SCIENZA
17/01/2014
Sperimentazione animale:
le insidie del web
Immagini modificate e tolte dal loro contesto originale. E’ così che
una scena da film horror viene scambiata per ciò che avviene in laboratorio
DANIELE BANFI
In Italia circa 24 milioni di persone possiedono un profilo Facebook. Un mezzo davvero potente dove poter esprimere la propria opinione. Sempre più sovente accade però che dalla discussione si passi a insulti e minacce. Abbiamo tutti ancora in mente la vicenda di Carolina Simonsen, la ragazza malata rea di essersi schierata a favore della ricerca. Sulla piazza virtuale del social network la sperimentazione animale sta tenendo banco da tempo. Immagini di animali torturati vengono postate in continuazione per aprire gli occhi su cosa accade nei laboratori di tutto il mondo. Siamo però proprio sicuri sia veramente ciò che accade nella quotidianità?
«In questi casi la disinformazione regna sovrana. Le immagini sono palesemente false. Ogni giorno riceviamo continue segnalazioni e richieste di chiarimento» spiega il dottor Dario Padovan - presidente dell’associazione Pro-Test Italia- intervenendo nei giorni scorsi al ciclo di incontri in Senato “Scienza e democrazia” organizzato dalla neo senatrice Elena Cattaneo e dalla Commissione Igiene e Sanità.
Uno degli esempi più famosi è quello relativo alle immagini provenienti da un presunto laboratorio in cui si vedono alcuni cani completamente squartati e una didascalia che associa l’orrenda visione alla sperimentazione animale. «Una vera e propria scena da film horror. Infatti -spiega Padovan- è proprio di questo che si tratta. L’immagine appartiene al film “Una lucertola nella pelle di donna”». I cani che compaiono non sono altro che pupazzi creati per l’occasione dal famoso artista Carlo Rambaldi, Oscar per gli effetti speciali e creatore di E.T, l’extraterrestre.
«Un altro problema legato alle immagini -continua Padovan- è quello relativo alla decontestualizzazione. Ad esempio su Facebook circola la foto di un coniglio con grosse perdite di pelo associate a presunti test di cosmetica. Un accostamento creato ad arte poiché le immagini provengono dal sito di una clinica veterinaria. L’animale in questione è affetto da scabbia ed è lì proprio per essere curato».
La disinformazione non si ferma alle sole immagini ma riguarda anche i dati: una delle frasi più comuni che è possibile reperire in rete è quella relativa alla presunta spaccatura del mondo scientifico sull’utilità o meno della sperimentazione animale. Una divisione che in realtà non esiste: un’indagine condotta dalla rivista Nature ha mostrato che gli scienziati che si dichiarano contrari sono poco più del 3 per cento. «Un altro aspetto da non trascurare -commenta a tal proposito Padovan- riguarda la tendenza a travisare i dati. Di esempi ce ne sono molti. Penso ad esempio a chi afferma che il 51 per cento dei farmaci commercializzati negli Stati Uniti viene ritirato dopo il commercio per gravi reazioni avverse. Non è proprio così: consultando i dati della FDA (Food and Drug Administration) dal 1975 al 1999 ne sono stati ritirati meno del 3 per cento. Una bella differenza».
Come districarsi dunque in questa giungla di immagini e numeri? «La ricetta -conclude Padovan- è composta da tre ingredienti fondamentali: avere senso critico, diffidare dei dati privi di qualsiasi riferimento e controllare le fonti. In questo contesto è fondamentale per una corretta informazione il contributo responsabile e competente dei mass media». Secondo un’indagine condotta da Ipsos, gli italiani sono poco informati sul tema della sperimentazione animale per scopi medici. Ma una volta forniti loro i giusti input informativi, gli intervistati cambiano opinione riguardo al livello di accettabilità di questa pratica. Se prima solo il 33 per cento la riteneva accettabile, dopo la percentuale sale al 56 per cento. Il messaggio non lascia dubbi: su questo delicato argomento il grado di informazione influenza l’opinione pubblica.
La Stampa - Sperimentazione animale: le insidie del web