da ridire su una sola riga. Un gentile signore ci ha anche invitato pubblicamente ad andare a confessarci. Ma lo sa, questo signore, che ci è capitato di dire queste cose in confessione e di sentirci dire dal confessore che la pensa allo stesso modo, ma non lo può dire a nessuno? E dovrebbe sapere, questo signore, quante lettere e telefonate abbiamo ricevuto da cattolici che non ne potevano più e ci ringraziano per quanto abbiamo scritto».

    Queste considerazioni vi sono costate l’epurazione da Radio Maria. Era una decisione che potevano evitare o l’avevate messa in conto prima di esporvi?
    «Ci avevamo pensato, ma non era possibile tacere oltre. Eravamo amici di padre Livio Fanzaga prima di questa vicenda e lo siamo anche adesso. Lui è il direttore della radio e lui stabilisce la linea editoriale. Se questa linea prevede che il papa non si possa criticare neanche se parla di calcio, evidentemente due come noi sono fuori posto. Ma ci permettiamo anche di dire che questa linea proprio non la condividiamo. Non si può soffocare l’intelligenza e non si possono censurare a priori domande più che legittime. Questo non fa bene al mondo cattolico e non fa bene alla Chiesa. Se c’è qualche cosa che lascia l’amaro in bocca è che, dopo dieci anni di collaborazione, la telefonata sia arrivata due ore dopo l’uscita dell’articolo, senza neanche un momento per pensarci. Dieci anni in cui abbiamo avuto la libertà di dire tutto quello che ritenevamo opportuno anche su temi scottanti. Ecco, questa immediatezza fa male».

    Pensate che la vostra espulsione sia stata decisa altrove?
    «Bisognerebbe chiederlo a padre Livio, che è un bravo sacerdote e una persona per bene».

    Ma si può stare in una radio cattolica e criticare il Papa?
    «Certo che sì, a patto che le critiche non siano contrarie alla dottrina della Chiesa. Se Paolo di Tarso non avesse criticato il primo papa, oggi noi cattolici saremmo tutti circoncisi, perché San Pietro voleva stabilire questa norma. Se Santa Caterina non avesse rimbrottato i papi, oggi Avignone sarebbe ancora la sede del papato».

    Il Papa ha dialogato con tantissime persone, anche con diversi atei militanti, vi aspettate una sua telefonata? Che voglia ascoltare le ragioni di due cattolici intransigenti e che magari intervenire per ridarvi la trasmissione in radio?
    «Pensiamo che sia molto meglio che il Papa si dedichi al suo ministero: confermare il suo gregge nella vera fede, far tornare i cattolici a conoscere i catechismo e la dottrina, e operare affinché i lontani si convertano».
    _______________________________
    "Libero" - 12 ottobre 2013 - pp. 1; 14. By Messa in Latino

    Chiesa e post concilio: Interessanti puntualizzazioni di Gnocchi e Palmaro intervistati da "Libero"
    Ultima modifica di Giò; 18-10-13 alle 14:57
    Credere - Pregare - Obbedire - Vincere

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    Predefinito Re: Il caso. Radio Maria ‘esautora’ Gnocchi e Palmaro critici su Papa Francesco

    Da "non credente convinto" non entro nel merito della discussione ma solo nel metodo.

    E francamente, se vogliamo fare per forza dell'accademia ipocrita pseudodemocratica, allora parliamo del diritto al libero pensiero, del giornalista che esprime, che decide, che stigmatizza ed esalta fatti e persone in base al suo insindacabile modo di vedere..... MA QUANDO MAI, DOVE ?.....

    La verità è pero' quella che sappiamo tutti, e cioè che la stampa libera non esiste, come non esiste la libertà di esprimere le proprie legittime opinioni, come non esiste nessun giornale o testata radio-televisiva che non abbia uno che ci mette i soldi.

    Cosi come non esiste nessun giornalista che "non tiene famiglia ..." e che non debba pagarsi il mutuo, i figli a scuola, la moglie in vacanza ed eventuali extra goderecci e pragmaticamente umani.

    E chi ci mette i soldi non va criticato, e se lo critichi ti cacciano via. Questo vale a Radio Maria e a Repubblica, a canale 5 e all'Unità. Poi tutti quanti lo negheranno spudoratamente, ma anche questo fa parte del gioco.

    Quindi io, nel mio piccolo, e da "non credente convinto" non ci trovo assolutamente niente di strano, non essendo avvezzo al gioco del falso moralismo pseudo-liberal della mutua nel quale noi italiani siamo maestri.
    Per mia scelta di vita non rispondo a persone idiote, in mala fede, ottuse o volgari, omminicchi e provocatori, presuntuosi e gente senza palle, bugiardi, millantatori, incapaci e psicolabili.


 

 
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