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Discussione: La filocalia

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    Una introduzione storica e redazionale di Jean Gouillard
    Filocalia significa «amore della bellezza», di quella bellezza che si confonde col bene. La parola era già stata usata da S. Basilio e dal suo amico Gregorio di Nazianzo per la loro raccolta di passi scelti di Origene. Ma, all'infuori di qualche erudito, chi conosce questa raccolta?
    Nel 1782 vide la luce a Venezia un'altra Filocalia, con diverso destino, i cui esemplari, appena stampati, furono rimpatriati in blocco in Oriente. Nulla di strano in questo. Basta sfogliare la Bibliografia ellenica di Pernot-Petit per costatare che il libro greco si stampava in quel tempo necessariamente a Venezia. La situazione sarebbe cambiata soltanto dopo la guerra d'Indipendenza. Quest'edizione, in-folio, di 16-1207 pagine su due colonne, si annunciava così: «Filocalia dei Santi Niptici, raccolta dei santi Padri Teofori, dove si vede come, attraverso la filosofia della vita attiva e della contemplazione, lospirito si purifica, è illuminato e reso perfetto...».
    L'opera era stata finanziata da un ricco mercante di Smirne, Giovanni Mavrogordato, ritenuto erroneamente da alcuni un principe rumeno. Quest'edizione era stata elaborata dal vescovo di Corinto, Macario (1731-1805) e dal monaco del Monte Athos Nicodimo, detto l'Aghiorita (1749-1809). Il primo aveva scoperto la raccolta del manoscritto e ne aveva corretto le lezioni; il secondo si era assunto la prefazione e le notizie sugli autori. Apostoli ambedue e uomini colti, desideravano ricordare ai monaci e ai fedeli ortodossi la grande tradizione di preghiera, resa illustre da una catena ininterrotta di contemplativi, a partire dai tempi del deserto fino ai restauratori del XIII-XIV secolo. Erano inoltre spiriti aperti: Macario non temeva di predicare, contro gli usi del tempo, un ritorno alla comunione frequente; Nicodimo non esitava a tradurre e adattare gli Esercizi Spirituali di S. Ignazio di Loyola e il Combattimento Spirituale dello Scupoli.
    Essi credevano fermamente nella loro impresa. Il libro che vedeva la luce, ci dice Nicodimo, è «il tesoro della sobrietà, la custodia dell'intelletto, la mistica scuola della preghiera dello spirito, il modello eminente della vita attiva, la guida sicura della contemplazione, il paradiso dei Padri e la catena d'oro delle virtù. Un libro che è il ricordo continuo e familiare di Gesù...».
    Questo vero «concilio» dei Padri Niptici chiama a raccolta tutta la tradizione, dal tempo del deserto con Antonio il Grande ed Evagrio il Pontico fino a Simeone di Tessalonica (1410-1429). Essi sono più di trenta: Antonio il Grande, Isaia l'Anacoreta, Evagrio il Pontico, Cassiano il Romano, Marco l'Eremita, Esichio Presbitero, Nilo asceta di Ancira, Diadoco di Fotica, Giovanni Carpazio, Teodoro di Edessa, Massimo il Confessore, Talassio Libico, Giovanni Damasceno, Filemone, Teognosto, Filoteo il Sinaita, Elia l'Ecdico, Teofano il Monaco di «La Scala», Pietro Damasceno, Macario Egiziano, Simeone il Nuovo Teologo, Niceta Stetatos, Teolepto di Filadelfia, Niceforo l'Esicasta, Gregorio il Sinaita, Gregorio Palamas, Callisto e Ignazio di Xanthopouli, Callisto Catafigiota, Simeone di Tessalonica, Marco d'Efeso, Massimo il Causocalibita.
    Alcune presenze sono discrete: Teofano ci offre due sole pagine; altre sono invadenti: Pietro Damasceno ce ne offre oltre 140. Queste precedenze non hanno niente a che vedere con l'importanza degli autori. Il loro nome o particolari simili possono appena motivarle.
    L'autenticità è un problema che non esiste per questi curatori. Antonio il Grande apre le sedute di questo «sinodo» con delle Esortazioni che sono quasi la copia di un breviario stoico. Teodoro di Edessa, la cui opera principale, la Centuria, può forse dirsi un concentrato di artifici e di equivoci, contiene una raccolta di Evagrio realizzata mediante stralci affrettatiì, talvolta ingenui; lo stesso può dirsi del suo piccolo trattato sulla Contemplazione, di andamento molto scolastico. Callisto Telicoudes non fa che ripetere, più o meno, la Centuria di Callisto Il e Ignazio di Xanthopouli.
    E quali ripetizioni! Ogni Padre, avendo letto tutti gli scritti di coloro che lo hanno preceduto, ripete gli stessi pensieri come dei ritornelli. Ma perchè meravigliarsene? Come si capiscono questi monaci, per i quali il tempo conta tanto poco, che «ruminano» (l'espressione è proprio loro) tranquillamente l'unico piatto, la manna d'una preghiera invariabile, la preghiera del povero! Staccata dalla sua funzione, la Filocalia è la più pedante delle biblioteche; inserita nel suo contesto vivente, prende un diverso sapore. La si può aprire a caso e vi si troverà sempre «la parola che salva». D'altronde, è così poco un libro! E piuttosto una «lente affumicata», secondo l'espressione del Pellegrino russo, per poter sostenere lo splendore del sole.
    Vorremmo conoscere la sorte della Filocalia greca. Non ne sappiamo quasi nulla. Un'edizione leggermente più ampia apparve ad Atene nel 1893, seguita da un'altra edizione arricchita di un indice nel 1957-ì963~. L'edizione principe è divenuta rarissima.
    In Occidente l'abate Migne, o più esattamente il card. Pitra, scoperse la Filocalia «dopo molte vane ricerche», quando la Patrologia Greca era pervenuta al volume 85. La grande biblioteca patristica assorbì allora, a poco a poco, i testi di Macario di Corinto e Nicodimo l'Aghiorita. Senza l'incendio che distrusse il volume 161 proprio nel momento in cui era editato, noi avremmo tra le mani tutta la Filocalia. Tuttavia la maggior parte si trova oggi appunto nel Migne. A parte l'assenza di Filoteo il Sinaita, di Teognosto e di Callisto Catafigiota, il danno non è irreparabile.
    La Filocalia doveva invece conoscere un successo straordinario in Russia, grazie a un grande staretz, Paissy Velitchkovski (1722-1794), animatore di una vera rinascita spirituale sia nei paesi moldavi che in Russia. Egli preparò in breve tempo una traduzione slava, la Dobrotolubiye (Pietroburgo, 1793), della quale si ebbero otto riedizioni. E appunto una copia sgualcita di questa edizione che il Pellegrino russo comprò per due rubli - tutto il suo avere - da un sacrestano. «Essa fu, durante la prima metà del se*colo XIX, insieme con la Bibbia e il Menologio dj Dimitri di Rostov, il cibo spirituale preferito dei monaci russi» La versione slava rispettava fedelmente l'originale greco. Nel 1877, Teofano il Recluso intraprese la pubblicazione d'una monumentale Dobrotolubiye in russo, che ebbe in seguito quattro riedizioni. Teofano riduce e insieme arricchisce la raccolta. Poiche' Pietro Damasceno era appena stato pubblicato in lingua russa, egli lo esclude dalla sua silloge. Altri trattati, sono da lui giudicati troppo elevati e sottili, come i Capitoli sillogistici sull'unione con Dio di Callisto Catafigiota (cfr. PG 147) o troppo speculativi, come i Capito/i pratici... di Gregorio Palamas (cfr. PG 150), ed egli vi rinuncia. Inoltre sfronda o passa sotto silenzio, come spiega lui stesso a proposito dei metodi respiratori di Niceforo e di Simeone di Tessalonica, «alcuni metodi esteriori, che non sono più presentati nello stesso modo ai nostri giorni e che rischiano di fuorviare o disgustare per mancanza di maestri esperti. D'altra parte, questi metodi non sono che accessori che si possono tranquillamente omettere. E invece indispensabile far discendere il proprio spirito nel cuore e fissarvelo, o, secondo il detto di un Padre, unire lo spirito al cuore. Come pervenirvi? Cercate e troverete...». In compenso Teofano attinge largamente alle opere di Efrem, Barsanufio, Climaco, Doroteo, Zosimo e assorbe tutto il quarto volume delle Catechesi di Teodoro Studita, il rappresentante di una corrente molto diversa, che il trionfo degli anacoreti doveva in seguito soffocare e che d'altra parte, paradossalmente, produsse figli tanto poco rassomiglianti come Simeone il Nuovo Teologo.
    L'era della Filocalia non è chiusa. Nel 1946 D. Staniloae lanciava una traduzione rumena (Sibiu) fornita di note, che si compone di numerosi volumi. Fu una ripresa del progetto avviato dai discepli dello staretz Paissy e portato avanti dal vescovo Gherasim Safirim.
    Per il Pellegrino russo, e per l'innumerevole folla per cui egli parla, la Filocalia è anzitutto il libro della preghiera, cioè della preghiera di Gesù e del cuore. E non senza ragione, perché è proprio questa preghiera, in definitiva, che i suoi compilatori sognavano di far rivivere sulla scorta di tutta la tradizione. Se la Filocalia ha superato il campo limitato dell'erudizione per divenire l'eco di una potente esperienza religiosa (l'espressione non è troppo forte, se pensiamo alla miriade di mistici russi del XIX seco*lo), essa lo deve appunto a questa forma di preghiera. (tratto da La piccola filocalia, di Jean Gouillard - ed. Paoline)
    "Non c'è amore più grande di chi dona la vita per gli amici" (Gv 15,13)

  2. #2
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    Predefinito Re: La filocalia




    S. ANTONIO ABATE
    Dai 170 Testi sulla vita santa.
    2. L'uomo saggio ha una sola preoccupazione: obbedire con tutto il cuore a Dio Onnipotente ed esserGli oggetto di benevolenza. La unica e sola cosa che insegna all'anima sua è il modo di compiere ciò che piace a Dio, ringraziando la Provvidenza misericordiosa per qualunque vicenda della sua esistenza. Siamo grati al medico anche per il medicamento doloroso; di fronte al patire dobbiamo esser grati a Dio; qualunque cosa ci accada è per il nostro bene. Questa conoscenza che viene dalla fede, dona salvezza e pace all'anima.
    3. Il dominio di sè, la mitezza, la castità, la solidità di carattere, la pazienza insieme alle altre virtù sono le armi date da Dio per resistere alle prove ed aiutarci nel combattimento spirituale. Addestrandoci in esse e mantenendoci pronti alla pugna, nessun contrasto, per quanto aspro, grave, devastatore e intollerabile ci apparirà invincibile. Chi non possiede saggezza, mai pensa che ogni vicissitudine è per condurci al bene; la prova, manifesta le nostre virtù e ci rende degni di essere coronati da Dio.
    4. Rifletti sulla vanità breve ed illusoria della giocondità dei ricchi, acquisterai la conoscenza di quanto è migliore la vita virtuosa, amata da Dio. Questa conoscenza ti permetterà di vedere uomini non interiormente liberi, applauditi per l'eloquenza, l'erudizione e i beni posseduti, e non avrai più amarezza o rimpianto o risentimento per nulla. Comprenderai che il pessimo male dell'anima sono i desideri insaziabili di ricchezze e piaceri, uniti all'ignoranza della verità
    6. La pace è a prezzo della moderazione dei desideri. La ricerca di aver sotto di sè schiavi, braccianti, o di possedere armenti, per esempio, ci rende vincolati alle preoccupazioni che queste cose producono e con facilità siamo portati a lamentarci con Dio. Il nostro desiderare continuo ci riempie di agitazione, ci fa muovere nell'oscurità di una vita peccaminosa e ci impedisce la conoscenza di noi stessi.
    7. Guardiamoci dal dichiarare impossibile una vita pura, essa è solamente non facile. Non tutti raggiungono la stessa purezza di vita. La vita pura è possibile a chi ricerca la sapienza pura ed ha la mente fertile per l'amore di Dio. La mente ordinaria dell'uomo è legata alle effimere realtà esteriori ed è incostante; invasa da pensieri di bene e di male; mutevole ed incline a seguire le suggestioni delle realtà materiali. La mente fertile per l'amore di Dio, tronca decisamente il male che sale dalla neghittosità propria della volontà egocentrica.
    13. Soltanto chi ha raggiunto la sapienza pura o, nella ricerca di essa, si apparta in silenzio per purificarsi dal male, è degno del nome di uomo. L'uomo schiavo delle forze dell'esteriorità non è uomo; la schiavitù non è qualità umana. Tali esseri devono essere evitati. Chi convive tranquillamente col male, non raggiungerà la vera vita.
    14. L'uso della facoltà di raggiungere la sapienza pura ci rende degni del nome di uomini. Trascurandola, siamo differenti dai bruti solo per la disposizione delle nostre membra e il dono della loquela. L'uomo vero si renda consapevole della sua immortalità, sarà distaccato da quelle tendenze ignobili che conducono a morte.
    18. Reputa liberi quelli che lo sono per una maturata disposizione di vita interiore, non quelli che si dichiarano tali per condizioni esterne. Per esemplificare, non è libero chi ha un nome illustre o vasti possessi, se poi è schiavo di sensualità o intemperanza. La libertà e l'intimo gaudio dell'anima, sono il frutto di purità autentica e di distacco dalle realtà legate al tempo.
    20. L'anima in possesso della sapienza pura e della vita autentica si manifesta nel modo di guardare, di comportarsi, di parlare, di sorridere, di conversare e di agire della parte fisica. Tutto in lei è trasformato e positivamente buono. La sua parte mentale, fertile per l'amore divino, è simile ad un vigilante guardiano che non permette l'ingresso a pensieri di male e di passionalità.
    25. Chiunque si adopri a condurre una esistenza libera dal male e illuminata dall'amore di Dio, abbandoni ogni stima di se stesso ed ogni ricerca di gloria effimera, vigili a riformare le sue forze vitali interiori ed esteriori. Una mente, fertile per l'amore di Dio e salda nella fede delle realtà invisibili, è guida e cammino verso Dio.
    29. Chi non ha conoscenza sufficiente per separare il bene dal male, non può erigersi a giudice di ciò che è bene o male tra gli uomini. L'uomo che ha conoscenza sperimentale di Dio, è buono; quando uno non è buono vuol dire che non ha la pienezza della conoscenza e non è partecipe della conoscenza che viene da Dio. Conoscere Dio significa possedere la bontà essenziale.
    31. Nessuna volgarità deve essere tollerata nelle conversazioni; la modestia e la purezza sono più gli attributi dell'uomo intelligente che dell'uomo casto. La mente fertile per l'amore di Dio, è luce per le anime come il sole lo è per i corpi.
    40. La bontà e la sapienza non si acquistano in un istante. Sono il frutto di oculati propositi, esercizi, esperienze, diuturno lavoro e di robusto desiderio del bene. L'uomo puro che ama Dio ed ha vera conoscenza di Lui, non si da requie nel fare senza restrizioni ciò che a Lui piace. Tali uomini sono rari.
    41. Non devono venire scoraggiati o spinti a disperare quelli che non hanno inclinazione al bene. Cerchino, invece, di raggiungere la vita pura e gradita a Dio, anche se appare inaccessibile e irraggiungibile. Pensino che devono vigilare su loro stessi nel modo migliore che possono. Anche se non raggiungeranno la pienezza della vita pura, vigilando attentamente su sè stessi, o miglioreranno, o almeno non diverranno peggiori, e questo è un non piccolo bene per l'anima.
    44. Se ti imbatti in uno che ama le discussioni e comincia a disputare con te su ciò che è vero ed ovvio, tronca il discorso e allontanati da lui.
    49. La morte, per chi sa comprenderla, è immortalità; ma per gli ignoranti, che non comprendono, essa è solo la morte. Non è questa morte che dobbiamo temere, ma la perdita dell'anima che è la non conoscenza di Dio. Questo è cosa tremenda per l'anima!
    52. L'anima che ha raggiunto l'integrità prima, per la sua sottile essenza, è resa santa e luminosa da Dio, così la mente pensa ciò che è giusto e partorisce buone intenzioni e azioni rette. Ma quando è dissacrata dal peccato, Dio fugge da casa, o per meglio dire è l'anima che precipita lungi da Dio e i mali spiriti prendendo possesso del suo pensiero suggeriscono cose inverosimili: adulteri, delitti, rapine e simili terribili opere.
    53. Chi ama Dio ha solo pensieri puri, desideri di cielo e distacco dalle sollecitazioni esteriori. Raramente incontrerà il plauso del l'uomo legato al folle stordimento dei sensi, costui preferirà perseguirlo con odio, derisione e oltraggi. L'uomo dai pensieri puri è pronto a patire aspra penuria, sapendo che ciò che ad altri appare come male è bene. Contento nei suoi pensieri di cielo, ha fede in Dio e sa che ogni creatura è il frutto di un particolare volere divino. Chi non ha pensieri puri, mai riuscirà a sentire l'universo come creatura di Dio e che è offerto all'uomo perchè possa raggiungere la salvezza.
    55. La mente che attraverso l'amore diviene una sola realtà con Dio, è una benedizione invisibile per tutti gli esseri, offerta da Dio stesso per condurre alla vita pura chi ne è degno.
    72. Sappi che il male fisico è inevitabile al corpo, essendo materiale e corruttibile. In casi di malattia, l'anima che ha raggiunto la conoscenza, invece di lamentarsi con Dio perchè ha siffattamente costruito il corpo, mostra graziosamente coraggio e pazienza.
    73. Chiunque desidera raggiungere la pienezza della perfezione in Dio, insegni la purità alla sua anima, non soltanto in relazione alle passionalità carnali, ma tenendosi lontano dall'avidità di guadagni, dalle brame di possedere ciò che non gli appartiene, dal l'invidia, dall'amore dei piaceri, dalla vana gloria; sappia rimanere distaccato davanti alle dicerie sul suo conto e imperturbabile nei rischi mortali.
    80. Nel corso di un viaggio, alcuni si fermano all'osteria e passano la notte nel letto; altri sostano all'addiaccio e dormono gagliardamente come i primi. Al mattino, quando la notte è passata, gli uni e gli altri riprendono la via, lasciando l'osteria e portandosi dietro ciò che loro veramente appartiene. Cosi quelli che percorrono i sentieri dell'esistenza: tanto chi ha condotto una vita tapina, quanto chi è vissuto nella ricchezza e negli onori, lasceranno la terra come un'osteria, non portandosi dietro i conforti e i beni avuti, ma solo il frutto delle loro opere buone o cattive.
    84. Non parlare con chiunque della religiosità e della vita conforme a verità. Non dico ciò per gelosia, ma perchè agli occhi dello stolto appariresti ridicolo. Esiste concordanza tra le cose simili, pochi sono quelli che possono ascoltare tali cose, forse è più giusto dire che sono rari. Meglio è non parlare, Dio non domanda che si parli per giungere alla salvezza.
    86. La presenza di Dio nella tua mente deve renderti libero da ogni profanità e da pensieri d'invidia, buono, puro, non violento, generoso secondo le tue possibilità, amico di tutti, non amante di dispute e così via. L'esser graditi a Dio per queste qualità costituisce la ricchezza inalienabile dell'anima. Inoltre, la presenza di Dio, deve renderti incapace di condannare chiunque, o di dire ciò che non è bene di chiunque, o di affermare che uno ha peccato. La via buona è esaminare la propria vita e considerare se può essere gradita a Dio. Cosa puoi farci se qualcuno non è buono ?
    87. L'uomo vero cerca di esser libero da ogni profanità, ed è tale quando è sovranamente indipendente dalle sollecitazioni che salgono dalle creature. Il distacco dalle creature lo aiuta a scoprire in sè l'immagine di Dio che viene alla luce quando, mediante una vita pura e gradita a Dio, rimuove ogni impulso determinato dalle passioni. La mente che ama Dio, è vigile nel compiere ciò che conduce l'anima alla liberazione ed in ogni atto che la pone in uno stato di perenne offerta a Dio. Quando la creatura umana è illuminata dall'amore di Dio, non ha pensieri di biasimo per nessuno, conoscendo bene le sue deficienze. Questo è il segno che un'anima è sulla via della liberazione.
    94. La mente non è l'anima, ma un dono di Dio che conduce l'anima alla liberazione. Quando la mente è in una comunione di vita con Dio trascina volando l'anima, e le consegna quelle parole che la mantengono intatta da ciò che è corruttibile e pesante nel tempo; facendo fluire in lei l'amore per le realtà non legate all'esistenza, al disfacimento ed alla gravezza della materia, l'introduce nella sfera della santità, dove l'uomo diviene creatura di benedizione. L'anima continuando a vivere nella carne, entra in un rapporto di conoscenza contemplante con le realtà dell'Alto e divine; per questo la mente trasfigurata dall'amore di Dio è un dono di pace e di salvezza alla coscienza umana.
    97. L'infermità più grave dell'anima, la sventura più disastrosa è il non conoscere Dio che ha creato tutto per l'uomo e gli ha dato la mente e la parola, con le quali, ascendendo verso l'alto, può entrare in comunione con Lui e vivere nella chiara contemplazione del suo Volto.
    100. L'uomo da Dio riceve il bene, essendo Dio tutto il Bene. Quando l'uomo si sottomette al male, riceve il male da sè stesso, dalle bramosie, dall'insensibilità che sono in lui e dagli spiriti del male.
    102. Dio è buono e l'uomo è legato al male. Nei cieli non esiste il male, come sulla terra non esiste il bene puro. L'uomo che ha la conoscenza sceglie il meglio: impara a conoscere Dio Onnipotente, Lo ringrazia e canta lodi in suo onore; non ha considerazione per il corpo neppure quando è davanti alla morte e non permette che i suoi pessimi sentimenti siano soddisfatti, conoscendone bene la perniciosità e la malefica azione.
    103. L'uomo che ama il peccato, ama anche i vasti possessi, trascura la rettitudine e non ha pensieri per l'incertezza, precarietà e rapidità della vita, mai ricorda l'inesorabilità della morte. Quando uno dimostra tale vergognosa mancanza di sensibilità fino agli ultimi anni della sua vita, è come un albero fracido, inutile a qualunque uso.
    105. La parola è la serva della mente, ciò che la mente comanda la parola l'esprime.
    106. La mente vede tutte le cose, anche quelle che sono in cielo, nulla la può ottenebrare all'infuori del peccato. La mente pura nulla trova incomprensibile, nè la sua parola trova alcunchè arduo ad essere espresso.
    107. La mente inizia il suo risveglio quando attorno a lei le voci dell'esteriorità fanno silenzio, e soltanto la voce interiore parla. Nel silenzio nasce nella mente quella parola essenziale che è offerta accettevole a Dio e dono di salvezza all'uomo.
    109. La parola, carica di sapienza pura, è un dono di Dio e fa dilatare l'anima nella vita vera. La parola, non fecondata dal germe che scende dall'alto, solamente curiosa di misurare e definire l'esteriore ciclo e la terra sensibile, di conoscere le distanze e le dimensioni del sole e delle stelle, è un ritrovato dell'uomo, dell'uomo che lavora a vuoto e, per inutile vanto, cerca le cose che non hanno importanza. Tali uomini si perdono nell'inutile fatica di tirar l'acqua dal pozzo con un vaglio; il mistero delle creature rimarrà sempre velato per loro.
    114. Quando il corpo nel seno materno ha raggiunto la sua formazione esce alla luce del mondo; quando l'anima, nel corpo che le è toccato in sorte, raggiunge la sua perfetta età, abbandona le sue spoglie fisiche.
    117. L'anima unendosi al corpo lo fa emergere dalle tenebre del seno materno verso la luce; il corpo invece è per l'anima un involucro pesante e tenebroso. Per questo non dobbiamo avere per il corpo alcuna accondiscendente debolezza, ma fronteggiarlo come un gagliardo avversarlo. Il lasciarsi andare ai piaceri della mensa risveglia in noi le male passioni, mentre uno stomaco moderato placa gli istinti ed aiuta l'anima a non contaminarsi.
    118. Gli occhi sono l'organo della visione fisica, la mente è la capacità visiva dell'anima. Il corpo è cieco senza gli occhi, non vede il sole che inonda di luce la terra e il mare, e non prova gioia della chiarità solare. Quando la mente è spenta e la sapienza pura non esiste, l'anima è cieca; non avendo la gustosa conoscenza di Dio, non riflette la natura luminosa del Creatore e dell'Amante di tutti gli esseri e il gaudio dell'essere incorruttibile e della benedizione senza fine, le è precluso.
    119. La mancanza di sensibilità e di coscienza partorisce l'ignoranza della realtà di Dio; dall'ignoranza nasce il male. La conoscenza della realtà di Dio porta il bene all'uomo e dona la salvezza all'anima. Se persisti nella vigilanza del tuo fisico e nella ricerca della conoscenza di Dio, e se cerchi di non soddisfare le tue bramosie, vedrai la tua mente volgersi verso ciò che è bene. Ma se, affetto dall'ignoranza delle realtà divine, trovi diletto nel saziare le tue voglie, farai la fine dell'animale privo di parola, dimentico del giudizio che dopo la morte ti aspetta.
    126. Dio ha voluto che insieme allo sviluppo fisico, l'uomo acquisisse la facoltà mentale per scegliere tra il bene e il male. L'anima che non sceglie il bene, non possiede la mente. Così, tutti i corpi hanno un'anima, ma non tutte le anime hanno una mente. La mente resa fertile da Dio si trova tra gli uomini casti, giusti, retti, buoni, puri, misericordiosi e devoti. La mente è il ponte della comunione tra l'uomo e Dio.
    128. L'occhio vede le creature sensibili, la mente apprende l'invisibile. La mente resa fertile da Dio è la luce dell'anima. L'uomo che possiede una mente innamorata di Dio ha una luce nel cuore e può vedere l'Invisibile.
    150. Dio è la pienezza del bene, immune da passione e da mutamento. Se accettiamo come verità giusta l'immutabilità divina, rimaniamo perplessi di fronte alle raffigurazioni umane di Dio che Lo presentano gioioso del bene compiuto dall'uomo, sdegnoso col malvagio, irritato con i peccatori e misericordioso con chi si pente. La risposta a tali perplessità la troviamo nel pensiero che Dio non gioisce e non si irrita; gioia e ira sono passioni e quindi mutamenti.
    Dio è la pienezza del bene, e le sue opere non sono che bene, non reca male a nessuno ed è sempre se stesso. Quando noi riusciamo ad esser buoni entriamo in comunione con Lui attraverso la somiglianza nel bene; 'quando siamo malvagi, ci separiamo da Lui, perdendo la somiglianza nel bene. Vivendo con purità di vita siamo uniti a Lui, vivendo malvagiamente ci stacchiamo da Lui. Non possiamo dire, in quest'ultimo caso, propriamente che Dio è irritato con noi, ma piuttosto che i nostri peccati non lasciano passare in noi la chiarità luminosa di Dio. Sono i peccati che ci sottomettono alle fustigazioni dei demoni. Quando mediante la preghiera e le azioni pure, otteniamo il perdono, non è Dio che cambia, ma noi. Col pentimento e la purificazione curiamo il male nel nostro essere , e ritroviamo la partecipazione alla bontà perfetta di Dio. Dire che Dio volge la sua faccia altrove di fronte al peccatore, equivale all'assurda pretesa che il sole si nasconda da chi chiude gli occhi per non vederlo.
    170. Quando riposi nel tuo letticciolo, ricorda con gratitudine le benedizioni e la Provvidenza di Dio. Perchè confortato da questi soavi pensieri, possa avere gioia nello spirito e il tuo sonno fisico mantenga l'anima nella sobria vigilanza. Il chiudersi delle tue palpebre e il tuo silenzio, inondati da sentimenti di bene, renderanno gloria a Dio con tutto il cuore e con tutte le forze, e dal tuo intimo salirà verso l'alto un canto di lode. Il ringraziamento dell'uomo innocente è più gradito del penoso sacrificio. A Dio sia gloria in ogni età. Amen.

    DIRETTIVE DEL SANTO PADRE ANTONIO
    per condurre la vita in Cristo estratte dalle sue venti lettere
    1. Penso essere tre le vie con le quali la grazia di Dio risveglia l'anima dei figli del l'uomo. Alcuni mossi dalle promesse divine e dall'istinto connaturale del bene, non conoscono indugio nel seguire l'appello di Dio e sono imitatori del patriarca Abramo cui per primo fu indicata tale via mediante le parole: " Esci dalla tua tribù, dalla tua patria e dalla casa paterna e va verso la terra che ti indicherò" (Gen 12, 1 ). L'anima disposta a tanta prontezza con facilità acquisterà le virtù, avendo il cuore pronto ad accogliere la pienezza dello Spirito Santo.
    La seconda via è di quelli che leggendo nelle Scritture sacre i supplizi riservati ai peccatori e le sante promesse fatte ai giusti, con volontà sobria accordano la loro vita con l'appello di Dio.
    La terza via è quella dei patimenti che Dio benignamente dona per correggere chi ha il cuore indurito nel vizio e nel peccato; affinché si risveglino sotto la sferza del patire e pentiti, raggiungano il bene operare (Lettera I).
    2. Non perdiamo tempo dietro ai nomi della nostra parte fisica, sono cose destinate a perire. Ognuno cerchi di comprendere il suo vero nome. Giacobbe durante la lotta notturna con l'Angelo, conservò il suo nome di Giacobbe; al sorgere del sole gli fu rivelato il suo vero nome d'Israele, che significa: 'mente che contempla Dio ' (Gen. 32, 2428). (Lettera 6).
    3. Quante miriadi sono i demoni e come innumerevoli le loro volontà cangianti! Ci urgono a dir male gli uni degli altri; a nascondere il veleno del cuore con parole dolci; a criticare l'esteriore apparenza del nostro fratello, mentre ospitiamo in noi bestie selvagge; a litigare e a contrastarci reciprocamente, suggestionandoci col pensiero di avere una via personale e superiore (Lettera 6, 2- collezione).
    4. Prego che vi sia concesso il grande Spirito di fuoco che è stato donato a me. Se avete il desiderio di riceverlo ed ospitarlo, cominciate con l'offerta dell'impegno ascetico e dell'umiltà del cuore, poi dischiudendo, giorno e notte, il vostro pensiero alle realtà celesti, cercate con cuore puro questo Spirito; vi sarà concesso. Quando lo Spirito scenderà in voi, vi dischiuderà i misteri più alti, dissiperà dal vostro cuore la paura per qualunque essere, uomo o belva, e la gioia celeste sarà vostro possesso inalienabile, giorno e notte (Lett. 8).
    5. Ogni creatura ragionevole, uomo o donna che sia, possiede la capacità di amare Dio e gli esseri umani. L'uomo di Dio ama ciò che viene da Dio; l'uomo carnale ama ciò che appartiene alla carne. Amando le cose di Dio, l'uomo cerca la purificazione da tutte le sollecitazioni del mondo esteriore; non ama le realtà effimere, nè i suoi impulsi naturali; prende la sua croce e seguendo il Signore compie sempre la volontà dell'Altissimo. Dio scende nel cuore di queste creature e, prendendovi dimora, le ricolma di gioia e di dolcezza che sono l'alimento che nutre e porta a maturazione l'anima. L'albero non cresce se non riceve l'acqua del cielo, l'anima non sviluppa se è priva del nutrimento di dolcezza che viene dall'alto. Lo Spirito e la mite irrorazione della dolcezza celeste conducono l'anima dell'uomo alla maturità (Lettera 13).

    "Non c'è amore più grande di chi dona la vita per gli amici" (Gv 15,13)

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    Predefinito Re: La filocalia

    http://digilander.libero.it/benparker/FILOCALIA/Crypto.htm





    p. Matteo Cryptoferritis.
    monaco del monastero bizantino di Santa Maria di Grottaferrata
    Sulla spiritualità filocalica
    La grande tradizione spirituale - cristiana e non - ha sempre saputo e insegnato che le vie dello spirito si percorrono in due modi, entrambi necessari, inseparabili. Le espressioni linguistiche con le quali quei modi possono e debbono essere designati sono contraddittorie, apparentemente: ma la tensione dialettica (perché tale essa è, più che contraddizione) si risolve ritrovandone l’unitarietà nell’ esperienza vissuta - e solo in essa.
    Da una parte il pellegrino deve compiere il cammino da solo: nessuno può fare al posto suo ciò che, con inflessibile serietà, è realmente l’impegno unico, l’unum necessarium, per chi abbia intuito, tra lampi improvvisi e lunghe notti, per speculum in aenigmate, l’asse portante dell’esistenza. Il cammino deve essere percorso a piedi nudi, in solitudine inesorabile. In un contesto simile, a Faust che vuole raggiungere le Forme primordiali dell’Essere, Mefistofele (Mefistofele! paradossi della Sapienza!) domanda: “Hast du Begriff von Oed’ und Einsamkeit?” (Goethe, Faust, 6227). “Hai tu idea di deserto e solitudine?” Dall’altra parte, tutte le tradizioni - indiana, ebraica, cristiana, islamica - insistono sulla necessità, per chi si accinge al cammino, di essere guidato da un maestro (guru, tzaddìq, gheron/staretz…) che aiuti nel discernimento, incoraggi, sostenga, insegni: finché l’allievo divenga a sua volta maestro, sapendolo o no, per altri.
    Il maestro-padre-madre nello spirito va solo trovato, perché è un dono dall’Alto che viene messo da Dio a disposizione di chi lo cerca: l’affetto e la gratitudine che si avranno poi, per sempre, per il maestro-padre-madre saranno solo (solo!?) segno dell’amore e della gratitudine senza fine che si avrà per Colui che ha condotto a trovare il maestro, canale della Sua sapienza, lucignolo del Suo sole. Una relazione, quella discepolo-maestro, strutturalmente molto diversa dalla reciprocità dell’amicizia tra pari, sempre nutrita da scambio vicendevole: “Procurati un maestro, acquistati un amico” ( Mishnah, Abot 1,6 ).
    Alla ricerca di un maestro si erano recati sulla Santa Montagna dell’Athos, nel XVIII secolo, due uomini assetati di Dio, cristiani che le rispettive Chiese avrebbero, sullo scorcio del XX secolo, proclamati santi: l’ucraino
    Paisij Velickovskij (1722+1794) e il greco Nicodemo Agiorita (1749+1809). Per entrambi, ad una certa distanza di tempo, l’esperienza fu deludente: neppure in quel luogo, considerato ‘il’ luogo della spiritualità ortodossa, i due pellegrini riuscirono a trovare quel che cercavano. Ed entrambi, ciascuno per suo conto, trassero dalla delusione la stessa lezione: se i maestri non si trovavano tra i vivi, bisognava cercarli tra coloro che, morti nel corpo, continuavano a vivere e ad insegnare, attraverso i loro scritti. I due mancati discepoli dei vivi (ma Paisij fu più fortunato, perché aveva potuto godere della guida di Basilio di Poiana Marului) diventarono così allievi dei Padri greci che, tra il IV e il XIV secolo, avevano insegnato le vie della preghiera e della vita spirituale: ne raccolsero le opere da manoscritti antichi e più recenti, le studiarono, le assimilarono, le tradussero in vita personalmente vissuta… e trasmessa, a loro volta, a nuovi discepoli.
    La raccolta messa insieme da Nicodemo apparve a stampa in un unico, ponderoso volume, nel 1782 a Venezia, per la tipografa di Antonio Bortoli e grazie al generoso finanziamento del fanariota Giovanni Mavrogordatos; il titolo suonava
    Philokalia tôn hierôn nêptikôn. Il primo termine, Philokalia, aveva una storia antica: esso designa una raccolta di passi delle opere di Origene messa insieme, nel IV secolo, da due autori che la tradizione individua (anche se qualche isolata voce moderna dissente) in Basilio di Cesarea e Gregorio di Nazianzo, durante un periodo di eremitismo trascorso insieme dai due inseparabili amici.

    Alla base della ricerca teologica condotta dai due Padri attraverso gli scritti origeniani è, come dicono le parole greche da cui è formato il titolo, l’amore (phìlos, philìa) per ciò/Colui che è bello/buono (kalòs): dunque, l’amore per l’Unico buono/bello, Colui la cui gloria (kabòd) coincide con la Sua bontà/bellezza (tûb) (cfr. Es 33, 18-19). La seconda parte del titolo nomina i ‘sacri’ (hierôn) Padri ‘neptici’. La nêpsis è la ‘sobrietà’, e perciò la ‘vigilanza’ nella preghiera, l’‘attenzione’ rivolta alla vita dello Spirito nello spirito di chi re vera Deum quaerit, alla sobria ebrietas di cui parla tutta la tradizione mistica cristiana fino dall’epoca patristica: solo quando si è ‘ebbri’ dello Spirito, allora si è veramente ‘sobri’. Il titolo racchiude dunque, con una precisione che non si potrebbe desiderare più perfetta, l’individuazione esattissima della meta, e insieme l’intero programma della Via da percorrere.
    Quando Paisij venne a conoscenza della Philokalia veneziana, mise da parte i suoi propri progetti analoghi e, con l’aiuto dei suoi dotti monaci di Neamt, procedette a tradurre il testo di Nicodemo in slavo ecclesiastico (Dobrotoljubie).

    Qualche decennio dopo sarà quello slavo, stampato in Russia, il testo che il Pellegrino russo porterà, insieme alla Bibbia, nella sua bisaccia. Ed è proprio grazie ai Racconti di un pellegrino russo, tradotti in varie lingue dell’Europa occidentale negli ultimi cinquant’anni, che gli spirituali occidentali hanno recentemente scoperto, in folla, la preghiera di Gesù e la spiritualità filocalica che la sottende (di quei Racconti esistono in italiano ben tre versioni, tutte diversamente pregevoli, edite da Rusconi, Adelphi, Città Nuova).
    La Filocalia, nell’edizione italiana pubblicata da Gribaudi, comprende quattro volumi. Innumerevoli volte, e con sfaccettature sempre originali pur nell’alveo di una tradizione sostanzialmente unitaria, i testi dei Padri tornano sulle questioni essenziali della vita spirituale, il cui scopo è, in radice, appunto la realizzazione piena del dono battesimale: l’acquisizione progressiva dello Spirito Santo, come spiegherà
    S. Serafìm di Saròv (+1831) al suo discepolo Motovìlov in un famoso colloquio (tradotto in I. GORAINOFF, Serafino di Saròv, Gribaudi ).
    La dimestichezza con le tematiche filocaliche può essere ottenuta solo nella concreta, personale messa in pratica dell’ insegnamento dei Padri: non basta, anche se è necessario, leggerne gli scritti. A sua volta, il contatto personale con i testi, e l’impegno spirituale che deve conseguirne, si arricchisce di tutte le esperienze interiori che il lettore porta in sé, uniche e irripetibili, preziose e inimitabili, perché ciascuno deve percorrere da sé il cammino della ricerca di Dio. È per questo motivo che, se per un verso tutti gli spirituali filocalici presentano volti che si assomigliano profondamente, per l’altro non ce ne sono due identici: non solo tra i maestri antichi i cui scritti sono racchiusi nel volume di Nicodemo, ma anche tra i viventi che ne accolgono l’insegnamento e lo mettono in pratica. La situazione è simile a quella delle sante icone: per ogni tipo d’immagine c’è uno schema fisso, ma la sua realizzazione si presenta in una varietà infinita di forme, tante quante sono le singole icone. D’altronde, in che cosa consiste la vita spirituale se non nel lasciare dipingere nel più profondo del nostro essere l’icona di Cristo all’Iconografo unico che è lo Spirito Santo?
    Ultima modifica di AgnusDei; 18-10-13 alle 18:07
    "Non c'è amore più grande di chi dona la vita per gli amici" (Gv 15,13)

 

 

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