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Discussione: Gianfranco Miglio

  1. #31
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    Predefinito Re: Gianfranco Miglio

    Mai come ora serve l’Europa delle Regioni di Miglio
    24 FEBBRAIO 202124 FEBBRAIO 2021 POLITICA LETTURA 3 MIN

    di Fulvio Curioni – Credo e spero che il supporto straordinario all’economia italiana da parte dell’Europa possa continuare a lungo, passando da straordinario ad ordinario, in quanto la ritardata vaccinazione, l’altalenante isteria pandemica, un anno di restrizioni da virus ( preferisco scrivere ed educarci a terminologie italiane al lockdown) hanno fatto crollare occupazione ed attività produttive.

    Le risorse del piano di recupero del disastro (in inglese desaster recovery plan) non possono bastare, negli Usa sono stati stanziati 3 trilioni di dollari, portando i pessimisti a delineare quale effetto di questa iniezione di denaro, una nuova inflazione, contrapposta probabilmente alla minore iniezione di denaro da parte dell’Europa ai proprio stati membri in grado di produrre uno squilibrio tra un surplus commerciale europeo a fronte di un deficit degli Stati Uniti. Un possibile screzio tra le due potenze nonostante una ritrovata alleanza atlantica tutta da definire.

    L’Europa deve quini definire i suoi obiettivi per corrisponderne denaro a recupero del disastro. Prima delle regole fiscali occorre ancora una Bce in grado di aiutare paesi indebitati come il nostro evitando un pareggio di bilancio cosi’ auspicato in brevi tempi dai tedeschi. Ora che appare assodato come emettere debito comune europeo sia possibile, occorre decidere se renderlo permanente o relegarlo a solo piano di recupero del disastro e quindi con una fine temporale.

    Emettere debito comune quale regola ordinaria senza un termine temporale, significa anche decidere in comune tra gli stati membri come spendere queste risorse, oltre a riformare regole di bilancio in grado di colmare l’austerità complice di fallimento (default) di alcuni stati membri.

    A tal proposito il concilio fiscale europeo (fiscal council) ha elaborato proposte di bilancio radicali, passando da una enfasi sul deficit a regole basate su criteri di sostenibilità del debito. Anche il meccanismo di stabilità richiede discussioni e obiettivi politici colmi di responsabilità verso le future generazioni e non solo accomodanti scelte di basso profilo.

    La protezione dell’ambiente e della salute pare restino oggi i fari portanti di questa nuova filosofia di fare politica in Europa ma il percorso per normare regole ed obiettivi comuni pare molto allo stato embrionale, mai come in questa fase il profetico pensiero di Miglio potrebbe a mio avviso darci la svegli in quanto occorre abbandonare il concetto e l’ego nazionale per aprire la strada, i pensieri, le passioni, i desideri, i sogni ad una Europa delle regioni, ridisegnata territorialmente, politicamente, storicamente in vista di un grande futuro che è già presente, ora.

    Mai come ora serve l'Europa delle Regioni di Miglio - La Nuova Padania
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  2. #32
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    Predefinito Re: Gianfranco Miglio

    20 ANNI Speciale Miglio 5 – Cosa resta del decalogo di Assago

    7 AGOSTO 20216 AGOSTO 2021 CULTURA LETTURA 20 MIN
    di GIANFRANCO MIGLIO

    Il Decalogo di Assago è stato redatto da Gianfranco Miglio, con contributi dei collaboratori della Fondazione Salvadori. È stato presentato ad Assago, il 12 dicembre 1993, al Secondo Congresso della Lega Lombarda. Altri tempi e altra storia: parliamo infatti di quasi vent’anni fa. Quel lavoro e la stessa figura di Miglio furono poco dopo seppelliti dalle scelte di Umberto Bossi e dalla conseguente uscita dello stesso Miglio dalla Lega Nord. Lo riproponiamo perché i nostri lettori possano giudicare, e commentare, cosa vi sia in esso ancora di attuale ed eventualmente di emendabile, o addirittura di non condivisibile.

    In coda riproponiamo poi l’intervento che Miglio pronunciò pochi mesi dopo in Senato, nel dibattito sulla fiducia al primo governo Berlusconi, quando aveva già lasciato alla Lega. Le previsioni su quanto sarebbe accaduto negli anni a venire sono di una drammatica lucidità, con la sola variante che il bicchiere di olio di ricino lo stiamo bevendo adesso, ma con davanti nessuna prospettiva…

    DECALOGO DI ASSAGO CHE MIGLIO PREFERIVA CHIAMARE “BREVIARIO”

    Art. 1 – L ’Unione Italiana è la libera associazione della Repubblica Federale del Nord, della Repubblica Federale dell’Etruria e della Repubblica Federale del Sud. All’Unione aderiscono le attuali Regioni autonome di Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia.

    Art. 2 – Nessun vincolo è posto alla circolazione ed all’attività dei cittadini delle Repubbliche Fe- derali sul territorio dell’Unione. Tale libertà può essere limitata soltanto per motivi di giustizia penale.

    Art. 3 – Le Repubbliche Federali sono costituite dalle attuali Regioni, sia a Statuto ordinario che speciale; le Regioni a Statuto ordinario gestisco- no le stesse competenze attualmente attribuite alle Regioni a Statuto speciale. Plebisciti defini- ranno l’area rispettiva delle tre Repubbliche Federali.

    Art. 4 – Ogni Repubblica Federale conserva il diritto di stabilire e modificare il proprio ordina- mento interno; ma in ogni caso la funzione ese- cutiva è svolta da un Governo presieduto da un Governatore eletto direttamente dai cittadini del- la Repubblica stessa.

    Art. 5 – La Dieta provvisoria di ogni Repubblica Federale è composta da cento membri, tratti a sorte fra i consiglieri regionali eletti nell’ambito della Repubblica medesima. Secondo la Costituzione definitiva la Dieta sarà eletta direttamente dai cittadini. Le Diete riunite formano l’Assemblea Politica dell’Unione. La funzione legislativa spetta esclusivamente ad un altro Collegio rappresentativo, formato da 200 membri, eletti da tutti i cittadini dell’Unione e articolato in una pluralità di corpi e competenze speciale.

    Art. 6 – Il governo dell’Unione spetta ad un Primo Ministro, eletto direttamente dai cittadini dell’Unione stessa. Egli esercita le sue funzioni coadiuvato e controllato da un Direttorio da lui presieduto e composto dai Governatori delle tre Repubbliche Federali e dal responsabile del Governo di una delle cinque Regioni che per prime hanno sperimentato un’autonomia avanzata, cioè quelle indicate come Regioni a Statuto Speciale, che ruotano in tale funzione. Le decisioni relative al settore economico e finanziario, e altre materie indicate tassativamente dalla Costituzione definitiva, devono essere prese dal Direttorio all’unanimità.

    Art. 7 – Il Governo dell’Unione è competente per la politica estera e le relazioni internazionali, per 1a difesa estrema dell’Unione, per l’ordinamento superiore della Giustizia, per la moneta e il credi- to, per i programmi economici generali e le azioni di riequilibrio. Tutte le altre materie spettano alle Repubbliche Federali ed alle loro articolazioni. Il Primo Ministro nomina e dimette i Ministri i quali agiscono come suoi diretti collaboratori; la loro collegialità non riveste alcun rilievo istituzionale. Il primo Ministro può essere deposto dal voto qua- lificato dell’Assemblea Politica dell’Unione.

    Art. 8 – Il sistema fiscale finanzia con tributi municipali le spese dei Municipi medesimi. Il gettito degli altri tributi viene ripartito fra le Repubbliche Federali in funzione del luogo dove la ricchezza è stata prodotta o scambiata, fatte salve la quota necessaria per il finanziamento dell’Unione e la quota destinata a finalità di redistribuzione territoriale della ricchezza.

    Art. 9 – Nei bilanci annuali e pluriennali dell’Unione delle Repubbliche Federali deve essere stabilito il limite massimo raggiungibile dalla pres-sione tributaria e dal ricorso al credito sotto qualsiasi forma. Le spese dell’Unione, delle Repubbliche Federali, delle Regioni e degli Enti territoriali minori e di altri soggetti pubblici, non possono in alcun momento eccedere il 50% del prodotto interno lordo annuale dell’Unione. La Sezione economica della Corte Costituzionale è incaricata di vegliare sul rispetto di questa norma e di prendere provvedimenti anche di carattere sostitutivo.

    Art. 10 – Le Istituzioni e le norme previste dalla Costituzione promulgata il 27 dicembre 1947, che non siano incompatibili con la presente Costituzione Federale provvisoria, continuano ad avere vigore, fino all’approvazione, con Referendum Popolare, della Costituzione Federale definitiva.

    Discussione sulla dichiarazione di voto di fiducia al Governo Berlusconi, Senato della Repubblica (italiana), XII Legislatura, 7a Seduta, 17 Maggio 1994.

    Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio designato, signori senatori, ho ascoltato con attenzione il discorso programmatico che lei, signor Presidente del Consiglio, ha pronunciato ieri e mi sono naturalmente soffermato sulla parte che più mi compete: mi riferisco a quella che riguarda le riforme istituzionali e la prospettiva relative alla struttura della Repubblica. Signor Presidente del Consiglio, debbo dirle subito che ne sono rimasto deluso e stupito: come può affermare Lei che l’Italia è una Repubblica “dotata di un forte sistema di autonomie locali e territoriali, radicate dai costituenti nella vita dei comuni?”. Tutti sanno che cosa pensano nel mondo gli esperti di questi temi: abbiamo un ordinamento nominalmente regionalista e, considerato che i “sistemi regionali” ormai agli occhi di tutti sono le maschere con cui i regimi centralizzati si proteggono, noi siamo proprio un esempio di questo genere. Lei auspica riforme che diano deciso stimolo a forme di autogoverno le quali discendano dallo spirito autonomista e “regionalista”: cioè lei insiste proprio su questo aspetto del regionalismo autonomista, che è il contrario delle vere libertà locali espresse negli ordinamenti federali. Tutti sanno che a questo punto si biforca la prospettiva fra autonomismo, copertura del centralismo, e federalismo che garantisce invece le libertà locali per il futuro con grande sicurezza. Naturalmente si capisce allora perché lei affermi di guardare “con rispetto e interesse” al dibattito federalista e dichiari di avere “attenta considerazione” per il dibattito sul federalismo. Signor Presidente designato, ho l’impressione che siamo in presenza dell’apparire di una specie di “culto delle reliquie”: come quello che caratterizza la cultura cattolica; il culto del “sacro chiodo”, il culto delle spine che hanno incoronato nostro Signore, e via di questo passo. Questo “culto delle reliquie” l’ho trovato già in mezzo ai miei ex amici della Lega Nord: invocazione di termini vaghi, che si riducono tutti alla parola e a niente più di questo. Questa è francamente una presa in giro. Si preannuncia così qualche ennesima riforma pseudo-federale che mascheri, come ho detto, il vecchio e il nuovo centralismo.

    Perché, parliamoci chiaro, signor Presidente designato, lei in questo momento ha bisogno del massimo di centralizzazione. Se lei vuole conseguire qualcuno degli obiettivi che si è proposto e che ha introdotto nel programma della maggioranza, lei ha bisogno di uno spietato centralismo: se possibile anche qualche potere in più di quelli che già l’autorità centrale del Governo e gli organi della Repubblica hanno a disposizione. Perché lei, signor Presidente designato – l’ho già scritto ripetutamente – sta restaurando la prima Repubblica. Questa maggioranza e questo Governo costituiscono la restaurazione della prima Repubblica; la seconda Repubblica è ancora lontana, sfuma all’orizzonte con le sue probabili istituzioni e con il suo spirito.

    Naturalmente qui si pone la domanda: dov’è andata a finire la componente “federalista” di questa maggioranza e di questo Governo, la componente rappresentata dalla Lega Nord? Per lunga frequentazione di quell’ambiente, io so che al vertice della Lega Nord le idee di federalismo, di Costituzione federale e via di questo passo, sono tutto meno che “chiare e distinte”; uso l’espressione cartesiana per velare evidentemente un giudizio che dovrebbe essere molto più pesante. Sono poco chiare, queste idee, ma non sono affatto oscuri gli obiettivi che il segretario della Lega Nord ha prescritto ai suoi Ministri in questo Governo. Tali obiettivi, tali istruzioni – che sono state riportate dalla stampa – integrano un progetto demenziale. Dice il segretario: opereranno “in modo federale”, cioè si comporteranno come se vivessero in un sistema già federale. Lui non lo sa, ma questa è la prospettiva che i tecnici, studiosi delle Costituzioni federali, chiamano “federalismo processuale”. In cosa consiste il federalismo processuale? Consiste, appunto, in ciò: che nella pratica ci si comporta, di fatto, come se esistessero le istituzioni federali. Quegli specialisti che ho citato affermano inoltre che un’impresa del genere – molto rara nella prassi legalitaria delle Costituzioni e degli ordinamenti politici, al di fuori dell’ipotesi, naturalmente, di una situazione rivoluzionaria – per funzionare presuppone alcuni elementi indispensabili. Prima di tutto ci vuole un sistema politico che non sia fortemente centralizzato; poi ci vuole una “intenzione federale” diffusa in tutto il paese; e, infine, ci vuole la rapida attuazione di una vera Costituzione federale, in cui quei comportamenti, quelle procedure federali, confluiscano e si plachino. Sappiamo però che tutto questo nel nostro paese non c’è. Abbiamo invece un sistema politico tra i più accentrati, e non c’è in atto assolutamente una cultura federale.

    Questa è la tragedia di tutti i federalisti, come me, oggi in Italia. Non esiste una cultura federale, a nessun livello, e la rapida attuazione di una Costituzione federale appare di là da venire. Che cosa accadrebbe se i Ministri della Lega Nord si comportassero secondo il modello “federale processuale” sollecitato dal loro Segretario? Si avrebbe un totale dissesto del sistema istituzionale. Le impedirebbero di governare, signor Presidente, frenerebbero l’azione degli altri Ministeri, creerebbero, in altri termini, una situazione gravissima di paralisi dell’azione amministrativa. E tutto questo verrebbe praticato, ahimè, sulla pelle dei cittadini, delusi nelle loro attese di quello che Lei chiama il “buon gove no”. E ne verrebbe un tale sconcerto, che poi, per vent’anni, in questo paese non sì potrebbe più parlare di federalismo.

    Ancora una volta qui, come ho avuto modo ripetutamente di indicare e sottolineare, il federalismo si rivela un alibi, lo strumento per con- seguire e gestire il problema del puro potere. In modo particolare questi Ministri, destinati ad agire federalmente, sono, signor Presidente designato, altrettante mine sotterrate sotto il percorso che lei dovrà seguire. E l’uso strumentale dei propositi di riforma è la sola cosa chiara di questo demenziale progetto di “federalismo processuale”. Si dirà che c’è il Ministro delle riforme istituzionali per preparare il quadro in cui calare rapidamente i comportamenti processuali sollecitati. Ma si tratterebbe di un lavoro immane, di un impegno che nessuno potrebbe assolvere. Io che passo per essere, anche a livello internazionale, uno dei maggiori conoscitori dei sistemi federali, non mi sarei assolutamente sentito sicuro di garantire prospettive e risultati di questo genere. Io stimo molto ed ho amicizia per il senatore Speroni; ma non vedo proprio dove egli possa procurarsi la competenza, l’autorevolezza, le relazioni che gli mancano. Comunque, anche se le avesse, la prospettiva, nel contesto in cui noi ci troviamo ad operare, è una prospettiva assolutamente negativa. Quel dicastero resterà perciò una malinconica “scatola vuota”.

    Anche perché i tempi diventano sempre meno favorevoli al federalismo, pure a livello internazionale. Maastricht ha seppellito l’ideale di un’Europa federale. Sta rinascendo un’Europa di ringhiosi stati nazionali quale abbiamo sempre avuto e che ci ha già portato alle due terribili guerre del nostro secolo. Questa prospettiva, su cui avrò modo di intervenire in altra occasione, ci fa capire che, in questa congiuntura vincono loro, i nazionalisti (il senatore Miglio indica i banchi di Alleanza Nazionale). Per qualche anno i nazionalisti condizioneranno e domineranno la politica estera europea, e quindi anche la politica italiana. Poi naturalmente pagheremo tutti un conto terribile, perché – a parte l’eventualità, che io ho già prospettato in alcuni miei scritti, di un collasso dell’Europa se essa rimarrà fondata sulla base degli Stati nazionali – l’impossibilità, per lo Stato nazionale, di gestire le esigenze e i bisogni del mondo in cui ci stiamo inoltrando, si tradurrà in riforme angosciose, traumatiche, che dovranno essere realizzate “sul tamburo” per cambiare l’assetto dello Stato.

    Signor Presidente designato, ovviamente io non desisterò dal mio lavoro e dalla costruzione del mio modello di Costituzione federale. Continuerò, ma lo farò da studioso privato. Continuerò a stare in Senato per divertirmi ad “infìlzare” sciocchezze e le cose sbagliate che mi vedrò proporre. Agirò da privato, e conto entro ottobre di offrire all’opinione pubblica un modello completo di Costituzione federale per l’Italia, che tenga conto di tutte le varianti possibili. Soprattutto chiarirò come si fa a sceverare ciò che è veramente una Costituzione “federale”, da quelle riforme che invece potrebbero soltanto mascherare ordinamenti sostanzialmente centralizzati ed autoritari. Non è qui presente il ministro Maroni: volevo domandargli se davvero crede che nella congiuntura che ho descritto io sarei disposto a presiedere la eventuale commissione governativa incaricata di preparare lo schema di una nuova Costituzione: è un’ingenuità che non mi sarei proprio attesa. Ma in fondo, chi la pensa come me, che cosa dovrebbe fare? Certo, ci fosse una seria alternativa, che dovrebbe venire da quella parte ( il senatore Miglio indica i banchi della sinistra), allora ci sarebbero possibilità di scelta. Io ho seguito le polemiche in cui è stato coinvolto anche il mio amico Cacciari a proposito del programma della sinistra, e mi consentano i colleghi della sinistra di rivolgermi a loro. Prestissimo voi assisterete alla restaurazione, in questo paese, dello Stato assistenziale, per tutta una serie di ragioni che scavalcano i buoni propositi di economia liberista e di mercato; quindi non troverete più un motivo ideologico sul terreno della “socialità”; avrete – come ho scritto su Mìcromega alcuni mesi fa – una prospettiva valida nella questione delle grandi riforme costituzionali. Se voi batterete questa strada, diventerete un’alternativa valida per la vita politica di questo paese.

    Ma in queste condizioni, dicevo, che cosa fare? In coerenza con quanto le ho detto, signor Presidente designato, io dovrei oscillare tra l’astensione e il voto contrario. E invece no, voto a favore, un po’ ironicamente, perché non vedo alcuna altra alternativa disponibile, ma soltanto la possibilità di accelerare il processo in corso. Signor Presidente designato, non credo purtroppo nella vitalità e nella durata del suo esperimento; ma credo che si debba pensare al “dopo”, a quello che verrà dopo. Più in fretta facciamo ad attraversare questo periodo, meglio sarà. Vale a dire: se devo bere un bicchiere di olio di ricino, preferisco berlo subito, in modo che poi non ci penso più.

    https://www.lanuovapadania.it/cultur...ogo-di-assago/
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  3. #33
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    Predefinito Re: Gianfranco Miglio

    20 ANNI Speciale Miglio 6 – “Ecco perché diventai indipendente dalla Lega”

    7 AGOSTO 20217 AGOSTO 2021 CULTURA LETTURA 8 MIN
    di GIANFRANCO MIGLIO*

    Il mio colloquio con Umberto Bossi toccò infine il delicato punto dei nostri rapporti pratici. Io raccontai al mio interlocutore l’esperienza che avevo fatto tra il 1943 (periodo clandestino) e il 1959 come iscritto al partito della Democrazia cristiana; un’esperienza che non intendevo ripetere più, considerata anche la mia avversione alla vita di gruppo. Un partito, infatti, per me non è molto diverso da una cosca mafiosa anche se è fatto di santi, perché implica, a un certo punto, un rapporto di omertà. Non mi sarei quindi mai «iscritto» alla Lega, né avrei partecipato alla vita istituzionale del movimento; se avessimo riconosciuto di comune accordo l’opportunità della mia presenza in Parlamento, io avrei fatto parte del relativo gruppo, ma come «indipendente».

    A consacrare meglio questa mia «collateralità» verso la Lega, dissi che, come costituzionalista, sarei stato un consigliere personale di Umberto Bossi, e non degli organi collegiali del movimento: il mio interlocutore si adeguò subito a questa prospettiva, tant’è vero che (l’ho saputo solo recentemente) tenne nascosto il nostro incontro, per alcuni mesi, ai suoi «colonnelli». Ma il fatto che io mi schierassi con il suo movimento gli fece molto piacere: tanto che festeggiò subito l’evento con una cena organizzata il giorno stesso dai leghisti comaschi, se non erro, al Terzo Crotto di Cernobbio.

    Tuttavia i dirigenti lombardi della Lega, allora piuttosto a corto di oratori trascinanti, scopersero quasi subito l’efficacia dei miei incontri con il popolo del movimento e con i potenziali elettori; io non facevo nessuna fatica a passare dalla persuasione delle argomentazioni ragionate alla retorica martellante di un comizio. Cominciammo a Legnano con un rovente dibattito guidato da Gad Lerner, e poi via via a Busto Arsizio, e ai popolosi centri intorno a Milano, alle città storiche lombarde; i dirigenti locali erano estasiati. Colsi a volo un commento entusiasta dell’onorevole Leoni a un collega: «Te lo avevo detto che il Miglio “tira”!».

    Naturalmente in tutti questi incontri io cercavo di costruire e di trasmettere qualcosa di più delle frasi fatte e delle formule propagandistiche: cercavo di dare, agli impulsi passionali dei miei ascoltatori, sbocchi razionali e un minimo di contenuto ideologico. Anche perché mi ero accorto che la «dottrina» politica della Lega e dei «leghisti» era piuttosto primitiva.

    Cercai però subito di mettere un freno a questa esperienza; non facevo fatica a gestirla: ma mi stava trasformando in un «agit-prop» del movimento. Non c’era manifestazione leghista in giro per l’Italia alla quale gli organizzatori non facessero carte false per invitarmi. Gli operatori dei mass-media coniarono per me l’etichetta di «ideologo della Lega», che non mi è mai piaciuta e da cui non potei più liberarmi.

    Il mio ruolo di tecnico della politica si trasformava sempre più in quello di referente «carismatico» del movimento: per la sua brevità, il mio cognome (due sillabe facilmente pronunciabili) divenne, con quello di «Bos-si, Bos-si», l’invocazione tipica delle grandi adunate leghiste, alle quali ero invitato. Avevo un bel chiedere a gran voce che si acclamasse soltanto il nome del segretario, perché – ammonivo – un movimento politico deve riconoscere e celebrare un solo capo: nella immaginazione dei seguaci io ero diventato – anzi: dovevo essere – la testa pensante della Lega, e quindi il completamento necessario di Bossi.

    Nei primissimi tempi del nostro rapporto, il segretario del movimento mi aveva detto che facevo bene a sviluppare nei miei discorsi gli argomenti tecnici. «Io invece – si scusò – devo fare un po’ il pagliaccio sul palcoscenico, e usare espressioni. forti, perché soltanto così si riescono a trascinare molti del nostri “leghisti”».

    Ma c’era un altro campo – oltre a quello dei comizi – in cui la mia presenza interferiva con l’attività del movimento: era quello del giornali e degli audiovisivi. Io avevo da molto tempo un accesso agevole a questo settore, e relazioni assai favorevoli con il mondo giornalistico: anche perché non mi era difficile assumere posizioni fortemente innovative (o almeno non-conformiste) sui temi più attuali del dibattito politico-economico-sociale, e soprattutto sugli aspetti giuridico-costituzionali dell’esperienza italiana. Naturalmente a ogni articolo, e a ogni intervista, premettevo sempre l’avvertenza che quanto manifestavo costituiva la mia opinione personale e che la Lega non c’entrava per nulla. Ma i giornalisti tendevano costantemente a ignorare queste riserve, e facevano un solo fascio delle mie tesi (qualche volta addirittura scientifiche) e dei rari pronunciamenti espressi dal vertice del movimento: alla perenne ricerca, come erano, di contraddizioni dentro i partiti e fra gli uomini che li impersonavano, inventavano spesso contrasti inesistenti. A un certo punto si diffuse il sospetto che Bossi e io giocassimo a disorientare i nostri avversari (e l’opinione pubblica ancora ostile) con il palleggio delle dichiarazioni contrastanti: posso assicurare che, se una situazione del genere poté sembrare prodursi, l’evento fu del tutto involontario. Piuttosto la facilità con cui partecipavo al continuo dibattito sui temi politici e su quelli collaterali, in assenza di esplicite prese di posizione della Lega, finì per dare l’impressione che io fossi veramente la «testa pensante» del movimento. E questo, se confortava i militanti più semplici, provocava invece una insofferenza in Bossi, e soprattutto nei suoi «colonnelli», che si sentivano trascurati dagli intervistatori e sottovalutati. Così, a partire dal 1992, il segretario della Lega prese l’abitudine ogni tanto di sottolineare la mia estraneità al movimento e il fatto che io non lo rappresentavo.

    Per la verità, spesso mi chiedeva di intervenire con articoli e interviste allo scopo di sostenere determinate posizioni della Lega, o interpretazioni della situazione politica che convenivano alla sua strategia. Se – come accadeva abbastanza normalmente – ero d’accordo su queste esigenze, aderivo di buon grado alle sue richieste. In genere debbo dire che sono sempre riuscito a mantenere un’assoluta libertà di espressione e di comunicazione delle mie convinzioni.

    Invece tengo a rilevare che, per la mia simpatia verso la Lega, ho dovuto pagare un prezzo molto alto sotto il profilo dell’immagine. La stampa ostile al movimento (e schierata in difesa della Prima Repubblica) nell’intento di dimostrare che la Lega non aveva, dalla sua parte, persone rispettabili, prese l’abitudine di rappresentarmi come un «dottor Stranamore», o addirittura come «Nosferatu»: insomma come un ingegno diabolico dedito ad aggredire gli avversari e a distruggere le regole del vivere civile. Certo, il gusto per la politica-spettacolo ha qualcosa da spartire con queste deformazioni: ma confesso che abituarmi a vedere le mie critiche al sistema costituzionale trasformate in «sparate» e in aggressioni verbali, non è stato facile.

    *Tratto da “Io, Bossi e la Lega”

    https://www.lanuovapadania.it/cultur...te-dalla-lega/
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  4. #34
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    Predefinito Re: Gianfranco Miglio

    20 ANNI Speciale Miglio 10 – Lo scienziato della libertà
    10 AGOSTO 20219 AGOSTO 2021 CULTURA LETTURA 8 MIN

    di ROBERTO MARRACCINI – Il 10 agosto 2001, ci lasciava colui che non a torto può essere considerato il più grande scienziato della politica del secondo Novecento: Gianfranco Miglio.

    Dai ricordi delle persone che ebbero la fortuna di conoscerlo e di lavorare al suo fianco, affiorano le caratteristiche di un pensatore fuori dagli schemi classici della politologia o – come lui stesso amava definire, visto che fu il primo in Italia a fondarne una facoltà universitaria – della Scienza della Politica. Un intellettuale infaticabile, rigoroso, sempre attento a capire, in ogni singola e minuziosa sfaccettatura, il complesso mondo della politica, con i propri rituali e schemi mentali, i propri crismi, le proprie regolarità.

    La parabola discendente dello Stato moderno e il neofederalismo

    In lui era fortemente radicata la convinzione che lo Stato nazionale – il vero “capolavoro dell’Occidente” come lo definiva – fosse ormai giunto alla “conclusione della sua parabola storica”. Ciò che il professore lariano insisteva nel sostenere era che, sostanzialmente, il mondo – questo in maniera inequivocabile dopo la caduta del Muro di Berlino e il crollo dell’ideologia comunista – stesse attraversando un rimescolamento nei propri equilibri, anche e soprattutto a causa del venir meno del ruolo rappresentato dallo “Stato moderno”.

    Ecco allora perché, la soluzione più coerente e aderente alla linearità del suo cammino di studioso della politica e delle sue istituzioni – con il rapporto continuo tra lo Stato e il potere – non poteva che essere l’approdo alla convinzione della necessità di realizzare una vera struttura federale.

    Gianfranco Miglio fu un vero federalista. Il suo accostarsi alle idee federaliste non è casuale ed ha origine fin dagli anni ’40 del secolo scorso, durante la Seconda Guerra Mondiale. Conosceva alla perfezione i testi di Carlo Cattaneo (definito dalla storiografia, il padre del federalismo italiano).

    Il modello federale da lui teorizzato e avanzato come soluzione ai problemi italiani era volto alla concretizzazione di quello che definiva un “federalismo vero”. Ma per farlo occorreva, sempre come lui stesso diceva, una reale cultura federalista nella società, che purtroppo non vedeva realizzata in Italia: “Non è facile costruire un sistema costituzionale federale in un Paese che non ha assolutamente cultura federale”.

    Un federalismo che, per Miglio, doveva configurarsi in maniera opposta rispetto al federalismo classico, che era utilizzato per unire delle entità preesistenti (e pluribus unum: da più soggetti ad un unico soggetto, proprio come sono nati la Svizzera e gli Stati Uniti d’America). Il nuovo federalismo di Miglio – neofederalismo – ha, invece, la funzione storica di “tutelare e gestire le diversità”, favorendo quindi “il passaggio dall’unità alla pluralità: ex uno plures ”: da un’unica entità sovrana, lo Stato nazionale, si giunge – dopo un processo di federalizzazione – ad un sistema costituito da più sovranità distinte tra loro ed unite da un patto federativo (il principio cardine del federalismo).

    La sua proposta federale era estremamente radicale, basti pensare al Decalogo di Assago nel quale delineò un’Italia federale suddivisa in tre macroaree omogenee (Repubbliche): Nord, Centro e Sud, più le cinque Regioni a Statuto speciale attuali. Una riforma realmente federale nel suo spirito di fondo e di cui ci sarebbe assoluto bisogno anche oggi, considerata la riforma costituzionale centralizzatrice portata avanti da Renzi e dal suo Governo.

    Per queste ragioni si avvicinò alla Lega Nord – di cui fu Senatore (indipendente) – perché essa, ai suoi occhi, rappresentava l’unica forza politica autenticamente orientata a realizzare una riforma dello Stato in senso federale. A tale proposito disse: “Non si può essere leghisti se non si è federalisti nelle istituzioni e liberali in economia”. Certamente, era una Lega molto diversa da quella di oggi, tutta protesa verso un nazionalismo di matrice lepenista, che nulla ha a che vedere con il federalismo e i princìpi dell’autogoverno dei territori.

    Miglio studioso realista ma già proiettato al futuro

    Il pensiero migliano – fortemente legato alla realtà concreta dei fatti – era improntato al cosiddetto realismo politico. Maestro di questa corrente di pensiero fu Carl Schmitt, giurista tedesco di grandezza siderale, il quale ebbe a definire proprio Miglio “il maggior tecnico delle istituzioni e l’uomo più colto d’Europa”.

    Le analisi e le previsioni di Gianfranco Miglio si sono poi dimostrate – in più di una circostanza – delle vere e proprie profezie. Come semplice esempio, ricordiamo quanto scrisse nel 1993 su Limes (Rivista Italiana di Geopolitica): “La Germania oggi è in crisi. È come il pitone che ha ingoiato la gazzella e fa una fatica tremenda a digerirla. Nel giro di tre-cinque anni la ex Repubblica Federale riuscirà ad assimilare la ex Repubblica democratica. Ciò significa che la nuova Germania sarà di gran lunga la maggiore potenza continentale e deciderà del futuro assetto europeo. Essa infatti disporrà dei vantaggi di una infrastruttura moderna nell’ex Germania comunista e di un apparato produttivo senza eguali nel continente”.

    Rammentiamo poi quanto scrisse nel 1991, riguardo al cosiddetto mondo arabo: “Ma hanno ormai capito tutti che il fronte filo-arabo, emerso in Europa e oltre-Atlantico punta proprio su questo risultato politico, in funzione anti-americana e anti-occidentale. Si è ricostituito, in altre parole, lo schieramento ostile al modello di società, definito sommariamente capitalistico, e in realtà basato sui valori liberal-democratici e sul mercato. Non ci sono più, a capitanarlo attivamente, l’Unione Sovietica e i partiti comunisti: al loro posto, tra la meraviglia di molti, sono venute a galla, in modo talvolta equivoco e confuso, componenti, anche cospicue del mondo confessionale. A questo punto è indispensabile che si faccia quanta più chiarezza è possibile”. Analisi semplicemente profetiche.

    L’ingiusto silenzio sulle sue opere e il dovere di riscoprire il suo lascito scientifico

    Il silenzio del mondo accademico sui suoi lavori e sulle sue opere è andato avanti per molto, troppo tempo, e purtroppo continua ancora, tranne rarissime eccezioni. Un silenzio che oserei definire – senza retorica – assordante e comunque ingiusto. Ingiusto perché abbiamo di fronte a noi un pensatore, uno scienziato della politica, straordinario, di livello assoluto.

    I suoi scritti, in definitiva, sono – per la lucidità di analisi e la forte aderenza alla realtà dei fatti politici ed istituzionali – di una attualità sorprendente. Sembra davvero che i suoi articoli e i suoi documenti siano stati scritti in questi giorni. Anche da questo si vede la grandezza di uno studioso: la grandezza di un pensatore davvero unico.

    https://www.lanuovapadania.it/cultur...della-liberta/
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  5. #35
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    Predefinito Re: Gianfranco Miglio

    Maroni e Molteni ricordano Miglio: Pensiero coraggioso
    10 AGOSTO 202110 AGOSTO 2021 CULTURA LETTURA 1 MIN

    Ricordare Miglio sembra una eresia o una rarità in casa Lega. Qualcuno, almeno, ci prova ancora. “Ciao Prof, dopo 20 anni ci manca tanto il tuo pensiero coraggioso, la tua simpatia, la semplicità di un uomo geniale, maestro di vita”. Lo scrive Roberto Maroni su Twitter, ricordando Gianfranco MIGLIO, primo ‘ideologo’ della Lega.

    “Un pensiero e un ricordo nel ventennale dalla scomparsa di un grande comasco come Gianfranco Miglio. Un fine pensatore e scienziato della politica, un autentico federalista, un politologo e giurista di altissimo livello, ideologo della Lega nei primi anni 90. I suoi scritti, a distanza di anni, rimangono ancora oggi attuali, simbolo e guida di un percorso di autonomia dei nostri territori sempre vivo nelle nostre comunita’ e nelle nostre coscienze”. Lo dichiara Nicola Molteni sottosegretario all’Interno in una nota.

    https://www.lanuovapadania.it/cultur...ro-coraggioso/
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  6. #36
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    Predefinito Re: Gianfranco Miglio



    Gianfranco Miglio, di cui il 10 agosto ricorrono i vent'anni dalla scomparsa, è stato un politologo, giurista e studioso del federalismo, uno dei più autorevoli in Italia. Con il professor Marco Bassani, ripercorriamo il pensiero politico e la vita di Miglio. Cerchiamo di capire inoltre perché il progetto politico federalista rimase (e in larga parte rimane) inapplicato e ignorato in Italia.
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
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  7. #37
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    Predefinito Re: Gianfranco Miglio

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  8. #38
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  9. #39
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    Predefinito Re: Gianfranco Miglio

    Lombardia, la Regione approva mozione per Miglio. Il Pd: ma questa Lega è distante anni luce dal professore
    21 SETTEMBRE 202121 SETTEMBRE 2021 LOMBARDIA LETTURA 2 MIN

    “L’attualità del pensiero di Miglio, colui che Carl Schmitt definì il pensatore politico più lucido d’Europa, trova conferma nel contatto con le identità territoriali e la geopolitica. Oggi, secondo Miglio, siamo entrati in una fase discendente della storia dello Stato moderno”. Così Silvia Scurati, consigliera lombarda della Lega, ha commentato l’approvazione al Pirellone della mozione su una serie di iniziative per ricordare il ventennale della morte di Gianfranco Miglio, ideologo del Carroccio. “Gli aspetti negativi della concezione unitaria, sovrana e accentrata del potere – ha aggiunto – appaiono sempre più evidenti in ogni parte del mondo, dove gli Stati unitari e burocratici sono diventati macchine fiscali insaziabili, indebitate e fuori controllo, che consumano in maniera inesorabile le ricchezze prodotte dalla società. Oggi è fondamentale riscoprirlo e restituirgli quello che ha meritato sul campo. Perché il suo federalismo è la risposta alla ricerca di un ordinamento che sappia rimediare alle inadeguatezze dello Stato centralizzato e burocratizzato. Con l’unico obiettivo di gestire e valorizzare al meglio le diversità, e di rispettare i diritti degli individui e delle comunità”, ha concluso Scurati.

    Ma non si fa attendere la replica dell’opposizione.

    “Quale Lega chiede oggi di ricordare, a 20 anni dalla morte, il professor Gianfranco Miglio? Quella guidata dal capo dei sovranisti europei Matteo Salvini, quella che va a braccetto con Marine Le Pen e con Orban? Il pensiero di Miglio è lontanissimo dalle posizioni odierne della Lega della Lombardia, ed è con grande imbarazzo che i consiglieri regionali leghisti chiedono di celebrarlo. Pochi giorni fa ho partecipato a un convegno sulla figura del professore e, non a caso, tra i politici invitati c’erano i governatori Bonaccini e Zaia, mentre non ce n’era uno della Lega della Lombardia, perché non erano stati invitati, ormai idealmente troppo lontani da quello che un tempo, per un periodo, avevano considerato come il proprio intellettuale di riferimento”.

    Lo dichiara il consigliere del Pd in Regione Lombardia Pietro Bussolati dopo la votazione a larga maggioranza, oggi in Consiglio regionale della Lombardia, di una mozione che invita la Regione a ricordare la figura del professor Gianfranco Miglio a venti anni dalla sua morte.

    https://www.lanuovapadania.it/lombar...al-professore/
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  10. #40
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    Predefinito Re: Gianfranco Miglio

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